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VITICOLTURA TEORICO-PRATICA.
Prof. OTTAVIO OTTAVI
VITICOLTURA
TEORICO-PRATICA
CASALE
TIPOGRAFIA DI CARLO CASSONE
1885
Proprietà letteraria.
A
GIUSEPPE ANTONIO OTTAVI
MIO PADRE
MIO MAESTRO
CON AFFETTO E RICONOSCENZA.
PREFAZIONE
Columella1 nel primo secolo dell'era volgare scriveva: « Credi, o
Sii vino, a me che n'ho fatto prova: non fu mai vigna ben piantata,
di buona razza, sotto buon coltivatore, la quale non abbia dato il
contraccambio con grande usura ».
Ma oggidì le vigne ben coltivate da intelligente viticultore, ricom-
pensano esse ad usura chi vi confida i proprii capitali?
Non sono pochi coloro che si muovono una consimile domanda,
dopoché la preziosa Ampelidea venne colpita dai tanti e gravi ma-
lori, i quali da varii anni la travagliano, o devastandone i frutti
o minandone a dirittura la esistenza.
Eppure noi pensiamo che le parole di Columella nulla abbiano per-
duto del loro valore, benché da esse ci separino le centinaia d'anni.
Allora come oggi niuna pianta vi ha che ricompensi così largamente
il coltivatore delle sue fatiche e de' suoi sagrificii; niuna pianta poi
può alimentare tante industrie quante la Vite ne alimenta, né altra
si conosce più rusticana, più arrendevole, più benefica! Per tutti i
paesi dell' Europa Meridionale la Vite è la fonte precipua della ric-
chezza creata dalla terra che si coltiva: il Gelso, l'Olivo, l'Arancio
le fanno corona; essa però vi predomina di gran lunga, e la sua
benefica influenza si riflette sulla società civile, addensando la po-
polazione, suddividendo la ricchezza e provocando il benessere morale
e materiale delle popolazioni rurali. È tale la potenza colonizzatrice
della Vite, che ha potuto trasformare umili villaggi in popolose città;
la rinomata Bordeaux ce ne porge un esempio luminoso.
1 Libro IV, capo 3°.
Ma la Vite è oggi messa a dura prova; il rostro di vorace in-
setto ne tortura il sistema radicale, mentre altri nemici non meno
funesti ne estenuano il sistema aereo, vegetando a spese delle parti
verdi e dei frutti. L'America ci ha fatto un ben triste regalo, colla
fillossera e la peronospora!
Non per questo il viticultore deve scoraggiarsi, ma armato di
buoni studii e di molta tenacità di propositi conviene che lotti contro
questi fieri nemici. Oggidì il viticultore prettamente empirico non
può più essere; le nuove condizioni della Viticoltura lo esigono istrutto
e consapevole del perchè di quanto egli fa o dovrebbe fare: solo a
questi patti potrà lottare con successo.
Scopo di questo libro quello è appunto di coadiuvare il viticultore, il
quale ami esercitare V arte sua meno empiricamente che pel passato
ed agguerrirsi per far argine ai nemici del prezioso arbusto: e perchè
il libro è diretto ai viticoltori, esso è scritto nel modo il più piano
possibile, onde è forse accessibile a tutte le intelligenze. In esso
sono riassunti molti studii dei viticoltori d'ogni paese; gli antichi
scrittori di georgica hanno essi pure recato il loro contributo di
osservazioni; ma perchè la scienza era allora solo ai suoi inizii,
nulla di utile avremmo potuto dire senza il contributo degli studiosi
dell' oggi. La Viticoltura ha d' uopo di molte cognizioni ausiliarie, e
però al rispetto per gli antichi, va unito lo studio dei moderni.
Saremo ben avventurati se, con questo libro, avremo potuto re-
care qualche giovamento in modo speciale alla Viticoltura italiana,
che è tanta parte dell'Agricoltura patria e della nostra floridezza
economica: noi lo confidiamo, come confidiamo nella energia e nella
costanza dei nostri concittadini, acciò non si dica che « è colpa
nostra non naturai cosa » la decadenza della Viticultura nel bel
paese, che oltre a svariate formazioni geologiche, ha il privilegio della
postura, del clima, del vitigno, pure svariatissimi, ond' è atto ad
ogni maniera di produzioni.
Pel bene di tutti facciamo voti acciò fiorisca sempre più la Viti-
coltura italiana: per noi la Vite è la- vita.
Casale nel Monferrato 1 Giugno del 1885.
Ottavio Ottavi.
INTRODUZIONE
Importanza della Viticoltura
nella economia civile.
I. La vite. — II. Il reddito brutto della viticoltura italiana. — III. La viticoltura ita-
liana e la popolazione rurale. — IV. La viticoltura italiana, la popolazione e
Temigrazione. — V. La viticoltura, la mercede degli operai e la divisione della
proprietà. — VI. La mezzadria e la viticoltura. — VII. La viticoltura italiana
ed i tributi — Vili. La vite e le altre piante coltivate. — IX. Altri prodotti delle
viti. — X. La vite e la salute pubblica. — XI. La viticoltura e la produzione
del suolo. — Conclusione.
I. La vite può giustamente considerarsi come uno fra i princi-
pali fattori del benessere pubblico, inquantochè la sua coltivazione
prima, e poscia le molteplici ed importanti industrie a cui danno
luogo i suoi prodotti, sono fonte di guadagno per grande numero
di operai dei campi e delle città, per la proprietà rurale, per gli
industriali ed infine per lo Stato, che alla vite chiede numerosi
e gravi tributi direttamente ed indirettamente. Il principale prodotto
della vite, che è il vino, arreca dal canto suo grandi vantaggi
all' uomo, essendo la più igienica fra le bevande alcooliche, ed alla
società civile, sostituendosi ai liquori e frenando l'alcoolismo, che è
causa di tante infermità e di tanti delitti.
La coltura della vite esercita eziandio una potente e benefica
azione colonizzatrice ; per essa la popolazione aumenta, l'emigrazione
0. Ottavi, lattato di Viticoltura. 2
INTRODUZIONE
diminuisce, e ben a ragione scrisse Montesquieu (1) che « les pays
« de pàturages sont peu peuplós, parce que peu de gens y trouvent
« de l'occupation; les terre à blé occupent plus d'hommes, et les vi-
« gnobles infiniment davantage ». Infine la viticoltura permette la
divisione della proprietà, e la proprietà è uno fra i principali ele-
menti d'ordine, di rispetto alle leggi e di operosità.
Fortunati adunque quei paesi ove può coltivarsi la vite, e fortu-
nata sovratutto V Italia, che è la terra vitifera per eccellenza !
Ma studiamo con maggiori dettagli la viticoltura ne* suoi rapporti
colla economia pubblica; ne trarremo conseguenze importanti non
solo per chi si dedica alla coltivazione della vite, ma eziandio per
legislatori e per tutti coloro che si occupano di scienze sociali.
II. Il reddito brutto della viticoltura italiana. — Secondo
i dati che raccogliamo dalle statistiche governative il reddito lordo
della nostra agricoltura si può così valutare:
Prati e pascoli
Terre arabili
Viti . . .
Olivi . . .
Orti e frutteti
L. 700.000.000
» 2.500.000.000
» 800.000.000
» 400.000.000
» 400.000.000
Totale L. 4.800.000.000
Non si erra adunque computando a 4 miliardi e mezzo il nostro
reddito lordo agricolo (2) ; or bene, la viticoltura contribuendovi per
800 milioni (3) dà al paese circa un quinto di questo suo reddito agri-
colo mentre, d'altra parte, non occupa neppure la dodicesima parte
della superficie coltivabile dell'Italia. Infatti ponendo 25.000.000 di
ettari coltivabili (quelli coltivati sommano ora a 19.000.000) e la
vite occupandone soli 1.870.109 ve ne sarebbe solo Vis piantato a viti.
(1) Esprit des lois, tom. XXIII, eh. XIV.
(2) Altri crede che il nostro reddito rurale lordo ascenda soltanto a 3 miliardi
annui; ma in quei calcoli notansi varie ommissioni (latticinii, lana, carne, or-
taggi ed altri prodotti minori come ricino, robbia; ecc.).
(3) Calcoliamo 27 milioni di ettolitri di vino annui, a lire 30 caduno. Abbiamo
desunto questi dati facendo una media dei prodotti e dei prezzi del vino dal 1875
al 1883.
VITICOLTURA
In Francia vedesi in modo anche più manifesto quanta parte abbia la
viticultura nel reddito fondiario: questo raggiunge in totale la media
annua di 6.780.000.000 all' incirca; ma la sola viticoltura ne dà
1.200.000.000, anzi, secondo Guyot, 1.628.000.000, cioè circa V5 del
suddetto reddito agricolo, mentre poi la vite non occupa che la 22 ma
parte del territorio francese.
Proteggere la viticoltura, vuol dire adunque proteggere uno fra
primi cespiti della pubblica ricchezza.
III. La viticoltura italiana e la popolazione rurale. —
Prendiamo a considerare la popolazione rurale, perchè è il braccio
forte d'Italia, quella cioè che lavora il suolo, procacciandoci i generi
alimentari di prima necessità, e popola i campi di battaglia, difen-
dendoci dai nostri nemici; a quest'ultimo proposito diremo che da
varii rapporti del tenente generale Torre al Ministro della guerra,
abbiamo potuto desumere come tra proprietarii agricoltori, agricoltori
propriamente detti, bovari, pastori, ecc., si ha circa il 65 % delle
reclute d'ogni leva. Le popolazioni rurali, compresi i proprietarii del
suolo, danno adunque all'esercito abbondantemente la metà de' suoi
uomini. Secondo il censimento del 1871 (v. voi. III) questa popo-
lazione rurale (possidenti non coltivatori, e lavoratori rurali d' ogni
specie, esclusi i vecchi, i bambini e gli impotenti, ecc.) è forte di
8,500,000 teste. Ma i contadini costituiscono per la maggior parte
questo numero; ora un contadino in Italia, da quanto possiamo de-
sumere dalle statistiche governative, spende ogni anno circa 365
lire, tra vitto, alloggio, vestiario ed altre minute spese: la viticol-
tura italiana dando un reddito brutto annuo di 800.000.000 di lire,
vuol dire che provvede di che vivere a quasi 2.200.000 contadini.
Possiamo perciò ritenere dietro questi calcoli, i quali sono realmente
spassionati, che circa l/4 della popolazione rurale italiana (compresi
i proprietarii) trova di che vivere col solo reddito della viticoltura
paesana.
Se facciamo poi il calcolo computando i 28,459,451 (1) abitanti del
Regno, troviamo che la viticoltura da sola può sostentarne circa yi5.
In Francia la vite alimenta quasi 1/G della popolazione totale. Nessuna
altra pianta coltivata può vantare altrettanti beneficii all'umanità!
(1) Movimento dello Stato Civile nel 1881
INTRODUZIONE
IV. La viticoltura italiana, la popolazione e l'emigrazione.
— Abbiamo già chiamato la vite una potenza eminentemente colo-
nizzatrice; infatti le statistiche ci dicono che colà dove aumenta ra-
pidamente la produzione del vino, aumenta pure rapidamente la po-
polazione; ed oggi poi le tristi condizioni della Francia fìllosserata
ci forniscono una eloquente prova inversa, vale a dire ci provano
che nei paesi viticoli quando la viticoltura decade, scema anche la
popolazione.
In Italia, facendo un parallelo fra il censimento del 1878 e quello
del 1881, e tenendo calcolo dell' aumento della superficie vitata, si
trova che la popolazione è cresciuta in proporzione sensibilmente
maggiore nelle provincie ove si è maggiormente estesa la coltura
della vite. Ma le statistiche francesi sono le più convincenti: eccole (1)
Diminuzione della popolazione nei principali Dipartimenti fillosserati
DI FRANCIA.
Dipartimento
N GO
t |
,2 oo
o a
CU
1
N
a
e
Osservazioni
Dróme . . .
321,756
313,753
7,993
Ha perduto oltre a 30,000 ett. di viti
Gard ....
423,804
415,629
8,175
» » 120,000 »
Hérault . . .
445,053
441,527
3,527
» » 110,000 »
Varo ....
295,763
288,577
7,186
» » 60,000 »
Valchiusa . .
255,703
244,149
11,554
» » 50,000 »
La regione meridionale mediterranea
di Francia, compresa la vallata del
Rodano, ha già perduto oltre 500
mila ettari di vigna.
Sono dunque 38.400 abitanti di meno in soli cinque dipartimenti,
i quali hanno perduto 370 mila ettari vitati, e ciò nel breve tratto
(1) V. Le viti americane e la fillossera (Dr, D. Gavazza) gennaio 1883.
VITICOLTURA
di cinque anni. È una statistica sconfortante, ma che conferma pie-
namente la nostra tesi.
Riguardo alla emigrazione nei suoi rapporti colla viticoltura, pre-
metteremo che (1) in media gli agricoltori rappresentano il 59 per
cento della emigrazione propria (o a tempo indefinito) ed il 38 per
cento della emigrazione temporanea; avuto però riguardo alle professioni
degli emigranti italiani, i contadini rappresentano il per-cento mag-
giore anche nella temporanea. Li spinge ad abbandonare la patria
quasi sempre la squallida miseria in cui vivono, benché qualche volta
siano mossi dal desiderio di arricchire in breve tempo: in quest'ul-
timo caso non è a lamentarsi la emigrazione e solo è indispensabile
che il Governo la diriga e la guidi verso quei paesi ove l'emigrante
può utilmente lavorare; ma nel primo caso non si può che deplo-
rare altamente che vi siano in Italia provincie in cui il contadino si
trova in condizioni tanto compassionevoli da lasciare la patria dietro
il semplice invito di agenti interessati, che ne fanno una indegna
tratta.
Or bene, la emigrazione in genere è assai minore nelle provincie
vitifere; si può desumerlo dal seguente specchio comparativo (v. pag. 6)
da noi compilato sulle pubblicazioni del Ministero d'Agricoltura, Indu-
stria e Commercio (2); in esso abbiamo segnato anche il prodotto medio
per ettare dei vigneti, per dare un'idea della importanza della viti-
coltura nelle provinole indicate nel qua Irò stesso.
Lo contraddizioni che taluno potrebbe rilevare in questo specchio
non sono che apparenti: per esempio la provincia di Lucca, quan-
tunque abbia il 12 °/0 di terreni vitati, conta 2102 emigranti ogni
100 mila abitanti; ma conviene far notare che tale emigrazione è
per oltre i 2/3 temporanea, in Corsica, a Marsiglia, in Algeria ecc.
ove molti contadini si recano in inverno a far lavori preparatorii del
terreno per rimpatriare a primavera; e cosi nel 1881 di 6061 emi-
granti, ne ritornarono 4306. — Udine poi, mentre ha sei volte più di
viti di Belluno, conta un numero quasi uguale di emigranti; questi
però non abbandonano realmente la patria, ma partono in primavera
e ritornano in autunno; per esempio nel 1881 su 19951 emigranti,
(1) Statistica della Emigrazione Italiana nel 1881 ed anni 'precedenti. (Mini-
stero d'Agricoltura - Direzione della Statistica Generale) — Roma, 1882 — È
questo un volume ricco di notizie dettagliate ed importanti.
(2) V. Statistica citata; e Condizioni dell'Agricoltura in Italia, voi. I.
6
INTRODUZIONE
soli 468 abbandonarono il paese, mentre circa 19483 ritornarono.
Di ciò convien tenere calcolo nell' esaminare il seguente quadro :
PROVINCIE
Belluno .
Udine . .
Cuneo . .
Lucca . .
Massa . .
Como . .
Torino .
Salerno .
Bergamo .
Potenza .
Cosenza .
Parma
Genova .
Campobasso
Alessandria
Novara .
Brescia .
Verona .
Vicenza .
Treviso .
Bologna .
Forlì . .
Macerata .
Siena . .
Firenze .
Roma . .
Teramo .
Bari . .
Aquila
Lecce . .
Avellino .
Napoli
Caserta .
Reggio
Palermo
Trapani
Catania
Siracusa
Messina
Caltanissetta
Girgenti .
Cagliari .
Sassari
Calabi
Ettari
Prodotto
vitati
medio
per ogni 100
p. ettare
di superficie
Vino
ettolitri
1,19
13
6,42
11
3,15
22
12,13
14
4,11
18
3,48
13
3,05
24
3,87
18
4,63
17
4,36
13
5,16
14
9,15
12
7.57
13
5,52
12
7,39
25
3,88
20
6,21
15
11,42
15
20.09
10
20.41
8
5,50
11
8,14
13
10,03
14
10,20
13
13,16
12
3,69
19
21,43
11
9,06
14
6,05
14
2,53
14
5.40
17
16,31
19
4,91
13 1T2
6,27
17
10,61
19
12,21
21
7,28
19 1T2
7,50
20
3,45
20
7,04
201t3
3,08
21
0,91
181x3
1,10
19
Emigrazione propria e temporanea
per ogni 100,000 abitanti 0)
nel 1881
4258
3987
2265
2102
1507
1456
1316
1081
1058
941
882
874
663
618
256
712
383
124
774
291
3
12
62
1
2
57
52
154
256
165
11
75
85
(quasi tutti temporaneamente)
(2[3 temporaneamente)
(4{5 temporaneamente)
(Em. quasi nulla nei Circond. vitif.)
(2[3 temporaneamente)
(1) Questi numeri rappresentano la somma dei dati della emigrazione per gli Stati Europei con
quelli che si riferiscono alla emigrazione fuori d'Europa.
VITICOLTURA
La provincia di Lecce, benché non conti che ettari 2,50 °/0 a viti,
pure non ha che una decina di emigranti all' anno : ma bisogna ri-
flettere che è questa una fra le più vaste provincie d' Italia (1) con
una popolazione relativamente piccola; cioè 493 mila abitanti su
8500 chilometri quadrati di superficie, mentre per esempio Torino ne
conta quasi 1 milione su 10,500 chilometri quadrati, ed Alessandria
(provincia molto viticola) 700 mila abitanti circa, su soli 5 mila chilo-
metri quadrati. Questo si applica anche meglio alla provincia di Ca-
gliari che è la più vasta d'Italia (13,600 chilometri quadrati) ed ha
soli 393 mila abitanti, come pure a Sassari e ad altre provincie in-
dicate nello specchio.
La viticoltura adunque è un freno alla emigrazione propria; ciò
appare anche più evidente facendo un parallelo non già per provincie
ma per circondarii: ci limiteremo ad un solo esempio per amor di
brevità.
La provincia di Alessandria è composta di circondari più o meno
viticoli; in alcuni anzi, come Casalmonferrato, la viticoltura vi è assai
intensa: or bene la emigrazione è in ragione inversa della intensità
con cui si coltiva la vite; per esempio nel 1881 si ebbero i seguenti
dati:
Circondarli
Emigrazione
propria
Emigrazione tempor.
Casalmonferrato
25
—
Asti
40
300
Acqui
44
209
Alessandria
128
134
Novi Ligure
279
88
Tortona
529
55
Il circondario di Tortona, che è il meno viticolo, è anche quello
che dà il maggior contingente alla emigrazione propria.
V. La viticoltura, la mercede degli operai e la divisione
della proprietà. — Dove si coltiva la vite intensamente, gli operai
sono bene pagati. Per esempio in Monferrato non è raro che la mercede
(1) Dopo Cagliari, Sassari, Potenza e Torino viene Lecce.
INTRODUZIONE
giornaliera d'un oprante, anche se mediocre potatore e viticoltore, tocchi
le L. 3,50 al giorno, e pur durante un tempo non breve: — dai dati
che desumiamo dalla nostra Contabilità rurale d'un podere viticolo
risulterebbe che un bravo lavoratore può guadagnare 400 lire al-
l'anno con una spesa, pure annua, di L. 350. Noi non diciamo che
questo guadagno degli operai dei campi (sian fìssi o cosidetti gior-
nalieri) sia una grande cosa, massimamente poi se si tratta di con-
tadini ammogliati, le cui mogli non guadagnano più di 100 lire al-
l'anno se hanno figli, e 200 in caso diverso; anzi facciamo voti per-
chè crescendo la produzione per ogni ettare e crescendo la ricerca
del vino, anche i contadini possano vivere meno a disagio. Ma di-
ciamo che, dove non v'ha la vite, le condizioni loro sono assai peg-
giori; ne segue quindi la emigrazione suddetta, che è una delle pia-
ghe della nostra agricoltura. Infatti nel milanese, secondo le suddette
statistiche governative, i braccianti o giornalieri hanno un salario
annuo di appena 300 lire; non è pure di molto maggiore in
altre zone ove non havvi la vite e predomina la grande col-
tura.
La vite richiede molti, diligenti e continui lavori, quindi è impos-
sibile che in una regione viticola manchi il lavoro agli operai delle cam-
pagne. Ma non è tutto qui. Dove v'ha la vite, la proprietà può suddi-
vidersi; e per verità i latifondi, nei paesi vitiferi, scompajono grado
grado e la proprietà rurale si fraziona. Or è bello il vedere l'umile
contadino (ed in Monferrato ve ne sono parecchi esempi) comperare
il suo mezzo ettare o il suo ettare di terreno vitato e coltivarlo da
sé stesso, quasi diremmo nelle ore d'ozio, cioè non trascurando di
collocarsi a giornata nei poderi maggiori. Alcuni di questi modestis-
simi poderetti sono coltivati in modo esemplare, e producono sicura-
mente da 60 a 80 (talvolta anche più di 100) ettolitri di vino ad
ettare, che corrispondono ad un cospicuo reddito netto annuo. Da
varii anni noi acquistiamo le uve di alcuni di questi contadini, e con-
statiamo quante cure essi prodighino al loro vigneto e quanto be-
neficio ne ritraggano. Quale altra coltura potrebbe permettere altret-
tanto? La vigna è quindi realmente una pianta colonizzatrice; e per
essa la gravissima questione sociale si avvicina ad una reale solu-
zione pratica.
VI. La mezzadria e la viticoltura. — Die Socìalfrage ìst
eine Magenfrage, ha detto un socialista tedesco e cioè: « La qui-
VITICOLTURA 9
stione sociale è una quistione di stomaco. » In gran parte ciò è
vero: ma la viticoltura attutisce questa quistione di stomaco,
perchè dà al lavoratore tanto quanto gli occorre per vivere e per
vestirsi, nonché per fare qualche piccolo risparmio annuo. La questione
poi sarebbe ancor meglio risolta quando si associasse la mano d'opera
alla proprietà, perchè così non si direbbe più che quest'ultima è un
furto !
La terra vitata non rende quasi nulla se le manca una intelligente
mano d'opera; questa vale quella. Ma generalmente in Italia il pro-
prietario viticoltore vive lontano dal suo vigneto, e si affida piena-
mente al contadino; questi, essendo pagato con salario fisso, non si
cura molto del vigneto stesso, e si accontenta del suo meschino stato,
mentre al proprietario toccano esigui frutti. Invece con una ben or-
dinata mezzadria, la vigna darebbe certamente maggiori benefizii netti
ed al proprietario ed al contadino; quest'ultimo, sapendo che la sua
parte può anche raddoppiarsi se lavora bene il vigneto, vi si appli-
cherebbe con ogni cura e certamente vi riescirebbe. Esempii di que-
sta mezzadria, a metà prodotto, e per non più di due o tre ettari
vitati, ve n'hanno nella Svizzera (nel cantone di Vaud) ed in Francia
(Rhóne, Màconnais, Allier e Jura) ed anche in Italia. Ma il mezza dro
può essere un pessimo viticultore, ed allora è indispensabile che il
proprietario adoperi con fermezza e ordini diversamente la sua a-
zienda. Noi non vogliamo qui entrare nei dettagli, perchè dedi-
cheremo a questo importante soggetto un apposito capitolo: per-
ciò ci limitiamo a raccomandare la mezzadria dove la vite è ben
coltivata (o dove si può farla coltivar bene da un intelligente mez-
zadro), nonché nei paesi dove le condizioni climatologiche non abbiano
di tanto in tanto a distruggere quasi del tutto il prodotto delle viti,
che allora quel sistema di cultura sarebbe impossibile.
La vite adunque permette, meglio d'ogni altra coltivazione, che il
capitale s'associi alla mano d'opera, con reciproco vantaggio e con
vantaggio altresì della società civile.
VII. La viticoltura italiana ed i tributi. — Se ci poniamo
ad esaminare i tributi annui che l'agricoltura paga allo Stato, alle Pro-
vincie ed ai Comuni ci persuadiamo facilmente che essi raggiungono
ad un dipresso il miliardo. Limitandoci ai soli tributi generali, esclu-
dendo cioè quelli locali, noi sappiamo che in totale essi sommano a
lire 1,500,000,000 comprendendovi tutti quanti i titoli d'entrata del
10 INTRODUZIONE
nostro bilancio annuale; or bene di questa enorme somma una metà
(vale a dire 700,000,000 circa) è pagata dall'agricoltura (1). E la
viticoltura, che pure non occupa nemmeno la 12ma parte delle no-
stre terre coltivabili, col suo prodotto lordo di 800,000,000 annui,
contribuisce in grande parte a pagare quell'enorme tributo; col suo
reddito lordo poi lo pagherebbe comodamente, mentre lo paghereb-
bero meno facilmente, per esempio, i prati ed i pascoli, che pur oc-
cupano una maggior superficie di territorio, e non lo pagherebbe poi
nessun'altra cultura a parità di superficie.
Se esaminiamo i quadri delle imposte e delle sovrimposte nelle do-
dici circoscrizioni in cui è divisa l'Italia, troviamo che le provincie
vitifere sono le più gravate. La più colpita ad esempio è la pro-
vincia di Napoli, la quale tra imposte erariali provinciali e comu-
nali, paga L. 47,28 ad ettare: nel Circondario di Casalmonferrato si
pagano non di rado L. 42 all'ettare (2) benché, per difetto di pere-
quazione, vi siano terre vitate, già boschi o campi, che pagano assai
meno. Ne qui sta il tutto: oltre a questi tributi la viticultura deve
spesso sopportare gravi dazii comunali; nel 1882 il Comune di Ca-
salmonferrato votava un dazio consumo sull'uva corrispondente per
parecchi, che non possedevano cantine fuori della cinta daziaria, ad
una imposta di L. 50 per ettare.
Volendo enumerare le tasse che colpiscono la viticultura ed i suoi
prodotti, diremo che, oltre la fondiaria, vi ha la ricchezza mobile,
se la vite è affittata a danaro, vi ha la tassa sulle industrie dell'al-
cool e dell'aceto, vi sono i dazii di consumo, e vi sono le sovrim-
poste; la vite è quindi realmente quella fra le piante coltivate che
offre direttamente ed indirettamente maggiori cespiti d' entrata allo
Stato, alle Provincie e ai Comuni.
Vili. La vite e le altre piante coltivate. — Se paragoniamo il
reddito netto della vite a quello delle altre piante coltivate dell'agricol-
tura italiana, ci persuadiamo di leggieri che nessuna fra queste può ugua-
(1) La possessione rurale in Italia paga all'erario il 30 0\q del suo reddito netto
(effettivo e non censuario), mentre chi paga la sola ricchezza mobile, dà all'erario
soltanto il 13,20 0\q del suo reddito: è questa una grave ingiustizia. In Francia la
proprietà rurale paga solo il 9 0\q, in Germania il 10 Oft) ed in Inghilterra solo
il 2 1T2 OR).
(2) Chi scrive si trova appunto in questo caso.
VITICOLTURA 1 1
gliarlo. Infatti supponendo un mediocre prodotto di 40 ettolitri di
vino ad ettare vitato, venduti al prezzo medio italiano di L. 30, si
avrebbe un beneficio lordo di L. 1200: in generale poi, da quanto
abbiamo potuto dedurre da molti dati presi nelle principali regioni
vitifere del Regno, la spesa di produzione d' un ettolitro di vino è
di L. 15 tutto compreso; l'utile netto sarebbe dunque di L. 600 per
ettare vitato e per anno, cioè l'interesse del 5 0/q d'un capitale di
12,000 lire. Nel Monferrato non sono rare infatti le vendite di ter-
reni vitati a 12,000 e 15,000 lire Tettare. Ma noi abbiamo supposto
un prodotto brutto di soli 40 ettolitri ad ettare: invece abbiamo varii
esempii, dappertutto in Italia, di produzioni che hanno toccato i 100
ettolitri (e possiamo attestare che questo elevato prodotto non va
per nulla a scapito della qualità del vino); or bene in tal caso, anche
vendendo l'ettolitro di vino a sole 25 lire, il prodotto brutto sa-
rebbe di L. 2500, ed il netto di L. 1000 almeno ad ettare, pur sup-
ponendo un aumento nelle spese di concimazione e di coltura. La vite
adunque, fra le nostre piante coltivate, è quella che dà il maggior
reddito netto a parità di superficie : è perciò quella che fa più presto
agiato il coltivatore, come dice benissimo il vecchio adagio, cioè:
« chi vuol arricchire deve avvitire. »
IX. Altri prodotti delle viti. — Ma che dire poi se si consi-
derano gli altri prodotti delle viti ? Calcoliamoli brevemente sulla base
ad esempio di 25,000,000 d'ettolitri di vino sano, le cui vinaccie siano
pure sane, unitamente ai fondi o feccie: abbiamo allora, per l'intero
paese, approssimativamente quanto segue:
Acquavite a 50° Gay-Lussac .
Cremortartaro raffinato bianco
Acido tartarico (residuo raffineria cremore)
Residuo di graspi e buccie (concime o foraggio) (1)
Vinacciuoli secchi (col 15 per Ojo d'olio)
Olio, ottimo pei saponi ....
Acquavite a 50° Gay-Lussac .
Cremortartaro puro ....
Materie vegetali azotate, secche
(Il restante è costituito da acqua).
Ettol.
500,000
Chilog.
7,500,000
»
350,000
Quintali
1,250,000
»
800,000
»
120,000
Ettol.
100,000
Quintali
100,000
»
120,000
(1) Questo residuo contiene il 2 per Oxo d'azoto, il 0,5 per Oxo di potassa ed
il 0,5 per Oyo di acido fosforico, secondo le ricerche del compianto mio collega
D. Macagno. Io lo provai come foraggio sulle bovine e n'ebbi buoni risultati; come
concime poi è ottimo nei terricciati appunto per le vigne.
12 INTRODUZIONE
Or se si bada che l'acquavite vale circa 50 lire l'ettolitro, e che
il cremortartaro puro e l'acido tartarico hanno prezzi molto elevati,
è facile persuadersi che questi residui della vinificazione hanno un
grande valore.
Ma per fare un calcolo esatto bisognerebbe aggiungere poi il va-
lore: 1° del foraggio verde che la vite ci dà; 2° della legna (sar-
menti, ecc.); 3° dei prodotli secondarli cui può dar luogo per
esempio la fabbricazione dell'aceto (il verderame ecc.).
La vite adunque, oltre a produrre un rilevante benefìcio netto al
suo coltivatore, gli dà foraggio e concime, e poscia alimenta alcune
industrie di grandissima importanza, le quali possono fruttare egregie
somme allo Stato. (Ogni anno il Tesoro in Francia ha una entrata
media di L. 250,000,000 per le sole tasse ed i diritti sugli alcool!)
X. La vite e la salute pubblica. — A tutti i vantaggi che
sono la conseguenza della viticultura, deve aggiungersi quello della
salutare influenza del vino sull'uomo, vantaggio che forse avremmo
dovuto collocare pel primo. Non ci soffermeremo molto su questo
punto, perchè usciremmo dai limiti del nostro tema: diremo solo
poche cose, avuto riguardo specialmente alla pellagra ed aìYalcoo-
lismo.
Colà dove i contadini possono far uso del vino, la pellagra è sco-
nosciuta o quasi. Questo si osserva ad esempio nell'Astigiano e nel
Monferrato, benché i contadini non vi bevano molto vino: nell'Astigiano
una famiglia composta di 6 adulti e 2 bimbi consuma all'anno circa
600 litri di vino, vale a dire 75 litri per capo: nel Basso Monfer-
rato accade lo stesso, su per giù. Ma queste sono le regioni d'Italia
ove i contadini vivono alla meno peggio: che dire di quelle altre
ove è scarsissima la produzione del vino? Ivi, come in certi Co-
muni del Modenese, del Novarese, del Pavese, ecc. appunto perchè
il contadino quasi non beve vino, è assalito dalla pellagra e con-
duce una vita assai misera. Se tutti i nostri contadini potessero di-
sporre annualmente anche di soli 80 litri di vino discreto a testa,
quella grave malattia scomparirebbe, come è scomparsa da tutte le
terre ove è coltivata la preziosa ampelidea; e ciò perchè il vino è
un alimento, come hanno dimostrato Munk, Mosso e Ranke, mentre
col suo alcool costituisce una cassa di risparmio per 1' organismo,
secondo la felice espressione di Moleschott.
Anche 1' alcoolismo è quasi nullo nei paesi vitiferi, e basterebbe
VITICOLTURA 13
questo fatto perchè la preziosa pianta fosse venerata da tutti gli
umanitarii. Al Congresso fìllosserico di Losanna (1877) si parlò di
codesto, in vista della sempre crescente invasione della fillossera, e
si concluse che dove la vite scompare, le succede la miseria, ed in
certi paesi « V ' abrittissement par les alcools. » Il vino non abrutì
mai nessuno, anche se bevuto oltre misura ; esso invece dà nerbo
ai giovani, salute ai malesci, costanza al lavoro a tutti, ed è poi il
latte dei vecchi, come disse Liebig. La viticoltura adunque non deve
scomparire, e diciamo così ora che tanto si teme per la fillossera:
ma questo inesorabile pidocchio confidiamo sarà vinto; ce lo fa spe-
rare quanto ci apprende la Francia co' suoi ultimi tentativi di re-
sistenza e di distruzione ad un tempo, tentativi che ora accennano
a riescir bene.
XI. La viticoltura e la produzione del suolo. Conclusione.
— È stato detto poeticamente che « Y agricoltura è la nutrice dei
popoli », ed è questa una verità incontestabile, come è pure vero
che essa alimenta varie fra le principali industrie. Ben a ragione
Leonce de Lavergne scrisse che l'agricoltura dà ad un tempo ric-
chezza, costumi e salute, e pensatamente Gabriele Rosa la chiamò
la prima ed unica fonte del pane quotidiano.
È dunque necessario, anzi è indispensabile, che la terra ci dia i
suoi frutti, senza di che la vita umana non sarebbe possibile. Orbene,
la vite permette all'uomo di trarre partito di molte terre che altri-
menti o dovrebbero rimanere quasi incolte, o darebbero un me-
schinissimo reddito e potrebbero alimentare solo una assai scarsa
popolazione; ciò ha una importanza capitale. Permette pure la vite
di far fruttare il suolo quando l'aridità del clima vi si oppone, e sa-
rebbero indispensabili canali irrigatorii. Di ciò ci porge oggi un e-
sempio efficace il Mezzogiorno della Francia, che ha visto scompa-
rire per causa della fillossera quasi tutte le sue viti, e che, in quelle
regioni bruciate dal sole, non può sostituirvi altre culture per di-
fetto d'acqua d'irrigazione. Oggidì le terre invase non danno quasi
nessun reddito, perchè i cereali ed i foraggi, sotto quell'arido clima,
costano più di quanto rendono: i poveri proprietarii sono insomma
ridotti al punto di non potere ricavare tanto che basti a pagare la
imposta fondiaria.
La vite è adunque una pianta provvidenziale per certe regioni,
le quali senza di essa si vedrebbero ridotte alla miseria.
14 INTRODUZIONE
Conchiudendo, l'importanza della viticoltura nella economia pubblica
è grandissima; che ognuno cooperi quindi a difenderla dal flagello
che'Je sovrasta, poiché se la fìllosseronosi avesse ad estendersi in
Italia, come in certe plaghe viticole francesi, le conseguenze per il
nostro paese sarebbero tristissime!
CAPITOLO I
Origine e storia della Vite.
§ 1. Patria della vite asiatica o europea. — § 2. Disseminazione della vite. —
§ 3. Patria della vite americana, — § 4. Antichità della vite. — § 5. Storia
della viticoltura,
§ 1. Patria della vite asiatica o europea. Si ammette ge-
neralmente che la vite, che si coltiva in Europa, sia originaria del-
l'Asia Minore; ma la esistenza delle viti selvatiche nell'Algeria, nel
Marocco, in Italia, in Francia e sul Reno induce a credere che la
vite sia indigena eziandio in questi paesi, benché, secondo Y avviso
di distinti botanici, quelle viti siano piuttosto subspontanee che spon-
tanee, vale a dire viti inselvatichite fverwilderte Weinstócke, come
dicono le flore tedesche).
Ad ogni modo gli è sovratutto nell'Asia Minore, e massime nel-
l'Armenia intorno al monte Ararat, che la vite cresce spontanea-
mente ed assomiglia ad una liana selvatica i cui rami rampicanti
si dirigono su grandi faggi, che noi nel linguaggio viticolo chia-
meremmo i tutori, e quivi benché non potati mai e tuttoché il ter-
reno non venga coltivato in verun modo , danno grappoli in copia
e di grande peso (1) senza traccia di oidio: ciò osservasi special-
mente nei faggeti della Mingrelia, l'antica Colchide.
(1) Bodenstàdt trovò a Tiflis, nel 1843, un grappolo del peso di cinque chi-
logrammi.
16 CAPITOLO I
I Greci assegnavano per patria alla vite il monte indiano Nysa,
neir Hindukush o Caucaso indiano; e secondo le ricerche moderne fatte
dal botanico Kolenati, a cui si debbono accurati studii sulle viti sel-
siatiche che abbondano fra il mar Nero ed il mare Caspio (1) la
vite sarebbe realmente originaria del Mezzodì del Caucaso.
In Italia la vite cresceva selvatica sin dai tempi d'Omero; noi ab-
biamo trovato la vite selvatica in Toscana, ove è detta Abrostine
o Lambrusca, come già la chiamava Virgilio (Labrusca); queste
Lambrusche selvatiche producono la così detta uva zampina, a pic-
coli acini non del tutto spregevoli, locchè ci fa credere che si tratti
piuttosto di viti inselvatichite che non di viti selvatiche quali riscon-
transi nell'Asia Minore, dappoiché le nostre viti coltivate, se vengono
abbandonate a sé stesse, finiscono per produrre piccoli grappoli con
piccoli acini appunto come le lambrusche selvatiche: ciò a nostro
avviso è specialmente da attribuirsi al difetto della potatura.
In Francia trovasi la vite selvatica specialmente nella parte me-
ridionale ove è pure chiamata lambrusque; nel delta detto la Ca-
margue, nelle valli del Grande Rodano e del Piccolo Rodano
nonché nella Costa d'Oro (2) questa vite assume grandi proporzioni,
arrampicandosi sugli alberi più alti e mostrando una vegetazione
lussureggiante anche nei suoli aridi e pietrosi; però i grappoli sono
piccoli e con acini pure piccoli. Nella Camargue dalle uve della
Lambrusca si ottiene un vino colorato ma aspro, povero d'alcool,
senza fragranza e poco gradito; si fecero perciò parecchi tentativi
onde ingentilire queste viti, piantandone le talee, innestandole e
potandole a tralcio corto; ma non vi si riuscì, inquantochè tutti i
fiori abortivano per eccesso di succhi: infatti per ottenere uva
dalle Lambrusques conviene lasciar lcro quasi intatti i tralci,
cioè potarli leggermente o meglio non potarli affatto; ma allora si
verifica un altro inconveniente, che è quello della piccolezza delle
pigne; noi crediamo tuttavia che il problema potrebbe risolversi colla
potatura a più tralci lunghi.
Secondo il Dott. Baumes di Nìmes, il sig. H. Marès di Montpellier
ed altri studiosi della viticultura francese, la vite sarebbe indigena
(1) Y. Bullelin de la Società imperiale des naturalistes de Moscou, 1846, pa-
gina 279.
(2) Lorey et Durct: Flore de la Còte d'Or.
ORIGINE E STORIA DELLA VITE 17
nella Francia meridionale, e quindi sarebbero indigeni eziandio alcuni
suoi rinomati vitigni, benché sia fuor di dubbio che i Romani ve ne
introdussero parecchi, descritti da Catone, Varrone e Columella, e che
ne vennero pure introdotti dalla Spagna.
Anche nella Valle del Reno si trovano viti selvatiche, che furono
accuratamente studiate da Bronner, von Wiesloch e Gmelin; queste
viti furono chiamate con diversi nomi, quali vitis teutonica, vitis
traumi, vitis sylvestris, e si ritiene generalmente che il rinomato
vitigno renano Riesling sia una vite selvatica ingentilita (1). Quelle
viti selvatiche non possono menomamente considerarsi — secondo
Gmelin — come viti introdotte nel Rheingau dai Romani e poscia
inselvatichite, perchè sono nettamente distinte dalla vitis vinifera;
esse perciò si debbono ritenere come indigene della Valle del Reno.
Anche nel Nord della China si incontrano viti spontanee le quali
furono studiate da Regel (2); ma De Candolle non ammette con Regel
che la più analoga alla nostra vite, la Vitis Amurensis di Ruprecht,
appartenga alla nostra specie. « I semi disegnati nel Gartenftora,
1861, tav. 33, ne sono troppo differenti; se il frutto di queste viti
dell'Asia orientale avesse qualche valore, i Chinesi avrebbero avuto
T idea di trarne partito » (3). Al capitolo IV diremo qualche cosa
sulle viti selvatiche della China e del Giappone.
La vite europea, od asiatica, sarebbe adunque indigena dell'Asia
minore, quivi solo essendo essa realmente spontanea, mentre nell'Eu-
ropa meridionale si troverebbero viti inselvatichite, piuttostochè sel-
vatiche nello stretto senso della parola.
§ 2. Disseminazione della vite. — Si ammette generalmente
che la disseminazione della vite dal suo paese di origine, sia stata
anzitutto opera degli uccelli; questa disseminazione, dice A. De Can-
dolle, « dovette cominciare per tempissimo, dal momento che le bac-
che hanno esistito innanzi la coltivazione, prima della emigrazione
(1) H. W. Dahlen dice (die Weinbereitung , s. 3) che il Riesling « wird als
ein veredelter Wildling des Rheingaues und seiner Nebenthàler angesehen ».
(2) Acta horti imp. petrop. 1873. Regel è il Direttore del giardino botanico di
S. Pietroburgo.
(3) Origine delle piante coltiviate. (Biblioteca Scientif. Inter. — Dumolard, Mi-
lano), pag. 256.
0. Ottavi, ^Trattato di Viticoltura. 3
18 CAPITOLO I
dei più antichi popoli asiatici, forse prima che esistessero uomini in
Europa ed anche in Asia. Tuttavia la frequenza delle coltivazioni e
la moltitudine delle forme di uve coltivate, hanno potuto estendere la
naturalizzazione, ed introdurre nelle viti selvatiche delle differenze
traenti la loro origine dalla coltura. Per dire il vero, gli agenti na-
turali, come gli uccelli, il vento, le correnti, hanno esteso sempre più le
abitazioni delle specie, indipendentemente dall'uomo, fino ai limiti che
risultano, in ogni secolo, dalle condizioni geografiche e fisiche e dal-
l'azione nociva di altri vegetali e di animali. Una abitazione assolu-
tamente primitiva è più o meno un mito; ma abitazioni successiva-
mente estese o ristrette sono nella forza delle cose. Esse costituiscono
patrie più o meno antiche e reali, a condizione che la specie vi sia con-
servata selvatica, senza il trasporto incessante di nuovi semi » (1).
Così il De Candolle, e tutto porta ad ammettere che consimile disse-
minazione, prima per opera degli uccelli e poi per mezzo dell'uomo, abbia
appunto avuto luogo dal mezzodì del Caucaso verso l'India, l'Arabia,
l'Africa settentrionale e l'Europa meridionale (Grecia, Italia, Gallia ecc.)
§. 3. Patria della vite americana. — Mentre le viti euro-
pee ed asiatiche appartengono forse tutte quante alla specie botanica
Vitis vinifera di Linneo (2), le viti americane si raggruppano invece
in diverse specie, delle quali ci occuperemo parlando della fillosseronosi.
Queste specie hanno differenti patrie; e così nella valle del Missouri
crescono spontanee, secondo Swallow e Engelmann, la Vitis cestivalis
e la Vitis cordifolia con altre specie di minor importanza; la Vitis
labrusca si trova invece lungo le coste dell'Atlantico e nei monti
Alleghanv; nell'Arkansas cresce la Vitis vulpina e nell'Ovest del
Texas la Vitis rupestris. Come si vede queste notizie si riferiscono
esclusivamente all'America settentrionale, e precisamente alla zona
che partendo dal golfo del Messico va sino ai Laghi, zona che costi-
tuisce la regione della vite nel Nuovo Mondo. Nell'America Meri-
dionale la vite che vi si coltiva fu importata dall'Europa. (V. Sta-
tistica della vite, cap. III).
(1) Opera citata, 253.
(2) È bene notare, come già dicevamo, che secondo Gmelin certe viti selvatiche
europee (Valle del Reno, ecc.) costituirebbero una specie distinta dalla Vitis vini-
fera Lin., che egli chiamò Vitis sylvestrìs nella sua Flora badese.
ORIGINE E STORIA DELLA VITE 19
§ 4. Antichità della vite. — Tanto in Europa come in Asia
si hanno prove di una grandissima antichità della vite, la cui storia
risalirebbe al di là dei più antichi documenti scritti. Nei sepolcri
delle mummie dell'antico Egitto si trovarono vinacciuoli e granelli di
dimensioni discrete; ed il De Candolle riferisce (1) che furono tro-
vati semi di vite sotto le abitazioni lacustri di Castione, presso Parma,
i quali datano dall'età del bronzo (2), in una stazione preistorica del lago
di Varese (3) e nella stazione di Wangen nella Svizzera, ma in que-
st'ultimo caso ad una profondità incerta. V'ha di più: furono trovate
foglie di vite nei tufi dei contorni di Mompellieri, dove esse si sono
deposte probabilmente avanti l'epoca storica (4), ed in quelli di Mey-
rargue, nella Provenza, certamente preistorici, sebbene posteriori al-
l'epoca terziaria dei geologi (5).
La vite adunque, come il frumento, sarebbe una fra le più antiche
piante coltivate.
§ 5. Storia della Viticultura. — Quaranta secoli avanti Cristo,
Noè, scampato dal diluvio, come fu il secondo progenitore del ge-
nere umano, fu pure il padre della viticultura. Prima del grande pa-
triarca nessuno aveva pensato, secondo il Pentateuco, a coltivare la
vigna ed a preparare il vino coi suoi frutti; si raccoglieva l'uva delle
viti selvatiche e così si mangiava. Ma nel libro della Genesi al
Cap. IX, vers. 20 e 21 è detto:
Coepitque Noe in agricola exercere terram, et plantavit vineam;
Bibensque vinum inebriatus est, et nudatus in tabernaculo suo.
Cioè: « E Noè, che era agricoltore, principiò a lavorare la terra
ed spiantare una vigna, ed avendo bevuto il vino, si inebriò ecc. »
Noè piantò la prima vigna nell'Armenia, che si può quindi ritenere
come la culla così della Vite come della Viticultura.
Dal Levitico (6) e dal Deuteronomio (7) apprendiamo qualche pre-
(1) Opera citata pag. 253.
(2) Essi sono raffigurati in Heer, Die Pflanzen der Pfahlbauten, pag . 24, f. 11.
(3) Ragazzoni, Rivista Arch. della provincia di Como, 1880, fase. 17, pag. 30
e seguenti.
(4) Planehon: Etude sur les tufs de Montpellier, 1864, pag. 63.
(5) De Saporta: Flore des tufs quaternaires de Provence, 1867, p. 15 e 27.
(6) Cap. XIX, vers. 23, 24 e 25.
(7) Cap. XX, vers. 6.
20 CAPITOLO I
cetto viticolo che Mosè dava al popolo ebreo, e fra gli altri quello
di non raccogliere i frutti della vite nei primi tre anni; sapiente pre-
cetto, pel quale Mosè non vuole che si estenui la vite da principio,
quando la pianta deve formarsi robusta e feconda. Ed è pure ottimo
precetto questo che leggesi nel Deuteronomio (1):
Non seres vineam iuam altero semine, ne et sementis, quam
sevisti et quae nascuntur ex oinea, pariter sanctificentur; cioè
che conviene accontentarsi del frutto delle vigne, e non cercare di
aver dal vigneto due prodotti, perchè in questo caso, come osserva
Sant'Agostino, e la sementa e le uve vengono a patirne egualmente,
e la vigna non rende né in vino né in granelle.
I discendenti di Sem, che popolarono l'Asia, introdussero la viti-
coltura in Europa; essi chiamavano karm la vigna e da ciò venne
il nome di Carmelo al monte omonimo del profeta Elia in Palestina,
nonché il nome dell'ordine dei Carmelitani fondato nel dodicesimo se-
colo. I Caldei, popolo appunto di razza semitica, erano stimati dili-
genti viticultori; essi chiamavano l'uva anavim.
In Italia la coltura della vite venne introdotta dai Pelasgi (1600
anni avanti Cristo) e dagli Etruschi (specialmente nella parte cen-
trale) popoli questi venuti dall' Asia minore, che senza dubbio come
dicemmo fu la patria della viticultura; il mezzodì d'Italia era tanto
propizio alla vite, che i Greci gli imposero il nome di Enotria, ed
il nome di Sabini, degli antichi abitanti dell'Italia centrale o Sabina,
pare che significasse appunto viticultori.
Anche i Greci, da cui ci vennero molti precetti e vocaboli di vi-
ticoltura, ebbero a maestri i Semiti; questi noverarono valenti scrit-
tori d'agraria, fra cui l'armeno Iambusckad ed il cananeo Thamitri, ri-
cordati dall'arabo Ibn-Kaldun, i quali avevano insegnato a fecondare la
vite scalzandola e fertilizzando il terreno con concime polverulento
complesso in cui fossero state scomposte anche le foglie delle viti, e ad
eccitare le viti sterili con ceneri, aceto ed urina umana; gli stessi scrit-
tori insegnavano che se la vite imbianca e poi si fa croja (2) si deve
usare uno sciroppo di aceto fortissimo e di cenere, fregandosene la
corteccia e versandolo sulle radici allungato con acqua. Questi ed altri
precetti dimostrano quanto i Semiti fossero diligenti viticultori.
(1) Cap. XXII. vers. 9.
(2) Così Gabriele Rosa (Enciclopedia Agr. voi. Ili pag. 5.) Il Rosa adopera
que ta voce antiquata por significare una vite che si fa rozza, sterile.
ORIGINE E STORIA DELLA VITE 21
Presso i Greci ed i Romani continuò a fiorire la coltura della vite,
come ci dicono i precetti, molti dei quali ottimi, di Esiodo, di Socrate,
di Senofonte nell'Economico e sovratutto di Teofrasto (371 -f- 286
anni av. C.) che fu uu acuto osservatore dei fenomeni naturali; per
esempio egli osservò che seminando le viti non si riproduce la pianta
da cui venne il seme, ma si ha un vizzato diverso; che le viti can-
giando terreno e clima danno prodotti ben differenti, e che conviene
rinnovare la terra che sta al piede delle viti ogni dieci anni, come
si pratica tuttodì da qualche valente viticultore in Piemonte e in
Lombardia (Bergamo), del che ci intratterremo a lungo più innanzi.
Teofrasto consigliava anche, molto opportunamente di potare tardi le
viti quando il suolo è umido e freddo, onde esse lacrimando avessero
a perdere l'umore soverchio che fa abortire i fiori, locchè noi chia-
miamo ora il salasso delle viti.
Fra i romani Catone (232 -[-147 av. C.) dettò buoni precetti;
nella economia agraria, egli assegnava al vigneto il primo posto, ma
lo voleva coltivato con ogni cura, piantandolo in terreno smosso
profondamente, fecondandolo con sarmenti di vite tagliuzzati, aran-
dolo, vangandolo ecc.
Il dottissimo Terenzio Varrone (114 -f- 27 av. C.) nei suoi tre
libri di Cose rustiche scritti mentre già era ottuagenario, lasciò pure
molti precetti, fra i quali quelli di scacchiare le viti alla fine di Maggio,
e l'altro di lavorare il terreno in estate, d'onde forse il proverbio
« chi zappa la vigna in agosto, la cantina riempie di mosto. » Ed anche
il principe dei poeti latini P. M. Virgilio (70 -f- 19 av. C.) nelle sue
Georgiche ci lasciò notizie sulle viti dei suoi tempi, già tanto nume-
rose che egli stimava altrettanto diffìcile contare i grani di sabbia del
deserto della Libia sollevati dal vento, quanto le varietà delle viti
stesse (1).
Georgofìlo stimato quanto Varrone fu Lucio Giunio Moderato Co-
minella, coetaneo di Seneca (2 av. C. -f- 65 d. C), spagnuolo per
nascita (Cadice?) ma educato alla romana; egli era nipote del dotto
agronomo latino Marco Columella. Non si erra asserendo che il mi-
glior trattato sulla agricoltura, e specialmente sulla viticoltura, di
quei tempi, si deve a Columella, studiosissimo degli autori cartagi-
nesi, greci e romani che lo precedettero, ed attento visitatore dei
(1) Quem qui scire velit, libyci velit aequoris idem
Discere quam multae Zephyro turbentur arenae. {Georgica, Libro II).
22 CAPITOLO I
principali luoghi del grande impero romano ove fioriva la coltura della
vite. Dei suoi precetti ci occuperemo più innanzi in apposito capitolo,
onde studiare nei suoi dettagli la viticoltura latina qual'era nel secolo I.
Accanto a Columella conviene collocare Plinio il vecchio (23 -\- 79)
l'enciclopedico naturalista vittima della nota spaventevole eruzione
del Vesuvio; egli nacque a Como, e fu alquanto geloso di Columella
a cui mosse appunti quasi sempre male fondati; nondimeno lasciò
molti utili precetti sulla coltura della vite, descrisse il sistema di la-
sciare uno sperone (detto allora custode) per averne un tralcio a
frutto per l'anno successivo, studiò pure le viti senza sostegno (sine
pedamento) della Provenza e dell'Africa, e ne sconsigliò la coltiva-
zione perchè, come disse anche Columella, se ne aveva vino abbon-
dante ma cattivo, su di che noi facciamo ora ampie riserve, la cosa
essendo ben diversa (1); infine Plinio descrisse varie malattie della
vite, fra cui una che pare si approssimi all'oidio.
Da Plinio bisogna venire sino al dotto greco Ateneo (che visse
nel III secolo) autore del Convito dei Savi; Ateneo nacque in Egitto
e visse prima in Alessandria poi in Roma, onde ebbe campo a stu-
diare le viti ed i vini romani; le notizie che egli ci tramandò, si ri-
feriscono però specialmente ai vini.
Nel IV secolo abbiamo Palladio (Rutilio Paolo Emiliano) che ci
dà notizie sulla viticoltura romana ed ottimi precetti, fra cui quello
dello scortecciamento delle viti annose di cui si è tanto parlato, quasi
fosse cosa nuova, in questi ultimi anni; consigliò pure il soverscio
dei lupini nei vigneti in agosto, la spampinatura e via dicendo; egli
fu l'ultimo scrittore classico latino di cose agrarie.
Dall'anno 400 all' 800 la viticoltura, come l'agricoltura, è in piena
decadenza ed in molti luoghi si abbandona affatto la coltivazione del
prezioso arbusto, a cagione delle schiaccianti imposte erariali, del di-
spotismo militare e sovratutto delle invasioni barbariche; la coltura
del suolo è allora lasciata in mano agli schiavi, mentre l'agricoltura
è essenzialmente arte di uomini liberi e civili! In questo sconfortante
periodo di decadenza, pochi scrittori si occupano di viticoltura; e dal
bordolese Ausonio (Decimo Magno) morto nell'anno 394 bisogna
venire sino al calabrese Cassiodoro (460 -f- 562) da Squillace, se-
gretario e ministro del re goto Teodorico, scrittore della Cronaca
ove gli studiosi attingono tante notizie su quei tempi. Ma, per quanto
(1) V. il capitolo delle Viti ad alberello.
ORIGINE E STORIA DELLA VITE 23
concerne la viticoltura, egli poco ci dice, e solo si occupa di raffron-
tare fra loro varii vini di quei tempi, massime del veronese.
Durante il regno dei Longobardi (568-771) continuò il quasi com-
pleto abbandono della viticoltura, la quale si restrinse ai suburbii ed
alle vicinanze dei grossi centri popolati; tuttavia nel secolo VI i
Benedettini, quasi inosservati, incominciarono a ben coltivare qua e
là qualche vigna. La viticoltura ebbe poi sempre caldi protettori nei
religiosi d'ogni ordine, e sovratutto, oltre ai Benedettini, negli Ago-
stiniani, nei Basiliani, Domenicani, Francescani, Cistercensi e via di-
cendo.
Distrutto il regno dei Longobardi in Italia, il grande imperatore
Carlo Magno si diede a proteggere anche V agricoltura, massime
dall'anno 800 all' 814, ed emanò speciali regolamenti ne' quali è
fatta larga parte a quanto riguarda il vino. Costantino VII Porfì-
rogenito (911-959) che tanto si occupò di studii, vedendo che nel-
l'Oriente greco la viticoltura e l'enologia erano tuttavia fiorenti, ne
fece raccogliere i precetti nel famoso Geoponico. Il libro terzo delle
Geoponiche contiene insegnamenti veramente preziosi sulla viticol-
tura, massime riguardo alla potatura a seconda dell'età delle viti e
dell'esposizione, alla lavorazione del terreno, che doveva essere pro-
fonda onde le viti non soffrissero la siccità e non invecchiassero troppo
presto, alle rimondature estive, alla concimazione con cenere e feccie
di vino per le viti adulte, serbando il letame soltanto alle viti gio-
vani, e via dicendo. Vi si trovano anche curiose osservazioni, fra
cui questa, che immettendo triaca nel midollo della talea si ottiene
uva dotata di proprietà medicinali, di che ci occuperemo a suo luogo,
accennando agli studii moderni sulla sava della vite.
Nel XII secolo abbiamo un valente scrittore arabo Ibn-al-Awam,
che dà buoni precetti di viticoltura, scrivendo da Siviglia, fra cui
quello che non conviene seminare cavoli, rape, ecc. fra le viti.
Frattanto i religiosi continuarono a coltivare con amore la pre-
ziosa pianta, estendendola alle regioni ove recavansi ed incoraggian-
done la coltura, come fece ad esempio nel secolo XI Sigfried arci-
vescovo di Magonza, che diffuse il Riesling a Rùdesheim, da tanto
tempo famosa pel suo vino omonimo. Anche i regnanti presero
poco poco a proteggere la viticoltura, e si sa che il re ungherese
Bela IV degli Arpad, vedendo quasi priva di vigneti l'Ungheria, vi
introdusse magliuoli presi in Italia.
Dopo la pace di Costanza (1183) si incominciò a notare in Italia
24 CAPITOLO I
un leggero risveglio nell'agricoltura e quindi anche nella viticoltura;
ma i progresbi, che si andavano facendo, erano lentissimi e si deve
a Pier de' Crescenzi, nato a Bologna nel 1233, se la nostra economia
rurale potè più tardi progredire maggiormente. Il venerato autore
del Liber ruralium commodorum ci descrive la viticoltura italiana
del 1300, mostrandosi intelligente nella coltura del prezioso arbusto:
da lui sappiamo che allora si incominciavano a produrre in Italia
buoni vini, i quali vendevansi persino in Germania ed in Polonia.
Dopo il Crescenzi non si può dire che abbiano abbondato gli scrit-
tori di viticoltura, la quale vi andava facendo lenti progressi, così
in Italia come in Spagna, ma non però in Francia: si possono solo
citare Agostino Gallo, nato a Brescia nel 1499, che descrisse le viti
lombarde — G. A. Herrera (1513), che studiò la viticoltura spa-
gnuola e Giovanni Tatti da Lucca (1560). Pero in Toscana la col-
tura della vite progredì più che altrove, come ce lo provano i due
scrittori specialisti Giovanni Vittore Soderini (1526) e Bernardo Da-
vanzati (1529): il primo scrisse un Trattato della coltivazione delle
viti e del frutto che se ne può cavare, il secondo dettò l'opuscolo
Della coltivazione toscana delle viti.
Frattanto eccoci al 1600, anno in cui il patriarca dell'agricoltura
francese Olivier de Serres (nato il 1539) pubblica il suo famoso
Teatro dell' 'agricoltura dedicato al re Enrico IV, che tanto amava
l'arte dei campi : in questo libro troviamo molte notizie sulla viticol-
tura di quei tempi, nonché preziosi precetti, che furono posti in pratica
dai viticultori francesi, cosicché la viticoltura a poco a poco vi prese
un grandissimo sviluppo, al punto che verso il 1730 si limitava per
legge l'estensione dei vigneti.
La viticoltura nel frattempo si estese anche in lontani paesi per
opera degli europei che si recavano a colonizzare l'America, la Nuova
Olanda, l'Oceania e l'Africa meridionale; già nel 1602 i Gesuiti pian-
tarono vigneti nel Paraguay, neh' Uruguay e nella Bolivia, e negli
Elementi d' agricoltura (1) comparsi a Milano nel 1784 si legge
che in California già allora si producevano ottimi vini; dal 1800 in
poi si estese pure la viticoltura nel Perù, nel Chili, nella Repub-
blica Argentina e nel Messico. Nel 1851 alcuni Svizzeri introdussero
(1) Mitterpacher li pubblicò a Vienna nel 1783 e '^furono tradotti in italiano.
(G. Rosa, op. cit. 349).
ORIGINE E STORIA DELLA VITE 25
le viti in Australia, a Vittoria, ed ora la viticoltura progredisce colà
rapidamente.
In Francia la viticoltura continuò a progredire, e sul principio del
1800 il Bordeaux, il Borgogna, lo Champagne, l'Hermitage, il Fron-
tignan, ecc. ecc. erano già celebrati.
Anche in Italia la viticoltura ebbe una forte spinta, specie dopo
la unificazione del Regno e le libertà politiche, ed ora in molte Pro-
vincie paesane la viticoltura è portata ad un notevole grado di per-
fezione; a codesto contribuirono parecchi scrittori a partire da Carlo
Verri (1803, Saggio teorico-pratico sulla viticoltura) sino a De-
Blasiis (1864, Istruzioni sul modo di fare il vino e coltivazione
degli ulivi e della vigna bassa) ed a Giuseppe Antonio Ottavi
(1855-1884, Il Coltivatore, in cui è descritta la viticoltura d' ogni
parte d' Italia, e Nuovo metodo per far fruttificare abbondante-
mente le viti).
In Francia la viticoltura ebbe grande impulso dal Conte Odart
e sovratutto da Giulio Guyot (nato a Gyé-sur-Seine (Aube) nel
1807, morto il 31 marzo 1872 a Savigny); a lui si devono due o-
pere magistrali, Culture de la vigne et vinification, e Études sur
les vignobles de France: del suo sistema di viticoltura ci occupe-
remo in apposito capitolo, per studiare sino a qual punto possa con-
venirne la applicazione ai vigneti italiani.
In Germania ed in Austria- Ungheria la viticoltura e 1! enologia
progrediscono pure rapidamente, per opera specialmente di Metzger
(1827, Ber Rheinische Weinbau, la Viticoltura Renana) e dei con-
temporanei Barone di Babo (Direttore dell'Istituto Enologico di Klo-
sterneuburg presso Vienna), A. Blankenhorn a Carlsruhe ed altri.
E progredisce pure in Ispagna ed in Portogallo ove si pubblicano
buoni giornali viticoli ed ottimi trattati: (Los vinos e Cultivo de la
vid, Madrid, D. José de Hidalgo Tablada — Gazeta dos Lavra-
dores, Lisboa, A. Batalha Reis).
Così può brevemente riassumersi la storia della Vite e della Viti-
coltura, la quale ci insegna che la preziosa ampelidea fu sempre te-
nuta in gran conto, siccome produttrice della migliore fra tutte le
bevande alcooliche. Senonchè al vino fa ora concorrenza la birra,
e mentre in Europa si producono annualmente oggidì circa 140 mi-
lioni di ettolitri di vino, già si fabbricano 102 milioni di ettolitri di
birra; questo devesi attribuire in parte ai malanni che colpirono e
colpiscono la viticoltura, massime all'oidio, che anni addietro aveva
26 CAPITOLO I
fatto salire di troppo il prezzo del vino, cosicché si diffuse l'uso della
birra anche negli stessi paesi viniferi. Giova tuttavia sperare che,
mercè i progressi attuali della viticoltura e della enologia, potendosi
offrire buon vino a prezzi discreti, si diffonda sempre più V uso di
questa salutare bevanda^ onde Bacco abbia sempre a prevalere su
Gambrino !
CAPITOLO II
Geografìa della vite,
§ 2. Limiti della coltura della vite — § 3. Coltura
della vite oltre i limiti meteorologici — § 4. La regione della vite e le iso-
termiche — § 5. L'altitudine e la viticoltura — § 6. L'esposizione, la vicinanza
delle acque, le pioggie ed altre cause che influiscono sulla stazione della vite.
§. 1. La regione della vite. — Le differenti piante coltivate
occupano sulla superfìcie del globo regioni diverse, delimitate spe-
cialmente dalie condizioni meteorologiche alle quali si trovano sog-
gette le regioni stesse. I così detti limiti economici , statistici ed
agricoli delle culture hanno certamente una speciale influenza sulle
leggi che regolano la geografia agricola; e così, il prezzo di vendita
del vino, le spese di cultura della vite di fronte alla maggiore o
minor deficienza di operai rurali, la viabilità, la concorrenza di zone
vitifere meglio favorite dalla natura, la densità della popolazione, i
sistemi di conduzione dei fondi e via dicendo, possono modificare al-
quanto i limiti delle regioni agricole; ma è evidente che la loro in-
fluenza è passeggera, laddove quella delle condizioni meteorologiche
è costante, cosicché si può affermare essere oggidì la regione della
vite quella stessa dei tempi antichi, vale a dire che il clima per-
mette attualmente la cultura della vite ovunque la permetteva quando
fu coltivata per la prima volta in Europa. (V. § 6).
Gli agronomi quindi, nel descrivere le regioni culturali, si sogliono
basare essenzialmente sui limiti meteorologici; essi, facendo astrazione
dai luoghi elevati e da quelli il cui clima è modificato dalla irriga-
28 CAPITOLO II
zione, dividono l'Europa in tre parti: — al sud-est ed al sud (Italia,
Francia Meridionale e Spagna) predominano gli alberi e gli arbusti;
al nord-est ed al nord (Europa centrale) si trovano di preferenza le
culture erbacee; e più al nord ancora (Europa settentrionale) pre-
dominano le foresti o i vegetali legnosi.
Si è nella prima di queste tre grandi divisioni che noi troviamo
la regione della vite, con quella dell'olivo; quest'ultima però ha li-
miti più ristretti, mentre la prima occupa in Europa una immensa
zona compresa a poco presso fra il 30° ed il 50° grado di latitudine
settentrionale, ove il clima è temperato e perciò favorevole alla pro-
duzione di uva avente le qualità richieste per gli usi enologici ed
alimentari.
§ 2. Limiti della coltura della vite. — Non bisogna però
credere che la regione della vite in Europa sia esattamente delimi-
tata dai due paralleli boreali (vale a dire dell' emisfero nord) che
passano rispettivamente pei gradi 30° e 50° di latitudine; questo ac-
cadrebbe qualora non esistessero cause capaci di modificare il clima,
fra cui prima l'altitudine, ossia l'altezza sul livello del mare: invece
tanto la linea che segna il limite polare quanto quella che segna il
limite equatoriale, sono assai irregolari e coincidono solo per brevi
tratti coi suddetti paralleli.
Ma noi non vogliamo delimitare soltanto la regione della vite in
Europa; vogliamo invece considerare la regione stessa nella sua po-
situra sull'intera superficie della terra: in allora ognuno vede che
questa immensa regione viene ad essere attraversata dalla linea equa-
toriale. Ciò essendo, si presenta la quistione se anche sotto l'equatore
la vite possa prosperare e se, in caso negativo, la regione mondiale
della vite non consti di due grandi distretti, quasi diremmo due cinture ,
l'una neh' emisfero nord, sopra la zona torrida, l'altra nell'emisfero
sud, al mezzodì della stessa zona, lasciando sotto la linea equatoriale
un distretto intermediario ove la vite non può prosperare.
Abbiamo esaminato accuratamente la delicata quistione (1) e siamo
giunti alla conclusione che, secondo tutte le probabilità, la regione
(1) Ci rivolgemmo eziandio per aiuto e consiglio all'illustre e dotto geografo
Dr. Luigi Hugues, già nostro amato maestro, il quale ci fu largo di suggeri-
menti, mettendo a nostra disposizione la sua importante biblioteca. Gli rendiamo
qui pubbliche azioni di grazie.
GEOGRAFIA DELLA VITE 29
della vite non può essere costituita da un solo immenso distretto com-
preso fra i due limiti polari dell' emisfero nord e dell' emisfero sud,
tuttoché alcuni distinti geografi siano di contrario avviso. Meyen, ad
esempio, sta fra costoro; egli dice che per quanto si riferisce al mas-
simo calore sotto la di cui influenza l'uva può maturare, crede di poter
affermare che ciò può avvenire sotto qualunque calore tropicale,
purché esso non vada disgiunto da un certo grado di umidità. Ma
Berghaus (1) a proposito della umidità e della sua influenza sul-
l'uva, giustamente obbietta essere noto, fatta astrazione da che la
vite ama luoghi asciutti, come già nei nostri climi le piogge persi-
stenti nuociono ai grappoli; or quanto più nocevoli non dovranno
adunque essere le torrenziali piogge dei paesi tropicali? Si è intro-
dotta la vite nella Guiana, ma il tentativo non ebbe alcun risultato,
inquantochè nella stagione piovosa i grappoli marcirono, ed in quella
asciutta furono distrutti dagli insetti.
Humboldt, Buch e Schow non sono dell'avviso di Meyen, e cre-
dono con Berghaus che il distretto di diffusione della vite formi,
come dicevamo poc'anzi, due cinture sopra ambo i lati della zona
torrida. H. Wagner (2) è pure di questo avviso: « in generale,
dice egli, la viticoltura, che predilige un clima continentale con ca-
lori estivi intensi, quantunque anche solo di breve durata (3), oltre-
passa appena il 51° parallelo nord, ed anzi nella Russia Meridionale
il limite polare si abbassa sino al parallelo 48°: intimamente colle-
gata colla zona torrida, questa coltivazione giunge al suo punto più
meridionale nelle Canarie (28° N.) facendo però astrazione di certi
distretti tropicali isolati, nei quali la vite può ancora prosperare so-
lamente a considerevole altezza sui fianchi di sollevamenti monta-
gnosi »; e questa è un'altra prova della grande influenza che eser-
cita l'altitudine sul clima d'una data località.
Sin qui abbiamo accennato alle opinioni dei geografi; aggiungeremo
ora dal canto nostro, siccome viticultori, che nel distretto che di-
(1) Allgemeine Lànder und Vólcherkunde, voi. Ili, pag. 229 e 256.
(2) Gute's Lehrbuch der Geographie neu bearbeitet von H. Wagner. — Fùnfte
Aufgabe (voi. I, pag. 121).
(3) Noteremo però, a proposito di quanto qui dice Wagner, che in questo caso
l'uva non riesce di qualità pregiata come quando la somma dei gradi di calore
che le occorre, le viene somministrata durante un periodo di tempo più lungo,
però entro certi limiti (v. Meteorologia applicata alla vite).
30 CAPITOLO II
remo equatoriale, e propriamente nella zona torrida dove si verifi-
cano le calme equatoriali e tropicali con piogge quasi continue, la vite
non è possibile possa fornirsi di gemme fiorifere, né quindi fruttificare,
sempre fatta eccezione di speciali condizioni di altitudine, come or'ora
notammo con Wagner. Infatti, dietro le numerose osservazioni fatte
in Francia da Gasparin, colle quali concordano quelle decennali da
noi fatte in Italia (1), crediamo di poter stabilire che la vite richiede
un calore crescente per gradi a partire dal momento della germo-
gliazione e venendo a quello della maturazione dell' uva; un calore
soverchio e quasi diremmo subitaneo non è punto confacente alla
fruttificazione della vite, ma solo alla produzione della parte erbacea,
nella stessa guisa che l'umidità soverchia fa abortire i grappolini na-
scenti, mutandoli in cirri: le vicende di temperatura aventi per li-
miti minimi 9° o 10° C. al momento della germogliazione e 17° a 20° al
momento della fioritura (a seconda della maggiore o minore preco-
cità delle specie) sono indispensabili alla vite, ed è appunto perchè
la zona temperata (35°-47° lat. n.) offre queste condizioni di tem-
peratura che la vite trova in essa la sua principale e più conve-
niente stazione. Ora, ognuno intende facilmente come il clima tropi-
cale, colle sue pioggie non interrotte per parecchi mesi e col suo
straordinario calore, pure continuato per lunghi mesi, senza vicende,
quasi diremmo senza gradazioni, debba contrariare seriamente la
vite, favorendo se si vuole un grande sfarzo di vegetazione erbacea,
ma inceppando necessariamente la fruttificazione. Noi pensiamo quindi
che la zona torrida costituisca un distretto ove assolutamente la vite
non può fruttificare, perocché nelle regioni equatoriali le stagioni
quasi non presentano differenze riguardo alla temperatura, che d'al-
tronde vi è altissima (in media 28° C. per i punti dell'equatore), e
d'altra parte le pioggie cadono quasi senza interruzione per sei mesi,
dall'aprile all'ottobre, come accade in Africa nelle regioni fra l'equa-
tore ed il tropico del Cancro, e nell'America equatoriale al nord della
linea, ove, a detta di Humboldt, il cielo è sereno soltanto da dicembre
a febbraio, mentre dal marzo, e meglio dall' aprile al novembre, le
pioggie sono quasi continue e torrenziali, di giorno almeno, mentre
di notte il cielo si fa generalmente sereno.
Vediamo ora di segnare i due limiti polari del distretto di dif-
(1) V. Meteorologia applicata alla vite.
GEOGRAFIA DELLA VITE 31
fusione della vite (V. la Carta (1) in fine del presente volume); rima-
nendo stabilito che man mano ci avviciniamo all'equatore, il quale come
è noto attraversa per mezzo la zona torrida, la vite verosimilmente
tende sempre più ad una vegetazione puramente erbacea, senza produ-
zione fruttifera: questo distretto tropicale della vite non ci è stato
possibile di delimitarlo esattamente, ed abbiamo perciò preferito di
nulla segnare sulla Carta anziché condurre linee arbitrarie.
a) Limite polare nord. La immensa zona della vite è limitata
verso il polo artico, o boreale, da una linea la quale partendo dalla
costa dell'Atlantico presso la città di Vannes (lat. 47° 40') si svi-
luppa nella direzione di sud-est, segue la riva sinistra della Loire
inferiore da Nantes ad Angers, donde procede a nord-est sino a
Beauvais nel dipartimento della Oise (lat. 49° 30') e quindi a est-
nord-est sino a Laon nel dipartimento dell' Aisne (lat. 49° 33').
Da questo luogo il limite polare nord mantiene, sino a Thionville
sulla Mosella, una direzione che poco si allontana da quella dei pa-
ralleli; discende la valle della Mosella sino alla sua imboccatura nel
Reno a Coblenza e poi la valle del Reno sino al disotto della città
di Bonn (50° 46'). Lungo la destra del Reno, risalendo il fiume, il
limite giunge alla confluenza del Meno (quivi nel Rheingau, si hanno
i migliori vini tedeschi); esso fiancheggia poi la riva nord (destra)
del Meno passando per Asciaffenburgo e Wùrzburgo. Al di là della
Selva Turingia, e nelle regioni centrali della Germania, la coltura
della vite, come industria agricola, si presenta solo in alcuni luoghi
isolati; ciò ad esempio nella valle della Werra (ramo superiore del
Weser) alla latitudine di 51° 20'. Il limite polare nord tocca poi
l'Elba presso la città sassone di Meissen (lat. 51° 10'), discende il
corso del medesimo fiume, giunge all'Havel (affluente dell'Elba) presso
Potsdam e giunge alla sua massima latitudine presso Berlino (52° 30').
Da questo punto si volge a sud-est verso F Oder; ma più lungi,
verso oriente, si avvicina nuovamente alla linea equinoziale, di guisa
che nell'Ungheria viene ad oscillare, come nella Francia Occidentale»
tra il 48° ed il 49° lat. nord; nella Bucosina, ad oriente dei Car-
pazi, il limite è compreso tra le latitudini di 47° e 48°, e si è nella
Moldavia, presso la piccola città di Cotnar (lat. 47° Ij2) che si rac-
(1) Ringraziamo qui nuovamente il prefato Dott. L. Hugues, che ci porse
grande aiuto nelle ricerche fatte per stabilire questi limiti, nonché il suo distinto
allievo, che disegnò la Carta coi limiti polari e le isoterme,
32 CAPITOLO II
coglie uno fra i migliori vini ungheresi, tale da essere preferito al
famoso Tokay. Tutta la parte meridionale della Russia è compresa
nella zona della vite; così la Bessarabia, i governi di Kherson e di
Iekaterinoslaw, la Tauride, il paese dei Cosacchi del Don, una parte
del governo di Saratow sul Volga ed il governo di Astracan. In
queste ultime parti della Russia pare che il limite nord della vite
si avanzi nuovamente verso settentrione sino alla latitudine appros-
simativa di 50°.
Non possiamo fissare con sicurezza il limite polare nord della vite
attraverso il continente asiatico: secondo la carta 13a del nuovo a-
tlante geografico dei signori Diercke e Gaebler, esso attraversa la
parte nord-est del lago di Arai, giunge al bacino sorgentifero del
Syr-Darja, percorre V Asia centrale poco al nord del parallelo 40°,
quindi le provincie della Cina al nord del Fiume Giallo, la parte sud
della Corea e dell'isola Nippon (Giappone). Al di là dell'Oceano Pa-
cifico entra nell' America settentrionale lasciando a Mezzogiorno la
terza parte circa della California, d'onde si avanza alcun poco al
nord, lambisce le rive meridionali dei laghi Michigan ed Erie ed ab-
bandona l'America settentrionale verso la latitudine di 41°. Cosi, nella
parte nord dell'America settentrionale il limite boreale della vite o-
scilla tra le latitudini di 38° e 41°. Infine nell'Oceano atlantico il li-
mite popolare nord lascia a mezzodì l'arcipelago delle Azorre, che
è un importante centro vinicolo.
b) Limite polare sud. La linea che segna il limite meridio-
nale o australe parte dal Capo di Buona Speranza e si volge ad
est-sud-est, lascia al nord la Tasmania, 1' Australia e la Nuova Ze-
landa, attraversa il Pacifico deviando verso nord-est, entra nell'A-
merica meridionale poco al nord del 40° parallelo, e percorre questa
parte del mondo da occidente ad oriente, abbandonandola, sotto la
medesima latitudine, alquanto a mezzogiorno del Rio de la Piata.
e) Limite meridionale deU emisfero nord. Per chi desiderasse
conoscere almeno approssimativamente il limite sud della regione
della vite nell'emisfero artico o boreale, vale a dire al nord dell'e-
quatore, diremo brevemente che esso potrebbe rappresentarsi mediante
una linea che comprendesse la costa settentrionale dell'Africa, coinci-
dendo per un certo tratto col 30° di latitudine settentrionale; essa
attraverserebbe poscia l'Arabia da nord a sud e verrebbe a coinci-
dere, con una certa regolarità, col tropico del Cancro, il quale, come
è noto, segna il limite settentrionale della zona Torrida; e proseguendo
GEOGRAFIA DELLA VITE 33
così sino all'Indostan; quindi si abbasserebbe circa al 20°, per poi risa-
lire sopra Calcutta e tenere di nuovo la linea del tropico del Cancro
a traverso la Cina meridionale.
§.3. Coltura della vite oltre i limiti meteorologici. —
Lo avere segnato, nel precedente paragrafo, i limiti della viticultura,
non vuol già significare che oltre quelle linee sia assolutamente im-
possibile coltivare la vite. Nei paesi, ad esempio, situati oltre il limite
settentrionale ciò è possibile in alcune felici esposizioni a mezzogiorno,
su colline più o meno ripide, ove 1' esposizione rende il clima del
luogo più meridionale; gli è ciò che si fa ad esempio su certi
versanti meridionali delle colline, che si trovano lungo il corso
capriccioso della Mosa, ove si contano 189 ettari vitati, tutti nella
provincia di Liegi. Diremo tuttavia che colà la maturazione delle uve
vi è incerta e riesce ad un certo grado di perfezione soltanto nelle
annate molto favorevoli; la vendemmia vi si fa generalmente nella
seconda quindicina dell'ottobre, quando però il freddo invernale non
abbia distrutto totalmente od in grande parte il raccolto, assiderando
le gemme ascellari. Questi vigneti scomparirebbero di certo se fosse
resa agevole la importazione del vino nel Belgio, laddove ora è colpita
col grave diritto di accisa di L. 23 all' ettolitro : diremo anzi che
se si è tentata e si tenta tuttodì la coltivazione della vite in paesi
situati oltre i limiti della zona or ora studiata, si è principalmente
perchè una improvvida ed ostruttiva legislazione doganale vi inceppa
e spesso vi impedisce affatto l'importazione del vino con dazii che
oscillano dalle 30 lire (Inghilterra e Germania) alle 58 (Russia e
Stati Uniti d' America) per ogni 100 chilogr. di vino usuale da
pasto (1). Così si protegge la produzione della birra, ed indirettamente
si favorisce l'alcoolismo con grave detrimento della salute pubblica !
Anche in Inghilterra (a parte la coltura nelle serre o graperies)
si tentò la cultura della vite in pien campo, nella grande vallata di
Glocester; ma vi si dovette rinunciare da moltissimo tempo, special-
mente per la incertezza e la cattiva qualità del prodotto, dovute
alla deficienza di calore.
(1) Più esattamente L. 27,50 (Inghilterra) L. 30 (Germania) L. 42 (Olanda) L 62
(Russia) L. 58 (Stati Uniti) pei vini di botte. I vini in bottiglie sono colpiti
anche più duramente! (V. la nostra opera Enologia teorico-pratica, Statistica del
Comm. internazionale pag. 677).
O. Ottavi, Trattato dì. Viticoltura. 4
34 CAPITOLO II
Ma non sono unicamente le condizioni climatiche che influiscono
sulla maggiore o minore diffusione della viticultura; è innegabile che
il modificarsi e perfezionarsi dei gusti ha reso affatto deprezzati certi
vini che un tempo si ritenevano bevibili; ond'è che dai paesi che li
producevano oggi è affatto scomparsa la coltura della vite. Peschel
(Physische Erdkunde, II pag. 190 e seg.) accenna a questo fatto
considerando specialmente la viticultura nel Medio Evo. « A provare,
dice egli, una diminuzione della temperatura, si adduce il fatto che
nel Medio Evo la coltura della vite era molto più estesa verso il
nord di quanto lo sia oggidì: ma non si debbe precipitare nelle con-
clusioni, giacche la riuscita della vite dipende da molti fattori, anche
non climatici. La viticoltura potè estendersi in un vasto distretto della
Germania settentrionale, sino a tanto che si poneva maggior atten-
zione alla fragranza {bouquet) dei vini che non alla dolcezza loro.
Relazioni di antichi cronacisti dicono espressamente che in certi anni
particolarmente caldi il prodotto della vite Della provincia di Prussia
(Kònigsberg, Danzica) aveva alcun poco perduto della sua abituale
asprezza. Evidentemente questa notizia nulla dice relativamente al
clima ma solamente allude ai palati poco delicati dei tedéschi. Col
progressivo raffinamento del palato la viticoltura si limitò a quei
distretti che davano un frutto saporito. Il nessun valore dei vini
aspri fu così l'unica cagione per cui la viticoltura decadde più tardi
in molti luoghi. Anche la Picardia, la Bretagna, la Normandia e
l'Inghilterra avevano nel Medio Evo grandi piantagioni di viti; ma
quelle uve non erano sicuramente migliori delle prussiane. Con ra-
gione osserva il Martins: se nel secolo XIII si tenevano per cose
delicate le cornacchie, le cicogne, ecc. perchè mai non si dovevano
bere con soddisfazione anche i vini aspri? »
§ 4. La regione della vite e le isotermiche. — È noto che
chiamansi isoterme o isotermiche (1-) certe linee le quali, sulle carte
geografiche, si conducono per i punti della terra che hanno la me-
desima temperatura media annuale: chiamansi poi isotere o isote-
ì-iehe quelle che vengono tracciate per le località aventi la mede-
sima temperatura media estiva; isochimene o isochimeniche quelle
(1) Humboldt fu quegli che pel primo imaginava di condurre le linee isoter-
miche pei differenti punti del globo aventi la stessa temperatura media, consi-
derata però al livello del mare.
GEOGRAFIA DELLA VITE 35
le quali passano pei paesi aventi una uguale temperatura media in-
vernale; ed infine è detto equatore termico o di calore la linea
condotta per i punti che hanno la massima temperatura media an-
nuale (1).
Tutte queste linee, come si può vedere nella Carta unita a questo
libro, sono molto irregolari; e, massime nell' emisfero boreale, non
coincidono menomamente coi paralleli, in altri termini non sono pa-
rallele alla linea equatoriale. Anche le linee, che abbiamo tracciate
per segnare i limiti polari della coltura della vite, sono a loro volta
assai irregolari; ora, tutto ciò vuol dire che esistono gravi cause le
quali modificano il clima in guisa tale, che l'avere due o più loca-
lità la stessa latitudine, non vuol dire che abbiano la stessa tempe-
ratura media. Pure ammettendo infatti la grande influenza della la-
titudine, conviene anche tener calcolo dell'altitudine, di cui ci occu-
peremo or'ora in modo speciale, della esposizione, della inclinazione,
dei venti dominanti, delle correnti marine, ora fredde ora calde, delle
pioggie più o meno frequenti ed abbondanti, della vicinanze del mare,
il quale agisce come moderatore dei climi ardenti, della natura del
suolo, e via dicendo.
Se ora ci facciamo ad esaminare ed a raffrontare fra di loro quelle
fra le linee isotermiche, isotere ed isochimeniche, le quali passano pei
paesi ove prospera e fruttifica la vite, ci sarà agevole dedurre quali
siano le temperature medie annuali, invernali ed estive che sono in-
dispensabili alla medesima. Ecco riassunti nel seguente quadro al-
cuni dati a questo proposito (2):
Temp. annuale
Mese più
freddo
Mese più caldo
(media)
(temp. media)
(temp. media)
Nantes
12°,6 C.
20°,3 C.
Parigi
10°,8
1°,9
c.
18°,7
Colonia
10°,1
1°,6
18°,5
Coblenza
10°,5
2°,5
18°,4
Dresda
9°,2
— 0°,3
18°,5
Cracovia
8°,4
— 4°,5
*
19°,4
(1) Dicesi zona isotermica lo spazio compreso tra due curve isoterme: i meteo-
rologisti ne distinguono sette.
(2) Questi dati termometrici sono tratti dall'opera Allgemeine Erdkunde di Hann.
Hochstetter e Pokorny (3a ediz, pag. 77 e 78).
36
CAPITOLO II
Odessa
9°,5
— 2°,2
21°,3
Sarepta
7°,5
— 10°,6
23°,9
Pechino
11°,8
— 4°,6
26°, 1
Boston
8U,6
— 3°,9
21°,8
Città del
Capo
19°,1
14°,3
24°,4
Valparaiso
14°, 5
12°,2
17°,2
Buenos
Aires
17%2
10°,4
24°,3
Tutte queste stazioni non si trovano precisamente lungo la linea
limite della coltura della vite, ma se ne allontanano di poco, alcune
verso il nord, altre verso il sud; per esempio Valparaiso e Buenos
Àyres trovansi un po' al nord del limite polare dell'emisfero sud.
Intanto l'esame di questo quadro ci permette di conchiudere, che alla
fruttificazione della vite sono necessarie una temperatura media an-
nuale non inferiore a 7° C, ed una temperatura massima (cioè la
media temperatura nel mese più caldo) di almeno 17° a 18° C. In
quanto alla temperatura media del mese più freddo, si vede che la
vite resiste anche ad alcuni gradi sotto lo zero, senza che i suoi
tessuti subiscano una disorganizzazione e che ne periscano assiderate
le gemme fruttifere, provvidenzialmente protette da squame più o
meno cotonose; ma non bisogna scordare che soltanto alcuni vitigni
vi resistono, e che d'altra parte in alcuni luoghi, ove la media tem-
peratura invernale si abbassa di molto, si è costretti a ricoprire le
viti con terra; la qual cosa accade specialmente ove al freddo si ac-
coppia un certo grado di umidità, per cui i tessuti delle viti sono
relativamente ricchi di succhi e quindi più soggetti ai danni del gelo
e del disgelo. È un fatto però, che la vite resiste al gelo meglio di
molti altri vegetali, e che quando il terreno è coperto di neve, può
sopportare anche 10° o 12° sotto lo zero.
La temperatura media estiva bisogna raggiunga almeno i 17° C.
senza di ciò, quand'anche il clima locale fosse temperato, la vite non
potrebbe condurre a maturità i suoi frutti: gli è quanto accade ad
esempio in Irlanda e sulle coste meridionali dell'Inghilterra, ove do-
mina bensì un clima temperato, il quale permette la coltivazione in
piena terra della camelia, del mirto e della fucsia, ma non quella
della vite, del ciliegio e di altre piante da frutto. Il Devonshire, ad
esempio, ed il Rheingau hanno ad un dipresso la medesima tempera-
tura media annuale (11° C.) ma non sono tagliati dalle stesse linee
isoteriche ed isochimeniche: il mite inverno del Devonshire (6°,2 C.)
GEOGRAFIA DELLA VITE 37
permette, come dicevamo, i mirti all'aperto, laddove nel Rheingau
sarebbero soggetti a gelo; per contro la calda estate del Rheingau
conduce a maturazione i frutti della vite, pianta che nel Devonshire
per la mancanza di calore (media temp. estiva = 15° C.) non giunge
a maturazione. Anche nella Normandia e nella Bretagna succede
lo stesso (1).
Per stabilire pertanto in quali paesi possa convenevolmente vege-
tare e fruttificare la vite, è necessario sovratutto di esaminare le linee
isoteriche, che ci danno la media del calore estivo; e ciò è tanto
vero che l'isoterica passante pei punti i quali hanno la temperatura
media estiva di 17°, coincide fino ad un certo punto col limite po-
lare nord della vite.
Invece l'esame delle linee isochimeniche ci apprende che il consi-
derare esclusivamente la media temperatura invernale non costituisce
un giusto ed attendibile criterio per delimitare la regione della vite: la
isochimenica, ad esempio, la quale passa pei punti della terra segnanti
la media temperatura di 0°, temperatura che la vite può sempre
sopportare, presenta curve assai pronunciate, che uniscono paesi,
in cui la vite non potrebbe neppure vegetare, con altri ove essa può
condurre a perfetta maturazione i suoi frutti. Accade lo stesso della
isochimenica di 4° C. che taglia l'Irlanda, ove non sonovi viti, e poi,
abbassandosi rapidamente verso sud, taglia la Francia e l'Italia set-
tentrionale, ove produconsi ottimi vini.
Infine riguardo alle linee isotermiche, le quali ci guidano per le
località terrestri che hanno la stessa temperatura media annuale,
esse pure non possono fornirci che un criterio di mediocre impor-
tanza per quanto concerne la stazione della vite; infatti, vi sono
paesi che si assomigliano riguardo alla temperatura annuale, mentre
poi differiscono sensibilmente rispetto all'estate ed all'inverno, d'onde
vegetazioni assai differenti. Gli è così che vediamo, ad esempio,
prosperare le cereali in paesi aventi una temperatura media annuale
sufficiente anche alla vite, mentre questa non vi prospera, per la ra-
gione che gli inverni vi sono troppo rigidi; ma le cereali resistono
assai meglio alle basse temperature, purché in primavera non manchi
un certo grado di caldo; ed è perciò che la zona dei cereali è limi-
tata al settentrione da una linea quasi parallela alle isotere.
Riassumendo diremo, che gli è solo dall'esame simultaneo delle iso-
(1) Peschel. Physische Erdkunde II pag. 190.
38 CAPITOLO II
tere e delle isochimene che possono trarsi conclusioni attendibili sul-
l'attitudine dei varii punti della superfìcie terrestre per la viticul-
tura: si trova allora anzitutto, che i paesi tagliati dalle isotere di 17°
o 18° e da isochimene non troppo discoste da 0°, producono vini in
cui abbondano gli acidi vegetali e scarseggia l'alcool, eccezion fatta
per speciali esposizioni a solatìo; e che le regioni più rinomate per
la produzione del vino sono tagliate da isochimene di circa 4° a 8°
e da isotere di 20° a 25°: questa grande differenza fra le tempera-
ture medie invernali ed estive giova molto alla vite, la quale, durante
l'accrescimento progressivo della temperatura dai 9° o 10° ai 17° o
18°, sviluppa moderatamente la sua parte erbacea e può poscia frut-
tificare, laddove se avesse a vegetare soltanto sotto l'influenza di un
elevato calore, si coprirebbe unicamente di rami fronzuti a scapito
dei frutti, oppure presenterebbe senza interruzione fiori e frutti a dif-
ferenti stadii di maturità, come accade in alcuni paesi tropicali là
dove la temperatura oscilla intorno ai 30°; quivi, persino sullo stesso
grappolo vedonsi talvolta acini in fiore, acini acerbi ed acini maturi,
perlocchè è impossibile la vinificazione.
Infine è evidente che l'esame delle isotere e delle isochimene ci
permette di stabilire, con molta approssimazione, confronti interessanti
fra paesi anche lontanissimi per quanto riguarda non solo la pos-
sibilità di coltivarvi la vite e ricavarne il frutto, ma altresì la
qualità del vino che vi si potrebbe ottenere, essendo facile con-
frontarli coi paesi vinicoli più rinomati: e per citare un esempio,
paragonando l'Europa coli' Australia, dall' esame delle linee suddette
si conclude che la colonia di Victoria è tanto adatta alla produzione
del vino quanto Bordeaux, Bologna e Verona; e per verità già si
ottengono, da quei vigneti impiantativi da Europei, buoni vini che
vanno sempre più perfezionandosi (1).
I lettori, esaminando la carta annessa al presente volume, potranno
(1) Se noi ci limitassimo a considerare le sole isoterme, come fece Enrico Greff-
rath, uno fra i migliori conoscitori dell'Australia, vedremmo la colonia di Victoria
posta al medesimo livello di Marsiglia, Bordeaux, Bologna, Nizza., Verona e Madrid,
paesi i quali differiscono grandemente per le qualità dei vini che vi si producono,
siccome differiscono i vini del Mezzodì della Francia e della Spagna da quelli
del bordolese (Médoc) dell'Italia Centrale e del Veronese. Ciò dimostra ancora una
volta che il solo esame delle temperature medie annuali giova a poco, sotto
questo riguardo: l'alcoolicità, per esempio, dipende quasi esclusivamente dalla
temperatura media estiva.
GEOGRAFIA DELLA VITE
39
trarne parecchie altre conseguenze di questo genere, e fors'anche
modificare la produzione, quasi diremmo 1' essenza, dei loro vigneti.
§ 5. L'altitudine e la viticoltura. — Abbiamo già accennato
alla influenza esercitata dall'altitudine, o altezza sovra il livello del
mare, sul clima d'una determinata località; vogliamo ora entrare in
maggiori dettagli, considerando 1' elevazione ne' suoi rapporti colla
stazione della vite, poiché è certo che la latitudine non basta per
determinare questa stazione stessa.
Si può ritenere che per ogni 365 metri di salita sul livello del
mare, il termometro discende approssimativamente di un grado,
più o meno a seconda di differenti circostanze ; ond' è che può
benissimo accadere di trovare su alte montagne un clima polare
laddove a' loro piedi havvi un clima tropicale: Humboldt al livello
del mare sotto la zona torrida trovò -\~ 27°,5 ed a 5000 metri di
elevazione soli -f~ 1°>5; in altre esplorazioni trovò alle falde del-
l'Oceano Pacifico -\~ 25°,3 e sulla vetta del Chimborazo (metri 6421)
— 1°,6. La ragione di questa differenza sta, come è noto, in ciò,
che l'aria mano mano che ci innalziamo va facendosi sempre meno
densa, onde viene sempre meno riscaldata dai raggi solari e solo
riceve una certa quantità di calore riverberato dalla terra; il calore
del sole si rende allora in gran parte latente, e da ciò proviene la
diminuzione della temperatura.
Ma non è possibile, considerando unicamente l'altitudine, stabilire
a quanti metri sul livello del mare possa utilmente coltivarsi la vite;
è evidente che conviene anche tenere calcolo della latitudine: si trova
allora che quanto più cresce la latitudine, tanto più diminuisce l'al-
titudine conveniente alla vite. Ad esempio, confrontando fra di loro
varii paesi d'Europa, si ha:
Nord della Svizzera . .
altitudine metri 55
Ungheria
»
» 300
Alpi (versante sud)
»
» 650
Apennini (versante sud)
»
» 960
Limite della coltura utile
Sicilia
»
» 1000
i della vite nei luoghi me-
Pirenei meridionali
»
» 1000 )
glio favoriti.
Sierra Nevada (Spagna)
»
» 1000
Himalaia (India sett.)
»
» 2500
Ande dell'America merid
»
» 3500
40 CAPITOLO II
Come vedesi, nelle Ande, che si trovano nella zona torrida, la mas-
sima altitudine della coltura della vite è segnata da una orizzontale
di oltre a 3000 metri sul livello del mare, mentre in Isvizzera si toc-
cano appena i 55 metri, locchè si spiega soltanto colla grande dif-
ferenza delle latitudini.
La vite è una fra le piante il cui limite d'altitudine è più basso,
data la stessa latitudine: supponendo infatti la latitudine di 45°, ab-
biamo la seguente scala decrescente:
Coltura del mugo circa metri 2500 (limite estremo)
»
»
larice
»
»
2200
»
»
»
»
abete
»
»
2000
»
»
»
»
frassino
»
»
1800
»
»
»
»
faggio
»
»
1200
»
»
»
»
quercia
»
»
900
»
»
»
»
castagno,
segala
ed orzo
»
»
800
»
»
»
»
frumento
e gelse
» »
700
»
»
»
»
vite
»
»
500
»
»
ive
perpe
itua
»
»
2700)
Il limite delle nevi perpetue, il quale si avvicina al livello del mare
man mano che ci allontaniamo dall'equatore, influisce pertanto sul
limite della stazione della vite, poiché quanto più quello si abbassa,
tanto più quest'ultimo diminuisce; sappiamo infatti che il limite delle
nevi trovasi
presso 1' equatore ad una altezza di metri 4818 (Quito)
a 30° di latitudine
Nord
id.
4500 (Himalaia)
a 45°-47°
»
»
id.
2700 (Alpi)
a 67°
»
»
id.
1266 (Norvegia)
a 71°
»
»
id.
720 (id.)
a 16°
»
Sud
id.
4850 (Ande America Sud)
Raffrontando questo specchio con quello ove abbiamo segnato l'al-
titudine massima della coltura della vite, si vede che quando il li-
mite delle nevi perpetue è molto elevato (per esempio 4850 metri
nelle Ande della Bolivia) la viticoltura può spingersi sino a grandi
altitudini (3500 metri pure per le Ande), mentre se quello si abbassa
GEOGRAFIA DELLA VITE 41
(es. 2700 m. nelle Alpi) si abbassa pure quello della vite (650 m.
nel versante Sud delle stesse Alpi). E ciò perchè il limite delle nevi
eterne è tanto più alto quanto più caldo è il paese sottostante.
Termineremo questo paragrafo con alcuni dati, i quali si riferiscono
più particolarmente all'Italia; la massima altitudine della coltura
della vite è segnata dalla orizzontale di:
900 metri nella Valtellina
730 » nel Tirolo
380
»
nella Valle di Chiavenna
600
»
nella Valle del Gottardo
1000
»
(maximum) sul fianco orientale del Rosa
1200
»
(id.) nella Valle d'Aosta
800 a 900
»
nelle Alpi centrali
950
»
sull'Etna.
Parlando, nel paragrafo seguente, della esposizione, diremo della sua
influenza sull'altitudine della coltura della vite; nel capitolo V (Me-
teorologia) ci occuperemo poi dei punti climenologici.
§ 6. L'esposizione, la vicinanza delle acque, le pioggie ed
altre cause che influiscono sulla stazione della vite. — La e
sposizione, ossia la posizione d'un luogo più o meno elevato rispetto
ai quattro punti cardinali Nord, Sud, Est ed Ovest (1), ha una
notevole influenza sul limite della stazione della vite a parità di al-
titudine; invero, dalle osservazioni fatte nei monti dell'Italia centrale
risulta che nei terreni esposti a mezzogiorno la viticoltura può
spingersi sino agli 800 metri ed anche oltre, laddove se i terreni
sono volti a levante non si possono oltrepassare di molto i 500 m.
sul livello del mare; avvicinandosi alle Alpi queste altezze decrescono,
ma serbano sempre fra loro una differenza proporzionale. È ovvia la
spiegazione di questo fatto, poiché tutti sanno che la esposizione Sud è
colpita dai raggi solari diretti durante un tempo più lungo, oltre di
che questi raggi cadono meno obliqui che non alle altre esposizioni;
all'Est invece abbiamo i raggi solari per minor tempo ed una lunga
irradiazione notturna; al Nord il riscaldamento dura ancor meno, ed
(1) Corrispondenti' rispettivamente a settentrione o borea, mezzogiorno o austro,
levante od oriente, ponente od occidente.
42 CAPITOLO II
è infatti a questa esposizione che l'aria ed il. terreno sono più freddi;
infine la esposizione d'Ovest riscaldasi lentamente al mattino, ma
verso sera riceve i raggi solari direttamente e perciò si conserva
più calda dell'Est, e dello stesso Sud, durante la notte. Inoltre, all'e-
sposizione di Est si forma una maggior quantità di brina che non
all'Ovest, e si hanno anche brusche alternative di temperatura, ond'è
che sotto questo aspetto quest'ultima è da preferirsi per ia vite. Le
esposizioni si potrebbero quindi così disporre, in ordine alle loro con-
venienza per la vite: 1° Sud, 2° Ovest, 3° Est, 4° Nord.
Ma 1' esame della esposizione si collega con quello della inclina-
zione del terreno; sul pendìo dei monti e dei colli la vite produce
uva più ricca di glucosio, la qual cosa significa che riceve una mag-
gior quantità di calore; ond'è che la inclinazione si può dire favorisca
una maggior estensione della stazione o distretto della vite, a parità
di latitudine e di altitudine. Infatti, i raggi solari quanto più cadono
verticalmente sul terreno, tanto più sono numerosi e tanto più lo
riscaldano, ed è ciò che accade nei luoghi inclinati; invece sovra
un terreno orizzontale, vale a dire piano, i raggi del sole battono
obliquamente, si spandono quindi sovra una superficie maggiore e
perciò lo riscaldano meno. Si aggiunga a ciò che nei terreni incli-
nati l'acqua piovana penetra a poca profondità e li raffredda meno.
Anche la vicinanza delle acque, modificando il clima, influisce sui
limiti della regione della vite: è noto, ad esempio, che nei paesi più
vicini al nord, le regioni costiere e le isole sono sensibilmente meno
fredde che non l'interno dei continenti. Invece nella zona tropicale
le contrade interne sono assai più calde di quelle marittime; gli è
che una superficie d'acqua è sensibilmente meno riscaldata che non
una superficie terrestre, massime se questa è spoglia di vegetazione;
in tal caso anzi, la differenza di temperatura è rilevante. Il calore solare
vien impiegato in parte nella evaporazione dell'acqua; inoltre durante
la notte la terra irradia calore, mentre ciò non accade dalle acque;
quindi la minor temperatura dei climi marittimi o litorali a petto di
quelli continentali.
Alcune regioni costiere di paesi freddi, mercè la vicinanza dei mari
godono bensì di una temperatura annuale più elevata, ma quella estiva
non è sufficiente a certe coltivazioni, laddove nei continenti posti ad
uguali o minori latitudini ciò è possibile, benché abbiano una media tem-
peratura annuale assai meno elevata; per esempio in Islanda il frumento
e la segala non giungono a maturazione, mentre vi giungono a Jakutzk
GEOGRAFIA DELLA VITE
43
in Siberia, benché il freddo scenda a 38° C. sotto lo zero e la an-
nuale temperatura media sia di circa — 9°; ma durante il breve e caldo
estate si ha una temperatura media di 17° sopra lo zero, onde ve-
getano e fruttificano le due cereali suddette.
Sotto le alte latitudini sono quindi preferibili, per certe coltivazioni,
fra cui va annoverata la vite, le contrade interne (quando bene inteso
non siano soggette, come la Siberia, ad eccessivi freddi j emali); in
Irlanda e sulle coste meridionali dell'Inghilterra, come già dicemmo, la
vite non può prosperare appunto perchè si tratta di climi marittimi, i
quali hanno alquanto temperato il calore estivo e però non sufficiente
al nostro arbusto.
Anche le pioggie modificano il clima ed agiscono analogamente
alle masse d'acqua, cioè lo temperano. Si sa che la quantità d'acqua di
pioggia cresce andando dal polo verso l'equatore, perchè sotto la
zona tropicale è maggiore la evaporazione essendo maggiore la tempe-
ratura , e perciò si hanno più abbondanti precipitazioni ; infatti
supponiamo d' avere una temperatura di 25°, e che succeda un
abbassamento di 10°; in allora un metro cubo d'aria satura di umidità
darà grammi 10,44 di vesichette o goccioline di vapore acqueo: in-
vece mettiamo di avere una temperatura di 10° e quindi una dimi-
nuzione a 0°; allora lo stesso volume d'aria satura abbandonerà soli
grammi 4,91 di vapore acqueo. Dalle osservazioni fatte sui rapporti
che passano fra la quantità d'acqua piovana e le latitudini è risul-
tato approssimativamente quanto segue:
Millimetri
di pioggia annuale
Millimetri
di pioggia annuale
All'equatore .... 3000
Al grado 10 lat. Nord 2850
» 20 » 2410
» 30 » 1320
» 40 » 900
Al grado
»
»
»
»
50 lat. Nord 710
60 » 540
70 » 410
80 » 320
90 » 250
Ma ciò che più influisce sulla coltura utile della vite, non è già
la quantità della pioggia, bensì il numero di giorni piovosi che si
hanno dal momento della fioritura sino a quello della vendemmia; se
questo numero eccede un certo limite, che studieremo meglio al capitolo
Meteorologia applicata alla viticoltura, citando numerose osservazioni
da noi fatte, i frutti della vite vanno totalmente perduti; ed un paese
che si trovasse in simili condizioni rimarrebbe escluso dalla zona
della vite: su di che ci siamo già intrattenuti a lungo discorrendo
(pag. 30) della viticoltura nella zona delle pioggie.
44 CAPITOLO II
Sotto questo riguardo l'Italia si trova in ottime condizioni, perchè
quantunque vi cada molta pioggia, più di quanta ne cada nel
nord d' Europa, tuttavia essa conta in primavera ed in estate
assai meno giorni piovosi, il che è molto favorevole alla buona e co-
piosa fruttificazione delle viti; ecco al proposito alcuni dati:
Giorni di pioggia
Pioggia in millimetri
dall'aprile al settembre
dall' aprile al settembre
Pietroburgo
78
294
Londra
84
276
Bruxelles
79
324
Lilla
80
438
Parigi
75
335
Praga
79
258
Milano
41
372
Roma
32
247
Palermo
30
113
A Parigi quindi, nei mesi di aprile, maggio, giugno, luglio, agosto
e settembre, cadrebbe quasi tant' acqua che a Milano; solo che
mentre questa è distribuita in soli 41 giorni, quella è distribuita in
75, e cadendo con minor impeto può essere assorbita dal terreno,
laddove a Milano in grande parte scorre alla superfìcie battuta ed indu-
rita dalla pioggia stessa. Le condizioni di Milano sono perciò assai
più favorevoli alla vite che non quelle di Parigi, sotto questo riguardo.
Anche la varietà dei vitigni può influire sulla stazione della
vite; è noto che certi vizzati resistono meglio di altri al freddo inver-
nale e primaverile, onde con essi il limite polare della viticoltura può
spingersi a più alte latitudini, massimamente se vengono coltivati
bassi, perchè allora usufruttano anche il calore riverberato dalla
terra.
Influiscono pure sui limiti del distretto della vite i venti domi-
nanti, che abbassano od innalzano la temperatura secondochè pro-
vengono da luoghi freddi o caldi: ad esempio le coste occidentali dei
continenti, particolarmente nelle zone temperate, sono generalmente
più calde delle orientali. Così, per il continente americano, la tem-
peratura media annuale di 0° corrisponde, sulle coste occcidentali,
alla latitudine di 60°, sulle coste orientali a quella di 50°: per l'an-
tico continente la stessa temperatura di 0° corrisponde, sulle coste
occidentali, alla latitudine di 71° (capo nord della penisola Scandinava),
GEOGRAFIA DELLA VITE 45
e sulle coste orientali (Asia) alla latitudine di 47°. Questa differenza
tanto sensibile proviene da che, mentre i venti polari e le correnti
fredde del nord predominano in America lungo le coste del Labrador,
del Canada, e nel mondo antico lungo le coste della Siberia, le rive
opposte sono esposte liberamente alla azione dei venti caldi di sud-
ovest, ed a quella delle calde correnti dell'Atlantico e del Pacifico (1).
In quanto alle correnti marine, è noto che quella così detta del
golfo (gulfstream) innalza la temperatura della costa nord-ovest
dell' Europa. È facile intendere quindi come i venti dominanti e le
correnti marine possano influire sul limite del distretto della vite.
Infine, vi possono altresì influire la natura fisico-chimica del
suolo, la maggiore o minore frequenza delle brine e delle grandini,
nonché la ricchezza della vegetazione dominante, e specialmente
le folte piantagioni, le quali mitigano il clima, come è noto a tutti.
(1) L. Hugues Geografia generale, pag. 44.
CAPITOLO III
Statistica della vite.
§ 1. La viticoltura in Italia — § 2. La viticoltura in Francia — § 3. La viti-
coltura in Ispagna ed in Portogallo — § 4. La viticoltura nell' Austria-Ungheria
— § 5. La viticoltura in Germania — § 6. La viticoltura in Isvizzera — § 7.
La viticoltura in Grecia, in Russia ed in Oriente — § 8. La viticoltura nel-
l'America del Nord — § 9. La viticoltura nell'America del Sud — § 10. La
viticoltura in Africa — § 11. La viticoltura in Australia — § 12. La viticol-
tura in Asia — Riassunto e conclusione.
§ 1. La viticoltura in Italia. — La vite occupa in Italia una
superfìcie di circa ettari 1,870,109 dai quali ottengonsi da 27 a 30
milioni di ettolitri di vino, corrispondenti ad una media di 14,50 a
15 ettolitri di vino all' ettare (V. § II,' pag. 2). Supponendola di-
visa in dodici regioni, la nostra produzione vinicola sarebbe così
distribuita:
REGIONI
Superfìcie
coltivata a viti
(sola od associata
ad altre culture)
Ettari
Produzione
totale
Ettolitri
la Piemonte
2a Lombardia
3a Veneto
4a Liguria
5a Emilia
6a Marche ed Umbria . . .
7a Toscana
8a Lazio
9a Meridionale Adriatica . .
10a Meridionale Mediterranea
lla Sicilia
12'' Sardegna
Totale . .
117,302
140,786
242,987
44,326
168,462
145,368
219.432
43,996
267,355
244,455
211,454
24,186
1,870,109
2,706,196
1,895,302
2,604,949
598,340
1,990,161
1,917,346
2,688,346
835,924
3,534,476
3,668,304
4,246,363
450,827
27,136,534
STATISTICA DELLA VITE
47
Le provincie che più danno vino sono le seguenti:
Palermo . . Ettolitri 1,025.050
Alessandria
» 933,750
Firenze
» 927,336
Trapani
» 837,490
Teramo
» 783,750
Torino
» 770,760
Bari .
» 752,822
Catania
» 723,801
Perugia
» 606,408
Potenza
» 604,240
Siracusa
» 554,800
Aquila
» 550,200
Caltanissettc
i
» 539,212
Chieti
» 534,000
Cosenza
» 531,101
Vicenza
» 528,830
Novara
» 507,280
Siena .
» 495,360
Cuneo
» 494,406
Catanzaro
» 487,290
Verona
» 470,730
Le altre provincie scendono da 450 mila ettolitri circa sino a
50 mila, che è il minimo (Belluno).
La produzione massima per ettare si ottiene nelle seguenti pro-
vincie :
Alessandria
. Ettolitri
25,00 in
media
Torino
»
24,00
»
Cuneo . . ,
»
22,00
»
Girgenti .
»
21,00
»
Trapani .
»
20,80
»
Novara .
»
20,00
»
Messina .
»
20,00
»
Siracusa .
»
20,00
»
Caltanissetta . ■
»
20,00
»
Catania .
»
19,50
»
Palermo .
»
19,00
»
48
CAPITOLO III
Napoli
»
19,00
»
Sassari .
»
19,00
»
Cagliari .
»
18,30
»
Sondrio .
»
18,00
»
Porto Maurizio
»
18,00
»
Salerno .
»
18,00
»
Le altre provincie hanno una produzione che scende da 1 7 etto-
tolitri a 10 ettolitri. Questi dati però non hanno un valore asso-
luto, inquantochè il prodotto dei vigneti italiani è stato qui calcolato
sulla base dei terreni vitati in genere, senza fare distinzione fra vi-
gneti specializzati, o veri vigneti, e terreni a coltura promiscua della
vite con altre piante; nel qual caso, come è evidente, il prodotto per
ettare diminuisce in ragione inversa della grandezza degli spazii che
intercedono fra le viti. Infatti, nella provincia di Alessandria, ove pres-
soché tutti i vigneti sono specializzati o quasi, la media del prodotto
è la più elevata fra tutte; lo stesso deve dirsi del Piemonte in ge-
nere e della Sicilia.
Facendo le medie dei prodotti per regioni, abbiamo desunto i se-
guenti dati dalle pubblicazioni del Ministero d'Agricoltura:
pei
■ ettare
Piemonte
media
più alta
(1)
Ett.ri
23
Sicilia
id.
»
20
Lazio
id.
»
19
Sardegna
id,
»
18
Regione Mer.
medit.
id.
»
15
»
Adriatica
id.
»
13
Marche ed Umbria
id.
»
13
Lombardia
id.
»
13
Liguria
id.
»
13
Toscana
id.
»
12
Emilia
id.
»
11
Veneto
id.
»
10,70
Ma noi temiamo che in questi dati vi siano talune inesattezze, e
lo deduciamo dalla loro discordanza da quelli che ebbimo da viti-
cultori di varie fra le suddette regioni: d'altra parte certe medie
(1) S'infondo fra le vario Provincie (lolla ro<>ione aooennata.
STATISTICA DELLA VITE 49
molto basse non si possono applicare a tutti i comuni di una data
regione: per esempio in Toscana, in Lombardia, nel Veneto e Sovra-
tutto nei due versanti dell'Italia meridionale, vi sono locali ove il
prodotto medio delle viti è certamente superiore ai 15 ettolitri ad
ettare: dappertutto poi in Italia vi sono esempii di produzioni che
oltrepassano i 50 ettolitri per avvicinarsi al centinaio, ed è grande
ventura che vi siano questi brillanti esempli pratici a persuadere i
miscredenti.
In Italia produconsi vini d'ogni specie; dagli alcoolici e liquorosi
del mezzodì, a quelli da pasto scelti del centro e del settentrione ;
però anche la regione meridionale, in speciali condizioni, può produrre
ottimi vini da pasto, ed è noto d' altra parte il grande commercio
che essa fa di vini da taglio o concia. La viticoltura italiana novera
numerosissime e svariatissime varietà di vitigni, atti a produrre ogni
sorta di vino; quello da pasto scelto, quello da pasto usuale, da con-
cia, da esportarsi, il vino profumato, il vino bianco asciutto, quello
dolce, quello sciropposo, quello alcoolico, infine il vino spumante;
locchè è anche la conseguenza della estensione del nostro territorio,
che va dal 37° al 46° di latitudine e che presenta quindi grandi va-
rietà di clima, di suolo e di esposizioni. Nessun paese del mondo è
tanto favorito dalla natura quanto l'Italia, ed è perciò a sperarsi che,
proseguendosi negli studi viticoli ed enologici coll'ardore che si di-
spiega oggigiorno, essa verrà ad occupare il primo posto fra i paesi
vitiferi del mondo, quale spetta all'Avita Enotria.
§ 2. La viticoltura in Francia (1). — Nel 1869 la Francia
contava 2,441,246 ettari a vigna; alla fine del decorso 1883 ne con-
tava soli 2,095,927, perchè la fillossera aveva distrutti nel frat-
tempo ettari 345,319, locchè è enorme, se si pensa che una simile
diminuzione avvenne in soli 4 anni. La produzione del vino ha se-
guito dal 1875 al 1883 le seguenti oscillazioni, dovute in gran parte
ai danni della fillossera, ma altresì alle avverse stagioni, specie negli
ultimi quattro anni:
1875 ettolitri 83,632,000 (massima produzione del secolo)
1876 » 41,848,000
1877 » 56,405,000
(1) Si vegga anche il § II, pag. 3.
O. Ottavi, Trattato di Viticoltura.
50 CAPITOLO III
1878
»
1879
»
1880
»
1881
»
1882
»
1883
»
48,720,363
25,700,000 (condizioni climatol. pessime)
29,677,472 id. mediocri)
34,138,715 id. »
30,886,352 id. »
36,029,182 id. »
Dai dati che abbiamo sott' occhio (1869-1873) deduciamo le se-
guenti tre medie: dal 1869 al 1873 ett. 53,659,112 — dal 1874 al
1878 ettol. 58,750,236 — e dal 1879 al 1883 ettolitri 31,300,254.
Questa forte diminuzione nel prodotto annuo, dà la misura della gra-
vità dell'invasione fillosserica.
Ma, nonostante la fillosseronosi, la Francia ha però saputo mantenere
allo stesso livello di prima la sua esportazione vinicola; anzi 1' ha
accresciuta: ecco i dati che desumiamo dalle pubblicazioni ufficiali
del Governo della Repubblica:
nel 1876 esportazione di vini per L. 216,200,000
»
1877
id.
id.
» 225,500,000
»
1878
id.
id.
» 207,100,000
»
1879
id.
id.
» 264,900,000
»
1880
id.
id.
» 254,600,000
»
1881
id.
id.
» 264,200,000
In un sesennio l'esportazione si sarebbe adunque accresciuta al-
l' incirca di un quarto.
Anche la Francia, come l'Italia, produce nei suoi 44 dipartimenti
vitiferi svariate qualità di vino, dai finissimi Sauternes bianchi, ai
Bordeaux, ai Borgogna ed ai Champagne. È pregio dell'opera dare
qualche maggior notizia sui Bordeaux, del dipartimento della Gir onda.
In questo dipartimento vi sono meglio di 150 mila ettari di vi-
gneto sopra 975 mila di superficie totale: eppure non si producono,
computando una raccolta mediana, che all'incirca 3,300,000 ettolitri
di vino, tra rosso e bianco. Questo prodotto corrisponde ad una
media di 22 ettolitri ad ettare, locchè non è molto. Ma con tutto
questo il detto dipartimento ritrae dalle sue viti e da' suoi vini
tanto lucro da poter disporre per ogni abitante — e gli abitanti sono
colà 589 mila — di circa cinquecento lire all'anno, mentre i vigneti
non occupano che un sesto della superfìcie totale del dipartimento
stesso.
STATISTICA DELLA VITE 51
Fra le cinque plaghe in cui può dividersi la Gironda, una ve n'ha
— il Médoc — che produce vini rossi di qualità superiore, i quali sono
pagati ad assai cari prezzi dai buongustai di Francia e di fuoravia:
in questa plaga vi sono su per giù 20 mila ettari vignati, ed anche
qui non si ricavano che ad un dipresso 364,800 ettolitri di vino, vale
a dire poco più di 18 ettolitri ad ettare. Questo prodotto non è una
grande cosa; eppure frutta, secondo i nostri calcoli, oltre i sessanta
milioni di lire ogni anno.
Il Médoc, dei 364,800 ettolitri di vino che produce, ne conta 41
mila che sono vini superiori, e che si vendono, secondo la media che
abbiamo potuto fare dei prezzi di varii anni, a circa 400 lire l'etto-
litro. In media quindi fruttano più di 16 milioni di lire, le quali in
grande parte vengono dall'estero. Ma nel Médoc sonovi ancora altri
40 mila ettolitri di vini fini, se non superiori, che rendono circa un 12
milioni di lire, ben inteso reddito brutto. E poi rimangono i vini ordi-
nami, che rappresentano un provento brutto di circa 36 milioni di lire,
e ciò senza contare les petits paysans del Basso Médoc e via dicendo.
Il Médoc è una terra fortunata, e lo è grazie alla vigna, ma più ancora
grazie alla perizia di quelli fra i suoi abitatori, che fabbricano il vino.
Lo stesso devesi dire di tutta la Gironda, dove dalla piccola su-
perficie a vigne si ricavano brutti 225 milioni di lire, netti 150 mi-
lioni; dove una sesta parte del dipartimento produce tanto da ali-
mentare una popolazione doppia di quella che esiste nell'intero di-
partimento stesso; dove infine la vigna rende tre volte di più del
prato, del bosco e del campo.
Il reddito in vino per ogni ettare di vigneto varia assai in Francia :
ove produconsi vini usuali, quasi diremmo da distillare (il che face-
vasi su vasta scala nel Mezzogiorno prima della invasione fillosserica)
il prodotto per ettare tocca anche i 300 ettol. di vini a basso titolo al-
coolico. Però, per la produzione dei buoni vini da pasto di grande
consumazione non si spinge la vite a dare più di 40 a 50 ettolitri
ad ettare, i quali riduconsi poi a 20 o 25 se si tratta di vini rossi
fini: anzi per certi vini bianchi di qualità ricercatissima, come il Sau-
terne (1) non si va oltre i 10 ettolitri; ma, nonostante si vendano
a caro prezzo, si calcola che i capitali investiti in quei famosi predii
non frutti ao più del 5 per cento (2).
(1) Comune del bordolese, che diede il nome a tutti i famosi vini della località.
(2) Molti altri dettagli potranno trovarsi nella nostra Monografia sui vini di
lusso (2a edizione pag\ 197).
52 CAPITOLO III
§ 3. La viticoltura in Ispagna ed in Portogallo. —
a) Spagna. È questo un paese importante per la produzione vini-
cola, la quale mentre da alcuni si fissa in 25 milioni di ettolitri, da
altri invece si porta ai 30 milioni; noi pensiamo però, in base ai
dati che raccogliamo dal 1875 a questa parte sui giornali vinicoli
spagnuoli (specialmente sull'ottimo giornale Los vinos y los aceiles)
che la produzione non oltrepassi di molto i 25 milioni anche in an-
nate buone, tantoché la media delle annate normali darebbe solo
da 20 a 22 milioni di ettolitri. La Spagna conta 1,400,000 ettari di
vigne, sovra una superficie territoriale complessiva di 507,036 chi-
lometri quadrati; la vigna occupa adunque Y36 della superficie, e pur
tuttavia vi rende annualmente quasi 750 milioni di lire, vale a dire
circa quanto rende la viticoltura italiana; bene inteso qui parliamo sem-
dre di reddito brutto. Ma convien notare che mentre la Spagna ottiene
questo reddito lordo soltanto sulla 36ma parte del suo territorio, l'I-
talia vi impiega Y13 del proprio, locchè assai verosimilmente dipende
dalla minore estensione dei veri vigneti specializzati, che, a parità
di superficie, sono i più redditivi.
La Spagna, oltre ai vini, esporta anche grandi quantità di uve sec-
che; in media sono 37 milioni di chilogrammi all' anno del valore di
circa 25 milioni di lire. I prodotti delle sue vigne si possono pertanto
così classificare: 1° Vini comuni da pasto; 2° Jeres e vini simili;
3° Vini generosi; 4° Uve secche.
La fillosseronosi si è dichiarata anche ìd Spagna fin dal 1878 in
una proprietà chiamata l' Indiana , a 18 chil. da Madrid; Malaga,
l'Ampurdan e Salamanca sono invase dal terribile afide, e la malattia
vi si estende gradatamente; su di che entreremo in maggior dettagli
studiando la fillosseronosi.
b) Portogallo. Anche riguardo alla produzione vinifera del Por-
togallo sono discordi i dati che abbiamo potuto raccogliere; chi la
fa ascendere a 9,000,000 di ettolitri, e chi la riduce a soli 4,000,000:
quest'ultimo dato però, secondo noi, è erroneo; perchè non tiene cal-
colo dei molti nuovi vigneti che da 10 a 15 anni a questa parte si
sono impiantati colà. La vite occupa quasi 250 mila ettari, cioè
circa la 40raa parte del territorio. Il vino più famoso del Portogallo
è il Porlo che si produce nel Douro ; la sua produzione annua
ascende a 400 mila ettolitri (cioè 80 mila pipe da 500 litri); però il
Porto di prima qualità si ottiene solo neìYAlto-Doiiro (100,000 et-
STATISTICA DELLA VITE 53
tolitri) e vale, quando è nuovo, 275 lire la pipa (1); la seconda qua-
lità (150,000 ettol.) si produce nel Douro inferior e si vende, nuovo,
a 194 lire la pipa; la terza qualità L. 111. In totale la valle del
Douro ha, dal vino di Porto, un reddito lordo di oltre a 14 milioni
e mezzo di lire. Ma oggi questo paese è fillosserato, sin dal 1864, e
perciò il suo reddito è in continua diminuzione.
§ 4. La viticoltura nell'Austria-Ungheria. — a) Austria. La
vite occupa in Austria una superficie di ettari 210,513, per una superficie
territoriale di 300,190 chilom. quadrati; ciò che corrisponde alla 142ma
parte del territorio: il reddito lordo di queste vigne si calcola ascen-
dere, secondo il consigliere aulico H. De Hamm, a 58 milioni di lire,
cioè L. 16 ad ettolitro, calcolando una produzione annuale media di
ettolitri 3,692,500; però non tutti i vini austriaci valgono così poco,
e si sa che alcune qualità ottengono le 30 e le 40 lire l'ettolitro (Bassa
Austria). Ecco alcuni dettagli che si riferiscono alla produzione vini-
cola dell'Austria (2) : nella Bassa Austria ogni etraro produce circa
20 ettolitri di vino; nella Stiria e nella Carinzia eira 8; nella Car-
neola 18; in Boemia 9; nel Tirolo settentrionale 23; nel Tirolo me-
ridionale (Bolzano, Trento e Rovereto) circa 40; nel Vorarlberg 31;
nella Moravia 15; nella Bukovina 6; in Gorizia 10 a 12 secondo il
genere di cultura; a Trieste da 20 a 38 parimente secondo la coltura :
nell'Istria da 5 a 9, e nella Dalmazia da 6 a 10 (3).
b) Ungheria. L'Ungheria, con una superficie di 323,853 chilometri
quadrati, novera 425,314 ettari a vigna (lr76 della superficie), i
quali producono in media 8,506,280 ettolitri di vino; il reddito lordo
vien calcolato in 255 milioni di lire, cioè L. 30 per ettolitro; questo
elevato prezzo è dovuto ai rinomati vini fini dell'Ungheria,
La produzione totale dell' Austria-Ungheria ascenderebbe quindi a
12,198,780 ettolitri, dai quali essa avrebbe un reddito brutto di 313
milioni di lire ad un dipresso. Anche 1' Austria e l'Ungheria sono
fillosserate: ne riparleremo più oltre.
§ 5. La viticoltura in Germania. — Questo impero conta
circa 150 mila ettari vitati, nella sua parte meridionale, laddove la
(1) Breve noticia da Viticultura Portugueza. — Lisboa 1874 (Pubblicaz. uff.).
(2) Kohenbruck (von) Arthur. Die Weinproduction in Oesterreich ecc. 1873.
(3) Statistiche del Ministero d'Agricoltura. Vienna 1875.
54 CAPITOLO III
sua superficie territoriale è di chilometri quadrati 542,834; la vite
occupa dunque appena la 362ma parte del territorio germanico e vi
produce annualmente circa 2,600,000 ettolitri di vino, cioè 17 a 18
ettolitri per ettare; il reddito lordo ammonta approssimativamente a
130 milioni di lire annue, cioè in media L. 50 all'ettolitro; ciò è dovuto
all'elevato prezzo di parecchi fra i suoi vini, fra cui eccellono quelli
notissimi del Reno. In questo distretto (Rheingau) la vigna produce
talvolta anche soli 15 ettolitri di vino all'ettare, ma si tratta allora
di vini sopraffini e ricercatissimi i quali vendonsi anche oltre le 2000
lire per ettolitro: i più rinomati sono il Johannisberg (20 ettari) ed
il Liebfrauenmilch (latte della Madonna) che si produce a Worms;
in secondo ordine vengono i vini del Palatinato. Si noti però, che in
questo distretto del Reno il raccolto dell' uva spesso fallisce, per le
poco favorevoli condizioni climatologiche; basti il dire che in un se-
colo (1770-1869) si ebbero 58 anni di raccolto perduto, 30 di me-
diocre e soli 11 di raccolto completo, ossia ein Hauptweinjahr 'e come
si dice colà.
Anche in Baviera la vite è coltivata con molta intelligenza; contasi
quivi 24 mila ettari vitati, i quali producono in media circa 25 ettolitri
di vino caduno, vale a dire una media superiore a quella dell'intera
Germania (1). La Prussia renana conta essa pure 20,000 ettari vitati,
il Wurtemberg 19,000, il Baden 18,000, e l'Assia 8000.
§ 6. La viticoltura in Isvizzera. — Questo paese conta
34,600 ettari a vigna, secondo le accurate indagini del D.r V. Fatio
da Ginevra; i quali, calcolando che producano al massimo 35 etto-
litri di vino ad ettare del valore commerciale di 27 lire V ettolitro,
darebbero un prodotto annuo di ettolitri 1,211,000 ed un reddito
lordo di 32,697,000 lire. La vigna occuperebbe in Isvizzera la 120mft
parte del territorio.
I cantoni vitiferi sono quelli di Sciaffusa, Ticino, Ginevra, Vaudo,
Neuchàtel e Basilea Campagna.
§ 7. La viticoltura in Grecia e Cipro, in Russia ed in
(1) Queste notizie sulla Germania furono comunicate dal consigliere intimo
Weimann, dal prof. Noerdlinger e. dal D.r Buhl al D.r Fatio in occasione del
Congresso fillosserico di Losanna (1877) — Vedi Etat de la question phylloxé-
rique pag. \H e seg.
STATISTICA DELLA VITE 55
Oriente. — a) La Grecia conta soli 40,000 ettari di vigne, benché
il suolo ed il clima siano quanto mai appropriati alla viticoltura: le
vigne trovansi specialmente nell'Eliade, nelle isole dell' Arcipelago e
sovratutto nella Morea. Fra i vini sono rinomati quelli delli Cicladi, spe-
cialmente i prodotti di Santorino e di Tynos. Si calcola che la Grecia e le
sue isole producano circa 4 milioni di ettolitri di vino (H. Hamm); ma
questo dato ci pare erroneo, se badiamo alla piccola estensione dei vi-
gneti in quel regno. Infatti il Moniteur Vinicole (gennaio 1884) as-
segna alla Grecia, più l'isola di Cipro, la sola produzione complessiva di
1,600,000 ettolitri. Dai nostri calcoli risulterebbe che la Grecia colle
sue isole produce in media soltanto 1 milione di ettolitri di vino.
Per dare un'idea dell'importanza del commercio delle uve secche
di Grecia (golfi di Corinto e di Patrasso) indicheremo qui le quan-
tità di uve di Corinto (passolina) esportate dal porto di Patrasso
nell'anno 1878:
Uva proveniente da Patrasso libbre venete (1) 23,673,456
»
Egina
»
19,225,834
»
Zante
»
14,002,853
»
Cefalonia
»
24,527,908
»
Catacolone
»
23,096,201
»
Corinto
»
10,745,651
»
Nupactia
»
98,305
»
»
Missolungi i
Etslicone j
»
1,214,875
»
Elide
»
9,174,434
»
Trifilla
»
17,035,058
»
Leucade
(S. Maura)
»
10,370
»
Messenia
»
8,858,430
Totale 151,663,379
Se vi aggiungiamo l'uva uscita dagli altri porti del Reame di Grecia,
raggiungiamo il totale di 170 milioni di libbre venete. La Francia da
sola nel 1878 ne comperava per 30 milioni di libbre al prezzo di lire
270 ogni 1000 libbre, cioè L. 50 al quintale; però nel 1882 e 1884
corrente il loro prezzo scese in Francia a L. 35 a 37 al quintale.
(I) Circa \\2 chilogramma.
56 CAPITOLO III
Il rimanente è spedito sovratutto in Inghilterra, a Trieste, in Ger-
mania e negli Stati Uniti d'America.
b) L'isola di Cipro conta 8000 ettari a viti, i quali producono
150 mila ettolitri di vino; si calcola che ogni ettare produca 20 et-
tolitri di vino rosso, e soli 8 a 9 ett. del vino rinomato della Com-
manderia. La coltura delle viti a uve nere si incontra specialmente
intorno ai monti Olimpici e presso Idalia. Neil' isola si producono
moscato soprafìno e vini rossi o neri, che si smerciano in Siria, in
Egitto ed a Trieste.
cj La Russia Europea ha una assai meschina importanza come
produttrice di vino: infatti H. Hamm (1) calcola ne produca appena
650 mila ettolitri, naturalmente nella sua parte meridionale, la sola
che sia compresa nella zona della vite; altri invece ne porta il pro-
dotto ad oltre il milione e mezzo di ettolitri. Gli è specialmente nella
Bessarabia, nei dintorni di Odessa, nella Caucasia, nel Regno di A-
stracan ed in Crimea che si coltivano viti; il suolo ed il clima della
Crimea vi sono assai adattati, come lo sono eziandio ad Astracan e
nel Caucaso; ma tuttavia la viticoltura vi è ancora relativamente
poco estesa, nonostante gli sforzi del Governo russo intenti a diffon-
dere questa coltura nella parte meridionale dell'impero (2). Disgrazia-
tamente nel 1880 venne segnalata la fillossera a Magaradska, appunto
in Crimea nonché nel Caucaso. — Ad Astracan le uve sono squisite:
Humboldt, nel suo Cosmos (3), dice: « io non vidi mai in alcuna parte
del mondo, neppure nelle isole Canarie, né in Ispagna, nò nella Francia
Meridionale, frutta squisite e specialmente uve più belle che ad Astracan
presso le spiagge del mar Caspio, dove con una media temperatura
annua di circa 9°, la temperatura media nell'estate sale a 21°,2 C. »
La produzione vinicola della Russia si suddivide approssimativa-
mente come segue:
Bessarabia . .
Crimea
Governo di Cherson
Caucasia (Nord) . .
Caucasia (Sud) . .
Ettolitri 369,000
» 148,000
19,000
» 406,000
» 1,000,000
(1) Loc. cit.
(2) Nel 1884 il Governo Russo deliberava di aprire una Scuola di Viticultura
nel Caucaso.
(3) Kosmos, tomo I, pag. 347.
STATISTICA DELLA VITE 57
dj Turchia Europea. La Rumanìa. Si calcola che questo
principato (Valachia e Moldavia) produca annualmente 600 mila
ettolitri di vino sovra 90 mila ettari vitati: però, secondo la rela-
zione ufficiale della vendemmia del 1872, la Rumanìa avrebbe pro-
dotto 1,037,436 ettolitri di vino, mentre la superfìcie dei vigneti sarebbe
ora di 102,000 ettari, il che indicherebbe un progresso nella viticol-
tura. Gli è specialmente nei paesi collinosi dell'altopiano della Tran-
silvania (Carpazii del sud-est) che si coltiva la vite.
e) La Serbia. Anche in questo principato si coltiva con cura
la vite; non possiamo però precisare su quanta superficie, né quanto
vino si raccolga annualmente. I vini di Serbia erano fino a questi
ultimi tempi poco o punto conosciuti; si credevano mal preparati,
di cattiva qualità, malsani ecc. Ora però la Francia, che cerca o-
vunque vini, ha rivolto l'occhio anche sulla Serbia e, come rimarca
il Barone Babo nel giornale Die Weinlaube, quei vini sono di
esimia bontà, sempre sani, genuini e possono venire esportati diret-
tamente dal paese. Sono vini per la maggior parte d'intenso colore
rosso; mescolandone un ettolitro con ugual quantità di vino bianco,
questo si colora come il più rosso vino di Vòslau (località presso
Vienna dove produconsi vini di eccellente qualità). Quel che più au-
menta il pregio dei vini della Serbia è questo; nel mentre essi con-
tengono gran quantità di tannino, sono assai poveri di acidi, pro-
prietà codesta che manca ai vini della Dalmazia, del Tirolo meridio-
nale, dell'alta Italia, dell'Istria. E ciò non dipende dal clima, non
dal suolo, ma dalle diverse varietà di uve che si coltivano in Serbia,
fra cui anche la Catawba (1). L'intensità del color rosso si credeva
a principio artefatta usando la fuscina, ma Babo trovò i vini della
Serbia sempre genuini, sani e di gratissimo sapore. Ora essi vanno
in Francia e nella Svizzera.
f) La Bosnia, la Erzegovina e la Bulgaria producono a lor
volta buoni vini, e costituiscono anzi i paesi esportatori di simile prodotto
della Turchia Europea; ci mancano però i dati precisi sulla estensione
e sui prodotti di quei vigneti. Solo sappiamo che nel 1884 il Governo
di Bulgaria deliberava di aprire alcune Scuole Viticole ed Enologiche,
in vista dell'importanza che va acquistando colà l'industria del vino (2).
(1) Uva americana originaria della Carolina del Nord, nera o bianca; di essa
parleremo al capitolo Viti americane : per intanto veggasi anche il § 8 che segue.
(2) I concorrenti al posto di Direttore possono rivolgersi al Ministro dei lavori
pubblici e di agricoltura a Sofia.
58 CAPITOLO III
§ 8. La viticultura nell' America del Nord. — È pregio
dell'opera esaminare con qualche dettaglio lo stato della viticultura
nell'America Settentrionale, inquantochè trattasi di un vastissimo di-
stretto, nel quale vegeta la vite, e che potrebbe produrre grandi
quantità di vino, qualora la viticultura continuasse ad estendersi con
quella rapidità che si è notata in quest'ultimo decennio, e quando
venissero a coltivarsi di preferenza certe specie o varietà che danno
vini potabili e non sgradevoli, come sono molti fra quelli delle viti
del Nord-America. Premetteremo che, a cagione della fillossera, che
vi è colà indigena, almeno nei paesi dell'est delle Montagne Rocciose,
la vite europea introdottavi replicatamente non vi potè mai attecchire.
Dopo la scoperta d' America si tentò di portare colà parecchie va-
rietà della nostra vite onde essere in grado di fabbricare buon vino.
Nel 1630 una Compagnia di Londra inviò alcuni viticultori francesi nella
Virginia coll'incarico di piantarvi delle varietà europee, che quei viticul-
tori stessi avevano portato seco loro; ma i tentativi fallirono. Nel 1633
William Penn volle tentare la stessa cosa nella Pensilvania; senonchè egli
pure fallì ed in breve tempo le giovani piante morirono. Nel 1690 il ten-
tativo fu rifatto da alcuni viticultori dei dintorni del lago di Ginevra;
essi si recarono negli Stati del Sud (Kentucky) ma vi rimisero ben
50,000 lire; allora si diedero a coltivare una vite del luogo, cioè una
vite americana, e questa fu la varietà detta Alexander o Cape, che fu
la prima vite d'America coltivata nel Nuovo Mondo; ed ecco che dopo
questo cangiamento di ceppo, quegli industriosi Svizzeri riuscirono
ad impedire la morte delle viti.
Se noi dovessimo enumerare qui tutti gli insuccessi toccati ai vi-
ticultori francesi, spagnuoli, inglesi, svizzeri e d'altri paesi, che voi-
lero coltivare in America la vite europea, non la finiremmo tanto
presto. Ci limiteremo perciò a citare alcune parole stampate nel gen-
naio del 1851 nell1 'Horticulturist di Downing: « L'introduzione delle
» viti straniere nel nostro paese per la coltura in grande è impos-
» sibile. Migliaia di persone l'ha tentata, ma il risultato fu sempre
» lo stesso; 'una stagione o due di promesse e poi scacco completo. »
Riassumendo dunque, si ritiene impossibile la cultura della vite
europea nell'America del Nord (1).
(1) Per essere esatti conviene fare una eccezione per la California, uno degli
Stati del Pacifico: ivi, benché la fillossera abbia fatta la sua comparsa, pure le
viti europee (Malvasia, Zeinfeindel) resistono abbastanza bene. Non resistono però
le viti della Missione importate da Madera.
STATISTICA DELLA VITE 59
Negli Stati Uniti dell'America del Nord si coltivano adunque, fatta
eccezione per la California, esclusivamente le viti indigene, delle
quali abbiamo detto qualche cosa a pag. 18 § 3 e di cui ci occu-
peremo a lungo e spesse volte in questo volume (1) per la grande
importanza che talune fra di esse hanno assunto di fronte alla grande
quistione della fillosseronosi. La superficie coltivata a vite, che nel
1850 era solo di qualche migliaia di ettari, nel 1880 raggiungeva già
i 43,000 ettari, di cui 14,000 nella California.
La produzione del vino nel 1850 era soltanto di 10 mila ettolitri;
nel 1860 saliva ad 80 mila circa, ed oggi si può ritenere prossima
ad 1 milione di ettolitri; come vedesi 1' aumento è notevolissimo.
I 43,000 ettari coltivati a vigna negli Stati Uniti rappresentano un
valore di 67 milioni di lire, cioè in media L. 1500 all'ettare; il che
dimostra che i terreni vitati hanno colà un non piccolo valore, per
quanto esso sia assai inferiore a quello di molti vigneti italiani e
francesi.
La California è, fra gli Stati dell'America del Nord, quello che pro-
duce più vino: nel 1880 il raccolto totale fu di 480 mila ettolitri
di cui 380 mila in vini ed il resto in acquavite e liquori; nel 1881
la produzione si elevò oltre i 480 mila ettolitri circa. Ora, non ostante
una produzione così meschina di fronte ai bisogni degli Stati Uniti
(dove il vino è assai caro, epperò pochissimo diffuso) la California
trovò modo di aumentare la sua esportazione vinicola, la quale
nel 1877 fu di 58,511 ettolitri
» 1878 » 67,037 »
» 1880 » 98,250 »
E nel frattempo si emancipò dai vini francesi; poiché mentre la
Francia nel 1872 aveva inviato in California ben 280 mila ettolitri
di vino, nel 1880 non riuscì ad inviarne che 20 mila.
Senonchè i vigneti di California sono da qualche anno fillosserati,
massimamente nei distretti di Sonoma e Sacramento: intanto, siccome
gli Americani non sogliono perder tempo, stabiliscono già fabbriche
di solfuro di carbonio e fanno le sommersioni mercè i numerosi corsi
d'acqua che discendono dalla Sierra Nevada.
(1) Ai capitoli Viti Americane e Fillossera devastatrice,
60 CAPITOLO III
Oltre la California sono vitiferi gli Stati della Georgia e dell'Ohio,
ove si producono i migliori vini americani; quello della Virginia, che
fa grande commercio di uve fresche e da vino, quelli della Florida,
del Massasuchets, della Pensilvania, della Carolina e del Missouri.
Ecco ora alcune notizie sui vini americani secondo i sigg. Prof.
Saint-Pierre e Foéx, che analizzarono i campioni presentati al Con-
gresso viticolo di Montpellier del 1874; i risultati delle loro analisi
sono utili a conoscersi, onde farsi un concetto sui prodotti vinicoli del-
l' America Settentrionale:
STATISTICA DELLA VITE
61
V»
Quadro A, — VINI ROSSI.
NOME
del vitigno
Tipo Labrusca.
Concord
Concord
Concord
Ives seedling
Ives seedling
Ives seedling
North Carol.
Tipo Aestìvalis
Cvnthiana . . . .
Cynthiana ....
Norton's Virginia .
Riesen Blatt . . .
Tipo Cordifolia
Clinton
Tipo Rotundifolia
Scnppernong . . .
Ibridi di Roger
Wilder
Alcool
per cento
in
volumi
12,40
16,90
11,60
10,70
13,30
11,30
13,50
14,90
16,20
12,00
14,50
15,00
17,50
13,40
Acidità
per litro
4,37
4,87
5,66
5,36
5,86
5,66
4,87
4,77
6,26
5,66
4,57
5,76
Residuo
secco
a 100°
per litro
4,87
20,48
27,74
21.29
24 2
19,68
25,32
25,48
27,42
25,49
22,25
120,80
16,93
Osservazioni
Colore tendente al giallo
Buon gusto, poco pro-
fumo.
Gusto particolare
Gusto disaggradevole
Profumo troppo forte
Bellissimo colore
Sapore disaggradevole
Ottimo gusto e bel co-
lore.
Colore ranciato
Molto zuccherino
Ottimo in tutto
Bel col., sapore marcato
Eccess. zuccherino
Gusto disaggradevole
62
CAPITOLO III
Quadro 33
VINI BIANCHI.
NOME
del vitigno
Alcool
per cento
in
volumi
Acidità
per litro
Residno
secco
a 100°
per litro
Osservazioni
Tipo Labrusca
Concord
10,50
5,36
20.60
Concord . . . , .
12,50
4,77
—
Gusto disaggradevole
Catawba . , . . .
13,50
4,27
—
Poco profumato
Catawba
12,50
5,66
17,00
Molto profumato
Delaware
13,00
5,66
—
—
Delaware
11,90
4,67
19,20
Molto zucchero
Martha
14,00
4,27
20,80
Color roseo
Tipo Aestivalis
Herbemont .
14,00
—
19,20
Herbemont ....
10,80
5,46
16,77
Cunnigham ....
15,00
5,17
20,15
Rulander
15,00
4:97
—
Tipo Cordi fo Ha
Taylor
15,40
5,17
20,15
Profumo poco aggradev.
Taylor
13,00
5,66
—
Gusto dolce di cassia
Tipo Rotundifolia
Scuppernong ....
15,20
—
—
Sapore assai disaggrad.
Scuppernong ....
16,10
3,77
23,20
Sapore farmaceutico .
Scuppernong ....
12,4
6,66
—
Scuppernong ....
—
—
57,25
Eccessivamente zuccher.
Ibridi di Roger
Goethe
13,20
5,17
20,00
Color roseo
STATISTICA DELLA VITE
63
Quadro C — VINI DI CALIFORNIA.
NOME
del vitigno
Alcool
per cento
in
volumi
Acidità
per litro
Residuo
secco
a 100°
per litro
Osservazioni
Vitigni indigeni colti-
rati dalla Viticoltu-
ral Society ....
15,00
3,77
35,70
Il residuo secco è violaceo
Id.
14,80
4,17
51.60
Molto zucchero
Id.
15,00
3,80
38,00
Id.
Vitigni stranieri colti-
vati dalla Viticoltu-
ral Society ....
14,30
3,18
35,40
Il residuo secco è violaceo
Id.
15,65
3,38
27,50
Molto dolce
La forte dose di alcool che si osserva nei detti vini dimostra che
gli Americani, amando i vini alcoolici, aggiungono quasi sempre zuc-
chero o spirito all'atto della vinificazione.
Il Prof. W. Mallet, dell'Università di Virginia, ci porge i seguenti
altri dati analitici sui vini dello Stato di Virginia: ecco i campioni
da lui analizzati:
1. Virginia Claret. — Vino rosso fatto coll'uva « Alvey » senza
aggiunta alcuna di alcool o di zucchero. Prodotto dalla Società Vi-
nicola Monticello di Charlottesville; Ad. Russow direttore.
2. Virginia Rock. — Vino bianco fatto col mosto di prima pres-
sione dell'uva « Concord » senza alcuna edizione di zucchero; ven-
demmia del 1873. Prodotto dalla Società Vinicola Monticello.
3. Bacchantees. — Vino rosso brillante fatto con pura uva « Con-
cord » vendemmia 1871. Prodotto nella vigna Laurei Hill a Norfolk;
proprietario Lemosy.
4. Concord, detto anche Claret. — Vino rosso, tinta di mediocre
intensità fatto coll'uva « Concord. » Prodotto nella vigna Belmont
a Front Royal; proprietario Buck.
64 CAPITOLO III
5. Concord dolce. — Vino rosso scuro, fatto con uva « Concord »
con aggiunta di alquanto zucchero di canna raffinato; vendemmia del
1871. Prodotto nella vigna Laurei Hill già citata.
6. Ives. — Vino di un bel color rosso chiaro, fatto coli' uva « Ives. »
Dalla vigna Belmont.
7. Delaware — Vino bianco pallido e brillante, fatto col mosto
dell'uva « Delaware » con aggiunta di Ij4 di libbra (113 grammi)
di zucchero per ogni gallone (litri 4,500) del mosto stesso; vendemmia
del 1873. Società Vinicola Monticello.
8. Sveet Delaioare. — Vino bianco dolce, fatto con uva « De-
laware » con aggiunta di sciroppo di zucchero di canna raffinato-
Vendemmia del 1881. Ottenuto nella vigna Laurei Hill.
9. Rock. — Brillantissimo vino bianco fatto col puro mosto del-
l'uva Delaioare. Dalla vigna Belmonte.
10. Catawba. — Vino bianco fatto con puro mosto di uva « Ca-
tawba » prodotto nella vigna Belmont.
1 1 . Norton. — Vino rosso porpora molto scuro fatto coli' uva
detta Norton 's Virginia senza nessuna aggiunta di zuccaro 0 di
spirito. Vendemmia del 1873. Società Vinicola Monticello.
12. Dry Norton. — Viao rosso carico, asciutto, secco, fatto come
il precedente con Norton 's Virginia senza alcuna aggiunta. Pro-
dotto nella vigna di Laurei Hill.
Ecco i risultati ottenuti dalle analisi del Prof. Mallet:
STATISTICA DELLA VITE
65
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0. Ottavi, Trattato di Viticoltura
66
CAPITOLO III
La ricchezza alcoolica di questi vini venne indicata in peso; sic-
come fra noi si usa rappresentarla in volume, daremo qui i corri-
spondenti valori.
1. Virginia- e alcool
2. Virginia-h.
3. Bacchantees
4. Concord .
5. Concord .
6. Ives
7. Delaware
8. Sweet Delaware
9. Delaware
10. Catawba
11. Norton .
12 Dry Norton .
Dall'esame di questa tabella si deduce che i vini della Stato di
Virginia presentano riguardo alla alcoolicità, un percento relativa-
mente elevato, dovuto specialmente allo zuccheraggio dei mosti. Ciò
può fornirci un criterio abbastanza importante per studiare il gusto
dei consumatori americani relativamente ai vini.
in volume
12,0
»
10,8
»
12,3
»
12,3
»
14,2
»
13,9
»
11,8
»
13,0
»
15,3
»
12,3
»
13,0
»
14,2
§ 9. La viticoltura nell'America del Sud. — Anche nell'Ame-
rica meridionale la viticoltura, benché lentamente, accenna a progre-
dire. Quantunque taluni accennino a viti indigene colà esistenti, si ritiene
generalmente che la viticoltura abbia incominciato nel 1602, quando
i Gesuiti introdussero taluni vitigni europei nel Paraguay, nell'Uru-
guay e nella Bolivia. Oggi si coltivano viti europee nella Repubblica
Argentina (viti di Spagna) ed in Bolivia, ove sonovi vigneti molto
rinomati nella vallata di Cinti (1) ad un'altezza di circa 1500 metri
sul livello del mare; quivi la viticoltura spingesi fin sotto al 20° di
latitudine sud, ed è 1' altitudine che la favorisce; senza di ciò essa
vi sarebbe limitatissima, come la è nel Chili, e più al nord, cioè verso
la linea equatoriale, nel Perù e nell'impero del Brasile.
(1) Cinti, altra volta Camargo, sul fianco orientale delle Ande della Bolivia, sul
fiume omonimo affluente del Rio Pilcomayo: secondo Weddel vi si produce un
vino eccellente, forse il migliore fra tutti i vini d'America.
STATISTICA DELLA VITE 67
Ci mancano notizie approssimative sulla estensione della viticol-
tura nell'America del Sud: solo sappiamo che nella Repubblica Ar-
gentina si fabbrica assai male il vino, il quale sopporta difficilmente
i viaggi; all'interno, e così a Mendozza, a Catamarca, a Rioja, a San
Juan, non si beve che vino indigeno. Intanto sin dal 1875 il Congresso
nazionale della Repubblica Argentina ha decretato l'apertura di scuole
vinicole pratiche e dirette da enologi esperimentati venuti dall'estero.
La viticoltura, quando fosse meglio studiata, potrebbe dare i più bril-
lanti risultati in tutta la detta repubblica: i sigg. Claras e Heusser già
posseggono vigneti fiorenti in una zona al sud della provincia
di Buenos- Ayres. La provincia d'Entre Rios ed una parte di quella
di Corrientes sono singolarmente adattate alla coltura della vigna:
lo stesso deve dirsi delle montagne di Cordoba. La Sierra di Cor-
doba diventerà senza dubbio, in un tempo non lontano, una vera re-
gione vinicola.
Nel Chili vi sono eccellenti specie di vitigni: eppure vi si fabbrica
un vino torbido ed aspro, il quale però non manca riè dfcolore né
di forza.
L'America meridionale compera in Europa una quantità sempre
crescente di vino, perchè — massime nelle grandi città — i vini
europei sono di gran lunga preferiti a quelli indigeni. Ecco alcune
notizie in proposito: la Spagna vende annualmente nella Repubblica
Argentina tanto vino per circa 13 milioni di lire; la Francia per 12
milioni e Y Italia per 1 milione e Ij2 a 2. Vi sono però colà 430
mila italiani, 80 mila spagnuoli e 50 mila francesi, ond'è a sperare
che il vino italiano abbia in breve ad occupare il primo posto.
§. 10. La viticoltura in Africa. — La viticoltura in Africa
è limitatissima, e questo perchè i 4/5 della sua superfìcie si trovano
nella zona torrida ove la temperatura media (nell'Africa equa-
toriale) è circa di 29° C; superiore cioè di 1° a quella dell'Asia e
di 2° a quella dell'America equinoziali; e dove può raggiungere
gradi elevatissimi, come ad esempio 56° nel Fezzan e 70° nell'A-
frica australe! (V. pag. 30). Però nell'Algeria, nell'Egitto e nelle
isole poste al nord-ovest dell'Africa nell'Atlantico (Canarie, Azorre,
Madera), vale a dire nella parte settentrionale del continente africano,
circa fra il 27° ed il 36° di latitudine nord, come pure nell'Africa
meridionale (Colonia del Capo) circa fra il 30° ed il 35° di latitu-
dine sud, la vite vi prospera e vi dà ottimi prodotti.
68 CAPITOLO III
a) Algeria. In Algeria la viticoltura ha preso da varii anni un no-
tevole incremento per opera dei Francesi, i quali se ne occupano con
amore e sperano di giungere a produrvi vini rinomati, specie sul tipo
del famoso vino spagnuolo di Jerez de la Frontera o Xeres; si
basano, a questo riguardo, sulla identità della composizione chimica del
terreno dei dintorni di Xeres e di quello della provincia di Oran e di
altre località algerine. In complesso questa colonia, sia pel clima
come pel terreno, è adattata essenzialmente alla produzione dei vini
liquorosi ed alcoolici sul genere del Porto, del Malaga, del Madera
e del Marsala; i vini da pasto pare non possano reggere ai viaggi,
e conviene perciò consumarli in paese: tuttavia diremo che nel 1883
alcuni negozianti francesi ne fecero in Algeria discrete provviste per
uso della Francia.
Ecco alcuni dati sulla estensione della vite e sulla produzione vini-
cola dell'Algeria. Nel 1876 non si contavano che 16,700 ettari a
vigna, i quali diedero 221,000 ettolitri di vino: nel 1882 il numero
degli ettari oltrepassò i 37,000 e la produzione raggiunse i 947,153
ettolitri. Come vedesi si tratta d'un importante distretto vitifero, al
quale la Francia prodiga molte cure, massime dopo V invasione fil-
losserica nella Francia meridionale.
b) Egitto. La coltura della vite è antichissima in Egitto; dap-
prima florida, decadde e quasi scomparì a cagione dei precetti del
Corano. Maometto infatti chiamava il vino « una abominazione in-
ventata da Satana » (1) e prometteva la felicità a chi se ne fosse
astenuto: ma il curioso si è che questa felicità nella vita futura sa-
rebbe stata, secondo lo stesso Maometto (2), il trovarsi fra ruscelli
di latte e « ruscelli di vino, delizia di quelli che ne beveranno. » Il
grande legislatore apprezzava adunque il vino, ma ne sconsigliava
l'uso su questa terra a' suoi fedeli; fatto è che, per la esaltazione re-
ligiosa di quei tempi, che certo non ha più riscontro nella fiacca fede
d'oggidì, la viticoltura decadde del tutto. Lungo la valle del Nilo
ed in tutto quel grande triangolo che si estende tra il Cairo a mez-
zodì, Alessandria ad occidente e Porto-Said a levante, è un succe-
dersi continuo di campi coltivati a cotone, i più belli forse che pos-
sano vedersi, di grano, di fave, di zucchero, di trifoglio, con boschi
(1) Corano, Cap. V, versetto 92.
(2) Id., Cap. XLVII, vers. 16.
STATISTICA DELLA VITE
di palme di tratto in tratto, paludi, risaie, ma vigneti punto (1).
Infiacchitosi lo spirito religioso, la viticoltura accenna ora ad un ri-
sveglio, massimamente dopo che Mohamed Ali vi fece piantare due
milioni di viti di varie qualità, fra cui le mangerecce (zibibbo) (2).
Il terreno egiziano è molto adattato alle viti, escluso però il Delta,
ossia l'alluvione del Nilo, ove la vegetazione, secondo il Dr. Couvidon,
è così rigogliosa che la potatura non basta a moderarla, e l'uva vi
matura così irregolarmente, che sullo stesso ceppo si trova il fiore,
l'agresto ed il grappolo maturo, appunto come accade sotto l'equa-
tore (pag. 38); a ciò contribuiscono la fertilità del suolo, il calore e
l'umidità.
Oggi in Egitto si trovano qua e là vigneti floridi; uno fra i più rino-
mati è quello impiantato a Raz-el-Ouadi (provincia di Zagarig) dal si-
gnor Nourisson-bey, cittadino svizzero: questo vigneto, tenuto a cor-
doni orizzontali su fili di ferro, produsse già al quarto anno molta
e bellissima uva. Anche l'italiano Carlo Mazzetti, Regio Agente Con-
solare d'Italia a Zagarig, ha ottenuto ottimi risultati con talee e bar-
batelle di varietà italiane. Infine è indubitato che l'Egitto potrebbe
diventare un importante paese vitifero; ma noi non crediamo che
ciò accadrà tanto presto, anzitutto perchè oggi V Egitto si è dato
con molto ardore alla coltura del cotone , che esporta in grandi
quantità; e poi perchè gli Egiziani, a cagione del caldo clima locale,
non sentono il bisogno del vino; prova ne sia che quasi tutto quello colà
importato è bevuto dai 90,000 stranieri (per la massima parte Europei)
che dimorano in Egitto e dalle navi che si provvedono di viveri, sovra-
tutto se dirette alle Indie (3). L'Egitto compra specialmente il vino
francese fino e da pasto, il vino greco ordinario ed in ultimo il vino
italiano.
Attualmente le poche viti coltivate in Egitto, massime nel Fayum,
regione a mezzodì del Cairo, lo sono per l'uva, che vi matura assai
bene e forma grappoli meravigliosi, secondo l'espressione dei visita-
tori di quel paese.
e) Le Canarie, le Azorre e Madera. Passando sopra, per as-
(1) Così l'avv. G. Pio di Savoia, R. Vice Console in Algeri, in una sua bella
« Memoria sulla Viticoltura in Egitto ». (Bollettino Consolare: fase. II, feb-
braio 1883).
(2) G. Rosa: Storia dell'Agricoltura nella civiltà (pag. 357).
(3) Pio di Savoia: loc. cit., pag. 158.
70 CAPITOLO III
soluta deficienza di dati, ai vigneti esistenti nei dintorni di Tangeri
(Marocco) sulla costa dello stretto di Gibilterra, diremo che le isole
Canarie producono buoni vini, non però uguali a quelli di Madera,
benché dello stesso tipo. Le Azorre sono pure molto vitifere, anzi
il vino è uno fra i loro più importanti prodotti: i vini d'esportazione
si producono specialmente a Pico, una delle nove isolette del gruppo,
ma poi si trasportano a Fayal, eh' è il centro del commercio. Il
gruppo di Madera (Madera e Porto Santo) dal lato viticolo è il
più importante fra le isole africane dell'Atlantico; una volta vi si
producevano 150 mila ettolitri vino di due qualità, cioè quello che
in commercio chiamasi London Particular o Madera ordinario, ed
il Malvasia o Malmsey che vale il doppio (1). Però la produzione è
oggi diminuita, sia perchè in molte località la vite fu sostituita dalla
canna da zucchero, sia perchè la fillossera si mostrò colà sin dal
1879, specialmente a Camara de Lobas.
Nel 1852 il raccolto fu nullo nell'isola di Madera, perchè i vigneti
furono devastati daWoidium, e per nove anni si può dire che Madera
non produsse vino; ma dal 1861, anno in cui si raccolsero 1600 etto-
litri, il raccolto di vino andò sempre aumentando, e dal 1870 ad
oggi il raccolto annuo fu di oltre 40,000 ettolitri in media. La più
antica Casa vinicola di Madera fu fondata nel 1745.
La vite a Madera e Porto Santo è coltivata in luoghi molto ripidi,
e quindi su banchine o terrazze, che si elevano talvolta sino a 2000
piedi sul livello del mare; il terreno spesso è costituito da semplici
ceneri vulcaniche nere o grigie, e si suole qualche volta bagnarlo
mediante condotte d'acqua stabilite sul fianco delle montagne. Il mosto-
vino si trasporta generalmente a Funchal (porto dell'isola Madera),
ove si colloca nelle estufas onde subisca l'influenza dell'alta tempe-
ratura durante parecchi mesi; dopo si mette in botti e si commercia
passati due anni almeno. Un armazen o magazzino di Funchal contiene
una serie di fabbricati, che sono la fabbrica di tini e botti, le cantine,
\ estufa ed il pateo o deposito. I fusti nei quali si mette il vino di
Madera si chiamano pipe ed ogni pipa ne contiene 418 litri.
(1) Oltre alla Malvasia, che è dolce e delicata, si producono anche il Bual ed il
Verdelho, vini bianchi secchi aromatici, il Tinta, vino rosso astringente sul genere
del Porto, ed il famoso Sorciaie, che è uno squisito vino secco, il quale si fa per-
fetto dopo dieci o quindici anni. Nella nostra Monografia sui vini di lusso, sonovi
molti dettagli su questo vino: pag. 154 (2a ediz. 1884).
STATISTICA DELLA VITE 71
d) Colonia del Capo di Buona Speranza. Questa penisola, la
quale gode di un clima dolce e temperato, è assai propizia alla col-
tura della vite, fatta forse eccezione delle terre alluvionali presso il
Capo, ove la vite dà prodotti di qualità inferiore. I vigneti del borgo
di Costantia producono vini rinomatissimi, liquorosi, fragranti, sul ge-
nere del Tokay; però si tratta d'una produzione assai limitata e che
quasi non dà luogo ad esportazione. Si esportano invece, sotto il
falso nome di vini di Costantia, i moscati che si raccolgono nei vi-
gneti posti fra la Falsa baia e quella della Tavola. Ci mancano i
dati sull'estensione dei vigneti e sui loro prodotti nella colonia sud-
detta.
§ 11. La viticoltura in Australia. — Questo continente va
assumendo grado grado una sempre crescente importanza come pro-
duttore di vino. Abbiamo già detto a pag. 25 che alcuni Svizzeri
sin dal 1851 introdussero viti europee nella colonia di Victoria: se-
condo Carlo Jung (1) la viticoltura avrebbe invece incominciato sin
dal 1837 nella Nuova Galles meridionale, ove una famiglia tedesca
di Hattenheim (Rheingau) introdusse in queir anno vitigni europei:
ciò è molto attendibile, perchè oggi ancora il miglior vino di quella
colonia è il Riesling.
Ecco la superficie occupata dalle viti nelle varie colonie;
Superficie totale
Nuova Galles del Sud acri 4200 (2) 799,138 chil. quad.
Victoria » 4500 229,000 »
Australia Meridionale » 4200 2,342,000 »
Queensland » 700 1,737,000 »
Australia Occidentale » 700 2,527,000 »
Enrico Greffrath, uno fra i migliori conoscitori dell'Australia, par-
lando delle condizioni climatiche della colonia di Victoria, dice che le
isotermiche la pongono al medesimo livello di Marsiglia, Bordeaux,
Bologna, Nizza, Verona e Madrid; la media temperatura annuale è di
(1) Australien und Neuseeland; Historische, geographische und statistische
Skizze — Leipzig 1879, pag. 52.
(2) Un acre corrisponde a circa 40 are e mezza; l'acre si divide in 4 roods\ il
rood si divide in 1210 yards: il yard è uguale a metri quadrati 0,914.
CAPITOLO III
12°,30'
27°,9
31°,8
24°,7
7°,1
27°,30'
20°
25°, 1
13°,7
11°,4
34°
16°,9
21°,7
11°,7
10°,6
38°
14°,4
19°,9
8°,7
11°,2
35°
17°,3
23°,2
10°,8
12°,4
32°
18°,8
25°,4
febb.
13°,1
12°,3
14° C. per Melbourne (città capoluogo). Egli ci porge pure i se-
gnenti altri importanti dati sull'Australia in genere:
Latit. Sud Temp. med. Gennaio Luglio Differenze
( massimo ) (minimo)
Porto Darwin
(Aust. sett.)
Brisbane
(Queens.)
Sydney
"(N. Galles)
Melbourne
(Vict.)
Adelaide
(Aust. merid.)
Perth
(Aust. occid.)
Quella parte dell'Australia, la quale trovasi al Nord del tropico del
Capricorno, vale a dire più vicina all'equatore, ha un clima tropi-
cale, la cui temperatura media è di 27° C. e nei mesi più freddi
non meno di 20° C; invece nelle regioni meridionali, come si vede
nel quadro che precede, il clima si avvicina a quello dei paesi del
Mediterraneo, ed è perciò favorevolissimo alla coltura della vite.
Infatti la viticoltura vi si estende sempre più (1) non solo per la
produzione dei vini, ma eziandio per quella delle uve mangereccie;
(la sola Galles ne produce non meno di 9 a 10 mila quintali al-
l'anno). Tuttavia il vino prodotto in paese non basta ai bisogni della
consumazione, ed ogni anno perciò si importano per 500 mila lire
sterline di vini europei; cioè per 12,500,000 lire italiane.
I vitigni che meglio riescono in Australia sono il Riesling sovra
citato, il Verdelho Madera, l'Aucarot, il Pedro Ximenes, il Chasselas
ed il Moscato nero; fra tutti però eccelle il Riesling, col quale si fab-
bricano eziandio buoni vini spumanti. Si coltivano però con successo
eziandio il Cabernet, il Syrrah, il Malbec ed il Roussillon, tutti vi-
tigni francesi. Le uve vi maturano benissimo, talché, secondo il
Wine and Fruii Reporter di New York, dal quale togliamo queste
(1) Il principale viticoltore australiano è il Sig. J. T. Fallon di Murray, che
produce 12 mila ettolitri di vino all'anno.
STATISTICA DELLA VITE 73
notizie, il vino australiano ha in media il 18 °/0 di alcool senza ve-
runa aggiunta, cioè fatto con pura uva. Questa vale in media,
quando è di buona qualità e ben matura, L. 12 a 12,50 al quintale,
mentre in Inghilterra si potrebbe rivendere a L. 150 per la stessa
misura; perciò si fanno sforzi colà per esportare uve in Inghilterra
in un coi vini alcoolici (1). Alla esposizione universale di Parigi del
1878 figuravano i nomi di 140 coltivatori di vigneti australiani pro-
duttori di Riesling, di Borgogna, di Tokay, di Sherry o Xeres e di
Hermitage: però si trovò che questi vini erano lungi dal rassomigliare
ai loro omonimi; invero i tentativi fatti per esportare i vini d'Au-
stralia in Europa non furono insino ad oggi coronati da successo
molto felice; pur tuttavia a Parigi si ebbero premii di incoraggiamento.
Ma alla susseguente esposizione di Sydney, l'Australia si fece molto
onore, e gli Europei recatisi colà dovettero constatare reali e no-
tevoli progressi.
Senonchè sin dal 1878 si scopriva la fillossera a Geelong (città
marittima nella colonia di Victoria) sopra una estensione di 8 ettari;
essa vi fu importata, ed era da prevedersi, coi vitigni francesi, e nel
1883 già aveva invaso, a quanto pare, una superfìcie del raggio di
30 miglia circa.
§ 12. La viticoltura in Asia. — Riassunto e conclusione.
— Sono assai deficienti le notizie che abbiamo potuto raccogliere
sulla viticoltura in Asia, ove d'altronde il vino ha un ostinato nemico
nel maomettanismo, e perciò dovremo limitarci a pochi cenni. La parte
centrale e quella occidentale producono certamente vini ed ottime uve
mangereccie, fra cui sono celebrate quelle di Smirne (Corinto), e già
dicemmo che l'Asia Minore fu la patria della vite e della viticoltura
(pag. 15); si sa pure che nel Kaschemir si producono vini alcoolici
sul tipo del Madera, e che nella Persia le viti, da tempi remotissimi,
sono coltivate dai Guebri, i seguaci di Zoroastro; che si coltivano
pure viti nel Turkestan, ad Ispahan, ove si fa un buon moscato e
si producono uve mangereccie; che infine nel Canato di Bokhara,
nell'Asia Centro-occidentale, vi sono molte varietà di uva, e che le
(1) Chi si occupa specialmente di ciò, è il valente viticoltore Dottor Bleasdale
di Melbourne. V. Giornale Vinicolo Italiano, da me diretto, volume IV, pa-
gina 315.
74
CAPITOLO III
uve secche di quella provenienza sono le più grosse e le più fine
che si possano mangiare.
In quanto alla Cina ed al Giappone non risulta che vi si coltivino
seriamente viti (1), né che vi siano viti europee o asiatiche allo stato
selvatico, perchè quelle colà trovate dai signori Degron e Caillaud
anziché viti vinifere sono verosimilmente cissi (2); del resto al Giap-
pone, per causa della umidità, le uve danno vini deboli ed acquosi, e
pare che le viti si coltivino solo nei giardini. Le viti della Cina si
dicono migliori, ma sono scarse perchè i Chinesi bevono assai poco
vino; però ora s'incominciano ad introdurre al Giappone viti europee
e nel 1883 dall'Ungheria partirono per quel lontano impero oltre a
100 mila piantine (barbatelle) allo scopo di tentarne la coltura ed
acclimatarle, cosa che secondo ogni probabilità riescirà bene.
Riassumendo, la viticoltura e la produzione vinifera nel mondo
sarebbero rappresentate, molto approssimativamente, secondo i dati
più recenti e più attendibili, dai seguenti numeri:
Superficie vitata Prod. media annua
ettari ettolitri
Francia .
2,095,927
31,300,254 (3)
Italia
1,870,109
30,000,000
Spagna .
1,400,000
22,000,000
Portogallo
250,000
9,000,000
Austria .
210,513
3,692,500
Ungheria
425,314
8,506,280
Svizzera
34,600
1,211,000
Germania
150,000
2,600,000
Grecia .
40,000
1,000,000
Cipro
8,000
150,000
Russia europea
?
1,942,000
Rumanìa
102,000
1,037,436
Serbia .
?
?
Bosnia, Erzegovina, Bulg
aria ?
2
(1) Gabriele Rosa nella sua Storia dell'agricoltura, pag. 346, dice invece che
nel Giappone e nella Cina meridionale si coltivano viti, ma non dice di più.
(2) V. Botanica della vite (Cap. IV).
(3) Media esatta dal 1879 al 1883 (V. pag. 50). .
STATISTICA DELLA VITE
75
America del
Nord colla
Ca-
lifornia
America del Sud .
43,000
?
1,000,000
2
Algeria .
Egitto .
Canarie .
.
37,000
?
2
947,153
2
2
Azorre .
.
2
2
Madera .
Capo di Buona Speranza
Australia
Asia .
2
2
5,700
2
40,000
2
150,000
2
L' Europa, come risulta da questo specchio, è di gran lunga più
innanzi nella viticoltura d'ogni altro paese, quantunque sianvi nel
mondo varie altre zone ove la vite potrebbe prosperare e dare ottimi
frutti: che se la viticoltura del vecchio continente riescirà a circoscri-
vere l'invasione fìllosserica ed a lottare vittoriosamente contro di essa,
non vi ha dubbio che assai difficilmente si riescirà a muoverle una
concorrenza di qualche importanza; ond' è che ci paiono infondati i
timori manifestati da taluno a questo riguardo.
Frattanto il continuo incremento della viticoltura e della enologia
in ogni parte del mondo, dimostra che ognuno riconosce nella Vite
una pianta eminentemente benefica alla umanità, e nel vino la prima
fra tutte le bevande alcooliche.
CAPITOLO IV
Botanica della Vite.
§ 1 . Classificazione : vite d' Europa e viti Americane — § 2. Cissus d'Africa e
d'Asia (Sudan, Arabia, Cocincina, Cina e Giappone) — § 3. Descrizione della
vite o organografia — § 4. Anatomia della vite — § 5 Fisiologia della vite.
§ 1. Classificazione: viti d'Europa e viti Americane. — La
Vitis vinifera appartiene alla divisione delle Fanerogame (1), alla
sotto divisione delle Dicotiledoni (2) all'ordine o famiglia delle Ampe-
lidee (3) ed al genere Vite. La piccola famiglia delle Ampelidee,
che in tutto novera circa 250 specie, comprende altri due generi,
Cissus ed Ampelopsis, le così dette viti selvatiche, ed è nettamente
caratterizzata dalle sue foglie provviste di stipole, dai viticci opposti
alle foglie, dai suoi stami opposti ai petali, e dalla struttura del
frutto e del seme; però il solo genere Vitis dà frutti eduli ed atti
alla buona vinificazione, mentre i frutti di certi Cissus, se sono com-
mestibili e se servono a far vino presso certe tribù negre della Nigrizia,
(1) Cioè piante a fiori manifesti, per distinguerle dalle crittogame, che sono le
numerosissime piante a organi sessuali nascosti o invisibili, così chiamate da Lin-
neo. (Crediamo utile di dare queste spiegazioni elementari, nonché altre molte
che le seguiranno nel corso dell' opera, per quei lettori viticultori che avessero
scordato i principii della botanica).
(2) Cioè con embrione a due cotiledoni, mentre le piante monocotiledoni ne
hanno uno solo: seminando la vite, come il fagiuolo ecc., si hanno due foglie se-
minali appunto perchè la pianta è dicotiledone (V. più innanzi Seminagione).
(3) Parola derivata dal greco: Omero chiamò ampelos la vite.
BOTANICA DELLA VITE 77
(v. pag. 79) non servirebbero se non molto difficilmente alla fabbri-
cazione del vino, quale noi l'intendiamo.
Il Cissus è un arboscello sarmentoso a ricco fogliame come la vite,
adatto a formare pergolati e capanne; cresce spontaneamente in Asia,
nell'America del Nord e nell'Africa ed oggi è acclimatato anche in
Europa: sotto il nome di Ampelopsis si designano generalmente le
viti vergini, ed è notissima la specie Ampelopsis hederacea.
Il genere Vite comprende una sola specie europea od asiatica (la
vera Vitis vinifera di Linneo) e parecchie specie americane. Riley
riduce queste ultime a nove, cioè :
1. Vitis Labrusca 6. Vitis Californica
2. Vitis Aestivalis 7. Vitis Arizonica
3. Vitis Riparia 8. Vitis Candicans
4. Vitis Vulpina 9. Vitis Rupestris
5. Vitis Cordifolia
Soltanto le prime 4 specie sono coltivate in America per ottenerne
direttamente uva da vino. — Alcuni altri autori portarono le specie
americane a ben quarantadue, ma Elia Durand le ridusse notevol-
mente, classificandole come segue :
SEGTIO I. — Vites verse (polygamce aut dioicce).
* RAMI PR^ELONGI ET SCANDENTES.
§ Folia subtus tomentosa seu araneosa.
1. — Vitis labrusca, Linn., V. taurina, Walt. (Fox-grape).
2. — V. ìestivalis, Mich., V. labrusca, Walt. (Summer-grape,
Chicken-grape) .
Var. Sinuata Pursh.
3. — V. cariBìEa, DC, V. indica, H. B. K.
4. — V. mustangensis, Buckley (spec. nova ined.), V. Candicans?
Engelm. (Mustang -g rape).
5. — V. californica, Benth., V. caribcea, Hoock. et Arn.
§§ Folia glabra subtusve pubescentia.
6. — V. cordifolia, Mich., V. vulpina, Linn. ? non Torr. et Gray
(Fox-grape, Winter-grape).
78 CAPITOLO IV
Var. Riparia, Torr. et Gray, V. riparia, Mich., V. odoratis-
sima, Don., V. virginiana, Hort. Par.? V. palmata, Vahl?? (Ri-
ver-grape, sweet-scented-grape).
7. — V. rotundifolia, Mich., V. vulpina, Torr. et Gray (Mu-
scadine, Bullace, Bullet-grape, Scuppernong).
r ** CAULES ERECTI SEU DECUMBENTES.
8. — V. rupestris, Scheele.
9. — V. monticola, Buckley (spec. nova ined.),
10. — V. lincecumii, Buckley (spec. nova ined.) (Post-oak-grape,
Pine- wood-g rape).
SEGUO II. — Pseudo-vites.
* CAULES SCANDENTES.
11. — V. indivisa, Willd., Ampelopsis cordata, Mich., Cissus
ampelopsis, Pers.
12. — V. incisa, Nutt.
13. — V. acida, Linn.
14. — V. bipinnata, Torr. et Gray, V. arborea, Willd., Ampe-
lopsis bipinnata, Mich., Cissus stans, Pers.
15. — V. hederacea, Willd., Ampelopsis hederacea, Michaux,
V. quinquefolia, Lam., Cissus hederacea, Pursh.
Var. Texana, Buckley (var. nova ined.).
In questa classificazione si vede che Elia Durand chiamò giusta-
mente vere vigne quelle che danno un frutto edulo e che può ser-
vire alla vinificazione, a parte la maggiore o minore bontà del vino.
Chiamò invece false viti il Cissus e l'Ampelopsis.
Ma secondo il già citato D.r Regel, direttore del Giardino botanico di
S. Pietroburgo, anche la vite europea od asiatica potrebbe trovar po-
sto fra le suddette viti americane (1) ed il Dott. Engelmann (2) pare
non dissenta totalmente da questa opinione. Regel dice che la Vitis
Vinifera Lin. è il prodotto ibrido ed alterato della coltura delle due
specie selvatiche V. Vulpina e V. Labrusca, ed Engelmann la col-
(1) Op. cit. (v. pag. 17 in nota).
(2) G. Engelmann, Le vigne degli IStati Uniti (nel Catalogo dei signori Bush
e Meissner, pag. 15-10).
BOTANICA DELLA VITE 79
locherebbe fra la V. Riparia e la V. Aestivalis. Il Prof. Braun di
Berlino suppone che le differenti forme della nostra vite dipendano da
specie distinte che, come abbiamo visto nel Capo I, si trovano ancora
allo stato selvatico in molte parti del mezzodì d'Europa e dell'Asia;
queste specie, secondo Braun, non sarebbero sorte accidentalmente
delle piante coltivate, come generalmente si crede, ma rappresente-
rebbero i veri parenti originarii: ed il Dott. Engelmann aggiunge che,
come risulterebbe dalle sue ricerche, la vigna la quale abita le foreste
primitive delle rive basse del Danubio a partire da Vienna sino al-
l'Ungheria, rappresenta in modo chiaro le viti americane Cor di f olia
e Riparia coi loro tronchi spessi da 3 a 6 a 9 pollici, colle loro
abitudini di salire sugli alberi i più alti, colle loro foglie liscie e lu-
centi, appena lobate, e coi loro piccoli acini neri. D'altra parte, sem-
pre secondo Engelmann, la vite selvatica dei terreni accidentali della
Toscana e del Lazio (Roma) colla sua vegetazione più bassa, le sue
foglie tomentose ed il suo frutto più grosso ed alquanto gradevole,
ricorderebbe, malgrado la minor dimensione delle foglie, la vite ame-
ricana Aestivalis.
Noi non possiamo qui chiarire sino a qual punto siano accettabili
queste opinioni dei prefati botanici, che godono meritamente di molta
fama nel mondo scientifico; solo chiediamo come mai nella patria
delle suddette specie americane, cioè negli Stati atlantici, non siasi
sin qui trovato nessun esemplare della Vitis Vinifera allo stato sel-
vatico (1), se è vero che essa è un ibrido di talune fra quelle specie?
In quanto alle varietà delle specie europee ed americane, esse
sono tanto numerose, a causa della coltura e degli incrociamenti, che
non sarebbe qui possibile enumerarle tutte (2); al capitolo Ampelo-
grafia diremo tuttavia delle principali fra coteste varietà.
§ 2. Cissus d'Africa e d'Asia (Sudan, Arabia, Cocincina,
Cina e Giappone). — 1° Cissus del Soudan centrale e della N'i-
grizia. La invasione fìllosserica ha fatto sì che gli esploratori delle
regioni sin qui poco note, fissassero meglio la loro attenzione sulle
viti o sulle piante che loro assomigliano (Cissus). Così è avvenuto
(1) È bene notare che la Labrusca americana non ha assolutamente nulla"; di
comune colla Labrusca selvatica della Toscana e della Francia meridionale. (Il
nome di Labrusca fu impropriamente applicato da Linneo alla specie americana).
(2) Saggio di una Ampelografia universale del Conte G. Di Rovasenda.
80 CAPITOLO IV
che il sig. Lécart portò in Francia dal Sudan centrale una pianta
che egli chiamò Vite tuberosa, vegetante sulle sponde del Niger o
Kuarra e che, a suo parere, si sarebbe potuta coltivare come le
Dalie; ma il dotto ampelografo Vittore Pulliat di Chiroubles (1) scrive
a tal proposito quanto segue:
« La vite del Sudan scoverta dal signor Lécart ha fatto vera-
« mente gran rumore nei giornali. Io credo bene che questo rumore
« sia molto al disotto dell'importanza della scoverta. Un giovine ita-
« liano, che ultimamente fu presso di me, sig. Rebora De Nari, a-
« ve va veduto a Bordeaux il sig. Lécart, appena rientrato in Fran-
« eia; egli aveva assistito ad una conferenza tenuta da questo viag-
« giatore, nella quale mostrò al suo uditorio alcune piante di que-
« sta vite, disseccate e nell'erbario. Queste piante (mi ha egli detto)
« portavano delle foglie assai simili a quelle delle viti ordinarie, ma
« gli acini ne erano differentissimi. Secondo la sua espressione, essi
« avevano la figura di una piccola cimice (punaise). Quest'ultima in-
« dicazione, darebbe bene a credere che malgrado la somiglianza
« delle foglie e la forma del grappolo, la vite del Sudan non ap-
« partenga punto al genere Vitis Vinifera. »
Lo stesso sig. Pulliat, unitamente al Prof. Planchon, ebbe agio
di esaminare un' altra vite (?) del Sudan centrale e propriamente
della Nigrizia, coltivata dal bravo viticoltore sig. Roche a Marsiglia.
Questa pretesa vite è essa pure a radici tuberose e sarmenti legnosi
persistenti (2). Previo diligente esame di cotal pianta sul vivo, il
Prof. Planchon non esita più che tanto ad inferirne trattarsi proprio
davvero di un Cissus, e forse più che probabilmente del Cissus
glandulosa dello Gmelin, fin dallo scorso secolo descritto dal Forskal
sotto la denominazione di Saelantus glandulosus nella sua Flora
Aegypt. arabica, p. 34. Ecco qui riassunte brevemente cotali an-
notazioni del Roche e del Planchon.
In una prima comunicazione dal Roche diretta al Pulliat in data
11 novembre corrente anno troviamo questi primi ragguagli sulla
sua vite di Nigrizia: « Coltivo da sei anni questa vite del Sudan
(1) Lettera al nostro valente ampelografo Barone A. Mendola (V. Giornale Vi-
nicolo Italiano di Casalmonferrato : 1881, pag. 55.)
(2) V. La Vigne Américaine, 1881 (aprile) — e Giornale Vinicolo Italiano, 1881
(maggio) ove il distinto sig. Dott. F. Console pubblicava la nota sulle viti della
Nigrizia sovra riportata.
BOTANICA DELLA VITE
« a Marsiglia. Dessa non è mica però annua, come delle sue dice
« Lecart; che i suoi tralci, che spogliansi di lor foglie ben tardi, per-
« sistono perfettamente, ed anzi vi han sopportato i 15 gradi della
« invernata 1879-80 sempre più fortificandosene, quando che altre
« viti americane circostanti vi soccombevano. Piantata per tubercoli
« tal vite fruttifica lo stesso anno, e al secondo invece se per semi,
« che germinano in proporzioni del 90 0[q e senza affatto traccia
« d'ibridazione. Sua fruttificazione è estremamente abbondante, in
« gruppetti di 15-20 bacche nere, piccole, con un unico vinacciuolo
« costantemente. I semi spargonsi in aprile e levano in maggio, for-
« mando lor radici di 2-5 tubercoli, come a mo' di patate, lunghi,
« un centim. distanti l'un sull'altro verticalmente, quasi fossero sal-
« sicce e fra loro ligati d'un filetto cilindrico della grossezza d'uno
« spaghetto. La foglia è molto doppia, d'un bel verde-bianchiccio sul
« tipo del Solonis americano, ma senza macchie di sorta, anzi d'una
« purezza immacolata di tinta fino a sua caduta (sul finire di no-
« vembre in quest'anno). Veruno insetto frequenta questa vite, io al-
« meno non ve ne ho mai veduto; e tutte le mie ricerche le più minute
« sui semi, trattine due anni fa per inviarne a qualche amico, non
« mi rilevarono mai presenza di fillossera (1). »
E in altra susseguente comunicazione 16 stesso Roche aggiunge
questi altri dettagli: « I pochi tubercoli, che primitivamente ne rice-
« vetti, mi venivano ad intermedio d'un mio amico Direttore di Banco
« a Sierra-Leona in Guinea, che aveali ritirati a mezzo d'una ca-
« rovana di ritorno dall'interno dell'Africa, ove li raccolse sugli alti-
« piani circostanti a una cittaduzza tutta in capanne detta Falabah,
« a 600 o 700 chilometri interiormente. I componenti la carovana
« riferivano le tribù negre preparare col succo di cotal pianta uri
« eccellente liquore, del pari che del vino assai stimato appo loro,
« e del frutto intiero confetture non spregevoli. Questa mia vite di
« Nigrizia s'attacca con estrema facilità ai muri, che riveste rapi-
« damente: il legno ha molto sottile, sul genere di quel della vite
« vergine (Ampelopsis), e pervenuta che sia in piena vegetazione,
« produce fiori e frutti senza interruzione da maggio a novembre,
« a misura che se ne allungano i germogli. La foglia è di tinta
« verde -biancastra, come nel Solonis, ma più lunga e meno larga
« e poi almeno quattro volte più densa, tanto da rassembrare in cotal
(1) Vedi Vigne Américaine, an. 1881, p. 103.
O. Ottavi, Trattato' di Viticoltura.
82 CAPITOLO IV
« guisa alla foglia del tubero americano Boussingaultia baselloides.
« La fioritura è a bouquets in corimbo, come nel sambuco; e le bac-
« che costituenti il grappolo son piccole, nerissime e lucenti, e con
« sugo poco colorato. Non son riescito mai a ottenerne piante di
« talee, non più che d'innesti sopra vitigni nostrani od americani.
« L'osservazione già fatta da vari, e segnatamente dal Planchon,
« circa la nessuna rassomiglianza dei vinacciuoli della vite del Sou-
« dan con quei delle vere viti vinifere è precisamente esattissima
« a capello (1). »
Al seguito di tali comunicazioni il professore Planchon, avuto agio
come dicemmo di esaminare sul vivo tal pianta di Nigrizia, per tubercoli
e semi fornitigli dallo stesso Roche, uno con tralci in istato di vegeta-
zione avanzata e coi germogli già spiegati abbastanza da potere notar-
sene nettamente la forma e consistenza delle foglie e delle stipole, è tratto
a conchiudere con tutta quasi certezza questa volta, non potere ornai
non riconoscersi in cotale rimarchevole ampelidea se non se un tipo
« di Cissus rapportabile d'assai alla vite vergine o Ampelojpsis pel
« modo suo di crescenza (liana aggrappantesi pei cirri) e rassem-
« brante poi per molti tratti, quanto a infoliazione, alla Boussin-
« gaultia baselloide; » e più precisamente ad una specie del gruppo
Saelanthus del Forskal, cui lo Gmelin ben a ragione fa rientrare
nel genere linneano Cissus. « Fra questi Saelanthus di Forskal,
« continua invero il Planchon, avvene uno curiosissimo, il Cissus
« rotundi folta di Valh, che il nostro Delile già trovò coltivato al
« Cairo ia tempo della spedizione napoleonica in Egitto, e che ri-
« cevè pure posteriormente d'Abissinia, nelle preziosissime collezioni
« del Rochet di Hericourt, ove raccoltovi sulla strada da Farrè ad
« Aleyou-Amba verso l'altipiano dello Schoa. Ora il vinacciuolo u-
« nico contenuto in ciascuna bacca di questo Cissus richiama per-
« fettamente pei suoi caratteri d'insieme il vinacciuolo parimenti so-
« litario nelle piccole bacche della vite di Nigrizia del Roche. E nel-
« l'uno e nell'altro il rafe (2) estendesi qual tenue cordicina risaltante
« su tutta la faccia e tutto quasi il dosso del vinacciolo, cioè dipar-
« tendosi dall'ilo, punto d'inserzione del vinacciuolo, percorre il mezzo
« del lato ventrale, contorna lo estremo ottuso e non lobato di esso
« seme, e rimonta sul lato dorsale fino quasi alla punta basilare,
(1) Ibid. pag. 104-105.
(2) Per intendere questo ed altri termini botanici si vegga più innanzi il § 3.
BOTANICA DELLA VITE 83
« serica menomamente svanire in depressione calazica, come nel vi-
« nacciuolo della Vitis. Le due piccole depressioni che nella Vitis
« s'insolcano sulla faccia ventrale sono appena pochissimo marcate
« in questo Cissus del tipo Saelanthus. Ma non è precisamente con
« questo Cissus rotundifolia che la vite del Roche presenta più
« affinità, ma piuttosto e forse più sicuramente col Cissus giandu-
ii Iosa Gmelin, o Saelanthus glandalosas Forskal. Sfortunatamente
« non so di quest'ultimo che per la sola descrizione del Forskal,
« che tranne in quanto gli assegna, per errore evidentemente, foglie
« opposte (1), per tutto il resto cotale sua descrizione pare s'attagli
« perfettamente alla nostra pianta di Nigrizia, meno quando è detto
« di sue foglie folta serrato-dentata, subspinosa, nel mentre che
« queste nostre son piuttosto inciso-dentate e fortemente intagliate
« a denti triangolari. Forskal dice pure della sua specie caules teretes,
« cioè tralci ritondati; or la nostra vite ha i tralci quasi tondi, benché
« lievemente quadrangolari o compressi: lo stesso assegna bacche rosse
« alla sua pianta, nel mentre che il Roche le dice nerissime in que-
« sta sua (2). »
Concludendo, anche queste viti di Nigrizia appartengono al genere
Cissus e non a quello della vera Vite vinifera.
2° Cissus della Cocincina. Nel 1882 il sig. Martin, capo giar-
diniere della colonia francese di Laigon, introdusse in Francia le
viti della Cocincina (Annam meridionale) dicendole di prodigiosa fer-
tilità, cosicché una pianta poteva produrre ben 100 chilog. d'uva:
ecco come egli si esprime:
« Io l'ho trovata — dice — la prima volta nel mese di settembre
1872, nelle foreste dei Mois. Vidi questo Cissus, di cui ignorava
l'esistenza, coperto da grappoli d'un'uva grossissima. Mi venne su-
bito l'idea di farne del vino, ed il risultato mi parve favorevole. Ne
feci assaggiare a qualcuno; mi dissero che non era cattivo, ma che
non si sarebbe conservato. E per allora non ne feci più nulla; so-
lamente l'anno dopo mi contentai di farne del buon aceto. »
Ma qualche anno dopo il signor Martin tornò a pensarci sopra e
(1) « In realtà sarebbe di lungi in lungi che certe foglie presenterebbonsi op-
« poste per ravvicinamento alle biforcazioni; infatti Forskal dice dei viticci: Cu -
« rhi vel oppositifolii (dunque foglie alterne) vel laterales interfolia opposita ex
« geniculo exeunte. » Nota del Planchon.
(2) Ibid. pag. 105-106.
84 CAPITOLO IV
fece nuovi tentativi onde ottenere del vino. Ora da 10 anni coltiva
queste piante, di cui si trovano parecchie varietà bianche e rosse,
e pare che la vite della Cocincina sia la medesima di quella del
Soudan, di cui abbiamo parlato or'ora.
Si tratta però sempre d'un vino aspro, che contiene solo il 5 0\q
d'alcool; tutto ciò, secondo il sig. Martin, è dovuto alla mancanza
di calcare nei terreni della Cocincina. Egli anzi racconta che dopo
aver messo una piccola quantità di calce ad ogni piede di vite, ot-
teneva uva più dolce e vino più alcoolico.
Pare che questa pianta sarmentosa, o Cissus, o liana che si
voglia, a radici tuberose cresca abbondantissima in quei paesi. Ogni
anno in novembre le sue messe muoiono, e in marzo od aprile ri-
spuntano dai loro tuberi e rapidamente si svolgono sino alla lun-
ghezza talvolta di 40 o 50 metri, mettendo grappoli enormi in nu-
mero grandissimo. La coltura, si dice, è facilissima. Nella scelta del
terreno non vi sarebbe che da evitare il soverchio umido: le terre
fresche e leggere del resto paiono le migliori. La propagazione si
fa per semente, per tuberi, per talea. Delle sementi ve n' è già un
deposito a Parigi presso la Casa Vilmorin, Andrieux e Comp. (1).
Le messe sono sostenute, come si fa nella coltivazione del lup-
polo, da pertiche tenute ritte da fili di ferro orizzontali, per cui la
liana ascende ed arrampicandosi si spande.
Il signor Martin fa osservare che dopo il piantamento della sua
vigna nel 1872, ha osservato in essa una continua e progressiva
modificazione dovuta ai lavori di coltura: V uva diventa più grossa,
più dolce, più succosa. Basta del resto vedere i migliori vitigni fran-
cesi ritornare quasi allo stato selvaggio dopo due o tre anni <T ab-
bandono, per persuadersi della reciprocità del fenomeno inverso.
C è quindi cagione a credere che la coltura migliorerà la qualità
dell' uva e del vino, il quale del resto si potrebbe correggere col-
l'aggiunta di zucchero, onde portare il titolo alcoolico almeno a 9°
o 10°.
Il sig. Vilmorin consiglia di tener i vinacciuoli inzuppati per qual-
che giorno nell'acqua piuttosto tiepida che fredda, di frequente rin-
novata, e poi di seminarli in vasi, o in luoghi chiusi, e di non con-
(1) Vilmorin, Andrieux e C, Quai de la Mégisserie, 4, a Parigi. Il prezzo è
molto elevato, perchè sarebbe di L. 2,50 ogni vinacciuolo, o di L. 22 ogni 10 vi-
naccioli.
BOTAiNIOA DELLA VITE 85
fidare in piena terra le giovani pianticelle se non quando questa si
sarà riscaldata a sufficienza, e non vi saranno più a temere i geli
tardivi: consiglia pure d'aver cura di collocarle colla loro zolla di
terra per non recar nocumento alle radici ancora sottili.
Riassumendo, queste viti della Cocincina apparterrebbero esse pure
al genere Cissus sopra ricordato, e certo se la coltura non riescirà
a migliorare i frutti, difficilmente se ne potrà trarne partito.
3° Viti (?) della China e del Giappone. Non è molto che il si-
gnor Degron portava in Francia dal Giappone magliuoli di quelle
viti selvatiche, il cui studio venne affidato alla Scuola Viticola di
Mompellieri, onde vedere se resistano o non alla fillossera. Queste
viti vennero scoperte nel Ken d'Ischikari; i loro frutti sono piccoli,
neri e commestibili. Il sig. Caillaud trovò pure viti selvatiche nella Cina
e le descrisse dando loro varii nomi; per esempio la Vitis Rotar di,
originaria di Cong-King, la quale produce uva due volte all' anno;
la Vitis Pagnucci originaria di Cheri-Si, nelle montagne di Ho-
Chen-Miao, e la Vitis Romane ti, altra vite selvatica che pare abbia
il pregio di una stragrande fertilità; essa prospera ad un'altezza di
1300 a 1600 metri e ad una latitudine di 32° nord.
4° Viti arabe. Il signor Chabas, colono francese a Ronached
presso Milata in Algeria, pubblicava nei 1883 (1) una nota sulle viti
arabe (a quanto pare vere Viti vinifere) che qui trascriviamo:
« La vite araba è d'un vigore incomparabile; essa vive qui ge-
neralmente allo stato selvaggio sui margini di burroni umidi ed in-
colti, e predilige le fessure delle roccie ed i terreni calcari. La si
vede slanciarsi sugli alberi che essa incontra, sulle roccie, ed inco-
rona co' suoi abbondanti pampini tutti i cespugli che essa trova e
che coprono in gran parte questa terra di natura calcare. In questa
selvaggia condizione di vegetazione la vite si copre di frutti, che gli
Arabi raccolgono e vendono ai coloni, i quali ne fanno un vino molto
carico di colore, assai alcoolico e di buon gusto. Una di queste specie
chiamata dagli arabi Hasseroun, ha molta analogia coll'uva tintoria
(temturier), e come questa è nerissima, e potrebbe per conseguenza
servire ad accrescere il colore dei piccoli vini; produce vino alcoolico
d'un gusto franco che può rivaleggiare nel commercio coi nostri mi-
gliori vini del Mezzogiorno.
« È inoltre d' una prodigiosa fertilità, imperocché non è raro il
(1) V. Gazette du Village (1883).
86 CAPITOLO IV
caso di vedere queste piante di vite produrre 150 chilogrammi
d'uva. Io ho visto un proprietario pesare 320 chilogrammi d' uva
raccolta sopra una sola vite, e che gli ha dato due ettolitri di vino
eccellente. Bisogna però dire che il tronco misurava 50 centimetri
di circonferenza, e che l'arabo più vecchio del paese l'aveva sempre
veduto della stessa grossezza.
« Infine, come resistenza, ciò che io posso affermare, si è che io
ho portato nel 1875 nella proprietà di mio padre al cascinale di
Vignères, a Cavaillon (Vaucluse), 10 piedi di Hasseroun, con cui
ho rimpiazzato dei mancanti in una vigna decimata dalla fillossera.
Ora son due anni (era nel 1881), queste piante erano splendide per
vigore e sanità; stendevano i loro bei tralci sulle viti morte, che
loro servivano di sostegno e sotto i quali queste ultime sparivano.
« A. mio avviso, il successo come resistenza di una vite simile
non è più dubbio, ed io non saprei abbastanza incoraggiare i viti-
coltori della madre patria di esperimentare nelle loro novelle pian-
tagioni le viti arabe. In tutti i casi si sarà sempre sicuri di aver
piante assolutamente esenti da infezioni ».
§ 3. Descrizione della vite o organografìa. — È noto che
Y organografia, o morfologia esterna, studia la conformazione degli
organi delle piante. Questo studio faremo qui per la vite, ma con
obbiettivo piuttosto pratico che scientifico; nel paragrafo successivo
ci occuperemo invece della morfologia interna o anatomia della viti,
ed in altro paragrafo ancora studieremo la fisiologia della vite, cioè
il suo modo di vivere e fruttificare; così questo capitolo della bota-
nica della vite forse non riuscirà del tutto imperfetto e ci permet-
terà di trarre utili precetti per la pratica della viticoltura.
La Vite è un frutice o arbusto sarmentoso, i cui rami tendono na-
turalmente ad arrampicarsi sugli alberi o sui sostegni vicini, attac-
candovisi con forza mediante i cirri o viticci. Per studiare convene-
volmente la pianta della vite è necessario considerare: 1°) Le radici;
2°) Il ceppo o caule o fusto; 3°) I rami o tralci, ed i succhioni;
4°) I germogli o pampini; 5°) Le femminelle o nepoti; 6°) I vi-
ticci] 7°) Le foglie; 8°) Le gemme; 9°) I fiori; 10°) Vuva.
1.° Le radici della vite ottenuta da seme o da gemma isolata, sono
a fìttone, legnose, con molte diramazioni laterali, munite di numerose
radichette cioè di ampio cappellamento ; le radichette sono distese e
senza nodosità né nervature; se si riscontrano queste ciò vuol dire che
BOTANICA DELLA VITE 87
la radice è fìllosserata o invasa da rizomorfe (1), oppure, in rari casi,
dall'anguillaia radicicola (2). Le radichette della vite presentano una cu-
ticola delicatissima, che serve, nella parte tenera ed ancora biancastra,
all'assorbimento delle sostanze alimentari, mentre la porzione già fat-
tasi bruna e ricoperta da corteccia tuberosa, più non giova a tal
uopo; l'assorbimento ha luogo per endosmosi (3) a traverso le delicate
membrane delle cellule delle radichette. Gli è a queste estremità che
stanno le spongiole o spongille, che costituiscono il punto vegetativo
della radice, cioè la parte in via di formazione del cappellamento;
quando la vite soffre la siccità una parte di questo cappellamento
quasi si dissecca, precisamente nel punto vegetativo, mentre ciò non
accade nei terreni freschi, ove anzi la vegetazione continua anche
durante i grandi calori; si è appunto allora che gli acini ingrossano
mercè la maggior copia di umore assorbito dal suolo, d'onde l'utilità
del tener fresco il terreno del vigneto colle zappature agostane.
Le radichette della vite presentano generalmente pochi peli radi-
cali; questo almeno abbiamo potuto constatare nelle radici di barbera,
croetto, fresia e Celerina o slarina : simili peli altro non sono che allun-
gamenti tubulari delle cellule esterne delle radichette stesse, e servono
a moltiplicare il numero dei punti di contatto della radice col terreno.
Abbiamo detto che la radice della vite ottenuta da seme è a fittone;
però tutti sanno che la vite si suole moltiplicare per talee, e raris-
sime volte mercè il seme: quando si adoperano le talee la radice
della vite presenta l'aspetto delle fig. 1 e 4, ove vedesi che da ogni nodo
parte un gruppo di radici e di radichette in direzione orizzontale o
ad angolo (fig. 2) a seconda delle condizioni di siccità del terreno e
di profondità del piantamento, (4) inquantochè nei piantamenti troppo
profondi ed in terreni tenaci l'ultima corona di radici anziché essere
orizzontale si rivolge all'insù. Quando infine si piantano i soli occhi
delle talee, cioè le sole gemme con un po' di legno, si ha il sistema
radicale indicato dalla fig. 3; ove in a è indicata la gemma, ed in
b a b tre gruppi di radici.
Nella radice della vite distinguonsi varie parti, cioè il colletto o
(1) V. Malattie della vite.
(2) Queste anguillule furono scoperte dai Dr. Bellati e Saccardo nei vigneti di
Alano di Piave: ne riparleremo a lungo studiando i parassiti delle viti.
(3 Al § 5 (Fisiologia della vite) spiegheremo i fenomeni di osmosi, o diffusione,
che avvengono a traverso le membrane delle radici.
(4) Vedi il paragrafo Piantamento delle viti.
88
CAPITOLO IV
nodo vitale {a fìg. 4); esso non è bene spiegato come nelle piante er-
bacee vivaci, tuttavia si può definirlo la parte superiore a fior di
terra S S, mediante la quale la radice si unisce al caule o ceppo;
la radice madre e da cui partono le radici laterali g : le radici
aeree o superficiali b presso la superfìcie del suolo, analoghe a quelle
avventizie che producono il granturco, Y avena ed altre piante col-
tivate; queste radici se sono utili ad alcune piante perchè assorbono
umidità dall' aria, non lo sono alla vite, essendo troppo facilmente
esposte al gelo od al calore estivo, a seconda dei climi, mentre d'altra
parte impediscono in certo qual modo lo sviluppo delle radici infe-
Fig. 1.
riori; per questo si consiglia generalmente di reciderle: l'estremità d
della radice madre, da cui partono le radici inferiori e e ora diri-
gendosi all'ingiù a guisa di fìttone, ora prendendo la direzione oriz-
zontale spingendosi talvolta a molti metri di distanza, massi-
mamente se la vite è educata alta (1); infine le radici capillari
ffj o radichete, le cui estremità offrono le spongille; mercè le
(1) È questa la conseguenza dell'armonia che regna fra i tralci e le radici,
del che diremo in disteso a suo luogo. Qui soggiungeremo soltanto che quando
il terreno è bene smosso (scanso reale) le radici — anche delle viti nane — rag-
giungono lunghezze non indifferenti.
BOTANICA DELLA VITE
parti giovani delle radichette, come già dicevamo, l'alimento viene
assorbito e penetra nella radice; le spugnole, cioè le spongille
delle radichette, essendo protette da una guaina composta di cel-
lule morte del tessuto cellulare della radice, non possono assor-
bire alimenti (1); questo cappuccio, di colore giallognolo, detto
pileoriza, protegge la punta vivente della radice, mentre essa va
sempre più penetrando nel suolo. L' assorbimento avviene adunque
per mezzo delle radichette giovani e dei peli, e l'accrescimento per mezzo
delle spongiole; questo ci spiega come lo spargere il concime presso il
ceppo delle viti sia quasi sempre inefficace e giovi invece assai meglio
sotterrarlo fra i filari, ad una certa distanza dai tronchi, vale a dire
(1) Questo hanno dimostrato le belle esperienze di Ohlerts.
90
CAPITOLO IV
in quella porzione del terreno ove si trovano in maggior copia le
radichette a'ssorbitrici.
Diremo poi, parlando della anatomia della vite, come fra le ra-
dichette e le foglie siavi grande analogia, e ne trarremo utili con-
seguenze per la viticoltura.
Fig. 4.
2.° Il ceppo o fusto della vite può essere più o meno lungo a
seconda del modo con cui la pianta è allevata; e così abbiamo molte
gradazioni a partire dalla vite bassa senza sostegni alla vite maritata
agli alberi ed ai pergolati; nelle viti basse si suol chiamarlo ceppo,
ceppaja, ed impropriamente anche ceppata; in quelle alte tronco:
in ogni caso è legnoso, come ognuno sa, sarmentoso, ricoperto da
corteccia di vario spessore; generalmente più unita e più compatta
nelle viti americane che nelle europee. — La corteccia presenta
BOTANICA DELLA VITE 91
•
screpolature dirette nel senso delle fibre longitudinali, più o meno
numerose e più o meno ampie; essa aderisce con maggiore o minore
intensità al legno, ma in generale è poco aderente. Nei ceppi annosi
si osserva infatti che gli strati corticali esterni si distaccano dal
fusto, ma non sempre cadono; questa corteccia rugosa e morta, è
assolutamente estranea alle funzioni vitali della vite, e costituisce
un vero strato suberoso che si può togliere, come il sughero, anzi
è utile di togliere, come dimostreremo parlando dello scortecciamento
delle viti; sotto a questa corteccia esterna morta, si trova una cor-
teccia più giovine e viva, di color grigio rossigno (come i giovani tralci)
e che presenta delle striscie per il lungo; queste striscie sono i fascii
fibrosi del libro, che è la prima parte interna della corteccia (1),
e possono separarsi in lunghi fili.
3.° / rami ed i succhioni. I rami, o più propriamente tralci, o
sarmenti, sono getti legnosi aventi almeno un anno di età, a scorza
più o meno bruna e più o meno densa secondo la loro età; quelli che
hanno un solo anno sono i veri sarmenti, e portano bottoni dai quali
partono i getti uviferi o germogli, mentre quelli che contano due
o più anni di età generalmente non portano cacchii uviferi. A questa
regola si danno, per quello che ci fu dato di constatare, due sole
eccezioni: 1.° talvolta portano qualche raro grappolo quei polloni che
nascono sul ceppo della vite, specialmente nei nostri paesi meridio-
nali, od in qualche vite a pergolato; 2.° talvolta vedonsi grappolini
sui getti estivi (o femminelle) che spuntano all'ascella delle foglie dei
getti primaverili; ma in rari casi si è potuto trarre serio partito da
queste fruttificazioni anormali.
I rami della vite hanno vario colore, come il cinereo, il nocciola,
il castagno, l'avana, il cannella più o meno biancastri, e talvolta
sono rossicci; il colore non sempre è uniforme, e talora si fa più
scuro o più carico ai nodi: — quasi sempre i sarmenti sono striati,
cioè leggermente solcati longitudinalmente da strie più o meno fìtte;
talvolta però sono rigati e punteggiati. La loro durezza è variabile,
come è pure variabile il midollo, che è più o meno abbondante a
seconda dei vitigni; la loro aderenza al legno vecchio differisce pure
da varietà a varietà.
(1) Per dare un'idea delle fibre del libro a chi non conosce gli elementi della
botanica, diremo che sono appunto fibre liberiane quelle del lino e della canapa
adoperate per i tessuti ecc.
92 CAPITOLO IV
I tralci della vite sono nodosi, cioè divisi in internodii o meritala
di lunghezza variabile non solo secondo i vitigni ma anche secondo
il metodo di potatura, come abbiamo constatato con molte esperienze
di cui diremo a suo luogo. I nodi che separano i meritala" sono più
o meno rilevati e più o meno coloriti, talvolta non colorati diversa-
mente dal sarmento, tal'altra come di color ruggine.
I succhioni — che taluno chiama anche polloni — sono getti sterili,
cioè non uviferi, i quali nascono direttamente sul ceppo della vite; nella
loro struttura esterna non differiscono dai getti uviferi, solo che sono
quasi sempre sprovvisti di grappoli, come dicevamo or' ora; costi-
tuiscono quindi veri getti parassiti, che vivono a danno dei germogli
superiori, i quali o hanno uva o sono destinati, dal potatore, a dare
tralci frutticosi per l'anno che segue; è per questo che, salvo casi
speciali che studieremo parlando della scacchiatura, si sogliono sop-
primere.
4.° J germogli, pampini o cacchii sono getti erbacei a pri-
mavera ed estate, legnosi in autunno, che spuntano generalmente
sui sarmenti di un anno: — appena sbucciate le gemme a primavera,
cioè quando i germogli sono giovanissimi, appaiono più o meno to-
mentosi o cotonosi, cioè coperti di peluria o lanuggine; di colore
verde più o meno carico, alle volte biancastri come nel nebiolo e
nel tokai, talora unicolori, tal'altra leggermente rosei in punta: cre-
scendo abbastanza rapidamente nel loro sviluppo, possono raggiun-
gere una lunghezza di parecchi decimetri, più o meno a seconda del
vigore della vite e della fertilità del suolo; portano le foglie, i viticci
ed i grappoli; questi in numero variabile da uno a tre (1), ma possono
altresì esserne sprovvisti. I germogli portano pure gemme nascenti,
che in autunno sono poi veri bottoni frutticosi per l'anno successivo,
ed infine, accanto a queste gemme, portano eziandio dei getti secon-
darli o femminelle, di cui diremo in seguito. In alcuni casi questi
getti secondarli portano grappolini, detti secondi grappoli, dei quali
pure ci occuperemo fra non molto. Nella fig. 5 vedesi un tralcio
d'un anno d dal quale sono spuntati tre germogli uviferi b b e, i
due superiori dalla stessa gemma: questo caso è raro, ma noi abbiamo
potuto riscontrarlo con una frequenza relativa in alcuni nostri fi-
lari di fresia molto robusti; in allora però uno dei due getti è
(1) Fanno solo eccezione le viti americane Labrusca, che ne possono portare da
tre a cinque, rare volte sei, secondo il Dr. G. Engelmann.
BOTANICA DELLA VITE
93
sempre meno vigoroso del primo spuntato, ma entrambi portano uva
Fig. 5.
generalmente due grappoli nel cacchio principale ed uno in quello
secondario, e nelle annate umide un solo grappolo per caduno e
94 CAPITOLO IV
molti viticci v come nel precedente disegno, che abbiamo tolto dal
vero nella decorsa primavera. (La porzione superiore del tralcio d'un
anno d non è disegnata per maggior chiarezza).
5.° Le femminelle o nepoti sono getti erbacei, chiamati anche
rimessiticci, che spuntano sul finire della primavera sui germogli di
cui dicemmo or ora; la loro struttura esterna non differisce da quella
dei germogli ed essi pure portano foglie, viticci, e qualche volta se-
condi grappoli; le gemme che stanno all'ascella delle loro foglie (punto
d'inserzione) spesso sbucciano ed allora le femminelle portano delle
sotto- femminelle, cioè dei getti erbacei di varia lunghezza, i quali
rappresentano le ultime ramificazioni del germoglio uscito a prima-
vera dal bottone frutticoso posto sul sarmento legnoso. — Il numero
delle femminelle, o nepoti dei Toscani, è maggiore quando si praticano
precocemente le cimature dei germogli uviferi; e così pure cimando le
femminelle, si ottengono più numerose le sotto-femminelle. A suo luogo
diremo della importanza di questi organi della vite, nel processo della
fruttificazione.
6.° I viticci o cirri o capreoli (fig. 6) che taluno chiama anche
forchette, sono appendici filamentose prima erbacee, indi legnose in
autunno od anche in estate se non si avviticchiano a qualche og-
getto (1), provenienti dall'allungamento dei peduncoli florali, vale a
dire che sono grappoli abortiti; infatti occupano la posizione stessa
dei grappoli, cioè sono sempre opposti alle foglie come i grappoli
stessi: d'altra parte non è raro trovare viticci i quali portano ancora
alle loro estremità uno o più acini d'uva (fig. 7 d d, fig. 8 e d)\
queste figure rappresentano esattamente viticci da noi trovati nei
nostri vigneti nel Monferrato (2) e dimostrano in modo chiaro l'o-
rigine di consimili appendici della vite; gli esemplari simili a quelli
qui disegnati sono tanto più numerosi quanto più la primavera tra-
scorre umida, d'onde la illazione che Tumido soverchio fa abortire i
grappoli, il che è noto a tutti i viticultori (3). Abbiamo anche os-
(1) Questa regola però non è costante: abbiamo talvolta osservato viticci inat-
tivi che si sono serbati verdi sino all' agosto inoltrato. Abbiamo pure osservato
che il viticcio prossimo ad uno che si è avviticchiato, quasi sempre si essica
prontamente.
(2) Osservazioni fatte sui vitigni Barbera, Lambrusco o Croetto e Fresia. Ciò
si verifica d'altronde su tutti i vitigni.
(3) I viticultori tedeschi dicono allora « Die Trauben vergabeln sich » perchè
essi chiamano anche Gabeln i viticci.
BOTANICA DELLA VITE
95
Fiff. 6.
9(3
CAPITOLO IV
servato, a questo proposito, che allorquando la primavera è molto
umida sin dal suo principio, si hanno molti viticci sui germogli uvi-
feri, mentre invece se la primavera è umidiccia sul tardi, cioè
quasi in principio dell' estate, i viticci abbondano sulle femmi-
nelle. L'umido soverchio è quindi una fra le cause principali che
provocano la formazione dei capreoli, il che è naturale se si riflette
che l'umido favorisce l'allungamento delle parti verdi della vite, cioè
la sua produzione erbacea.
In primavere molto asciutte e calde abbiamo osservato la quasi
assoluta mancanza dei viticci nei germogli uviferi, e cosi in alcuni
germogli di fresia abbiamo potuto contare 10 internodii, altrettante
gemme e due grappoli, senza neppure un capreolo; i viticci si mo-
stravano soltanto sulle femminelle, e non sui pampini uviferi. Note-
remo però che i primi nodi, quelli cioè prossimi all' inserzione del
pampino sul tralcio, ne sono sempre sprovvisti.
La disposizione dei viticci in tutte le viti europee ed americane,
fatta eccezione per le Labrusca, selvatiche o coltivate, è quella indi-
cata dalla fìg. 6: un viticcio 1 a sinistra, poi al nodo successivo
altro viticcio 2 a destra, indi un terzo nodo 3 senza viticcio: poscia
altri due nodi con viticci, 4 e 5, cui segue altro nodo sprovvisto,
BOTANICA DELLA VITE
97
6, indi ancora due viticci 7 e 8, ed altro nodo 9 senza cirro; e poi
da capo un viticcio 10 e così di seguito. Allorquando vi ha un nodo
senza viticcio, il primo viticcio che segue è sempre dallo stesso lato
dell'ultimo viticcio che precede il nodo stesso : e così il viticcio 4 è
dallo stesso lato del viticcio 2, cioè a destra, mentre il viticcio 7 è
a sinistra come il 5, e via di seguito.
Tutti i viticci, come già dicemmo, -sono opposti ad una foglia, cioè
sono opposi tifo Ut; le eccezioni sono rarissime. Accade lo stesso dei
grappoli.
Fig. 8.
I viticci nei germogli uviferi generalmente incominciano dopo il
nodo che segue l'ultimo grappolo, il qual nodo quindi ne. è sempre
sprovvisto: nelle femminelle incominciano dopo la seconda o terza
foglia; in qualche varietà dopo la prima. Le eccezioni sono anche a
questo riguardo assai rare (1), come sono rare le eccezioni alla di-
sposizione indicata dalla fig. 6: pure qualche volta abbiamo osservato
tre nodi ed anche quattro consecutivi provvisti di cirri. Ma queste
eccezioni non infirmano per nulla la legge generale della intermit-
tenza dei viticci. Dicemmo però che essi sono continui nella vite ta-
(1) Nel luglio di quest'anno abbiamo riscontrato un curioso caso di mancanza
assoluta di viticci in un germoglio frutticoso di fresia: esso contava 10 internodi
tunghi 6 centim. con due grappoli e neppure un viticcio: questi si trovavano sol-
tanto sulle femminelle.
0. OxTAvr, Trattato di Viticoltura, 8
CAPITOLO IV
brusca e sue varietà; infatti ad ogni foglia in questa specie si trova,
dal lato opposto, o un cirro o una infiorescenza (grappolo).
In ogni viticcio si distinguono generalmente quattro parti; il pe-
duncolo a (fig. 7), la ramificazione maggiore d, la scaglia b alla sua
base, e la ramificazione minore e.
Queste ramificazioni si possono anche osservare sui viticci giova-
nissimi, cioè aventi una lunghezza totale di pochi millimetri: crescendo
esse variano però di numero, e possono raggiungere il numero di
sette od otto, come si vede nella fig. 6 al viticcio N. 1: in essa può
anche osservarsi che la ramificazione più lunga spesso si biforca in
due filamenti di diversa lunghezza; il maggiore talvolta si biforca a
sua volta, massimamente nelle annate molto umide. Pare che anche
la varietà del vitigno influisca sul numero delle diramazioni dei vi-
ticci, onde in alcune Ampelografie leggesi di vitigni a viticci bifidi
(2 diramazioni) o trifidi (3 diramazioni) e via dicendo.
È noto che se condo alcuni agronomi e botanici, sarebbe possibile
mutare in grappolo una fra le ramificazioni del viticcio. Gasparin
dice (1) che « si riesce spesso a convertire il viticcio in grappolo,
amputando una delle due diramazioni del viticcio, quella che non porta
alla sua estremità una piccola prominenza (asperità) »: ma qui non si
capisce di quale prominenza intenda parlare l'eminente agronomo fran-
cese. Ultimamente i signori Barbant, Loborier e Laporta consigliarono
di mozzare per tempo la diramazione del viticcio che porta la scaglia
alla base, cioè la più lunga ossia quella che or' ora vedremo chiamarsi
viticcio di grappolo: essi asseriscono che facendo quella amputazione
poco dopo che il viticcio è comparso, si riesce di certo a mutare
l'altra diramazione in un grappolo. Diremo tuttavia che bisogna ac-
cettare tutto ciò con molta riserva, poiché le prove fatte da altri
hanno dato sempre risultati negativi.
Le spire dei viticci vanno da destra a sinistra, oppure da sinistra
a destra senza una legge fissa; questo è quanto abbiamo potuto os-
servare su numerosissimi vitigni italiani. Invece, secondo Bdbo (2),
tutti i viticci avrebbero le loro spire dirette verso sinistra. Lo stesso
autore soggiunge che i cirri possono attorcigliarsi soltanto attorno
ad oggetti aventi una grossezza doppia della loro, mentre chiunque
(1) Cours d'agriculture — Tome IV: Paris 1848 pag. 625.
(2) Handbuch des Weinbaues und der Kellerwirthschaft — (Berlin, 1881) —
(Erster Band: Weinbau, s. 91 : alle Ranken voinden sich nach links).
BOTANICA DELLA VITE 99
può osservare che essi si avviticchiano anche a paletti aventi un dia-
metro assai maggiore di quello che essi misurano. Infine diremo che non
di rado i viticci si avvolgono a spirale su sé stessi o attorno al pe-
duncolo del grappolo, e qualche volta anche attorno alle foglie.
Mohl e Butrochet hanno osservato che i viticci, dopo alcuni giri, si
piegano dalla luce verso l'oscuro: Mohl asserisce inoltre che nelle viti,
le quali stanno a spalliera contro un muro, i viticci si dirigono verso
questo, e che nei vigneti in pien campo generalmente prendono una
direzione verso nord. Tutti poi avranno osservato che le varie rami-
ficazioni dello stesso cirro hanno movimenti indipendenti. Darwin (1)
ha eziandio potuto osservare il sub- peduncolo b (fig. 7) d'un grap-
polo e piegato intorno ad un bastone ed anche in parte intorno ad
una foglia con cui era venuto in contatto, per cui non v'ha dubbio
che esso ha la stessa natura del ramo corrispondente d' un viticcio
ordinario, quando questo non porta che alcuni fiori, giacché in tale
caso, come giustamente osserva il celebre naturalista, diviene meno
ramificato, aumenta in lunghezza e guadagna tanto in sensibilità
quanto in facoltà di movimento spontaneo (2). Il viticcio d che ha
un peduncolo a comune con un grappolo e (fig. 7, a sinistra) chia-
mato viticcio di grappolo oppure viticcio di fiore, ed ha sempre
una scaglia alla sua base b analogamente alla ramificazione più lunga
e biforcuta del viticcio comune, o semplice organo di prensione (fig. 6).
Questi viticci di grappolo non sono sempre sterili, come taluno ha
asserito; talvolta portano essi pure fiori che danno uva, per cui si ha
un doppio grappolo, o grappolo gemino; ne abbiamo noi stessi un
esempio in un nostro pergolato di moscatello nero ove quasi tutti
i viticci di grappolo sono veri secondi grappoli con uva che giunge
a perfetta maturazione; il caso è abbastanza frequente anche nelle
graperies o serre da uva d'Inghilterra, ove il doppio grappolo è detto
(1)7 movimenti 'e le abitudini delle piante rampicanti (Traduz. italiana di Ca-
nestrini e Saccardo: Unione Tipografica-Editrice, Torino 1878), pag. 85-86.
(2) Secondo le osservazioni di Darwin (loc. cit. pag. 101) la vite sarebbe fra
tutte le piante rampicanti quella che gira più debolmente, « presentando essa
evidentemente soltanto una traccia di una facoltà primitiva. » Il celebre natu-
ralista inglese, autore della teoria della selezione naturale (selectio naturalis) ,
vuol alludere con queste parole alle modificazioni che i metodi di viticoltura hanno
indotto nella vite, cioè nella sua costituzione morfologica esterna ed interna. Lo
studio dei viticci ci prova che la vite è in un periodo di transizione. (V. anche
la nota nella pagina che segue).
100 CAPITOLO IV
cluster, cioè gruppo (1). Quando, come accade quasi sempre, il vi-
ticcio di grappolo non porta bottoni fiorali, esso si essica nell'estate
(luglio) ond'è che tutti possono poi osservare, sul peduncolo dei grap-
poli, una cicatrice la quale rappresenta il punto di dove partiva il(
detto capreolo.
I viticci della vite sono di natura cessile, cioè provengono dall'asse
della pianta, e più precisamente da gemme terminali dei tralci in istato
di sviluppo normale, e non dalla modificazione di foglie, come nei piselli,
nelle veccie, ecc. in cui i cirri sono invece di natura appendicolare;
questo può osservarsi chiaramente nella fig. 6 (pag. 95) nella parte
superiore di essa; l'internodio 6-7 presentava dapprima alla sua
estremità due gemme, una terminale l'altra ascellare, cioè posta al-
l' ascella dell' ultima foglia; la prima diede un viticcio (negli inter-
nodii inferiori al viticcio num. 1, aveva dato un grappolo), mentre la
seconda produsse un nuovo ramo 7-8, che spostando a sinistra il
viticcio si collocò nella stessa direzione dell'internodio 6-7. Accadde
lo stesso al punto segnato col numero 8, ove trovavansi pure una
gemma terminale, che diede il viticcio 8, ed altra ascellare che diede
l'internodio 8-9 in continuazione dei precedenti, avendo spostato il
viticcio 8 a destra. La gemma ascellare dà adunque un asse più
forte della gemma terminale, onde l'asse di questa (viticcio o grap-
polo) viene spostato da quello e rimane ai lati del tralcio in svi-
luppo. Ma al punto segnato col numero 9 non si ha che la gemma
ascellare, quindi manca il capreolo, che riappare poi al numero 10
e così di seguito, cioè si hanno sempre due internodii che si bi-
forcano (2) ed uno no (3). Ales. Braun, De Candolle, A. De
(1) Darwin (loc. cit. pag. 87) considerando che nelle viti si trovano, come si è
detto, viticci semplici e viticci con fiori, accenna a che il genere Cissus (pure
della famiglia delle Yitaceae) non offre gradazioni, e presenta soltanto viticci bene
sviluppati e gruppi di fiori. Indi conclude con la seguente acuta osservazione: « Se
il genere Yitis fosse stato sconosciuto, il più ardito partigiano della modifica-
zione delle specie non avrebbe mai supposto che lo stesso individuo, allo stesso
periodo di sviluppo, avesse offerto ogni possibile gradazione fra i gambi fiorali or-
dinari per il sostegno dei fiori e delle frutta, ed i viticci adoperati esclusivamente
per arrampicarsi. Ma la vite ci dà chiaramente un tale esempio; ed essa mi pare
una prova di transizione sorprendente e curiosa quanto si può immaginare. » Si
vegga anche la nota (2) nella pagina che precede.
(2) Questo sistema di ramificazione è detto dai botanici sirnpodiale, cioè con
bipartizione dell'apice o estremità del fusto.
(3) In questo caso invece la ramificazione è monopodiale, cioè senza biparti-
zione dell'apice del ramo. La vite adunque presenta un sistema di ramificazione
misto.
BOTANICA DELLA VITE 101
Jussieu, C. Darwin ed altri insigni botanici sono di questo av-
viso: invece W. Velieri e 0. Penzig sostengono che i viticci sono
veri germogli laterali che nascono sui lati del fusto, opposti alle
foglie, incominciando con piccole protuberanze, e non ammettono
quindi che essi rappresentino l'apice di un internodio. Ma dopo che
Eichler ha dimostrato (1881-1882) che un cirro rinforzandosi può
ricuperare il posto che veramente gli spetta, cosicché il tralcio può
essere terminato in modo definitivo da un viticcio (1) la quistione
ci pare risolta in modo definitivo.
Ci rimane a dire dell'ufficio dei viticci; della loro costituzione e
del perchè si avvolgano a spirale diremo più innanzi studiando l'ana-
tomia della vite. È evidente che l'ufficio dei viticci ordinarii è quello
di innalzare i rami fronzuti della vite, per cui una maggior quan-
tità di foglie e gli stessi tralci possano godere della benefica in-
fluenza dell'aria, nonché del calore e della luce solare; è ovvio poi
il comprendere che, nello stesso tempo, il viticcio tiene salda la vite,
come pure i tralci, ai sostegni, mentre il viticcio di grappolo aiuta
il grappolo stesso. Parlando a suo luogo della importanza dei viticci
dal lato viticolo pratico, vedremo se convenga o non di sopprimerli,
come si usa in alcune provincie italiane (2).
7.° Le foglie della vite si compongono di tre parti essenziali,
cioè il picciuolo o peziolo o gambo; — il lembo o lamina, vale
a dire la parte piana e dilatata; — le nervature o costole colle vene
e le venicelle: debbonsi considerare inoltre i peli e le stipole.
Il picciuolo (p fig. 9 e 10) ha una lunghezza ed uno spessore
varii secondo le varie specie e varietà di vizzati; generalmente è
rotondo, talvolta depresso nella parte superiore, ossia terete, e porta
peli più o meno numerosi, se pure, come accade in molte varietà,
non ne è affatto sprovvisto; il suo colore è talora verde, tal'altra
rossiccio, più o meno striato, più o meno pallido verso l'estremità.
Il lembo della foglia di vite è più o meno ampio secondo le diverse
varietà; ha un colore verde intenso o chiaro durante la vegetazione,
ed assume una tinta giallo-chiara con macchie rossastre od abbron-
zate in autunno; alcune varietà hanno le foglie rosse sul finire
dell'agosto, altre col contorno tinto di amaranto in estate. Il lembo
(1) 0. Comes — Botanica {La scienza e la pratica dell' agricoltura, voi. II,
pag. 67).
(2) Veggasi « Soppressione dei viticci » ove si parla della potatura verde.
102 CAPITOLO IV
è più o meno sottile, rugoso e morbido, e si notano differenze
fra la pagina superiore e quella inferiore della stessa foglia; la su-
periore ad esempio può essere di colore verde- oscuro e la inferiore
di colore meno carico. È poi noto a tutti che la pagina inferiore è
più ricca di peli {tomentosa, pubescente o cotonosa, talvolta a guisa
di ragnatela, talvolta a guisa di fiocchetti) che non la superiore, la
quale o ne sembra totalmente sprovvista (cioè glabra) o mostra
soltanto una rara peluria. Il lembo è variamente frastagliato, cioè
ha una dentatura differente, più o meno rada e profonda e più o meno
mucronata, cioè coi denti terminanti in punte sottili, acute o ad
uncino; in alcune varietà il dente centrale è molto acuminato, in
altre no. Il lembo offre grandi divisioni dette seni, le quali for-
mano i lobi, che sono generalmente cinque (fig. 9 ab e de) ma, pos-
sono essere anche soli tre (fig. 10 fgh) (1); nel primo caso la foglia
è quinquelobata o cinquelobata, nel secondo è trilobata. Si chiama
palmare o palmata la foglia di vite avente lobi profondi a simi-
glianza della foglia di fico, e ciò perchè in certo qual modo ricorda
la mano aperta. Il seno del picciuolo dicesi seno peziolare; esso è
più o meno rotondo o elittico, variamente profondo ed aperto, e può
(1) Il nebbiolo (spanna, raelasca, eco.) presenta, ad esempio, foglie cinquelobate
e foglie trilobate.
BOTANICA DELLA VITE
103
presentare i due lembi laterali sovrapposti; gli altri seni sono detti
superiori od inferiori a seconda della loro maggiore o minore di-
stanza dal picciuolo, e possono essere più o meno stretti, elittici,
profondi e via dicendo. Si chiama lobo di mezzo quello che costi-
tuisce la parte superiore estrema della foglia. Esso ha forme varia-
bili, potendo essere cuoriforme o allungato o dilatato ecc.
Le nervature partono dall' inserziore del picciuolo e vanno sino
al margine della foglia, divergendo le une dalle altre; la foglia della
vite è perciò peltinervia: generalmente le nervature principali sono
cinque (fig. 9), di cui la mediana (o costola o rachide) è la più
Fig. 10.
robusta e si trova nella direzione del picciuolo di cui è la continua-
zione, mentre le altre quattro, che ne sono le diramazioni, formano
angoli differenti (45° e talvolta 90° come può vedersi nella fig. 10)
per cui le foglie della Vite sono angulinervie. Le nervature prin-
cipali si dirigono verso il mezzo dei singoli lobi della foglia; da esse
partono poi nervature secondarie, terziarie, ecc. (vene e venicellej
le quali si confondono, si uniscono (si anastomosano) le une colle
altre, per cui il lembo prende l'aspetto d'un reticolato (nervatura
palmata-reticolata). Le nervature sono più o meno rilevate, con
diramazioni più o meno numerose, colorite in rosso alla base, oppure
104 CAPITOLO IV
di color verde- chiaro, o bianco -verdastro: quasi sempre sono spor-
genti, rotonde nella pagina inferiore delle foglie, mentre sono come
depresse e piane nella superiore, massime nelle ultime diramazioni.
Infine diremo che le nervature principali presentano peli più o meno
numerosi, come ad esempio nel San Gioveto piccolo (forte).
I peli, di cui abbiamo già detto qualche cosa parlando del lembo
della foglia, sono organi filamentosi che giovano ad accrescere il po-
tere di esalazione o traspirazione del vapor acqueo della pianta per
mezzo delle foglie. Queste sono più o meno pubescenti a seconda
delle varietà; ma anche quelle che si sogliono chiamare liscie, scabre
o glabre presentano rari peli presso le nervature o sopra di esse,
massime nella pagina inferiore che è la più tomentosa (pag. 102).
Della forma dei peli diremo nel paragrafo seguente studiando l'a-
natomìa della Vite; qui ci limiteremo ad accennare che la peluria
varia molto di intensità e di apparenza a seconda delle differenti va-
rietà di vizzati, alcuni dei quali mostrano la pagina inferiore delle
loro foglie come cotonosa (il barbera ne porge un beli' esempio),
altri quasi fosse coperta da una lieve ragnatela, altri invece portano
come dei fiocchetti di peli, altri ancora paiono non portarne affatto,
come talvolta il dolcetto e via dicendo. Questo carattere della pu-
bescenza è costante per una data varietà, benché talvolta una va-
rietà a foglie glabre possa mostrarsi alquanto pelosa; ed a cagion
d'esempio le foglie appunto del dolcetto ora mostransi glabre ora
leggermente tomentose, a seconda del locale ove cresce la pianta,
dell'età della foglia, ecc. Ad ogni modo gli arapelografi tengono in
molto calcolo questo carattere nel classificare le varietà.
Le stipole sono piccole appendici, o foglioline precoci, che stanno
ai lati del picciuolo e precisamente al punto d' origine della foglia
sul ramo; quando sono libere cadono, ond' è che molti forse crede-
ranno che le foglie della vite ne siano sprovviste: ma esaminando
attentamente il posto che occupavano si possono vedere due cica-
trici, segno che esistevano realmente, compiendo al loro ufficio di
proteggere la foglia prima del suo sviluppo, cioè durante la prefo-
liazione od ibernazione nella gemma. Le stipole della vite hanno
una forma ovale allungata o quadrangolare con angoli rotondati (1)
e non presentano picciuolo, cioè sono sessili; nella gemma si svi-
(1) 0. Penzig. Anatomia della Vite (Archivio del Laboratorio Crittogamico di
Pavia), voi. IV, pag. 155 e 159.
BOTANICA DELLA VITE 105
luppano con vigore e proteggono, coprendole, le giovani foglie; ma
siccome cessano assai presto di crescere, mentre le foglie continuano
a svilupparsi senza interruzione, così esse cadono precocemente e
non rimangono che le suddette cicatrici.
Descritte così le varie parti onde si compone la foglia della Vite,
ci rimane a dire qualche cosa sulla loro disposizione sui rami o fillo-
tassi. Tutti sanno che ad ogni nodo d'un tralcio di vite (fig. 6 pag. 95)
corrisponde una sola foglia, per cui le foglie della vite sono soli-
tarie, e vengono così chiamate per distinguerle dalle foglie dette op-
poste. Prendendo ad esame un tralcio fronzuto, e sia pure quello che
abbiamo disegnato nella detta fig. 6, si osserva che data una foglia
qualunque, ad esempio quella segnata col num. 1, la successiva, cioè
il num. 2, non si trova in corrispondenza colla prima: vi si trovano
invece verticalmente le foglie segnate coi numeri 3, 5, 7, 9 e via
via. Possiamo quindi concludere che le foglie della vite sono di-
sposte su due file equidistanti fra di loro, e si alternano in guisa
da corrispondersi di due in due: esse sono quindi foglie distiche.
Avvolgendo un filo a spirale attorno ad un ramo di vite (fig. 6) a
partire dalla base della foglia numero 1 e facendolo passare con-
secutivamente per tutte le foglie, si ha una spirale detta genera-
trice, i cui cicli sono rappresentati dalle porzioni di spirale com-
presi fra le foglie corrispondenti verticalmente ai numeri 1, 3, 5,
7, ecc. Ogni ciclo (1-3, 3-5, 5-7, ecc.) nella vite consta di un passo
di spira perchè alla foglia 1 corrisponde la foglia 3, alla foglia 3
la foglia 5 e via via (1): in ogni ciclo e quindi in ogni passo di
spira si contano due foglie; infatti il ciclo 1-2-3 tocca le foglie 1
e 2; il ciclo 3-4-5 tocca le foglie 3 e 4 e così di seguito. Pertanto,
come venne proposto dal Dott. Braun, si suole indicare questa di-
sposizione mediante una frazione il cui numeratore indica il numero
dei passi di spira del ciclo (quindi 1 nel caso della vite), mentre il
denominatore indica il numero delle foglie del ciclo (cioè 2). La
espressione frazionaria
2
è detta indice di fillotassi, e significa che nella vite la distanza
(1) Nel pesco invece alla foglia 1 corrisponde la foglia 6 per cui ogni ciclo
comprende due passi di spira: è facile constatarlo esaminando un ramo di pesco.
106 CAPITOLO IV
angolare di due foglie consecutive è uguale ad una mezza circonfe-
renza (1).
Fu veramente provvida questa regolare e geometrica disposizione
delle foglie lungo i rami della vite, inquantochè non trovandosi mai
due foglie consecutive che si corrispondano verticalmente, neppure
avviene mai che una foglia impedisca totalmente all'altra di godere
della benefica azione della luce solare, la quale, come vedremo a suo
luogo, ha una così grande influenza sui fenomeni della nutrizione e
sulla produzione dello zucchero.
8.° Le gemine della vite non possono, rigorosamente parlando,
distinguersi in gemme da legno {foglifere o ramifere) ed in gemme
da frutto {fiorifere od alabastri), cioè in occhi e bottoni; infatti
da una gemma di vite può escire un germoglio che porta fiori e fo-
glie ad un tempo, quindi le gemme della Vitis vinifera sono miste o
ramifere. Il viticultore intelligente sa discernere gli occhi puramente
ramiferi da quelli misti, cioè che sbocciando daranno un ramo con
bottoni fioriferi all'ascella delle foglie; questi bottoni danno origine
ai grappoli, e come già dicemmo sono generalmente due, rare
volte tre, ed in casi eccezionali più di tre (2) . Gli occhi ramiferi sono
generalmente più acuminati, quasi diremmo aguzzi, imperfetti, mentre
i bottoni misti si presentano turgidi e quadrangolari, se così possiamo
dire; questi ultimi però non sempre danno getti uviferi, anzi si può
asserire in tesi generale che i bottoni collocati nella parte inferiore
del tralcio, vale a dire presso la sua inserzione sul vecchio, non sono
fruttiferi, anche se ne hanno l'apparenza; onde, come vedremo, ta-
luni li acciecano (3). È curioso il fatto che questi bottoni sono ap-
punto generalmente quelli sprovvisti di viticcio durante il periodo
vegetativo del precedente anno; al paragrafo sulla fisiologia della
vite ritorneremo su di ciò.
Le gemme della vite sono tutte ascellari, cioè poste all' ascella
(1) Accade lo stesso nelle graminacee e nell'olmo; invece ad esempio nel pesco
l'angolo di divergenza di due foglie consecutive è misurato da un arco uguale
2
a 2j5 di circonferenza, e perciò l'indice di fillotassi è -—
o
(2) H. W. Dahlen narra di aver visto germogli uviferi con sei grappoli {Die
Weinbereitung — Vieweg in Braunschweig — 1882, pag. 10). Noi abbiamo visto
un solo caso di 4 grappoli in un germoglio, nonostante lunghe e frequenti escur-
sioni viticole.
(3) V. alla descrizione dei principali sistemi di viticoltura il Metodo Van-
nuccini.
BOTANICA DELLA VITE 107
delle foglie: quasi sempre esse non sono solitarie, ma più spesso
per così dire sovrapposte ; infatti oltre alla gemma principale, si
trova accanto ad essa una gemma secondaria, e in qualche caso,
non tanto raro quanto potrebbe credersi, una terziaria; queste ul-
time gemme chiamansi usualmente sotf occhi o contr occhi e spesso,
se perisce il bottone principale, si sviluppano oltre e possono anche
portare uva.
Ma le gemme della vite si distinguono anche in pronte e dor-
mienti: le prime stanno su getti dell'annata, germogliano neh" anno
stesso e producono le femminelle portanti talvolta i così detti secondi
grappoli; esse sono veri sott'occhi posti presso il bottone o l'occhio
dormienti. Questi ultimi stanno invece su tralci di un anno d' età e
sono detti dormienti perchè non si sviluppano se non nella primavera
dell'anno successivo a quello della loro formazione. Essi sono vestiti,
cioè protetti da appendici coriacee embìHcate, ossia simili ad embrici
e disposte come il frutto squamoso dei pini, per approfittare meglio
del poco spazio che occupano; queste squame sono internamente co-
perte o imbottite, se così possiamo esprimerci, di molta lanuggine,
per meglio proteggere le parti interne tenere della gemma durante
i rigori dell'inverno. Appunto perciò queste gemme dormienti furono
chiamate, da Linneo, svernatoi o ibernacoli; Mirbel chiamò perula
l'involucro protettore e diconsi poi tegmenti le singole squame che
lo compongono.
Non tutte le varietà di viti portano gemme a perula lanugginosa
o tomentosa; alcune mostrano bottoni solo leggermente pelosi sui
getti allo stato erbaceo, altre hanno gemme poco lanugginose; e
questo senza che si possano stabilire classazioni, perchè nei paesi
caldi troviamo viti a gemme tomentose (es. la vite Troja delle Puglie)
e nei freddi viti a gemme senza lanuggine (es. il Dolcetto di Pie-
monte che dà solo in primavera un getto leggermente lanugginoso).
Anche la forma delle gemme varia a seconda dei differenti vitigni;
ora è arrotondata, ora depressa, ora acuminata, ora conica, ora a
guisa di amandola, con squame di vario colore e via via.
9° / fiori della vite — salve poche eccezioni (1) — si com-
pongono di quattro parti essenziali; il calice, la corolla, gli stami,
ed il pistillo, e perciò sono completi: essi si mostrano aggregati in
(1) Al paragrafo seguente diremo dei fiori anormali della vite, cioè incompleti,
per cui le piante che li portano sono sterili.
108 CAPITOLO IV
modo da costituire, come tutti sanno, una infiorescenza a grappolo
o racemo, il quale consiste in un asse principale, detto rachide (che
non è altro che la continuazione del peduncolo o gambo) attorno al
quale stanno varii rami secondarli; questi rami, disposti con una certa
uniformità sulla rachide, sono detti sub-peduncoli; essi ramificano
alla loro volta e portano i fiori, per cui la infiorescenza della vite
anziché essere semplice è composta. I piccoli gambi che sostengono
i singoli fiori, e quindi più tardi i singoli acini, sono detti pedunco-
letti o pedicelli, onde i fiori della vite sono peduncolati (1).
I rami secondarli coi loro grappoletti di fiori o racimoli sono sempre
più sviluppati presso la base della infiorescenza e costituiscono, presso
alcune varietà di vite, come chi dicesse le ale dei grappoli, i quali
infatti chiamansi alati se i grappoletti sono molto pronunciati; questi
grappoletti possono poi essere sostenuti da un sub-peduncolo cadente,
più o meno floscio, più o meno lungo, più o meno erbaceo e via
via, d'onde le varie forme dei grappoli a seconda delle varietà; come
ad esempio grappoli quasi cilindrici, conici o piramidali, molto o poco
alati, irregolari, più o meno allungati, più o meno ramosi ecc. Infine
se i grappoletti di fiori, e quindi di acini, sono molto ravvicinati gli
uni agli altri, i grappoli sono detti uniti e talvolta anche serrati; in
caso contrario sono detti spargoli o sciolti: di più, un grappolo può
essere ad esempio a racimoli spargoli ed avere gli acini più o meno
densi.
Le infiorescenze della vite sono sempre, come dicemmo dei viticci,
opposte alle foglie, cioè opposi tifo He; invece normalmente le infio-
rescenze in quasi tutte le piante, o nascono all' ascella delle foglie
(ascellari) o partono dall'estremità del fusto o dell'asse d'incremento
(terminali) come nel Tulipano, o sono miste, cioè offrono riuniti i
due modi di infiorescenza. Le infiorescenze della vite sono quindi
extra-ascellari, e siccome deviano dalla suddetta legge generale che
regola la disposizione dei fiori sul fusto, tanto bene studiate da
Roeper, Bravais ed altri, così appartengono al piccolo numero delle
infiorescenze anomale.
Esaminiamo ora la conformazione esterna dei quattro organi o ver-
ticilli onde, come dicemmo, si compone il fiore.
II fiore (fìg. 11) è il verticillo più esterno come tutti sanno, e
racchiude per così dire gli altri organi fiorali; nella vite è molto
(1) Diconsi invece sessili i fiori senza peduncolo, come quelli della Verbena.
BOTANICA DELLA VITE 109
piccolo, come si può vedere nella figura 11, ed i suoi sepali essendo
uniti o saldati fra di loro, ne consegue che il calice nella vite è ga-
mosepalo o monosepalo, distinguendosi così dai calici polisepali cioè
a sepali liberi. Esso presenta cinque dentelli onde è cinquedentato.
La sua parte superiore, ossia l'orlo, è libera; mentre la inferiore è
unita al ricettacolo, che è il breve asse su cui si inseriscono tutte
le appendici del fiore, corrispondente al ramo vegetativo. Al principio
della fioritura il calice spesso si essica e più tardi cade.
Fig. 11. Fig. 12. Fig. 13.
La corolla avviluppa e protegge gli organi della riproduzione:
essa è quasi sempre costituita da cinque foglioline o petali (fig. lice
fig. 12 e) e segue immediatamente il calice: esaminando un fiore di vite
prima che si apra (la fig. 1 1 lo mostra già aperto) si osserva che i cinque
petali si alternano coi cinque dentelli del calice, e toccano questi ul-
timi soltanto pei loro margini, onde si ha una così detta estivazione
valvare (1). I petali nel fiore della vite da principio sono divisi come
da cinque piccoli solchi longitudinali che vanno dalla base alla estre-
mità; ma quando incomincia la fruttificazione la corolla si divide in
cinque parti che sono appunto i petali: essi però restano saldati nella
loro parte superiore e staccansi solo alla base (fig. 11 e) rimanendo
con quest'ultima ripiegata in alto a guisa di cappuccio protettore del
pistillo e degli stami: i petali non essendo veramente saldati fra di
(1) I botanici chiamano estivazione il modo differente con cui sono disposte le
parti componenti il fiore prima che questo si apra. Oltre la estivazione valvare,
si ha quella detta torsiva, (di cui ci porge un esempio la corolla dei fiori di malva)
e la quinconciale.
110 CAPITOLO IV
loro, ma liberi, la corolla della vite, a differenza del calice, è poli-
petala. In alcune varietà di viti i petali anziché essere cinque, come
accade generalmente, sono sei e talvolta anche sette. Il complesso
della corolla nel fiore della vite ha una forma che generalmente
corrisponde a quella del futuro acino.
Gli stami, o organi maschili, nel fiore della vite sono quasi sempre
cinque (fig. 13 d d) e costituiscono il così detto androceo, che è il
terzo verticillo del fiore, racchiuso nella corolla: se sono cinque l'an-
droceo è pentandro, ed è questo il caso più comune nella vite, quan-
tunque vi siano fiori di vite con quattro, oppure sei od anche sette
stami, nel qual caso anche i petali si contano in egual numero. Ogni
stame consta del filamento e dell'andrà: i filamenti sono liberi e
sorgono dal ricettacolo su cui sono inseriti, precisamente fra i pe-
tali e la base dell'ovario; perciò l'androceo nella vite è ipogino (1) o
infero, mentre l'ovario è supero perchè situato superiormente al ca-
lice alla corolla ed all'androceo: tutto ciò appare evidente nella fig. 13
ove in d d ecc. sono disegnati cinque filamenti colle rispettive antere.
I filamenti nel fiore della vite sono subulati cioè foggiati a guisa
di lesina, allungati ed assottigliati verso la estremità.
Vanterà sta all' estremità del filamento, e costituisce come un
sacco membranoso giallognolo, quasi foggiato a guisa di cuore (fig. 14)
entro cui si trova il polline o polvere fecondante: l'antara è divisa
in due logge o cavità, o forse meglio borse, addossate una all'altra
e solo separate da un tessuto intermedio detto connettivo; essendo
due le logge, l'antera è biloculare nella vite, ed è quanto accade
generalmente in pressoché tutti i fiori delle varie piante. L'antera è
fissata al filamento per la parte mediana del suo dorso (fig. 14 b)
per cui è mediifissa; avendo poi la sua faccia rivolta verso il centro
del fiore (fig. 13 d d) è intr^orsa (2). L'antera è oscillante, ed ha
una deiscenza, cioè un modo d'aprirsi, longitudinale. — (Fig. 14 a fila-
mento con antera molto ingrossata vista per davanti; b, vista per di
dietro; e, vista dopo l'apertura delle borse d d, e l'uscita del polline).
77 polline è costituito (fig. 15 ingr. 410) da una polvere di color
giallo chiaro; la forma dei granellini che lo compongono può essere
elittica come in a o più acuminata come in b ; del diametro più
(1) Dicesi invece peritino se gli stami sono inseriti sul calice — e epigino o
supero se stanno Della parte superiore dell'ovario, il quale allora vien detto infero,
(2) In altre piante l'antera ha una posizione opposta (l'sti-orsa).
BOTANICA DELLA VITE
111
lungo di circa 25 micromillimetri ed il [più corto di circa 15 min.;
ma di essi parleremo più a lungo nel paragrafo seguente {Anatomia
della vite).
d
a
Fig. 14s.
Il pistillo è il verticillo centrale del fiore della vite; esso qui co-
stituisce da solo il gineceo, ed è un pistillo supero come già
vedemmo (fig. 11 b) terminante in una apertura detta stimma,
(fig. 13 f) e diviso internamente in due logge, qualche volta in tre (1):
in ogni loggia vi sono due ovuli. Il pistillo è composto di due o tre
Fig. 15.
parti, dette carpelli, saldate fra di loro e che corrispondono appunto
alle due o tre logge interne; esso è perciò un pistillo composto o
pluricarpellare , e forma due o tre ovarii: però usualmente si chiama
ovario l'intero pistillo. Siccome ogni ovario contiene più di un ovulo,
ne viene che esso è pluriovulato. La sua forma è o arrotondata o
allungata, e quasi diremmo fusiforme a mo' di bottiglia, d'onde le
varie forme degli acini di cui diremo fra poco. Lo stimma, o aper-
tura del pistillo, generalmente non è posto in cima ad uno stilo,
(1) Ciò accade quando i fiori hanno sei o sette petali e sei o sette stami.
112 CAPITOLO IV
come in altri fiori, ma sta immediatamente sub" ovario (fig. 13 f),
per cui lo stimma nel fiore della vite è sessile (1); se esiste uno
stilo esso è assai breve e semplice, ma ciò è raro. Lo stimma è ar-
rotondato piatto, e leggermente depresso nel centro.
10.° L'uva. Come tutti sanno il grappolo o pigna si compone
essenzialmente degli acini; in quanto al gambo ai peduncoli ed ai
picciuoli rimandiamo il lettore a quanto dicemmo (a pag. 108) par-
lando delle infiorescenze della vite, il che naturalmente vale pure
per quanto riguarda la varia forma dei grappoli d' uva. L' acino
botanicamente parlando è una bacca carnosa, così detta perchè
tutto il pericarpio è polposo, soffice, succulento e non vi ha noc-
ciolo in essa, ma solo i semi: nel frutto dell' uva manca adunque
l'endocarpio, che è quella membrana indurita, coriacea, ossea, che
tutti abbiamo osservato nella pesca, nella susina, nella ciliegia ecc.,
vale a dire il nocciolo: neh' acino d' uva l' endocarpio è confuso
colle altre parti del pericarpio.. Invece è molto sviluppata la parte
carnosa, succulenta, zuccherina che sta fra la pellicola (epicarpio)
ed i semi, e che dicesi mesocarpio o sarcocarpio: quindi nella
bacca dell'uva il 'pericarpio si distingue essenzialmente in due parti:
V epicarpio ed il mesocarpio o parenchima (2). L'acino non è de-
iscente, cioè il suo pericarpio non si apre, quando i semi sono ma-
turi, per dar luogo alla disseminazione; esso quindi, come tutti i
frutti carnosi, è indeiscente.
La forma degli acini può essere sferica o depressa; subrotonda,
dubbia o incostante, e decisamente ovale (3): queste forme però non
sono scrupolosamente costanti per una data varietà, poiché le con-
dizioni di clima e di suolo possono far assumere ad uve ad acino
rotondo la forma oblunga: tuttavia gli ampelografi tengono calcolo
anche di questo carattere.
(1 I botanici chiamano sessili le foglie, i fiori, le antere, e gli stami che non
hanno picciuoli, o peduncoli, o stili, o altri sostegni.
(2) Chiamasi parenchima la parte generalmente molle (tessuto cellulare) dei
frutti, delle foglie ecc. Al contrario chiamansi fibre i vasi dei vegetali riuniti in
fascii e costituenti come la trama o lo scheletro di quasi tutti gli organi. Nelle
foglie, ad esempio, è facile distinguere il parenchima dalle fibre.
(3) È questa la divisione adottata eziandio dal valente ampelografo G. Di Ro~
vasenda (op. cit. pag. 203) — Però L. Oudart divideva gli acini in due soli or-
dini: acino rotondo ed acino oblungo, ritenendo egli che gli acini subrotondi,
essendo rari assai, si potessero unire colle uve ad acino rotondo. Al capitolo Am-
pelogr.afia ritorneremo su di ciò.
BOTANICA DELLA VITE 113
Gli acini sono più o meno aderenti al peduncolo, massime nel
periodo della maturanza; in alcune varietà possono anche cadere di
per sé stessi, se nel detto periodo sopraggiungono le pioggie e se
il terreno del vigneto è poco permeabile. Il colore degli acini può
essere bianco, rosso o nero, con gradazioni diverse, come nero-
violaceo, rosso-rubino, azzurro-cupo, giallo-dorato, verdognolo ecc.;
alcuni ampelografì però distinguono le uve soltanto in colorate e
bianche; comunque sia, è certo che questo carattere è fra i più costanti,
onde Tampelografia, come vedremo più tardi, ne tiene grande conto.
La pellicola o buccia degli acini d'uva chiamasi propriamente la fio-
cine; essa, oltre al differente colore, può mostrarsi pruinosa oppure
lucida; coriacea o sottile. Diconsi pruinosi o annebbiati o cenerini
gli acini che sono ricoperti come da un pulviscolo bianchiccio, o per
parlare più propriamente, che sono spalmati da una sostanza grassa,
la quale oltre a proteggerli contro le intemperie, perchè è impenetrabile
all'acqua, giova molto allo sviluppo degli eteri (fragranza) nel futuro
vino: sono annebbiati gli acini del Nebbiolo, sono pruinosi quelli del
San Gioveto piccolo e del Dolcetto, e sono cenerini quelli della Cenerina
o Celerina o Slarina. È lucida invece la fiocine non pruinosa, come
ad esempio quella dell' uva Troia delle Puglie. Chiamasi coriacea
quella degli acini che volgarmente diciamo duri o croccanti, com'è
delle uve che si conservano per fare i vini passiti o ad uso tavola
per l'inverno, quali la Verdea, TErba-luce, ecc.
Veniamo ora ai semi d'uva, detti più propriamente vinacciuoli;
il loro numero nell'acino varia da zero a quattro al massimo, su di
che ritorneremo nel paragrafo seguente. Per ora ci limiteremo a de
scrivere esternamente il vinacciuolo (fig. 16): dicesi becco la sua
estremità, più o meno allungata; calaza un rigonfiamento circolare
od ovale che si trova quasi nel centro del vinacciuolo: rafe o ra~
fide o vasidutto è una prominenza che, in forma di cordoncino, parte
dalla calaza, si ripiega nella parte opposta del seme (parte ventrale)
e va a terminare alla punta del becco o ilo, che è il punto d'inser-
zione del seme sul pericarpio: vertice è l'estremità opposta al becco.
La calaza e la parte anteriore del rafide si trovano in una infos-
satura che va dalla parte centrale al vertice (1).
(1) Questa breve e chiara descrizione coir unita figura togliamo dalla Guida
pratica per la ricostituzione dei vigneti italiani dell' agr. V. Vannuccini — (Fi-
renze 1883, pag. 22-23).
0. Ottavi, Trattalo di Viticoltura. 9
114
CAPITOLO. IV
Queste sono adunque le parti esterne del vinacciuolo; ma è a no-
tarsi che la loro conformazione varia col variare del loro numero
nell'acino, e sovratutto poi col variare delle specie di viti. Engelmann
ha constatato che se in un acino vi ha un solo vinacciuolo, esso
prende una forma più arrotondata; se ve ne sono due, essi sono alquanto
appiattiti sul lato interno ed arrotondati sull' esterno ; se infine ve
ea-lattu
lAe/ctloe
ì^i£qisìs atti/ut
ne sono tre o quattro, i vinacciuoli sono più allungati ed angolari.
Queste differenze possono riscontrarsi anche negli acini d'uno stesso
grappolo. Ma le differenze fra specie e specie sono assai più importanti
e notevoli, massimamente per le viti americane. Si deve ad En-
gelmann il miglior lavoro su questo importante argomento; da esso
prendiamo le figure che seguono, acciò il lettore possa vedere le dif-
ferenze che passano fra i vinacciuoli di alcune specie.
Fig. Il a — seme di vite Riesling, ingrandimento di 4 diametri; b
Chasselas; e Black-Hamburg di una serra di viti presso Londra.
Fig. 18 d — Lambrusca di Toscana e del Nord d'Italia.
Le viti della specie europea ( Vitis vinifera) hanno, come vedesi, un
becco molto più allungato ed una calaza più grande che non le specie
americane; inoltre la calaza occupa la parte superiore e non la me-
diana del vinacciuolo. I quattro vinacciuoli qui disegnati non com-
prendono però tutte le forme delle viti d'Europa; tuttavia i loro
BOTANICA DELLA V1TK
15
caratteri fondamentali non variano di molto nelle altre numerosis-
sime varietà.
a
Fig 17.
Fig. 18.
Fig. 19 e fg e fig. 20 2/ quattro vinacciuoli di viti Riparia sel-
vatiche; e f Goat Island, alle cascate del Niagara; g dal lago Cham-
plain; fig. 20 i; June grape (uva di giugno) delle rive del Missis-
Fig. 19.
sipì, al disotto di San Luigi. Questi vinacciuoli sono ottusi, o molto
leggermente depressi al vertice; la calaza è piuttosto piatta, allun-
m
Fig. 20.
gata e si perde gradualmente in una infossatura che racchiude il
rafe appena saliente.
116
CAPITOLO IV
Fig. 20 l m: forme coltivate di Riparia (l Taylor-Bullit e m Clinton):
vinacciuoli più grossi, ma delFistessa forma.
Tralasciamo altre descrizioni per amor di brevità (1) e poniamo
così termine alla morfologia esterna della vite.
§ 4. Anatomia della vite. — Abbiamo già detto, incomin-
ciando il § 3, che l'anatomia corrisponde alla morfologia interna,
per cui dovremo ora fare, per i singoli organi onde si compone la
Vite, lo studio della loro intima costituzione o struttura: a tale uopo
terremo lo stesso ordine seguito nella morfologia esterna, incomin-
ciando dalla radice per terminare agli acini ed ai loro semi.
l.° La radice. Se noi confidiamo al suolo in determinate con-
dizioni di calore e di umidità, delle quali ci occuperemo studiando
Fig. 21.
Fig. 22.
la seminagione della vite, un vinacciuolo, vediamo che, dopo un
tempo più o meno lungo, si sviluppano due foglie seminali o cotile-
donari, (fig. 21 e 22) ed una radichelta a fìttone, la quale si sviluppa
(1) Chi desiderasse maggiori notizie, cousuiti Les Vìgnes Américaincs par Bush
e Meissner (IIoopli-Milauo).
BOTANICA DELLA VITE 117
rapidamente nel suolo, più rapidamente che il fusticino; questo è la
continuazione di quella e perciò fra la struttura interna della radice
e quella del fusto non sonovi che poche differenze essenziali.
La tenera punta della radichetta già mostra le spongiole e la pi-
leoriza (pag. 87 e 89) di colore giallognolo, costituita da cellule di-
staccatesi dal tessuto cellulare della radice e poi morte; esse pro-
teggono la punta vivente della radice. La parte esterna delle radi-
chette presenta anzitutto una speciale epidermide, detta epiblema,
composta di cellule appiattite e senza pori o meati (1); la parte te-
nera e bianchiccia delle estremità delle radichette, nonché i peli ra-
dicali che ivi si trovano, costituiscono il sistema assorbente della
pianticina, quando vengono in contatto colle particelle del suolo;
ed eziandio in una vite completamente sviluppata è sempre la gio-
vine punta delle radichette che prende gli alimenti dal terreno, come
diremo più distesamente nel successivo paragrafo (Fisiologia).
La parte interna della radichetta è quasi totalmente costituita da
tessuto cellulare attraversato da vasi (tessuto vascolare) che ne occu-
pano la parte centrale, come si vede nel disegno (fig. 23). La piccola
Fig. 23.
zona centrale libera da vasi si può considerare come il midollo
(tessuto cellulare impregnato di succhi). Invecchiando la radice, l'e-
pidermide è surrogata da uno strato di cellule morte. Infatti nelle
radici vecchie vediamo anzitutto all'esterno un vero strato sugheroso
(cellule sugherose o suberose) che si può separare in squame
(1) Diconsi meati o spazii intercellulari, le cavità che si riscontrano tra le cel-
lule, massime se queste sono arrotondate.
118 CAPITOLO IV
come accade dei tronchi; queste squame sono costituite dai fascii fi-
brosi del libro. Alla scorza fa seguito una zona di tessuto cellulare
o parenchima (1) le cui cellule non si sono vuotate del loro succo
come accade di quelle esterne anzidette, ma ne sono impregnate es-
sendo in pieno sviluppo.
Queste cellule contengono molti granuli amidacei. L'amido si
trova nelle cellule non solo dei grani (cereali) e dei tuberi (patate),
ma anche nel legno degli alberi, e ci accadrà molte volte di accen-
narlo studiando l'anatomia della Vite; specialmente perchè nelle foglie
di quest'ultima, se esposte direttamente al sole, si forma pure amido
in grande quantità durante l'estate e perchè l'amido in determinate
circostanze si metamorfosa in glucosio o zucchero.
I granuli d' amido osservati al microscopio offrono forme molto
differenti e grossezze pure diverse; la loro presenza si può ricono-
scere facilmente mettendoli in contatto con una soluzione acquosa o
alcoolica di iodio; se ne ottiene così un colore azzurro porporino assai
bello (2).
Oltre all'amido, nelle radici, massime se vecchie, si riscontrano ab-
bondanti i cristalli di ossalato di calcio (3) nelle cellule del paren-
chima corticale: da principio 1' ossalato è disciolto entro le cellule
della radice, benché sia insolubile nell'acqua pura; ma quando la radice
è bene sviluppata si hanno i cristalli quasi visibili ad occhio nudo, o
almeno con piccolo ingrandimento. Questi cristalli (ossalati, solfati,
fosfati, carbonati di calcio, ecc.) hanno ricevuto diversi nomi: chia-
(1) Abbiamo già detto (pag. 112 nota 2.a) che il tessuto parenchimatoso è il
tessuto cellulare molle, composto di cellule poliedriche oppure arrotondate, nel
qual caso ò detto merenchima : si chiama invece prosenchima il tessuto composto
di cellule allungate o fibre (tessuto fibroso). È bene conoscere questi termini bo-
tanici.
(2) L'amido ha la identica composizione chimica della cellulosa ( Co Hio O5 ).
E noto che la pianta ò un aggregato di cellule microscopiche; le pareti delle
cellule sono cellulosa, la quale costituisce come lo scheletro della pianta, dandole
la solidità. I corpi che più abbondano nelle piante coltivate sono, per ordine
d'importanza, l'acqua, la cellulosa, e Yamido.
(3) Gli elementi superflui od eccessivi della pianta, 0 rimangono disciolti nei
succhi, e sono emessi sotto forma di efflorescenza, oppure si depositano nelle
cellule, incrostando talvolta le pareti cellulari. S. W. Johnson dice che quan-
tunque questi cristalli non siano mandati fuori dall' organismo, tuttavia si pos-
sono giustamente considerare come escrezioni. (V. Come crescano i raccolti, di
Johnson traci. Giglioli — Milano: Treves, pag. 201).
BOTANICA DELLA VITE 119
mansi cistoliti le concrezioni cristalline, le quali sono attaccate ad
una parete cellulare; rafidi i fascii di cristalli aventi la forma di
aghi; druse se l'agglomeramento dei cristalli assume come la forma
d'una stella. Di questi cristalli diremo più a lungo studiando l'ana-
tomia della foglia. Nelle cellule del parenchima radicale si trovano
specialmente i rafidi.
Dopo la scorza ed il tessuto cellulare, o parenchima corticale, tro-
viamo nella radice della vite uno strato intermedio detto zona ge-
neratrice o cambio, che riscontreremo anche nel caule; nella radice
però questa zona, che taluno chiama libro tenero, consta soltanto
di tessuto cellulare e vascolare (1) cui fa seguito il corpo legnoso
che occupa il centro della radice, ove non si riscontra più il midollo
delle giovani radici, o almeno è quasi impercettibile nelle radici
molto vecchie.
Il tessuto vascolare della radice consta principalmente di vasi 'pun-
teggiati e rigati, (fig. 24) cosidetti per l'apparenza delle loro pareti,
nei quali quasi sempre si riscontra amido in piccoli granelli, secondo
il Prof. G. Briosi. Aggiungeremo che tutto il tessuto cellulare della
radice abbonda di vasi laticiferi (1).
Il corpo legnoso è attraversato dai raggi midollari come il caule.
2.° Il fasto. Per quanto il caule si confonda in certo qual modo
col corpo della radice, da cui non lo separa nessuna linea di
demarcazione, pure nella vite vi sono talune differenze essenziali
tra la struttura interna dell'uno e dell'altro.
Se noi pratichiamo un taglio orizzontale nel ceppo di una vite,
o in una diramazione legnosa di essa, noi vediamo chiaramente (fig. 25)
tre zone concentriche; cioè nel centro il midollo, poscia il corpo le-
gnoso, indi all'esterno la corteccia. Studiamo queste tre zone inco-
minciando dalla corteccia.
La parte più esterna di essa è, come già dicemmo, X epidermide,
composta di uno o più strati di cellule a grosse pareti intimamente
uniti fra di loro; si attribuisce all'azione diretta dell'aria, della luce
(1) Ricorderemo che il tessuto vascolare è formato dai vasi, i quali sono organi
essenziali della nutrizione: appariscono come tubi o canali aperti ai due capi, non
ramificati, a pareti sottili, più o meno lunghi, isolati o riuniti in fascii, i quali
penetrano entro il" tessuto cellulare. Diconsi vasi laticiferi, quei vasi semplici o
ramificati che contengono il latice o succo proprio della pianta. (L'oppio, le gom-
me resine ecc. si ricavano appunto dai latici di talune piante).
120
CAPITOLO IV
e di tutti gli agenti atmosferici sul tessuto cellulare esterno, l'ori-
gine dell'epidermide, come già sostenne pel primo Malpighi, quantun-
que le cellule che la compongono differiscano notevolmente da quelle
del tessuto sottostante. Essa mostra un certo numero di stomi (men-
tre questi mancano nelle radici) i quali riscontreremo assai più nu-
merosi nelle foglie: questi stomi o pori corticali (fig. 26) rendono per
così dire la vite permeabile all'aria, ed Hales trovò pel primo che
per loro mezzo l'aria penetra nei vasi longitudinali del fusto legnoso.
Come mostra la fig. 26 essi constano di due cellule a forma di mezzaluna,
le quali formano come piccoli occhi oblunghi, talvolta poligonali, posti
Fig. 24
Fig 25.
nello spessore dell'epidermide, e le di cui pareti sono suscettibili di re-
stringersi o allargarsi; già da parecchi anni Amici provò che l'umi-
dità soverchia quasi li fa chiudere, mentre il secco e l'azione diretta dei
raggi solari li dilatano e li aprono. L'epidermide ha uno spessore vario
secondo le diverse varietà di viti (1),* però essa esiste soltanto nelle
parti giovani del fusto; nelle altre, quando hanno due o più anni,
troviamo invece lo strato sugheroso (pag. 91) che tutti i viticul-
tari avranno certo osservato sui tronchi vecchi, ove è assai spesso.
(1) Secondo il Dr. 0. Penzig la varia grossezza della cuticola determinerebbe
la maggiore o minore resistenza che le varie viti possono opporre ai parassiti.
Archivio del Laboratorio crittogamico Garovaglio, Pavia 1882, pag. 153).
BOTANICA DELLA VITE 121
Dopo lo strato sugheroso troviamo, nel tronco della vite, un tes-
suto corticale da cui trae appunto origine il detto tessuto sugheroso;
e poscia fanno seguito i fascii fibrosi del libro, di cui già parlammo
a pag. 91. Tutto ciò costituisce la corteccia della vite.
Procedendo verso l'interno del ceppo troviamo il corpo legnoso:
ma fra esso e la corteccia si trova la zona generatrice o cambio,
già accennata a pag. 119, composta di tessuto cellulare e vascolare
e che Mirbel, sin dal 1816, definì un tessuto assai giovine che forma
la continuazione del libro, ed in cui circola il succo nutritore, per
la qual cosa esso si cangia insensibilmente in legno ed in libro se-
condochè tocca il primo od il secondo (1). Ciò è tanto vero che e-
Fig. 26.
saminando in primavera un tronco di vite, si trova la superficie del
legno (alburno) e quella interna della corteccia (libro) come turgida
e ricoperta di tessuto cellulare formativo, ossia nascente, inzuppato
di succhi: così si formano sia le fibre del libro che quelle del legno.
E se in primavera noi possiamo scortecciare facilmente un ramo di
vite sino a scoprire il legno, si è appunto perchè le cellule del cam-
bio sono giovani e delicate, mentre in autunno sono pienamente
sviluppate, si indurano e diventano legnose o liberiane.
Veniamo ora al ^ corpo legnoso: esso si compone di due parti, il
legno giovane, a contatto colla zona generatrice, detto alburno (2)
(1) Mirbel disse che questa trasformazione è percettibile all'occhio dell'osser-
vatore.
(2) Alburno, quasi per significare un legno più bianco; infatti talvolta è più
pallido del legno propriamente detto cioè più interno, e tal'altra è bianco come nel-
122 CAPITOLO IV
ed il legno propriamente detto, chiamato duramen o cuore del legno,
od anche semplicemente legno, il quale è più duro e consistente del-
l'alburno. Nel corpo legnoso della vite vi ha poca differenza di co-
lore fra queste due parti; F alburno però è meno consistente.
Nella fìg. 25 abbiamo disegnato una sezione orizzontale d'un tronco di
vite barbera; in essa si vedono chiaramente gli strati legnosi circolari
che costituiscono il corpo legnoso, disposti attorno al canale midol-
lare; ogni anno si forma uno di consimili anelli all'esterno di quelli
che già costituivano il corpo legnoso, ma non sempre essi sono di-
sposti regolarmente attorno al midollo: se il tronco o ramo della
vite è verticale abbiamo la disposizione a della fìg. 27; ma se è molto
ricurvato, come accade generalmente nei sistemi di educare la vite,
allora si ha la disposizione b cogli strati annuali che si protendono
eccentricamente verso il lato inferiore del ramo. Questi anelli legnosi
Fig. 27.
annuali rimangono sempre visibili nel caule, onde dal loro numero
può dedursi quanti anni abbia la vite; (nella fig. 25 il numero degli
strati non corrisponde a quello degli anni perchè l'abbiamo ingran-
dita di 2 volte onde renderla più chiara). Conviene tuttavia notare
che ciò si verifica specialmente nei paesi ove, per il freddo dell'in-
verno, la vegetazione della vite cessa del tutto o quasi, poiché se
essa continuasse quasi senza interruzione (pag. 30) gli strati legnosi
annuali si confonderebbero gli uni cogli altri, e allora sarebbe molto
difficile dedurre dal loro esame l'età della vite.
Come vedesi nella fig. 25 ogni anello legnoso annuale è separato
dai due altri in mezzo a cui si trova, mediante un sottile strato; esso
è costituito da cellule legnose più piccale delle altre, e corrisponde
T ebano, ove il legno interno è a dirittura nero, e nel campeggio, ove è rosso _
Però questa differenza di colorazione è insensibile nei legni bianchi e leggeri
(pini, pioppi, ecc. ecc.). ^
BOTANICA DELLA VITE 123
al momento dell'anno in cui la vegetazione della vite si arresta: du-
rante la vegetazione le cellule sono più grosse, d'onde questi sottili
strati di legno più compatto, bene visibili anche ad occhio nudo.
Esaminandoli al microscopio si riconosce che essi sono composti di
tessuto legnoso perfettamente identico a quello che costituisce V in-
tera massa legnosa.
La fibra legnosa, massime del legno o duramen, è impregnata
da lignina^ oltre alla cellulosa che costituisce, come già dicemmo
a pag. 118 la parete delle cellule: la lignina ha una composizione non
ancora bene definita, ed è forse una miscela di varie sostanze (Schulze).
Veniamo ora al midollo, che è la parte centrale del fusto della
vite: esso è racchiuso nell'astuccio midollare di forma circolare, il
quale altro non è che la parte interna del primo strato legnoso for-
matosi, ond' è che non è separato dal corpo legnoso. Esso si com-
pone di trachee (1), vasi punteggiati (2) e tessuto legnoso.
Il midollo consta, nella vite, di grandi cellule, ossia d'una massa
continua di tessuto cellulare, impregnata di succo, ma che offre ca-
ratteri diversi secondochè si esamina un ramo giovine oppure un
vecchio tronco: in quest'ultimo caso il midollo si riduce notevolmente
di volume (fig. 25) e cede grande parte de' suoi succhi alle altre
parti del tronco, onde le cellule si vuotano, le loro pareti inspes-
siscono e si impregnano di lignina, per cui il midollo si riduce ad
una massa quasi diremmo arida, di colore rossastro o monachino,
come gli strati corticali, mentre quando è giovine è bianco.
Dal midollo partono i raggi midollari e vanno al tessuto cellu-
lare della corteccia; essi altro non sono che lamine verticali di tes-
suto cellulare, le quali, come si vede chiaramente nella fig. 25, divi-
dono il corpo legnoso in tanti compartimenti formando per così dire
delle chiusure: essi sono di colore più chiaro e però si vedono fa-
cilmente, come si vedono gli strati legnosi annuali. I raggi midollari
tagliano appunto questi anelli legnosi: essi notansi assai numerosi
nei giovani tralci, specialmente nel legno di un anno sul quale sia
(1) Sono tubetti cilindrici, lunghi, a pareti sottili e membranose, aventi nel
loro interno un filo ravvolto a spirale, per cui si chiamano anche vasi a spirale.
Il filo è cilindrico e pieno di sava; il tubo cilindrico è invece pieno d'aria.
(2) I vasi (pag. 119 nota l.a) sono detti punteggiati quando mostrano sulla
periferia dei puntidisposti con una certa regolarità in linea trasversale: questi punti
sono realmente spazii (areolé) nei quali non si sono deposte sostanze, per cui mercè
di essi il succo può venire facilmente assorbito e poscia diffuso.
124
CAPITOLO IV
praticata una sezione trasversale; ma, com' è evidente, quanto più
abbondano tanto minore è il loro spessore. Essi constano di cellule
aventi una forma speciale, e visti in una sezione orizzontale appa-
iono come tanti quadrilateri allungati (fig. 28: a midollo, b raggio mi-
dollare, e epidermide della corteccia) : tali cellule sono prismatiche
assai regolari con pareti punteggiate ad occhiello (fig. 29 e 30 r r)\
esse sono molto ricche di amido nochè di tannino (1), il quale ri-
scontrasi anche negli strati corticali e nel libro; inoltre contengono
cristalli di ossalato di calce (rafidi) e cristalli isolati presso gli strati
esterni del libro.
Per dare ora un' idea complessiva della costituzione morfologica
interna del fusto della vite esamineremo la fig. 29 (2) che rappre-
senta un taglio trasversale del legno, ingrandito 400 volte: in g ve-
diamo i vasi (pag. 119); in r un raggio midollare ed in II le fibre
del libro (pag. 121) a figura allungata ed aguzza e poco punteggiate.
La fig. 30 invece ci mostra un taglio longitudinale del fusto della vite
ingrandito 300 volte; g g sono i vasi rigati, o più propriamente sca-
(1) 0. Penzig, loc. cit. pag. 151.
(2) Riproduciamo le fig. 29 e 30 dal citato lavoro
del Laboratorio crittogamico di Pavia).
del Dott. Penzig (Archivio
BOTANICA DELLA VITE
125
lari formi, essendo le linee trasversali assai regolari; questi vasi pre-
sentano pure le areole di cui parlammo a pag. 123, nota 2; l Me
libre libriformi semplici; V V quelle tramezzate o septate da sottili
tramezzi; p p il parenchima legnoso: r r un raggio midollare.
3°. Il legno giovine. Passiamo ora a studiare 1' anatomia del
tralcio legnoso della vite: esso non presenta differenze dal legno del
Fi-. 29.
fusto or'ora studiato ed offre uno o due anelli legnosi secondochè ha
uno o due anni.
Il midollo, relativamente al legno ed alla corteccia, è molto svi-
luppato, siccome ci mostra la fìg. 31, la quale rappresenta un tralcio
di un anno d'età: il suo colore è più chiaro che non nel legno vecchio;
inoltre esso è più ricco di succhi.
Nel legno giovine il midollo non è continuo, ma ai nodi pre-
senta delle soluzioni di continuità, cioè dei tramezzi legnosi di
126
CAPITOLO IV
color chiaro, come vedesi in a e b fig. 31. Gli è perciò che nei tralci
della vite troviamo i meritalli o internodii aventi ciascuno un mi-
dollo proprio, cioè indipendente da quello degli internodii superiore
ed inferiore. La gemma o bottone fa sempre parte del meritallo ad
essa superiore (1) il cui midollo senza dubbio contribuisce a renderla
Fig. 30.
più robusta e più feconda : ond' è che il potatore razionale non re-
cide mai il tralcio presso la gemma, ma bensì alla estremità del suo
(1) Ciò però non significa che la gemma, se separata dal suo meritallo, debba
certamente perire: è noto che si possono seminare le semplici gemme (V. più in-
nanzi Pianlamento della vite).
BOTANICA DELLA VITE
127
internodio. Questa gemma, alla quale sovrasta un internodio (il quale
però deve essere chiuso superiormente dal tramezzo legnoso) si chiama
gemma franca, quasi per indicare che non può fallire, e difatti è
raro che non sbucci. Se però l'internodio venisse tagliato troppo in
basso, così da non essere chiuso dal tramezzo legnoso superiore, il
midollo si guasterebbe e l'astuccio midollare potrebbe servire di nido
ad insetti, per cui ne verrebbe gravemente danneggiata la gemma:
questo fatto ci è accaduto di constatarlo più volte.
Invecchiando il legno, i tramezzi legnosi si fanno sempre più scuri,
Fiff. 31.
Fi- 32.
sino a prendere lo stesso colore del midollo: infine scompaiono. Non
sapremmo precisare quando ciò accada, solo possiamo dire di aver
trovato i detti tramezzi di colore scuro, ma ancora sufficientemente
duri, nel legno di vite di cinque anni.
La quantità di midollo contenuta nei tralci della vite varia a se-
conda delle varietà differenti di vizzati: e così abbiamo quelli con
sarmenti ricchi di midollo, altri medianamente provvisti ed altri po-
veri. Si osserva generalmente che quando il midollo è scarso ab-
128
CAPITOLO IV
bonda il legno, ed è naturale; onde allora il vitigno è più robusto
e più resistente alle intemperie e sovratutto ai grandi freddi: però
non si deve ritenere ciò come assoluto, essendovi talune eccezioni,
fra cui il barbera, che nonostante un copioso midollo è robustissimo
e che abbiamo visto resistere a forti geli nel rigidissimo inverno del
1880 in cui in Monferrato si ebbero, nel gennaio, 10 gradi C. sotto
lo zero a mezzogiorno.
Anche nel legno giovine, come nel ceppo, trovasi tannino, ossa-
lato di calcio ed amido e nulla abbiamo da aggiungere su di ciò.
Pia-. 33.
4.° / germogli. Se noi pratichiamo un taglio orizzontale sovra
un germoglio erbaceo vediamo agevolmente come le parti verdi
della vite si compongano di fascii vascolari bene distinti (fig. 32)
che scorrono lungo il germoglio parallelamente al copioso midollo
che essi circondano. Come si vede nella fig. 32 i fascii sono attra-
versati da un anello, detto anello cT inspessimento, ond' è che ri-
mangono divisi in due parti: la più piccola è esterna e fa parte del
libro; la più grande è interna ed appartiene al legno. Questi fascii
BOTANICA DELLA VITE
129
di vasi da principio sono più rari di quanto non appaia nella fìg. 32,
e fra di essi trovansi parecchi strati di parenchima, oltre ai raggi
midollari molto marcati: ma a poco a poco i fascii si moltiplicano,
suddividendosi ciascuno in due altri fasci distinti, separati solo dai
Fi-. 34.
raggi midollari: ciò accade rapidamente e spiega il pronto accrescersi
del diametro dei germogli viticoli.
La fìg. 33 rappresenta un taglio trasversale d'un giovane tralcio
ingrandito 200 volte: in l abbiamo il libro; in g i vasi; in e cri-
0. Ottavi, Trattato di Viticoltura. 10
130 CAPITOLO IV
stalli isolati di ossalato di calcio; in d druse stellate pure di ossalato,
ed in r rafidi dello stesso sale (vedi pag. 119).
Ricorderemo che nelle parti giovani della vite, le quali sono ri-
coperte dall'epidermide di colore verde, manca lo strato sugheroso
che si riscontra nel legno di due o più anni; inoltre queste parti
verdi presentano (pag. 92) peli analoghi a quelli del picciuolo della
foglia. Il citato Dottor 0. Penzig ha disegnato (fig. 34) uno di questi
peli semplici con un ingrandimento di 1[500: essi sono di forma co-
nica, immersi mercè la loro base in una massa di cellule epidermiche,
la quale quasi come glandola (1) sporge dalla superficie del ger-
moglio o del peziolo; la loro parete è spessa ed è formata da una
cuticola densa e pieghettata, il cui contenuto mostra chiaramente la
circolazione del plasma granuloso lungo la parete stessa (2). Questi
peli si possono quindi considerare come unicellulari, cioè costituiti
da una grande cellula allungata contenente, come tutte le cellule,
Fig. 35.
quel liquido denso e granuloso che è detto liquido formativo o pro-
toplasma, oltre al nucleo nel centro. Pare che nei peli della vite non
esista amido, mentre esso trovasi invece nei peli del genere Ampelopsis
(pag. 76).
L'estremità del germoglio della vite può rappresentarsi come nella
fìg. 35 (ingrandimento 1[200): in /' f f" sono indicati i principii
delle foglie; in r' r" i viticci; in n' ri' le stipole (pag. 104); ed in s
(1) Le glandule sono piccoli ammassi di cellule, le quali secernono umori spe-
ciali, ora odorosi ora acri ecc. Ad esempio nelle ortiche le glandule che si trovano
alla base dei peli secernono quell' umore caustico che, passando pei peli stessi,
viene ad irritare la pelle di chi tocca l'ortica, perchè nell'atto del toccare rom-
pesi la punta fragile dei peli.
(2) 0. Penzig loc. cit. pag. 156.
BOTANICA DELLA VITE 131
la sommità del fusto (1). Alla foglia f è opposto il viticcio r'\ alla
foglia f" il viticcio r" secondo la regola generale accennata a pa-
gina 94. Alla foglia f non corrisponde un viticcio, ma poi si ha un
viticcio r' opposto ad una foglia f, ed una foglia f" opposta ad
un viticcio r" in conformità di quanto dicemmo a pag. 96 accen-
nando alla legge generale della intermittenza dei viticci.
5°. / viticci. Se noi pratichiamo una sezione orizzontale a tra-
verso un viticcio, vediamo che i fascii fibro-vascolari sono disposti
secondo la fìg. 36 : questi fascii sono molto numerosi e molto» vicini
gli uni agli altri; come quelli dei germogli essi sono disposti in cir-
colo attorno al midollo, e provengono per così dire da una dirama-
zione dei fascii vascolari del germoglio stesso da cui parte il viticcio:
i vasi a spirale vi sono predominanti. L' epidermide è costituita da
cellule allungate, e vi si trovano stomi come nei germogli : il libro
è pure bene determinato. Mancano i peli, o almeno sono rarissimi
Fig. 36. Fig. 37.
e si trovano solo nei giovani cirri di alcune varietà. L'amido, il
tannino e l'ossalato di calcio vi si trovano distribuiti come nel fusto.
6°. Le foglie. Nel picciuolo i fascii fibro-vascolari sono disposti
come lo indica la fìg. 37, con una depressione verso la faccia supe-
riore del picciuolo stesso, e costituiscono essi pure una diramazione
di quelli del germoglio; alla estremità del picciuolo si distribuiscono
nelle nervature, nelle vene e nelle venicelle (pag. 103). Questa
rete di vasi a maglie poligonali (2) costituisce un solido scheletro
(1) Penzig Id. id. pag. 162.
(2) Queste maglie anastomizzandosi costituiscono il reticolato delle nervature,
(veggasi la fig. 42 a pag. 137): in ciascuna di queste maglie penetra un ramo
(raramente due) formato di trachee, che si ramifica più o meno regolarmente in
quella guisa che dicesi pedata, e le cui ramificazioni ulteriori sono formate di
semplici tracheidi che terminano a fondo cieco, cioè non si anastomizzano ulte-
132 CAPITOLO IV
per la foglia, come già osservammo a pag. 112 (nota 2a), mentre
gli spazii che intercedono fra i vasi sono più o meno ripieni di cellule
parenchimatose con granuli di clorofilla di cui diremo or'ora.
L'epidermide del picciuolo è costituita da ampie cellule, e mostra stomi
nonché peli corti di forma uguale a quella indicata a pag. 129. Anche
nel picciuolo, come nei germogli e nel fusto, si trovano ossalato di
calcio, tannino e amido.
Le due pagine della foglia sono ricoperte da una epidermide
robusta e spessa, poco aderente al tessuto sottostante, composta
di cellule appiattite e diafane, cioè senza granuli di clorofilla. L' e-
pidermide presenta certe aperture, o pori respiratori!, che già ve-
demmo (a pag. 121) chiamarsi stomi, mercè cui gli spazii intercel-
lulari della foglia comunicano coli' atmosfera : gli stomi sono raris-
Fig. 38.
simi, e spesso mancano del tutto, nella pagina superiore della foglia
{a fig. 38), mentre sono molto numerosi nella pagina inferiore (b fig. 38),
la qual cosa si osserva in tutte le foglie delle piante terrestri (1):
si può quindi concludere che le parti delle foglie le quali sono più di-
rettamente esposte al calore solare sono quelle che difettano o man-
cano di pori respiratomi; infatti, secondo alcuni botanici, il calore e
la siccità non solo farebbero restringere 1' orifizio di questi stomi,
riormente. 11 Dott. Giuseppe Cuboni di Collegllano fu quegli che pel primo de-
scrisse questo modo di terminarsi delle ultime estremità libere dei cordoni va-
scolari nelle foglie.
(1) Le foglie sommerse delle piante acquatiche ne sono sprovviste del tutto,
tolte poche eccezioni: le foglie galleggianti hanno stoini soltanto sulla pagina
superiore,
BOTANICA DELLA VITE
133
ma talvolta lo costringerebbero a chiudersi del tutto, laddove, con-
trariamente a quanto dicemmo a pag. 120, l' amido ne provo-
cherebbe l' apertura e l' allargamento, tanto più se coadiuvato da
una luce viva. Noteremo però, che se la luce favorisce l'aper-
tura dei pori, come già ammetteva Amici, V ombra ne fa aumen-
tare il numero, cosicché talvolta in luoghi ombreggiati ed umidi
anche la pagina superiore ne è sufficientemente provvista.
Abbiamo detto che le cellule dell'epidermide non contengono gra-
nuli di clorofilla: ne contengono però le cellule che costituiscono gli
stomi, e forse dipende da ciò la diversa intensità di colorazione verde
che si osserva talvolta fra le due pagine della stessa foglia.
La fig. 39, la quale rappresenta una sezione trasversale assai in-
grandita della foglia, ci indica chiaramente la disposizione delle varie
Fig. 39.
parti nello spessore della foglia stessa: e così in e e abbiamo l'epi-
dermide della pagina superiore senza stomi, ed in é e' l'epidermide
della pagina inferiore: o indica uno stoma formato dalle due cel-
lule s s poste una verso l'altra, per cui ne risulta un poro nell'epi-
dermide: in p p p' p' abbiamo il tessuto cellulare del parenchima
contenente i granuli di clorofilla segnati colla lettera e: — p p in-
dicherebbe il vero parenchima a cellule allungate, disposte per così
dire a palizzata e molto vicine le une alle altre, mentre p' p' pr ecc.
sarebbero varii strati del così detto merenchima (pag. 118, nota la)
134
CAPITOLO IV
o tessuto spugnoso a cellule arrotondate, le quali perciò lasciano fra
di loro gli spazii i i detti meati intercellulari, come già sappiamo.
La fig. 40 mostra la sezione trasversale molto ingrandita di una
nervatura, ove e e indica l'epidermide, e e il tessuto cellulare e t
un pelo, poiché le nervature principali presentano sempre peli (pa-
gina 104).
Infatti nella pagina inferiore della foglia di vite si trovano sulle
nervature molti peli , come già dicemmo : di essi abbiamo dato
una descrizione a pag. 129 fig. 34. Aggiungeremo qui che oltre
a questi peli di forma conica, che sono i più numerosi, se ne tro-
vano altri assai sottili, lunghi e flessuosi, per cui intrecciandosi fra
di loro talvolta danno luogo a quella pubescenza che a pag. 102 chia-
mammo ragnatela, mentre tal'altra costituiscono come un vero strato
J<òO
o
ODO
p C J
Fisr. 40.
cotonoso. Infine il D.r Penzig ha pel primo osservato una terza
forma di peli sulle foglie della vite, come pure sul picciuolo, sui gio-
vani tralci e sui viticci (1): questi peli, che si osservano pure sulle
foglie del genere Ampelopsis, hanno (fig. 41) un gambo cortissimo com-
(1) Loc. cit. pag. 158.
BOTANICA DELLA VITE
135
posto di molte cellule ed un capolino assai grande, talvolta lungo 2
millimetri, ialino e luccicante quasi a mo' di perla diafana, onde molti
osservatori furono già tratti in inganno prendendo simili peli per
ova di insetti oppure per acari parassiti della foglia. Nel centro del
capolino esistono molte grandi cellule piene di plasma e di succo
limpido: sui fianchi si vede un solo stoma st di forma ordinaria, le
cui cellule contengono molta clorofilla e molto amido.
Per ultimare quanto si riferisce alla anatomia della foglia ci rimane
a parlare della clorofilla e dell'ossalo di calcio, sin qui accennati
soltanto fuggevolmente.
La clorofilla (1) si presenta nel parenchima della foglia sotto
forma di granuli, i quali trovansi nel protoplasma cellulare, costi-
Fig. 41.
tuiti da un nucleo di amido circondato da vera clorofilla: infatti
trattati col iodio (pag. 118) si colorano tosto in violetto. La clorofilla
è solubile nell'alcool, nell'etere e negli acidi cloridrico e solforico, che
(1) Clorofilla significa verde delle foglie.
136 CAPITOLO IV
si colorano intensamente in verde: secondo Fréray essa si può decom-
porre in due sostanze coloranti trattandola con un miscuglio di acido
idroclorico ed etere; si ottiene allora sciolta nell' etere una sostanza
azurra, che Frémy chiamò cianofilla (o fillocianina) mentre nell'a-
cido rimane una sostanza gialla, detta xantofilla (o filloxantina)
alla quale probabilmente si deve il colore giallo che assumono le
foglie in autunno. Noi abbiamo trovato però nelle foglie di alcune
viti (barbera, tintoria, ecc,) una copiosa materia colorante rossa, a-
naloga alla enocianina; essa si produce solo sul finir dell' estate.
Ne riparleremo al capitolo Chimica della Vite.
È importante sapere che senza ferro non può formarsi clorofilla,
per cui le piante le quali vegetano in terreni privi di ferro riman-
gono bianche; ma basta aggiungere al terreno sali di ferro (solfato
o cloruro) perchè comparisca il color verde, come hanno dimostrato
con esperienze dirette Salm-Horstmar, Sachs e Gris. Quest'ultimo e-
sperimentatore osservò, coli' aiuto del microscopio, che mancando il
ferro il protoplasma delle cellule (pag. 130) rimaneva una massa in-
coio ra o gialla, mentre sotto l' influenza del ferro non tardavano a
formarsi i granuli della clorofilla. Sono le cellule contenenti questi
granuli, che sotto l'influenza moderata della luce e del calore hanno
il potere di decomporre V acido carbonico dell' aria, assimilandosi il
carbonio e formando, cogli elementi dell' acqua e del suolo, le so-
stanze organiche onde è costituita la pianta. Concludendo, diremo che
il ferro è indispensabile alla produzione della clorofilla e quindi anche
alla vita ed allo sviluppo delle piante; la pratica della viticultura ci
insegna infatti che il ferro (solfato) sparso sul terreno, è di grande
giovamento alla vite, il cui fogliame si fa rigoglioso ed assume un
bel colore verde carico.
Uossalato di calcio (pag. 118) è stato studiato ultimamente con
molta cura, nelle foglie della vite, dal Dr. Cuboni (1), il quale ha esa-
minato ai microscopio il tessuto della foglia direttamente in super-
ficie e non già in sottili sezioni trasversali come si usa fare ordina-
riamente: egli ha trattato le foglie assai giovani con alcool, per
allontanare la clorofilla, e le foglie adulte con idrato di potassio, la-
vando poscia il preparato con acido acetico: con questi metodi egli
ha potuto constatare: 1°) che le foglie giovani della Vitis vinifera
non contengono altri cristalli (di ossalato di calcio) che i rafidi, mentre
(1) Rivista di Vit. ed Eh. di Conegliano (N. 23 e 24 1S83).
BOTANICA DELLA VITE
137
le druse non compariscono se non nelle foglie adulte. (A pag. 119 ab-
biamo detto che cosa siano questi cristalli). 2°) Che i rafidi sono sempre
contenuti entro grandi cellule di forma speciale, differentissime dalle
cellule ordinarie che costituiscono il parenchima della foglia, mentre
le druse sono contenute entro cellule piccolissime, inoltre i primi dif-
feriscono dalle seconde per la diversa posizione che costantemente
occupano nel tessuto della foglia.
Le cellule contenenti rafidi hanno una forma ordinariamente ci-
lindrica (fig. 42; porzione di foglia giovine di Raboso ingr. 140 e
^— v
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Fie. 2.
fig. 43 a b e cellule con rafidi isolate ingrandite 600 volte): il dia-
metro trasversale ordinariamente misura da 20 a 25 millesimi di
millimetro, mentre quello longitudinale varia assai, cioè da 100 a
200 millesimi di millimetro: il fascio dei rafidi è lungo da 30 a 35
millesimi di millimetro. — La fig. 44 ci mostra una porzione di foglia
adulta di vite Rabosa colle cellule a rafidi e le druse ingr. 140 e la
fig. 45 in a ci rappresenta varie cellu'e a druse di forma quasi cu-
138
CAPITOLO IV
bica ed il cui lato maggiore misura soltanto 10-12 millesimi di mil-
limetro; ed in b una cellula a rafidi trattata con acido acetico con-
centrato, nel qual caso si forma subito un precipitato gelatinoso opaco
che inviluppa il fascio dei rafidi. Questo precipitato, a parere del
Dr. Cuboni, è dovuto senza dubbio alla coagulazione di una sostanza
che prima era disciolta nel succo cellulare: essa è molto abbondante
nelle cellule delle foglie giovani, ma va mano mano scemando col
crescere dell'età della foglia, finché nelle foglie autunnali il tratta-
mento coll'acido acetico non determina che un coagulo sottilissimo
intorno al fascio. Questo coagulo non presenta alcuna delle reazioni
caratteristiche del protoplasma: è solubile nell'acido cloridrico e forse
non è altro che l'ossalato di calcio disciolto nel succo cellulare che
precipita allo stato amorfo coll'acido acetico.
Fig. 43.
11 D.r Cuboni ha osservato pel primo che le cellule a rafidi nelle
maglie poligonali di fascii fibro-vascolari che costituiscono il reticolo
delle nervature, si trovano in numero di una o due, ai lati del cor-
done vascolare che penetra nelle maglie stesse, come è chiaramente
indicato nella fig. 42. Il numero di queste cellule, il quale pare varii
da 70 ad 80 per ogni millimetro quadrato, non aumenta né dimi-
BOTANICA DELLA VITE
139
nuisce coll'età della foglia, a cominciare dal momento in cui essa ha
raggiunto la sua forma definitiva. Invece le druse non si trovano
che nelle foglie adulte, molto tardi verso l'autunno: le cellule che le
contengono sono piccolissime e sono disposte, come si vede nella
fig. 44, in una fila più o meno interrotta alla diritta ed alla sinistra
di ciascun cordone vascolare. Il numero di queste cellule va mano
mano aumentando coll'età delle foglie, e le prime si formano vicine
alle nervature più grosse.
^T\
Infine diremo che il D.r Cuboni ha trovato le cellule a rafidi in
200 e più viti europee, nonché nelle americane Labrusca, Riparia
ed Aestivalis e nelle foglie dell' Ampelopsis hederacea : quindi pro-
babilmente esse sono caratteristiche di tutte le Ampelidee (pag. 76).
Nel paragrafo seguente sulla fisiologia della vite, diremo dell'azione
della luce solare e delle condizioni fisico -chimiche del terreno su
questi cristalli di ossalato di calcio.
7.° Le gemme {occhi e bottoni). I botanici chiamano prefoglia-
zione (pag. 104) la disposizione che hanno le foglie entro le gemme
foglifere {occhi) prima che queste si aprano: chiamano poi pre-fio-
140
CAPITOLO IV
razione la disposizione delle varie parti del fiore entro le gemme
fiorifere {bottoni). Tanto la prefogliazione quanto la preflorazione
sono generalmente le stesse, cioè sono costanti, in tutte le piante
di una stessa famiglia naturale, ond' è che vi si attribuisce molta
importanza. La prefogliazione dicesi anche ibernazione, e la pre-
florazione è pure chiamata estivazione.
Fig. 45.
Negli occhi della vite le foglie sono ripiegate su sé stesse secondo
la loro lunghezza a guisa d'un ventaglio, e perciò la prefogliazione
è plicata o pieghettata od anche increspata. Le foglie normali
negli occhi sono protette, come già dicemmo a pag. 104, dalle sti-
pole. Queste foglioline precoci sono ricoperte da una epidermide a
cellule sottili, senza stomi, ma con lunghi peli da ambe le faccie per
meglio proteggere la vera foglia prima del suo sviluppo, quasi come
farebbe una guaina: secondo il Dott. Penzig nella base delle stipole
non penetrano affatto fascii fibro -vascolari, locchè è strano; perchè
in generale le stipole hanno una nervatura mediana, osservata in-
fatti nel genere Cissus dalla stesso Penzig. Infine le stipole presen-
tano ossalato di calcio (rafìdi a grossi fascii: veggasi la fig. 42 a pa-
gina 137), ma invece mancano di clorofilla, d'amido e di tannino (1).
(1) Loc. cit. pag. 160.
BOTANICA DELLA VITE 141
Nei bottoni della vite i cinque petali si alternano coi cinque den-
telli del calice, toccando questi ultimi soltanto pei loro margini, per
cui la preflorazione è detta valvare (veggasi la pag. 109). Nei bot-
toni i fiori sono protetti dalle brattee che corrispondono alle stipole
delle foglie. Le brattee trovansi anche sui cirri, ed è questa un'altra
prova che il viticcio è un grappolo abortito: la brattea del viticcio
corrisponde alla scaglia della sua ramificazione maggiore, come dicemmo
a pag. 98 (fig. 7 d)\ le brattee possono trasformarsi in vere foglie pic-
ciuolate, mentre talvolta anche le diramazioni secondarie dei cirri por-
tano brattee alla cui ascella nascono i pedicelli fiorali dei quali di-
remo or'ora. Queste brattee hanno una sola nervatura mediana assai
sporgente: le parti laterali sono tenere, sottili e scolorate. (Penzig).
Tutte le gemme della vite, ma specialmente quelle bene svilup-
pate, presentano in autunno, sotto di esse, come un rigonfiamento
del legno (una specie di mensoletta o rigonfiamento polputo) rac-
chiudente una sostanza di apparenza amilacea, la quale rappresenta
i cotiledoni dei semi. Infatti questo rigonfiamento alimenta il tenero
germoglio nella successiva primavera sino a che esso non abbia cac-
ciato le foglie, ed intrecciate le sue fibre con quelle del libro del
ramo.
8.° / fiori. I sepali del calice ed i petali della corolla sono essi
pure attraversati come le foglie da fascii fibro- va scolari; la qual cosa
è naturale, poiché in sostanza i sepali, i petali, gli stami ed i car-
pelli (pag. Ili) altro non sono che foglie variamente modificate (1).
Fra i fascii suddetti trovasi un tessuto parenchimatoso, appunto come
nelle foglie: l'epidermide ricopre il tutto, e mostra benché in piccolo
numero, gli stomi.
La struttura interna del fiore è la seguente (fig. 46 ingrandita
50 volte) (2): sotto l'apertura o stimma a si trova come un breve
stilo b che realmente è la parte superiore dell'ovario: esso da prin-
cipio è ripieno di un tessuto che trae origine dalla sua parete interna
ed è composto di cellule leggermente connesse fra di loro: tale tes-
(1) È noto che i giardinieri per produrre i così detti fiori doppi si giovano
appunto dell'identità che passa fra la natura delle varie parti del fiore, trasformando
ad esempio gli stami in petali.
(2) Togliamo questa figura da una recentissima ed interessante memoria del
Dott. Portele, dell'Istituto Agrario di S. Michele nel Tirolo. (Studien iiber die
Entwicklung der Traubenbeere t- 1883).
142 CAPITOLO IV
suto cellulare costituisce in sostanza le papille dello stimma a. Questo
ultimo forma generalmente un tutto senza divisioni e solo la La-
brusca qualche volta ha uno stimma che si può considerare come di-
viso in cinque parti. Il breve stilo b è realmente aperto solo quando
i carpelli invece di essere due sono tre (come già accennammo a pa-
gina 111) e contengono quindi sei semi o ovuli, la qual cosa fu ri-
petutamente osservata da Portele nei Riesling.
Non appena i granellini del polline cadono sullo stimma, questo si
rigonfia e spinge i tubetti pollinici a traverso l'accennato tessuto b
dello stilo (detto precisamente tessuto conduttore) sino agli ovuli k
ed s che si trovano nell'ovario. Gli ovuli sono fìssati mediante il funi-
colo o cordone ombellicale r alla parete y dei carpelli oplacenta (1).
Prima ancora che i tegumenti od involucri degli ovuli n ed o pren-
dano origine dalla base m degli ovuli stessi, questi subiscono un mo-
vimento di rotazione tale che al tempo della piena fioritura (come
è rappresentato nella sezione longitudinale della fìg. 46) il micro-
pilo x viene a trovarsi a lato del funicolo r il cui tessuto allun-
gandosi viene così a formare quella linea sporgente che a pag. 144
abbiamo chiamato rafe o vasidutto. Il micropilo è un'apertura stretta
a guisa di canale, formata per così dire da un rigonfiamento anulare
di cellule del tegumento esterno n e dell'interno o, ed a traverso la
quale gli otricelli pollinici riescono agli ovuli.
Riassumendo, nella fìg. 46 le lettere laterali indicano quanto segue:
a Cellule delle papille dello stimma; b breve stilo; e ovario; d nettario;
(pag. 143); f un pezzo di stame o per dir meglio di filamento inserito
presso la base dell'ovario; g punto da cui si distaccarono i petali; h
rudimenti del calice; k ovulo in sezione verticale; s ovulo in prospet-
tiva; n tegumenti esterni dell'ovulo; o tegumenti interni; p germe del-
l'ovulo; x micropilo; r funicolo; v-v cordoni fibro vascolari in numero
di 15 a 18 provenienti dal pedicello ed entranti nel fiore; z punto
da cui si diramano i fascii fibro-vascolari i quali scorrono lungo le
pareti dell'ovario i: w punto di dove partono altri fascii o cordoni
per dirigersi agli ovuli; y parete del carpello, la quale sull'epidermide
esterna presenta alcuni stomi, e nelle cellule della interna, che sono
poligonali, offre un grande numero di druse stellate di ossalato di
calcio.
L'ovario porta alla sua base come un cerchio di cinque protube-
(1) Chiamasi placenta quella porzione dell'ottano che porta gli ovuli.
BOTANICA DELLA VITE
143
ranze o glandole d (1), le quali si alternano cogli stami f; esse con-
sistono in cellule parenchimatose colorate in giallo, le quali conten-
gono molto zucchero ed un olio essenziale {nettare). A parere di Plan-
chon corrisponderebbero ad un secondo circolo di stami rudimentali,
V V
Fig. 46.
e Portele ha potuto constatare che possono eziandio metamorfosarsi
in petali; i botanici sono però molto discordi su di ciò. Solo è noto
che tali glandole nettariche, da cui proviene il gratissimo odore dei
(1) Queste cinque glandole si possono vedere nettamente nelle figure 11 e 13
a pag. 109 alla base dell'ovario, tra questo e il calice.
144 CAPITOLO IV
fiori della vite, si essiccano dopo la fioritura, ma rimangono aderenti
alla base dell'acino sino alla sua maturazione.
Gli stami abbiamo già visto (pag. 110) che constano del filamento
e dell'antera; il filamento è attraversato nella sua parte mediana da
un cordone di vasi a spirale che poscia entra nella parte di mezzo del
dorso dell'antera: facendo una sezione trasversale si osservano nel
filamento, da ogni lato del fascio vascolare, tre a quattro serie di cel-
lule parenchimatose, a pareti delicate, contenenti zucchero; la cloro-
filla ed il tannino si trovano specialmente nelle cellule più esterne
al momento della fioritura, e nei filamenti vecchi si trovano eziandio
traccie di amido (1).
L' antera è composta di puro tessuto parenchimatoso ; le sue due
logge o borse nei primi stadii del loro sviluppo sono riempite d'un
protoplasma fortemente azotato, nel quale vedonsi piccolissimi gra-
nuli rotondi di amido. Da questo protoplasma prendono origine i
granuli di polline (figura 47 a, b,). Successivamente le borse
dell'antera presentano le pareti formate da una serie di cellule molto
omogenee, le quali ne costituiscono l'epidermide; ma quando il fiore
incomincia ad aprirsi, le membrane esterne di queste cellule dell'epi-
dermide si essiccano, le pareti si stracciano longitudinalmente ed i
granuli di polline escono e sono portati dal vento o dagli insetti
sugli stimmi dell'ovario. (Veggasi la fig. 14 a pag. 111).
Il polline è formato, come dicevamo or' ora, da cellule del pro-
toplasma che si trova nell'antera nei primi momenti del suo sviluppo;
successivamente esse prendono una configurazione speciale, hanno
una doppia parete e contengono un liquido granelloso detto fovilla,
composto essenzialmente di acqua, materie azotate (plasma) e zuc-
chero; Fritzche sostiene che non di rado nella fovilla trovansi anche
granuli di amido tanto teneri da muoversi di continuo (movimento
broivniano o meglio brauniano) (2).
I granuli sono estremamente piccoli, e si contano a migliaia in un
antera: essi hanno o la forma elittica a o la allungata b, come già sap-
piamo: la loro parete esterna è sottile ed elastica, e messi nell'acqua
questa viene assorbita per endosmosi, onde i granuli si gonfiano in
(1) Loc. cit. (Portelo), pag. 10.
(2) Hrown osservò pel primo che quando in un liquido si trovano in sospen-
sione corpicini assai minuti, essi vanno saggetti ad un movimento oscillatorio con-
tinuo, come accade ad esempio sciogliendo dell'inchiostro di China nell'acqua.
BOTANICA DELLA VITE 145
breve tempo e scompaiono allora le due pieghe che prima si osserva-
vano sulla detta parete esteriore. Ma considerando la loro forma quando
non sono gonfiati dall'acqua, si osserva, come ha constatato pel primo
il Dr. Portele, che allorquando i filamenti sono più corti che l'ovario
propriamente detto, cioè fatta astrazione dallo stilo e dallo stimma,
allora i granuli di polline hanno sempre la forma acuminata b; mentre
quando i filamenti sono più lunghi dell'ovario, i granuli presentano sem-
pre la forma a; se poi i rapporti fra queste due lunghezze non differi-
Fig. 47.
scono di molto, si possono osservare V una accanto all' altra le due
forme; infine tanto più brevi sono i filamenti relativamente all'ovario,
tanto più acuminati mostransi i granelli pollinici. La differente lun-
ghezza dei filamenti è pure in relazione coll'apertura dello stimma: se
quelli sono corti, lo stimma è più largo e più basso; se quelli sono lun-
ghi è più stretto e più alto. Il Dr. Portele ha fatto un'altra curiosa os-
servazione, ed è questa; che in quasi tutte le varietà d'uva con stami
più corti dell'ovario, i fiori cadono facilmente prima di attecchire, cioè
si verifica il così detto aborto o coulure dei Francesi. Il Portele
cita ad esempio le uve moscate: ebbene egli ha perfettamente ragione,
inquantochè anche nel Monferrato, di dove noi scriviamo, il moscato
rosso, il così detto moscatellino, pure rosso, il moscato bianco o greco,
e la moscadella bianca o bergamotto, vanno ogni anno molto sog-
getti alla caduta dei fiori. Finora non abbiamo potuto trovare una
soddisfacente spiegazione di questo fatto.
Ma il fiore della vite può essere anormale, come già dicemmo a
pag. 107, e le anormalità possono essere varie. Talvolta ad esempio gli
stami mostrano i filamenti ripiegati e le antere rivolte all' insù in-
vece di avere la faccia verso il centro del fiore: secondo Portele
ciò dipende dalla soverchia umidità della primavera, per cui i petali
della corolla non cadono abbastanza prontamente e quindi gli stami
rimangono curvati e tortuosi. Però pare che ciò non rechi nocu-
mento alla fioritura, per le ragioni che diremo parlando della impol-
0. Ottavi, Trattato di Viticoltura, 11
146 CAPITOLO IV
linazione nei fiori della vite, la quale avviene essenzialmente con
polline di altri fiori.
A cagione delle sfavorevoli condizioni climatologiche della prima-
vera, può anche accadere che la corolla quinquepetala si sollevi bensì,
ma non cada totalmente: in questo caso una parte degli stami si
raggrinza e perisce, e l'ovario finisce per cadere, onde l'acino è per-
duto del tutto.
Alle volte lo stimma dell'ovario, il quale si mostra soverchiamente
grosso, non si sviluppa affatto; ed anche in questo caso la feconda-
zione e l'attecchimento del fiore non sono possibili; quindi esso cade.
Invece quando i petali della corolla si distaccano dalla loro parte su-
periore e, rimanendo fìssati alla, base dell'ovario per la loro parte
inferiore, si ripiegano all'ingiù, la fecondazione può ancora aver luogo,
purché lo stimma sia sviluppato. Portele ha anche osservato che
talvolta gli stami prendono l'aspetto di foglioline ripiene di clorofilla
mentre l'antera è gialla. Però il loro polline è normalmente svilup-
pato. I petali poi possono essere doppii, cioè in due ordini l'uno sul-
l'altro quasi a guisa dei fiori detti appunto doppii: in questo caso i
nettarii si sono trasformati in petali, e difatti essi mancano sempre in
fiori consimili: l'ovario però è regolare ed il polline pure normale,
onde non sempre si ha la perdita del frutto: V acino però rimane
più piccolo di metà e più ancora, vale a dire che può avere un
diametro di soli 2 millimetri e mezzo invece d'uno di 5 a 7 (1).
Questa piccolezza degli acini è da attribuirsi al fatto che gli ovuli
non si sono sviluppati regolarmente e completamente; ciò è tanto
vero che, allorquando un ovulo si sviluppa male, l'acino appare sen-
sibilmente più grosso dal lato del vinacciuolo, ossia dell' altro ovulo
bene sviluppato. Inoltre è noto che gli acini delle uve senza vinac-
ciuoli (i Corinti) sono sempre piccoli. I vinacciuoli non completamente
sviluppati hanno essi pure, come gli acini, metà grossezza al mas-
simo di quelli che si trovano in acini regolarmente cresciuti, ed
inoltre sono privi della facoltà di germinare.
Abbiamo accennato alle uve che sono prive di vinacciuoli, cioè
apirene, poiché dicesi apirenità (2) la mancanza dei semi negli acini;
(1) Portele loc. cit, pag. 19. Lo studioso che desiderasse conoscere tutte le ri-
cerche di questo diligente osservatore dovrebbe provvedersi 1' accennata memoria
(Hoepli — Milano).
(2) Parola tolta dal greco (a privazione, pyren nucleo o vinacciuolo).
BOTANICA DELLA VITE 147
sono tali tutti i Corìnti, uve che ci vennero dalla Grecia e dall'Oriente (1),
ma possono eziandio diventare temporaneamente apirene le uve
di alcuni fra i nostri vitigni se vengono a trovarsi in speciali cir-
costanze, in certe annate, come ebbe ad osservare il Mendola ac-
cidentalmente nel Cataratta di Sicilia ed in altri vitigni della sua
bellissima collezione ampelografica. Qual' è la causa di questa man-
canza di vinacciuoli? Putliat crede che si debba rintracciarla in un
difetto di conformazione degli organi sessuali, {Le Vignoble 1874,
Avril); ma Portele, dopo diligente esame del fiore, è venuto a con-
cludere che fra il fiore dei Corinti e quello normale delle altre uve
non vi ha la minima differenza sia nella struttura esterna sia nella
anatomica (toc. cit. pag. 20) e Muller-Thurgau attribuisce la api-
renità al mancato sviluppo degli ovuli dopo avvenuta la fecondazione
{Weinbau, 1883, n. 22 e 23). Questa conclusione del Dr. Mtiller
ci pare accettabile, massime dopo le osservazioni del Portele.
Nel novero delle viti a fiori anormali dobbiamo infine collocare anche
le Lambrusche selvatiche; i loro fiori presentano uno stimma molto
appiattito; lo stilo manca affatto, onde lo stimma è applicato diret-
tamente sull'ovario, mentre i filamenti delle antere sono relativamente
assai lunghi: la corolla, durante la fioritura, è sollevata a mò di
padiglione dagli stami ed il fiore ha i nettarii che mandano molto
odore. Il polline pare costituito regolarmente, e 1' ovario pure; con-
tuttociò le lambrusche sono generalmente sterili, forse perchè il
fiore, essendo sorretto da un pedicello lungo e delicato, cade facil-
mente: tuttavia, invecchiando molto, esse diventano fertili (pag. 16).
9.° Gli acini ed i vinacciuoli. Ci rimane ora a descrivere l'in-
terno dei frutti della vite. L'acino (fìg. 48) si compone della fiocine
o epicarpio a; del mesocarpio o sarcocarpio b, d, che è la parte
carnosa e succulenta (parenchima): la porzione centrale d del meso-
carpio è composta di un succo come dire vischioso, entro il quale
stanno i vinacciuoli; l'epicarpio ed il mesocarpio costituiscono il così
detto pericarpio a, b e d, che proviene dai carpelli dell'ovario: in-
fine dei semi e che sono raramente quattro come nel disegno, più
spesso soli due e talvolta mancanti, come dicemmo a pagina 146.
Ogni acino è sopportato da un pedicello liscio rotondo sul quale
(1) Veggansi sulla tribù dei Corinti un esteso ed attraente studio pubblicato
nell'anno 1878 del nostro Giornale Vinicolo Italiano dal dotto ampelografo Ba-
rone A. Mendola.
148
CAPITOLO IV
notansi alcuni peli assai piccoli: questo pedicello ha una costitu-
zione anatomica simile a quella dei viticci (fascii vascolari, paren-
chima, epidermide e piccolissimo midollo). La parte carnosa b e d,
quasi sempre di colore bianco giallastro, risulta dall' agglomera-
zione di numerosissime cellule assai piccole a forma di glandole,
nelle quali avviene la secrezione o produzione del succo. Dal picciuolo
entrano generalmente neh" acino i vasi conduttori della linfa nutri-
Fig. 48.
trice, che si ramificano poi in ogni parte dell'acino: il numero di
questi vasi corrisponde a quello degli ovuli o semi (vinacciuoli) (fi-
gura 46 v v e fìg. 13).
La fiocine risulta dagli strati più esterni del tessuto cellulare del-
l' acino, e consta di piccole cellule appiattite molto spesse: lo strato
più esterno costituisce una cuticola spessa da 3 a 6 millesimi di
millimetro, sotto a cui si trovano cellule estremamente piccole,
lunghe da 10 a 30 millimillimetri e larghe da 3 a 7. Procedendo
verso l'interno, gli strati sono formati da cellule sempre più grandi
sino a raggiungere una lunghezza di circa 100 millimillimetri ed
una larghezza di 20: infine le cellule della parte carnosa dell' acino
possono raggiungere un diametro di circa mezzo millimetro. La
fiocine è composta di un differente numero di strati di cellule, a
seconda delle varie uve: alcune ne hanno da 10 a 12 (Labrusca)
altre soli 8, altre ancora soli 6. Ciò nonostante essa è talvolta diafana,
sempre poi elastica quando l'acino si avvicina alla maturità, mentre
prima è dura e rigida.
BOTANICA DELLA VITE
149
Nell'acino maturo si trovano varie sostanze disposte a poco presso
come ora diremo:
Attorno ai vinacciuoli a (fig. 49) abbiamo anzitutto uno strato b la cui
composizione è molto complessa, ma che presenta la caratteri-
stica di essere quasi privo di zucchero; esso consta pertanto di
sostanze albuminoidi (o azotate) di acidi liberi, fra cui però
scarseggia assai l'acido tartarico, e di cremor tartaro: ha una cotale
densità e si presenta come vischioso a causa delle materie albumi-
noidi suddette. Allo strato b ne segue un altro e assai più grosso e
più liquido, perchè contiene molta acqua; il suo componente più
importante è lo zucchero, cui tengon dietro l'acido tartarico libero,
altri acidi, varii sali, ed infine una piccola quatità di albumina,
assai meno però che non nello strato b. Dopo lo strato e abbiamo
Fig. 49.
un piccolo strato d, abbastanza ricco di zucchero, di consistenza car-
nosa, e composto essenzialmente di sostanze le quali, come Y amido,
la gomma e le mucillagini, sono quasi tutte destinate, col concorso
della luce, del calore e dell'umidità, ed essere trasformate in zucchero:
in questo strato però non mancano affatto né le sostanze albumi-
noidi, né i sali e gli acidi. Infine l' ultimo strato e è per così
dire aderente alla buccia dell' acino ed ha una grande importanza
per l'enologo: infatti in esso trovasi anzitutto la materia colo-
rante (1); vi si incontra pure V acido tannico, o tannino, ma
(1) Sono ben rare le uve le quali, come la nota Tintorìa, contengano materia
colorante anche negli altri strati dell'acino.
150 CAPITOLO IV
però solo quando l'acino è quasi maturo, perchè il tannino non si
forma che negli ultimi giorni della maturazione dell'uva: nell'ultimo
strato trovansi pure le sostanze aromatiche, che tutti conoscono
perchè il loro sapore è pronunciatissimo in certe uve, come i moscati,
gli aleatici, le malvasie e molte uve americane: queste sostanze aro-
matiche però non si devono confondere cogli eteri da cui deriva la
fragranza dei vini vecchi: gli aromi sono realmente olii volatili, di
maniera che se, estratti che fossero dall'uva, si avesse a versarne
una goccia su un pezzo di carta, tale goccia finirebbe per non lasciare
veruna macchia, appunto per la natura volatile dell'essenza: diciamo
questo per ispiegare popolarmente il significato delle parole « olii
volatili. »
Ci rimane ora ad esaminare il vinacciuolo.
Nell'acino può mancare a dirittura, come nelle uve greche (Co-
rinto) ed allora già sappiamo (pag. 146) che l'acino è detto apireno;
ma generalmente vi si trovano, come già dicemmo, due o tre semi,
rare volte uno solo oppure quattro; e secondo alcuni si danno casi in cui
i vinacciuoli sono anche cinque o sei. In allora le tre logge dell'ovario,
(le quali da principio sempre mostransi in questo numero, ma a fiore
sviluppato riduconsi a due) contengono due ovuli per caduna, ed hanno
quindi portato a compimento tutti gli ovuli; ma il caso è quanto mai
raro, come è anche raro che le dette logge si conservino in numero
di tre; già vedemmo a pag. Ili che usualmente sono solo due di-
stintamente sviluppate. Anche gli ovuli sono sei da principio, ma
non se ne sviluppano che due o tre; gli altri abortiscono.
I vinacciuoli sono separati da un tramezzo carnoso composto di
cellule parenchimatiche e derivante dalla parete dei carpelli {y fig. 46);
questo tramezzo, che è composto di due parti, aumenta di volume
mano mano che l'uva va maturando: nella fig. 50 abbiamo una se-
zione trasversale d'un acino, in cui a b da un lato e g d dall'altro
BOTANICA DELLA VITE
161
indicano quattro vinacciuoli, f segna il tramezzo carnoso, / indica i
due o più fasci di vasi (pag. 148) i quali entrano nel tramezzo/1, ed
infine e mostra lo strato di tessuto fibroso a rete che separa la fio-
cine dalla parte polposa dell'acino. Ma allorquando uno o più ovuli abor-
tiscono, allora il tramezzo carnoso ne occupa il posto, aumentando di
volume: — la fig. 51 ci mostra alcuni casi di aborto (1); in A abbiamo
un solo vinacciuolo a, ed il tramezzo carnoso b colle sue cellule
parenchimatiche occupa il rimanente spazio dell'ovario: in B abbiamo
due semi a a disposti uno sovra 1' altro, mentre in C sono disposti
differentemente, ma sempre il tramezzo b occupa il posto dei vinac-
ciuoli mancanti. Dal che si deduce che la quantità di mosto che può
dare un acino è tanto maggiore quanto più piccolo è il numero dei
vinacciuoli sviluppati.
Fig. 51.
Ogni vinacciuolo proviene da un ovulo completamente sviluppato, la
cui posizione abbiamo indicata a pag. 143, fig. 46. L'ovolo, non ap-
pena fecondato, cresce rapidamente e presenta i rudimenti delle parti
di cui va poi a comporsi il vinacciuolo: infatti abbiamo in esso la
parte interna detta nocella o nucleo, o terzina di Mirbel, composta
di cellule molto sottili e bene unite; ad essa fa seguito la secondina o
tegumento, e poscia viene la primina o testa. L'ovulo è attaccato alla
placenta (pag. 142) per mezzo di un breve cordone ombellicale, ed
il punto in cui questo aderisce alla primina è detto ilo. La nocella,
al momento della fecondazione dell'ovulo, presenta nel suo interno
una lunga cavità, detta sacco embrionale, nel quale riscontransi un
liquido protoplasmatico e due vescicole embrionali nella estremità
superiore del sacco; una di queste vescicole, fecondata che sia dal
polline, si sviluppa ed abbiamo 1' embrione; V altra, non fecondata,
scompare.
Gli ovuli da principio s.ono costituiti in modo tale che la calaza
(1) Portele loc. cit. pag. 36.
152 CAPITOLO IV
(veggasi la fìg. 16 a pag. 114) si trova alla estremità opposta del becco
o ilo, mentre questo risulta vicino al micropilo; essi sono allora ovuli
anatropi. Ma più tardi, continuando Y ovulo a svilupparsi, subisce
come un movimento di rotazione, pel quale la sua cima o micropilo
si avvicina alla base o calaza, e l'ovulo risulta come curvato su sé
stesso; allora diventa campolitropo.
Nel vinacciuolo completamente sviluppato troviamo essenzialmente
due parti: il tegumento esterno .o episperma, ed il contenuto o
mandorlo coli' embrione. U episperma risulta dalla primina e dalla
secondina accennate or' ora, e difatti è composto di due membrane;
l'esterna, risultante da molti strati a cellule poligonali ricche di pla-
sma scolorato, e l' interna o secondina, composta di soli tre strati
di cellule schiacciate (1).
Il mandorlo contiene il germe, nonché un tessuto cellulare detto peri-
sperma o endosperma, ricco di materia grassa e d'olio, con albume
di poca consistenza, e con qualche cristallo (drusa) di ossalato di
calcio (2). Il germe o embrione, assai piccolo, è collocato alla estre-
mità superiore del vinacciuolo, colla radichetta verso il micropilo,
siccome accade generalmente nei differenti semi; esso ha quindi una
direzione opposta alla normale, perchè il micropilo è alla cima del-
l'ovulo, e la radichetta si deve considerare come la base dell'embrione.
L'embrione, quando è completamente sviluppato, presenta i rudi-
menti della futura pianta; cioè l'asse (radichetta e fusticino o plu-
mula), i cotiledoni (prime foglioline) e la gemmula mercè cui l'asse
si allunga e produce le prime foglie propriamente dette. Nella fìg. 56
pag. 156 abbiamo disegnato dal vero una giovine pianticina colla
radichetta, Tasse, le due foglie cotiledonari e la prima foglia regolare.
Il vinacciulo non contiene amido; invece è ricco di tannino, il
quale si trova nell'epidermide esterna, nonché nei tessuti della pri-
mina e della secondina: la quantità di tannino si può calcolare in
media al 5 0[q. L'olio sovraccennato si trova nella mandorla secca
nella proporzione del 15 0[Q' è un olio fìsso, buono per gli usi in-
dustriali.
§ 5. Fisiologia della Vite. Ora che conosciamo la struttura
esterna ed interna della Vite, dobbiamo studiare come viva, come
(1) Penzig: loc. cit. pag. 171.
(2) Babo: loc. cit. pag. 39.
BOTANICA DELLA VITE 153
fruttifichi e come porti i suoi frutti a quel grado di matura-
zione che è richiesto dagli usi enologici ed alimentari, questo essendo
l'obbiettivo per cui si coltiva la vite. Tale arduo e delicato compito
spetta alla fisiologia vegetale; vediamo pertanto quanto ci appren-
dono sulla importantissima quistione gli studii e le esperienze fatti
negli scorsi anni dai botanici e dai viticultori in Italia, in Germania
ed in Francia. Divideremo questo paragrafo in varie parti, e così:
1°) Germogliamento dei vinacciuoli;
2°) Respirazione e traspirazione della vite;
3°) Nutrizione ed accrescimento »
4°) Vegetazione »
5°) Fioritura »
6°) Fruttificazione »
7°) Maturazione dell'uva;
8°) Longevità.
1°) Germogliamento dei vinacciuoli. I semi della vite, come ac-
cade delle sementi in generale, non possono germogliare se non sono
posti in determinate condizioni di umidità e di calore; questi agenti,
coadiuvati dall'ossigeno atmosferico, il quale eccita lo sviluppo del-
l'embrione, come dimostrò Saussure, provocano 1' uscita della radi-
chetta e della plumula. Si può asserire che la germogliazione avviene
anche in piena terra per tutti i semi di vite, europea o americana,
onde non è indispensabile apposito germinatoio; noi, che seminiamo
viti da più anni, ne abbiamo sempre fatto senza.
La quantità di calore di cui abbisognano i vinacciuoli per germo-
gliare varia a seconda dei differenti vitigni; per esempio le viti Aesti-
valis e Cinerea richiedono maggior calore che non le V. Riparia e
loro derivati (Clinton, Taylor e Solonis); queste ultime quindi sono
a consigliarsi pei paesi a primavera fredda, mentre le prime conviene
coprirle con letame paglioso o con altro corpo coibente.
L'umido non deve essere deficiente, perchè se ciò accade l'acqua
non riesce a penetrare a traverso il duro episperma, e quindi il
seme non si gonfia, non si ha verun movimento nelle cellule germi-
nali e la germogliazione è impossibile. È quello che accade spesso,
perchè la seminagione della vite è quasi una pratica sconosciuta, ed
è soltanto dopo l' introduzione delle viti americane quali resistenti
alla fillossera, che si fecero al riguardo accurate esperienze (1).
(1) Dobbiamo però accennare alle numerose seminagioni fatte dal prefato Ba-
154 CAPITOLO IV
Per dar tempo ai vinacciuoli di provvedersi della quantità di ti-
mido di cui abbisognano, è necessario tenerli durante alcune settimane
stratificati nella sabbia fina ed umida, oppure immergerli nell' acqua
durante quattro, cinque e sino otto giorni. Abbiamo fatto alcune
esperienze per vedere quale influenza può esercitare la temperatura
dell'acqua sul germogliamento, nonché il miscuglio d'acqua e soda o
urina. Ecco i risultati:
Vinacciuoli (1) immersi per 24 ore in acqua sem- ) Germ0£iiarono
plice, tenuta al sole: seminati poi in terreno assai \ tutti,
fertile, e coperti con 3 centimetri di terriccio. )
Vinacciuoli tenuti per dodici ore in acqua calda \ Qerm0o-iiar0I10
a 40° C che poi si lasciò raffreddare del tutto: > y quasi tutti,
seminati come sopra. )
Vinacciuoli tenuti per dodici ore in acqua e ) Ne germogliò un
soda (acqua quasi satura). ) quarto circa.
Vinacciuoli tenuti per dodici ore in acqua ed ) j^e germogliò la
urina di cavallo già fermentata (50 Ojo)- > metà.
Non è adunque necessario tenere i vinacciuoli durante quattro o più
giorni nell'acqua, se questa è alquanto riscaldata, perchè in tal caso
agisce più prontamente sull'involucro dei semi stessi. Al capitolo Se-
minagione della vite entreremo in altri dettagli pratici, che qui
sarebbero fuor di luogo. Soggiungeremo soltanto che, sotterrato il
vinacciuolo, dopo un tempo più o meno lungo (talvolta dopo quattro
mesi e talvolta ancora dopo un anno se difettano l' umido ed
il calore e se si tratta di semi d' uve americane) esce prima la
radichetta e poscia il fusticino, con due foglie cotiledonari o false-
foglie, onde si hanno i quattro aspetti indicati dalle figure 52, 53,
54 e 55. Nelle fìg. 54 e 55 si vede spuntare una prima foglia rego-
lare, che è poi pienamente sviluppata nella fig. 56 fra le due cotile-
donari: lateralmente ad essa ne spunta tosto una seconda, e non
tardano pure a formarsi le gemme laterali, per cui la pianticella
prende forma. — Nel primo periodo la pianta germinale vive a spese
dell'endosperma (pag. 152). Ma noi abbiamo visto che l'endosperma
rone Mendola a Favara (Girgenti) prima ancora dell'invasione fillosserica: perciò
il Mendola ci ha apprese molte utili nozioni a questo riguardo.
(1) Scuppernong, del Sud degli Stati Uniti d'America.
BOTANICA DELLA VITE
155
del vinacciuolo contiene specialmente materie grasse ed olio, che sono
quasi insolubili od intieramente insolubili nell' acqua, e perciò non
J?
Fig. 52.
Fig. 53.
Fig. 54.
Fig. 55.
potrebbero servire alla nutrizione; senonchè, per le belle esperienze
di Sachs e Fleury, sappiamo che i corpi grassi durante il germo-
156
CAPITOLO IV
gliamento si trasformano quasi totalmente in amido, il quale alla
sua volta si cangia in destrina (1) e zucchero d' uva, cioè in so-
stanze solubili nell'acqua. In quanto all'albume, è noto che gli albu-
minoidi sono generalmente solubili nell'acqua. Questi albuminoidi sotto
Fig. 56.
l'azione dell' ossigeno od in presenza dell' acqua si decompongono e
poscia danno origine ai così detti fermenti, i quali agiscono sul-
l'amido e lo cangiano, come dicevamo, in destrina e zucchero. Payen
e Persoz hanno sostenuto invece sin dal 1883 che nel seme germo-
gliale si trova presso Y embrione una sostanza azotata, detta dia-
(1) L'amido esposto per qualche ora al calore di un forno si gonfia e si muta
in una sostanza bruno-chiara detta destrina, ed in commercio gomma-britannica.
Anche gli acidi ed i fermenti trasformano l'amido in destrina.
BOTANICA DELLA VITE 157
siasi, la quale provoca la trasformazione dell' amido : una parte di
diastasi può trasformare 2000 parti di amido prima in destrina e
poi in zucchero (1).
Durante il germogliamento si producono acido carbonico, acido
acetico ed acido lattico, oltre a traccie di ammoniaca e di azoto: una
parte dell'acido carbonico proviene, secondo alcuni botanici, da una
vera fermentazione alcoolica dello zucchero; altro diossido carbonico
proverrebbe dalla ossidazione degli albuminoidi. Infine non vogliamo
scordare di far cenno dello sviluppo di calore che accompagna sempre
il germogliamento, e che è dovuto alle azioni chimiche, fra cui so-
vratutto l'assorbimento dell'acqua e l'assorbimento dell'ossigeno.
Ma se l'acqua ha grande importanza nel primo atto del germo-
gliamento, cioè nella soluzione delle materie nutritive dei cotiledoni,
è pure indispensabile quale veicolo di queste materie stesse a prò
della radichetta, indi dell' intera pianticina, la qual cosa avviene a
traverso il tessuto vascolare, secondo Herbert Spencer.
Crescendo la giovine pianta embrionale, a spese dell' endosperma,
i cotiledoni escono col fusticino dal terreno e formano le due prime
foglie (fig. 54) che già chiamammo cotiledonari. A queste seguono
le vere foglie della vite, e la pianticella, già provvista all'estremità
della radichetta di radici penetranti nel suolo, cessa di vivere a spese
del seme (fig. 56).
2° Respirazione e traspirazione della vite. La vera respi-
razione vegetale, nel senso della respirazione animale (assorbimento
di ossigeno ed emissione di acido carbonico) avviene solo di notte
per le parti verdi delle piante, e di giorno per le parti non verdi; di
giorno nelle parti verdi abbiamo invece un fenomeno inverso (assor-
bimento dell'acido carbonico). Questa respirazione diurna — o piut-
tosto assimilazione — avviene, come è noto, essenzialmente per
mezzo delle foglie, ma altresì per tutte quelle parti verdi (germogli)
le quali sono provviste di clorofilla (pag. 135). Essa consiste nel-
l'assorbimento dell'acido carbonico dell'aria e nella emissione di ossi-
geno nonché del vapor acqueo esuberante; il tutto sotto l'azione della
luce e del calore solari. Questo ossigeno deriva dalla riduzione dell'a-
cido carbonico e del vapor acqueo, locchè accade appunto nei granuli di
(1) Johnson op. cit. pag. 345 e 346: « Non è ancora stato spiegato con cer-
tezza in qual maniera la diastasi ed altre simili sostanze, cagionino le modificazioni
descritte ».
158 CAPITOLO IV
clorofilla. Le foglie trattengono quindi carbonio, che proviene dal-
l'acido carbonico, non che idrogeno, il quale invece è proveniente
dall'acqua (1).
La clorofilla non può assolutamente agire senza la luce solare (2);
anzi senza la luce non si formerebbero neppure i granuli di essa,
come hanno dimostrato Sachs e Mayer. Una pianta di vite (come
qualsiasi altro vegetabile, fatta eccezione pei funghi (3) ) qualora te-
nuta per un certo tempo al buio, perirebbe sicuramente, perchè si
decomporrebbero i granuli di clorofilla e scomparirebbero, onde non
sarebbe più possibile la respirazione.
La formazione della clorofilla è eziandio influenzata dal calore;
noi non sappiamo quale sia, per la vite, il limite minimo di calore
sotto il quale più non si forma clorofilla sappiamo: solo che, in ge-
nerale, una temperatura di 35° rappresenta il limite massimo favo-
revole a quella produzione fWiesner). Fino a 35° la rapidità con
cui formansi i granuli di clorofilla cresce col crescere della tempe-
ratura : oltre questo limite la clorofilla finisce col non più formarsi.
Quelle parti della vite le quali non sono clorofillate, ci danno
una prova evidente dell'importanza M questa sostanza verde nei pro-
cessi di elaborazione ed assimilazione : infatti i fiori, e specialmente
gli stami, appunto siccome parti non clorofillate, assorbono ossigeno
ed emettono acido carbonico; e gli acini dell' uva in maturazione,
quando hanno perduto il loro colore verde e quindi la clorofilla, in-
vece di ridurre l'acido carbonico, siccome dicemmo or ora, esalando
ossigeno ed assimilando carbonio, assorbono invece essi pure 1' ossi-
geno dell'aria ed emettono acido cai bonico e vapore acqueo; la ma-
turazione dell'uva è quindi una vera ossidazione, la quale continua
anche dopo che il grappolo è stato distaccato dal tralcio.
(1) Per chi non lo sapesse, diremo che l'acido carbonico o diossido di carbonio
si compone di carbonio ed ossigeno ( C O2 ) — e l'acqua di idrogeno ed ossigeno
( H2 0 ). La metà circa del peso della materia secca delle piante è costituita da
carbonio (Sachs).
(2) Gli è sotto l' influenza della luce bianca, cioè della luce solare non iscom-
posta, che la formazione della clorofilla raggiunge il suo massimo. (È noto che la
luce solare può scomporsi, col prisma triangolare di cristallo, in sette colori diversi).
(3) I funghi costituiscono la classe dei vegetali senza clorofilla, i quali perciò
appunto non possono elaborare materiali, cioè produrre composti organici (cellu-
losa, amido, glucosio ecc.): essi quindi, come gli animali, debbono vivere a spese
delle sostanze organiche già elaborate da vegetali clorofillati. Fra questi ultimi
la Vite occupa un posto importantissimo.
BOTANICA DELLA VITE 159
Inoltre è noto che di notte, quando, mancando la luce, cessa il
lavoro di elaborazione della clorofilla, le piante assorbono ossigeno,
ed emettono acido carbonico ed acqua.
Ma le foglie non servono solo alla respirazione; per loro mezzo si
compie, come abbiamo già accennato, la traspirazione, che è quella
funzione importantissima per cui la pianta dalle cellule dell'epidermide
e dagli stomi (pag. 132) perde sotto forma di vapore, l'acqua che le
riesce esuberante (circa i due terzi della quantità assorbita). Nello
stesso tempo, penetrando nuova acqua dalle radici, penetrano pure
le materie saline dal terreno, d'onde il legame che passa tra la tra-
spirazione e lo sviluppo vegetale. Cotale esalazione non può avve-
nire senza il calore e la luce del sole, ed è molto maggiore se la
luce è viva e l'aria secca, mentre diminuisce d'assai e può anche
cessare se l'aria è umida, come ad esempio accade durante un tempo
piovoso.
Se la traspirazione fa rapidamente perdere alla pianta una quantità
d'acqua maggiore di quella assorbita dalle radici, la pianta stessa ne
soffre e può essicarsi; ma in condizioni normali è funzione assai im-
portante, come quella che dà sfogo all'acqua esuberante della linfa
ascendente, ricca di materiali utili provenienti dal terreno; anzi, se-
condo le recenti esperienze del prof. Bóhm (1) la evaporazione a
traverso gli stomi delle foglie, sarebbe la causa principale dell'ascen-
sione del succo, coadiuvata però dalla pressione dell'aria e dalla e-
lasticità delle pareti delle cellule. Gli ultimi studii sulla traspirazione
hanno provato, in modo non dubbio, che essa è debolissima all'om-
bra, quasi nulla durante la notte, mentre è attivissima se la luce so-
lare è viva, e questo indipendentemente dal calore.
Infine non vogliamo scordare di dire che la vite, come tutte le
altre piante, evapora acqua, così come farebbe se fosse morta e
come fa ad esempio il terreno; questa evaporazione è adunque un fe-
nomeno puramente fisico, mentre l'anzidetta traspirazione è un vero
fenomeno fisiologico ben diverso. Infatti la vite evapora anche al
buio, cioè tanto di notte quanto di giorno, più o meno secondo la tem-
peratura e l'umidità dell'aria; invece essa non traspira che alla luce.
Per dare una idea della quantità d'acqua consumata giornalmente
dalla vite, riferiremo qui una tabella comparativa di E. Risler:
(1) A. Levi. (L'Actimometro Arago-Davy) Rivista di Vit, ed En. di Conegliano
1879 pag. 68.
160
CAPITOLO
IV
Media
diurna
millimetri d'acqua
Erba medica
da 3,4 a 7,0
Prati naturali
da 3,1 a 7,3
Avena
da 2,9 a 4,9
Fave
più di 3,0
Granturco
da 2,8 a 4,0
Frumento
da 2,7 a 2,8
Trifoglio
più di 2,9
Segale
» 2,3
Vite
da 0,9 a 1,3
Patate
da 0,7 a 1,4
Pino
da 0,5 a 1,1
Quercia
da 0,5 a 0,8
La vite adunque esige assai meno acqua delle piante foraggiere
e delle cereali, ed invero tutti sanno che anche in terreni aridissimi
e quando l'annata trascorre assai asciutta il raccolto può essere ot-
timo e quasi sempre anche abbondante, mentre nelle condizioni op-
poste è mediocre e generalmente scarso.
3° Nutrizione ed accrescimento della vite. — Gli organi del-
l'alimentazione delle piante sono, come è noto, le radichette e le fo-
glie. Tutte le piante sono composte di sostanze fisse (ceneri) e di
sostanze combustibili o volatili (gaz); le prime vengono tutte dal
suolo per mezzo appunto delle radichette, le seconde quasi tutte
dall'aria e dall'acqua mercè le foglie.
Sostanze fisse Sostanze volatili
Potassio \ Solfati Carbonio
dall'aria
e
Calcio ! Fosfati Ossigeno
Magnesio Nitrati Idrogeno ,
Ferro )■ Cloruri Azoto (1) ) dal1 acqua
Oltre ad altre di importanza Azoto )
secondaria. Zolfo > dal suolo
Fosforo
(l) L'azoto (o nitrogeno) che si trova nell'aria in piccolissima quantità sotto
forma di ammoniaca (carbonato ammonico) è assimilato di giorno e di notte dalle
parti verdi della pianta, e specialmente dalle foglie, come hanno dimostrato in
modo evidente A. Stóckhardt (1859), A. Selmi (1864), Th. Schlocsling e A. Ma-
yer (1874).
BOTANICA DELLA VITE 161
I sali nutritivi sono assorbiti, come già si disse a pag. 87, mercè
la parte tenera e biancastra delle radichette; ed essendo sciolti nel-
l'acqua (che la vite prende quasi totalmente dal suolo) si innal-
zano nel fusto a traverso il corpo legnoso, costituendo la così
detta linfa ascendente o succo greggio. L' acqua è il principale
ingrediente di questo succo, mentre i sali vi sono sempre contenuti
in piccole quantità. Nel suo tragitto la linfa si arricchisce anche di
materiali utili, che trova nell'interno del legno della vite serbati dal-
l'anno antecedente, e giunge infine alle foglie.
Nelle foglie, che sono il vero laboratorio della pianta, queste so-
stanze, unitamente al carbonio all'idrogeno ed all'azoto tolti all'aria,
danno origine alla materia organica (1); sono le cellule provviste
di clorofilla che compiono questa importantissima elaborazione.
Le materie organiche, dette anche principii immediati, costitui-
scono la parte essenziale dell'organismo ed esse sole possono costi-
tuire organi vitali, diventando allora materie organizzate; le prin-
cipali materie organiche sono l'amido, lo zucchero, le sostanze albu-
minoidi (azotate o proteiche) le sostanze coloranti, gli acidi vegetali,
il tannino, i corpi grassi, gli olii, nonché il pectosio (polpa e gelatina
delle frutta).
II succo ascendente così elaborato, scende poscia dalle foglie e,
come suol dirsi, emigra verso i frutti ossia gli acini, nonché verso
tutti gli organi attivi della pianta sino alle radici, a traverso la zona
generatrice di cui abbiamo parlato a pag. 121, cangiandosi insensi-
bilmente in legno ed in libro, vale a dire cooperando al lavoro di
organizzazione dei tessuti della vite. Questo succo elaborato suole
chiamarsi linfa discendente.
La materia organica si forma quindi da materiali ino'rg anici e-
sclusivamente nei vegetali provvisti di clorofilla, fra i quali la vite oc-
cupa un posto importante: i vegetali non clorofillati e gli animali
distruggono invece la materia organica rilucendola alle materie inor-
ganiche di cui era composta; ma i vegetali con queste materie prime
(1) « È usuale, tra gli scrittori d'agricoltura, di limitare l'espressione organico
alla porzione volatile ed apparentemente distruttibile dei corpi vegetali ed animali,
e di chiamare inorganici gli ingredienti della loro cenere. Un simile uso di pa-
role è pochissimo corretto. Quello che si trova nelle ceneri di un albero o di un
seme, essendo una parte essenziale dell'organismo, è tanto organico quanto la
parte volatile. » Così Johnson (op. cit. p. 16) — Soggiungeremo pertanto che
anche il carbonio, l'acqua, l'ammoniaca ecc. sono elementi inorganici.
0. Ottavi, Trattato di Viticoltura. 12
162 CAPITOLO IV
ricompongono nuove sostanze organiche, ed ecco il ciclo che percorre
la materia passando dal vegetale all'animale.
Come avvenga che nel protoplasma clorofillato delle foglie si formi
la materia organica non fu tuttora spiegato in modo soddisfacente;
solo è noto qual' è la prima sostanza che in esso si forma, nel caso
speciale della vite. Gli studii relativi a questo importantante oggetto
si debbono anzitutto a Sachs, Molli, Kramer ecc. e poscia a Briosi,
Penzig, Mùller, Cuboni ed altri esperimentatori. Sachs sostenne
con molti altri illustri botanici, che il primo prodotto organico che
si forma nelle foglie di vite sotto 1' azione dei granuli di clorofilla,
si è V amido, dal quale poi deriverebbero lo zucchero, la destrina,
la cellulosa, le materie grasse ecc. ecc. (1), tutte sostanze le quali
in complesso costituiscono circa i 7[8 della sostanza secca della
pianta.
Invece Briosi (1872 e 1878) e più tardi Penzig (1882) osserva-
rono che nei grani di clorofilla delle foglie di vite non si trova amido,
ma bensì tannino ed in abbondanza (2). Senonchè il Dott. Cuboni,
prendendo le mosse dalle osservazioni fatte al Briosi dal Dott. Mùller-
Thurgau in una sua conferenza tenuta nel 1881 a Geisenheim, riu-
sciva molto abilmente a mettere d' accordo questi risultati apparen-
temente cotanto contradditorii. Il Cuboni ripeteva infatti le espe-
rienze del Mùller, seguendo anche nella ricerca dell'amido lo stesso
procedimento tenuto da lui: è bene citare testualmente. « Egli opera a
questo modo : tratta la foglia con alcool per allontanare il color verde,
lascia la foglia per lungo tempo in una soluzione di potassa e poscia la
tratta colla soluzione di iodio. Esaminando a questo modo una foglia
immediatamente dopo che è stata per qualche tempo sotto l'azione della
luce diretta, comparisce un bellissimo color violetto caratteristico dell'a-
mido; se invece la foglia esaminata è rimasta per qualche tempo
fuori della luce diretta, il color violetto non si manifesta più. »
(1) Queste sostanze sono dette idrati di carbonio perchè risultano dalla
combinazione del carbonio coli' idrogeno e l' ossigeno, nelle stesse proporzioni,
questi ultimi, in cui trovansi nell' acqua: popolarmente si potrebbe dire che gli
idrati carbonici sono combinazioni di carbonio con acqua.
(2) Il tannino, detto anche acido tannico, benché assai debolmente acido, venne
considerato sino a questi ultimi te mpi come un glucoside, perchè capace di sdop-
piarsi in glucosio ed acido gallico. Ma dietro le ricerche accurate di Ugo Schifi'
si deve oggi ritenerlo come acido digallico. Il tannino è esso pure composto di
carbonio, idrogeno ed ossigeno.
BOTANICA DELLA VITE 163
« Ora tutto ciò è verissimo, e Mùller-Thurgau ha ragione; le cen-
tinaia di esperienze da me fatte negli scorsi mesi (1883) me lo hanno
perfettamente confermato. Anzi nel dubbio che il color violetto, che la
tintura di iodio genera in queste foglie, fosse determinato non già
dall'amido esistente nei granuli di clorofilla, ma dalla cellulosa mo-
dificata forse dall'azione della potassa, ho voluto escludere quest'al-
cali troppo energico. Dopo parecchi tentativi ho trovato che per ren-
dere la soluzione di iodio penetrabile nella foglia, e quindi capace
di determinare la reazione sia sulle cellule della zona spungosa che
della cosidetta palizzata, si presta benissimo il sapone di colofonio,
suggeritomi dal mio collega Prof. Comboni. Le foglie di vite scolo-
rate coll'alcool ed immerse per qualche minuto in una soluzione calda
di colofonio, trattate colla tintura di iodio, si colorano in violetto.
« Non vi è dubbio quindi, secondo me, che anche nella vite il primo
prodotto dell' assimilazione, almeno quello osservabile microscopica-
mente, è 1' amido, ed il Mùller-Thurgau ha il merito di averlo per
primo dimostrato.
« Restava una difficoltà: come spiegare l'asserzione contraria di
microscopisti così valenti come il Briosi ed il Penzig?
« Le ulteriori esperienze lo chiarirono nettamente, dimostrando che
l'amido formato nelle foglie di vite sotto l'influenza diretta dei raggi
solari scomparisce con istraordinaria rapidità durante la notte, ov-
vero anche nel giorno stesso quando la foglia rimanga per un certo
tempo sottratta all'azione diretta dei raggi solari. Per questo riguardo
le foglie della vite presentano una serie di fenomeni notevolissimi,
mostrandosi sensibili alla luce in un grado molto maggiore di quello
che finora si conoscesse per le piante superiori (1). Mi limiterò qui
a riferire i risultati principali delle mie osservazioni fatte nei mesi
di giugno, luglio, agosto, settembre ed ottobre di quest'anno (1883):
1. Le foglie di vite raccolte prima della levata del sole o prima
che il sole le abbia colpite coi suoi raggi si mostrano prive quasi
totalmente d'amido;
2. Le foglie raccolte in un giorno piovoso od anche soltanto
nebuloso non contengono amido; ugualmente non contengono amido,
ovvero ne contengono piccolissima quantità, le foglie rimaste alla
(1) Vedi Pfeffer, Pflanzen Physiologie, Band 1, pag. 191, e la monografia di
Ugo de Vries « Wachstumgeschichte der Kartoffelplanzen (Landw. Jahrbucher
1878, pag. 591). »
164 CAPITOLO IV
luce diffusa o all' ombra, ma non colpite direttamente dai raggi
solari.
3. Nelle foglie esposte direttamente al sole nelle calde giornate
d'estate l'amido si forma in grande quantità ed in poco tempo: basta
tenere esposta la foglia ai raggi del sole per un paio d' ore per
ottenere colla tintura di iodio una intensa colorazione violetta.
Un' elegante dimostrazione dell' influenza della luce nella genesi
dell'amido si ha ricoprendo le foglie con stagnola, lasciandone sco-
perta qualche porzione circoscritta; l'amido allora non si forma che
nei punti scoperti. Se sopra la stagnola, con la quale si ricopre le
foglie vi si intagliano alcune lettere o parole, quando si va a trat-
tare queste foglie colla tintura di iodio, si ottiene una riproduzione
esattissima delle medesime lettere o parole colorate in violetto, con
contorni così precisi e distinti come se fossero state formate con un
pennello.
« L'esperienza riesce meglio nelle foglie giovani che nelle vecchie,
nelle quali è evidente che il processo di assimilazione procede con
minor energia.
« Così pure da queste esperienze è risultato evidente che la colo-
razione violetta (e quindi la formazione dell'amido) riesce tanto più
intensa ed omogenea, non solamente quanto più intensa e di maggior
durata è stata l'energia dei raggi luminosi, ma anche quanto più
alta è la temperatura dell'aria. Le condizioni precise secondo le quali
il fenomeno varia rispetto a questi due agenti luce e calore, non le
ho finora studiate, ma non sarà inutile ricordare che ho potuto con-
statare formazione d'amido nelle foglie di vite fino al giorno 21 no-
vembre, nel quale giorno un termometro esposto al sole vicino alla
foglia sperimentata segnava 17°; nei giorni successivi invece non mi
riuscì più di constatare formazione di amido sebbene il cielo fosse
sereno, ma in questi giorni il termometro non si elevò sopra 13°.
Non ho bisogno di far notare quanto V esatta investigazione di
tutte le circostanze che valgono a favorire o a rallentare la forma-
zione dell'amido interessi il fisiologo non solo, ma abbia anche una
importanza grandissima nella pratica. Giacche è questo amido che
convertito in zucchero emigra dalla foglia e va ad immagazzinarsi
nell'acino. » (1).
Soggiungeremo che l' amido non solo si muta in zucchero, ma
(1) Rivista di Yitic. ed Enol. di Conegliano, N. 23 e 24 dicembre 1883.
BOTANICA DELLA VITE 165
compie nella vegetazione della vite importanti funzioni. Anzitutto
coopera alla formazione di nuove cellule e di nuovi organi; inoltre
si accumula nel legno, e già vedemmo che le gemme sono poste so-
pra una specie di mensoletta contenente materia amidacea in cui il
tenero germoglio trova il suo primo alimento sinché non abbia messo
le foglie. Infine si può ritenere che dall' amido prendano origine i
diversi acidi organici (malico, tartrico, ossalico, succinico, ecc.) delle
foglie e delle uve immature, nonché la cellulosa, le sostanze grasse
ed altre sovra accennate.
Ma, come dicemmo, il lavorìo delle foglie è coadiuvato dalla
funzione assorbente che esercitano le radici. Già sappiamo che sol-
tanto la parte giovine della radice è adattata ad assorbire nutrimento,
inquantochè le parti vecchie sono rivestite da un inviluppo soveroso
impenetrabile. Da ciò ne segue che la vite, per prosperare, deve for-
mare continuamente nuove radici; ora, quanto più noi favoriremo
questa formazione, tanto più facilmente la pianta compirà le sue fun-
zioni fisiologiche, e tanto più a lungo noi possederemo un ceppo
robusto.
In base a questi principii il Dr. Mùller Thurgau si diede a ricer-
care — nel 1873 — quali fossero gli agenti che esercitavano una
influenza favorevole sulle radici della vite, cioè sul loro accresci-
mento e sulla loro attività. Le sue ricerche, di cui diremo or' ora,
sono basate sulle seguenti considerazioni: — Acciò una radice possa
crescere, gli sono necessarii dei materiali adattati; ora i materiali che
essa prende dal suolo non servono a quello scopo, imperocché sono
unicamente sali inorganici, i quali dapprima vogliono essere elabo-
rati. Come tutte le parti del vegetabile, anche la crescente punta
della radice è composta da numerose cellule ognuna delle quali pre-
senta essenzialmente due parti, cioè la parete cellulare o cellulosa,
ed il contenuto, detto, come già sappiamo, protoplasma, che è spesso
di consistenza granulosa e più o meno liquido (filante). Il protoplasma
è la parte essenziale e vivente della cellula; provvede alle funzioni
di questa, costruisce nuove pareti cellulari e nuove cellule; ed in que-
sto modo permette l'accrescimento della radice. Per molte cellule è
facile convincersi della vitalità del protoplasma quando lo si osserva
in movimento automatico attorno alla parete cellulare. Noi possiamo
adunque paragonare la parte crescente delle radici ad un immenso
fabbricato: in ognuna delle sue numerosissime camere sta un infati-
cabile lavoratore, il protoplasma; le pareti delle camere noi le chia-
166 CAPITOLO IV
miamo pareli cellulari. Ora le pareti cellulari sono composte di cel-
lulosa, mentre il protoplasma consiste di sostanze albuminoidi.
Abbiamo già detto che il materiale principale per la formazione
della parete cellulare, è preparato nelle foglie verdi sotto l'influsso
della luce e del calore: esso è l'amido, il quale è formato da acido
carbonico ed acqua. L'acido carbonico passa direttamente dall'aria nelle
foglie, l'acqua è quivi diretta per mezzo delle radici e del fusto, e
viene dal suolo. L'amido formatosi e poscia trasformato in zucchero
ed emigra dalle foglie nelle differenti parti crescenti della pianta, e
così anche nella parte crescente delle radici. Or quivi lo zucchero è
utilizzato alla costruzione di nuove pareti cellulari. Amido, zucchero e
cellulosa hanno la stessa composizione chimica; essi consistono di car-
bonio, ossigeno ed idrogeno; queste tre sostanze appartengono agli
idrati di carbonio (pag. 162). Abbiamo dunque:
Acido carbonico , J ^ . r Amido, zucchero, cellulosa
Acqua TdS i (Idrati di carbonio)
Ma acciò possa formarsi la parte più importante della cellula, il
protoplasma, la pianta deve produrre albumina.
Essa abbisogna perciò d' un idrato di carbonio, ed inoltre di a-
zoto sotto forma d'un sale ammoniacale o nitrico.
(' Carbonio ]
Idrato di carbonio < Ossigeno f _, . ,, . .,. ' .
f Idrogeno ì Costanze albuminoidi, protoplasma
Sale azotato ..... Azoto )
Gli idrati di carbonio (ossia l'amido) come venne indicato, son for-
mati nelle foglie verdi; per contro, dove s'originino le sostanze al-
buminoidi fin qui non era stato messo in sodo. Ora, le ricerche del
Dr. Mùller formano una contribuzione alla soluzione del quesito « se
presso le piante li organizzazione superiore le sostanze albuminoidi
sian formate ugualmente soltanto nelle foglie, oppure se la forma-
zione di questo importante principio costitutivo possa aver luogo an-
che in altre parti della pianta, per esempio nelle radici, quando le
medesime abbiano a loro disposizione un idrato di carbonio ed un
sale azotato ».
Ad alcune giovani piante di semi di maiz, di frumento, di fave,
BOTANICA DELLA VITE 167
ecc. allevate nell'acqua distillata, furori tolte tutte quante le radici
lasciandone loro soltanto due di uguale lunghezza: lo stesso venne
fatto con maglioli di vite che avevano vegetato nell'acqua distillata.
Ognuna delle pianticelle così preparata, venne allora collocata sopra
due recipienti posti uno accanto all'altro, però in modo tale che ca-
duna delle due radici pescasse in altro vaso. In uno de' vasi tro-
vavasi una completa soluzione nutritiva (acqua distillata coi sali ne-
cessarii alla nutrizione), e nell'altro la medesima soluzione privata
però dei sali azotati.
Ora se l'azoto, per formare con un idrato di carbonio l'albumina,
deve passare nelle foglie, vuol dire che allora le sostanze azotate
di nuova formazione devono anzitutto andare dalle foglie alle radici,
e non v'ha alcuna ragione perchè l'una delle radici ne riceva più
dell'altra: mostreranno tutt'e due un accrescimento ugualmente forte.
Per contro, se la cosa si passa diversamente, cioè se anche le
cellule delle radici possono esse stesse preparare sostanze azotate,
allora la radice che si trova nella soluzione azotata dovrà, mercè
lo zucchero che proviene dalle foglie e l'azoto assorbito direttamente,
formare sostanze albuminoidi ed essere ricca di protoplasma. L'altra
radice invece, che si trova in una soluzione sprovvista di azoto, ri-
ceverà bensi abbastanza di zucchero dalle foglie, ma le mancherà
l'azoto necessario alla formazione del protoplasma: essa dovrà pren-
dere questo azoto, o sotto forma di albumina già preparata o sotto
forma di sali azotati, dai fusti e dalle foglie, oppure dalle altre ra-
dici. Dovrà quindi essere più povera di protoplasma che non la ra-
dice che si trova nella soluzione contenente azoto, e perciò crescerà
anche meno rapidamente.
Or bene, le numerose ricerche del dott. Mùller-Thurgau hanno di-
mostrato realmente una tale differenza nell'accrescimento delle due
radici, e con ciò hanno pure dimostrato la verità della suesposta dot-
trina, cioè che anche le radici possoìio usuf ruttar e V azoto che è
posto esteriormente a loro disposizione, e così formare albumina.
Per avere la sicurezza che nessuna altra causa potesse aver provo-
cato un più rapido sviluppo di una delle radici (locchè del resto era
già stato escluso dal grande numero delle ricerche), la soluzione, in
molte esperienze, venne cangiata di tempo in tempo, cosicché la ra-
dice, la quale da principio si trovava in una soluzione azotata, ve-
niva posta in una soluzione priva d'azoto, e l'altra invece, durante
questo frattempo, pescava in soluzione azotata. Ma sempre accadde
168 CAPITOLO IV
che la radice la quale pescava direttamente nella soluzione azotata,
mostrava quell'abbondante accrescimento.
Queste ricerche furono condotte a termine in ugual modo tanto
nella sabbia che nella terra, e diedero gli stessi resultati.
Il Dr. Mùller-Thurgau al Congresso viticolo di Coblenza (Settembre
1879) fece andar in giro fra i congregati un certo numero di piante
coltivate nel suddetto modo: il più forte sviluppo dei sistemi radi-
cali cresciuti in soluzioni azotate fu facilmente riconosciuto da ognuno.
La differenza era specialmente spiccata pel numero delle radici
secondarie (capell amento) le quali erano molto più fitte; esse erano
poi anche più sviluppate. Per esempio in due radici di viti cresciute
in soluzione azotata, si vedevano numerose radichette già sulle ra-
dici secondarie (cioè si contavano tre ordini di radici) mentre in al-
tri sistemi radicali venuti in soluzioni senza azoto, non si osserva-
vano per anco quelle radichette del terzo ordine.
Il dottor Mùller-Thurgau conchiude osservando che, dal lato scien-
tifico, risulta dalle suesposte ricerche come le cellule delle radici siano
in condizione di preparare sostanze albuminoidi quando ricevano i-
drati di carbonio dalle foglie ed esternamente possano usufruire d'un
sale azotato. Per la pratica poi possiamo concludere che l'accresci-
mento di un sistema radicale è assai accelerato se noi poniamo a sua
disposizione i necessarii sali azotati.
A ciò hanno condotto le ricerche del laboratorio: per vedere ora
sino a qual punto questi risultati possono giovare ai viticoltori,
è mestieri fare esperienze coi concimi nei vigneti, esperienze che
già furono incominciate per cura dello stesso esperimentatore. In-
tanto è provato questo, che nel trattamento dei letami e dei con-
cimi ecc. l'azoto non deve essere cotanto trascurato, come pur troppo
lo fu sin qui. E si dovrebbe pure in avvenire, nella valutazione della
quantità di sostanze nutritizie esportate annualmente da un vigneto
sotto forma di legno, fogliame, uve, ecc. non più scordare l'azoto.
Alla domanda che fu fatta al dott. Mùller-Thurgau, se l'azoto as-
similato dalla radice che pesca nella soluzione azotata venga solo
usufruttato per questa radice stessa, oppure se una parte del me-
desimo emigri anche nell'altra radice, egli rispose che sperimental-
mente ciò non lo ha constatato: è tuttavia ammessibile che una
parte di quell'azoto profitti anche alla seconda radice. Ma la mag-
gior parte della sostanza azotata assorbita rimane nella radice che
pesca nella soluzione nutriente azotata; è quivi impiegata alla for-
BOTANICA DELLA VITE 169
inazione del protoplasma e favorisce il rapido sviluppo di quella ra-
dice stessa. Questa, in tutti i casi, è più innanzi nello sviluppo che
non l'altra.
Oltre all'azoto, la vite prende al terreno, per mezzo delle sue ra-
dichete, acido fosforico, calce, potassa e silice, ed in via secon-
daria magnesia, ferro, acido solforico, sodio, alluminio, cloro e
manganese: ma su di ciò ritorneremo al capitolo Chimica della
vite.
Il periodo di nutrizione ed accrescimento della vite dura general-
mente parlando quattro mesi, dall'aprile al settembre; verso il finire
dell'agosto o nel principio del settembre, a seconda dell'andamento
delle stagioni, cessa il periodo di accrescimento, ed incomincia quello
di maturazione non solo dell'uva pendente ma anche del legno a van-
taggio della fruttificazione successiva; è noto infatti che quando in
questo periodo il tempo è costantemente sereno, e si ha perciò luce
viva e calore sufficiente, i viticultori sogliono dire che il legno ma-
tura bene. Gli è pure in questo periodo che si elaborano e si per-
fezionano i materiali raccolti nelle mensolette delle gemme, di cui
parlammo testé a pag. 165.
Durante questo periodo, siccome la clorofilla va mano mano scom-
parendo, (salve speciali condizioni atmosferiche molto favorevoli)
cessa la riduzione dell' acido carbonico nelle foglie, cessa cioè l'as-
similazione; le foglie ed i frutti respirano allora come respirano
gli animali, cioè trattenendo Y ossigeno ed emettendo l' acido car-
bonico. Contemporaneamente ha luogo V emigrazione dell' amido
dalle foglie ai sarmenti ed alle gemme, e dello zucchero verso gli
acini; su di che si intratterremo più a lungo fra breve studiando la
maturazione dell'uva.
Ma anche dopo la caduta delle foglie non cessa il processo di e-
laborazione dei materiali immagazzinati nei sarmenti e presso le gemme;
abbiamo ripetutamente osservato che un autunno ed un inverno re-
lativamente caldi e abitualmente con cielo sereno influiscono notevol-
mente sulla maturazione del legno della vite; il quale assume una
colorazione rossigna e mostra le gemme più turgide che non in con-
dizioni meteorologiche meno favorevoli; la cacciata dei pampini in
primavera è allora sempre assai vigorosa, mercè l'anzidetto perfezio-
namento del legno.
L'accrescimento della vite avviene, come in tutte le piante dicoti-
ledoni, esternamente; quindi essa appartiene al novero delle piante
170 CAPITOLO IV
esogene, così dette perchè il loro fusto aumenta di diametro mercè
nuovi tessuti che si organizzano nella parte interna della corteccia
formando un anello attorno al midollo, come abbiamo visto apag. 121.
Invece le piante endogene, cioè le monocotiledoni, crescono in-
ternamente (frumento, granturco, avena, orzo, le palme, ecc.) ed
ha luogo un allungamento anziché un ispessimento successivo del
fusto, fatte poche eccezioni (1).
Gli è appunto per il modo d'accrescimento del tronco di vite, che noi
vediamo esternamente quello strato suberoso (pag. 91) che si può
togliere siccome inutile, essendo infatti la parte morta della cortec-
cia. (Veggasi: scortecciamento delle viti).
4.° Vegetazione della vite. — Il risveglio della vegetazione
nella vite si manifesta con una perdita di umore acquoso dalla e-
stremità de' suoi tralci; questo umore è detto comunemente il pianto
della vite. Vediamo come e quando avvenga questo fenomeno; di-
remo poi di che cosa sia composto cotale umore.
Se noi prendiamo un imbuto di vetro con collo lungo e sottile, e
lo chiudiamo con un pezzo di vescica, e poscia capovolgendolo lo
riempiamo fino al collo con acqua salata, immergendo infine la ve-
scica in un recipiente contenente acqua, osserviamo due fenomeni;
cioè che il liquido si innalza nel collo dell'imbuto, e si abbassa nel
recipiente. Dutrochet, il quale fece pel primo questo semplicissimo
esperimento, chiamò corrente di endosmosi (propulsione all'indentro)
quella dell'acqua penetrante dal recipiente nell'imbuto, ed esosmosi
il passaggio del sale dall'imbuto verso l'esterno, poiché egli osservò
infatti che l'acqua del recipiente era divenuta salata. Dutrochet chiamò
osmosi (ossia impulso) il complesso di questi fenomeni di diffusione
a traverso le membrane.
Orbene la stessa azione osmotica viene esercitata a traverso la
tenera cuticola delle radichette ed i peli radicali della vite, dall'acqua
del terreno coi sali che essa tiene disciolti (fosfati, nitrati, solfati
di calce, di potassa, ecc.); e questo fenomeno è favorito dalla rapidità
di diffusione dei sali stessi. L'acqua penetrata che sia nelle cellule delle
radichette, le fa rigonfiare distendendone per modo di dire le pareti
(tessuto cellulare), onde filtra poi a traverso di esse, diffondendosi
(1) L'albero del sangue di drago (Dracoena drago), che è una palma di Tene-
riffa, cresce anche in circonferenza; ma è questa una eccezione, d' altronde bene-
spiegata dai botanici.
BOTANICA DELLA VITE 171
da cellula a cellula sino a giungere ai vasi, che sono come tubi
verticali entro cui si innalza (1) siccome ha dimostrato Sachs con
una brillante ed ingegnosa esperienza.
Riflettiamo ora per un momento alla sproporzione rimarchevole che
esiste fra il tronco di una vite e V ampiezza del suo sistema radi-
cale; è facile vedere che il sistema assorbente (radichette e peli) è
amplissimo relativamente al fusto, ed è ovvio quindi l'intendere come
il succo acquoso assorbito dal suolo, essendo relativamente assai ab-
bondante, debba gocciolare in primavera dalla estremità dei tralci.
Abbiamo detto in primavera, perchè allorquando i tralci sono
provvisti di fogliame, l'eccesso di acqua è smaltito per mezzo della
evaporazione e della traspirazione (pag. 159); infatti noi abbiamo
osservato ripetutamente che quando la vite porta foglie i tralci non
piangono che di notte, cioè quando le foglie non adempiono più a
quest'ufficio di smaltitoi aerei: anzi abbiamo osservato che la per-
dita di linfa acquosa va scemando man mano che il sole si alza sul-
l' orizzonte; dimodoché mentre alle ore 6 del mattino (ad esempio ai
primi di maggio) si ha il pianto, alle ore 9 od alle 10 ciò non è
più possibile, essendo subentrata una evaporazione potente. (Il liquido
acquoso lascia un deposito di gomma sulla estremità del tralcio, il
quale può impedire il pianto; tagliando una piccolissima porzione del
tralcio stesso, il pianto ricompare, talvolta anche a primavera innol-
trata, salvo che si verifichino le accennate circostanze: è bene tener
nota di ciò nell' esaminare la intermittezza di questo fenomeno).
Non tutti però ammettono che la causa principale dell'ascensione
del succo risieda nell'osmosi: il Prof. Bòhm (2) con esperienze eli-
rette dimostrò che tale fenomeno è un effetto della traspirazione,
della elasticità delle pareti delle cellule e della pressione dell' aria.
Ma, poiché la traspirazione è quasi nulla durante la notte, come
spiegare il pianto notturno delle viti da noi osservato ? Forse colla
evaporazione (pag. 159) la quale, come fenomeno puramente fisico,
ha luogo anche in mancanza della luce, nonché coi fenomeni di
osmosi. Del resto Herbert Spencer già aveva attribuito il movimento
(1) Il succo giunto ai vasi corre con molta maggior velocità: Herbert Spencer
trovò che i liquidi assorbiti dalle piante corrono con una velocità cinquanta volte
maggiore nel tessuto vascolare, paragonato al tessuto cellulare (Principles of Biology
volume II, pag. 555).
(2) Veggasi la pag. 159, nota 1.
172 CAPITOLO IV
dei succhi essenzialmente alla traspirazione delle foglie adulte, coadiu-
vate da altre cause, fra cui l'osmosi e la capillarità, ossia l'attrazione di
adesione, (1) che certo deve favorire il passaggio del succo a traverso
i tessuti della pianta.
La forza con cui il succo acquoso penetrante dalle radichette sale
lungo il tronco della vite e si diffonde pei tralci è veramente rag-*'
guardevole. Chi la misurò pel primo fu Hales, sin dal 1727; egli
trovò che essa può fare equilibrio ad una atmosfera, e talvolta an-
che ad una atmosfera e mezza di pressione, sostenendo una colonna
di mercurio alta 822 mm., ossia una colonna d'acqua alta m. 11,096.
Hales notò pure che la pressione esercitata dalla pianta della vite
dal basso in alto è cinque volte maggiore di quella con cui viene
spinto il sangue nelle più grosse arterie del cavallo. Hofmeister un
secolo dopo, esperimentando su piante di viti in vasi, trovò in con-
fronto con piante di fagiolo e d' ortica le seguenti pressioni:
Vite 725 mm.
Ortica 350 »
Fagiolo 150 »
Recentemente (1873) Neubauer e Canstein (Annalen der (feno-
logie, TV, pag. 502 e 517) istituirono altre interessanti esperienze
sull'argomento, che stimiamo utile far conoscere. — Neubauer si
valse dell'apparecchio disegnato nella fig. 57; in T abbiamo un ramo di
vite, il quale mediante un forte anello di cauciù L è posto in cor-
rispondenza con un tubo di vetro a; l'anello L è legato strettamente
al tralcio ed al tubo a. Quest'ultimo pesca in un vaso di vetro A
il quale nella sua parte inferiore e per un terzo circa della sua al-
tezza è ripieno di mercurio; nella porzione rimanente come pure nel
tubo a si mette acqua. Nel mercurio pesca un lungo tubo b b gra-
duato in millimetri. Il vaso A è posto in una vaschetta V ripiena
d'acqua, nella quale pesca un termometro t. Neubauer osservò, con
questo apparecchio, che nelle giornate calde dell'aprile del 1873 la
pressione aveva raggiunto i 112 millimetri (2): essa diminuì allo sbuc-
ciare delle gemme, e cessò allo sviluppo delle foglie, quando queste en-
fi) E noto che i liquidi per attrazione capillare si innalzano nei tubi sottili
o capillari.
(2) La temperatura essendo ridotta a zero.
BOTANICA DELLA VITE
173
trarono in funzione. La evaporazione allora si era fatta assai forte;
essa venne misurata da Neubauer coll'appareccbio rappresentato dalla
fìg. 58. In b abbiamo un getto di vite fronzuto il quale pesca in un
tubo di vetro e pieno d'acqua ma chiuso ermeticamente: questo tubo
è introdotto in un cilindro a sul cui fondo trovasi del mercurio, e
Fig. 57.
Fiar. 58.
che è pure ermeticamente chiuso in d. Ora più il mercurio si sol-
leva e più è forte la evaporazione : infatti Neubauer trovò che un
germoglio di vite lungo 28 centimetri e con una superficie di foglie
uguale a 340 centimetri quadrati, solleva una colonna di mercurio
di 183 millimetri, alla temperatura di 23,5° C.
Riflettendo pertanto alla potenza con cui il succo sale in prima-
174 CAPITOLO IV
vera dalle radici ai tralci della vite, si troverà che è molto efficace
la espressione usata dai viticultori, i quali dicono che, nelle prima-
vere umide, il pianto affoga i fiorellini; su di ciò ritorneremo stu-
diando l'aborto dei fiori (francesamente colatura).
Da quanto abbiamo detto risulta che nell' organismo vegetale so-
novi due correnti di succhi; l'una ascendente dalle radici al fogliame,
F altra discendente dal fogliame alle parti vitali della pianta non
escluse le radici. La linfa ascendente circola principalmente pel tes-
suto vascolare, quella discendente pel tessuto cellulare; i due movi-
menti sono indipendenti l'uno dall'altro, ed il secondo è certamente
dovuto in gran parte all' azione osmotica a traverso le membrane
delle cellule. Accade quindi una vera diffusione, non soltanto all'ingiù
verso le radici, ma anche in alto per tutte le parti della pianta (gemme,
tralci, frutti) dei principii organici di cui abbiamo parlato a pag. 161.
Ci rimane a studiare la composizione del liquido che costituisce
il pianto della vite; da quanto precede si deduce che esso non
è costituito da pura acqua, come crede il volgo dei viticultori;
consiste invece di acqua la quale tiene in dissoluzione gli elementi
minerali che la terra somministra alle piante, elementi che abbiamo
enumerato a pag. 160. — La sua composizione varia a seconda delle
annate più o meno piovose, ed a seconda della stagione, perchè col
progredire di questa aumentano in esso i fosfati, nonché il totale
delle materie minerali, mentre diminuisce quello delle organiche, certo
perchè va scemando la quantità di queste ultime posta in serbo dal-
l'anno precedente, come già si disse.
Il Dott. Ghizzoni (1) ha studiato con cura il pianto della vite, rac-
cogliendo la linfa a diverse altezze nonché dallo stesso vitigno, però
coltivato in luoghi differenti. Crediamo utile riassumere tali esperienze,
raffrontandole con altre del Dott. Rotondi.
a) La prima conclusione che si desume dalle esperienze del
Ghizzoni è questa, che la linfa della vite è costantemente acida,
ed olire al portare alla pianta nuovi elementi, promuove Vas-
similabiliià di talune sostanze contenute nella pianta, ed agisce
producendo lo sviluppo delle gemme. Questa azione sarebbe pro-
dotta dal primo succo che si innalza nella pianta, il quale essendo
acido, rende solubile, cioè atta all'assimilazione, una certa quantità
di materie attornianti le gemme e destinate al futuro sviluppo del
(1) Rivista di Viticoltura ed Enologia di Conegliano, 1878.
BOTANICA DELLA VITE 175
germe. Per il Ghizzoni pertanto lo sviluppo delle gemme sarebbe ia
tatto paragonabile a quello dei semi, e la linfa della vite avrebbe
nei primi momenti lo stesso ufficio della diastasi, la quale, come di-
cemmo a pag. 156, trasforma in materia solubile quella che altri-
menti non avrebbe, per la sua insolubilità, potuto aiutare e svolgere
il tenero embrione dei semi. In altri termini, secondo l'esperimenta-
tore, la prima linfa agirebbe da vero solvente sulle materie insolubili
che stanno attorno alle gemme.
Contrariamente alle deduzioni del Ghizzoni, è noto essere risultato
all'ing. Rotondi (già della Stazione Enologica di Asti) che la linfa sud-
detta, specialmente nelle viti ad uve rosse, avrebbe una reazione non
acida, cioè neutra od alcalina. Queste sconcordanze dimostrano che
il quesito non è ancora bene risolto: gioverà quindi fare nuove e-
sperienze e tenere anche calcolo di quel pianto che sgocciola dalle
viti durante la notte verso il finir di maggio cioè allorquando i
tralci sono già provvisti di foglie, per cui il pianto cessa di giorno:
svettando in tali momenti i tralci si ha pur tuttavia uno sgocciola-
mento notturno che meriterebbe d'essere studiato; abbiamo già detto
a tal riguardo che esso scema man mano che il sole si alza sull'o-
rizzonte, cosicché verso le ore 9 o 10 del mattino cessa del tutto.
b) Altra conclusione del Ghizzoni è la seguente: che nel pianto
delle viti la quantità dei nitrati è in ragione inversa della bontà
dei vitigni.
e) I nitrati stanno nelle linfe in ragione diretta della ve-
getatila (campi ed orti) del terreno, ed in ragion inversa della
bontà del metodo di coltivazione.
d) In genere la sostanza organica é, nelle viti nere, pre-
dominante sulla minerale', mentre per le viti ad uva bianca la
minerale si troverebbe in quantità predominante suU organica.
e) Mentre nel basso (cioè nella linfa inferiore d'una vite) v'ha
predominio di materia minerale, nell'alto vha quello della ma-
teria organica.
f) Nel suo decorso quindi, la linfa mentre si carica di ma-
teria organica perde in materie minerali.
g) I fosfati aumentano in genere col procedere della sta-
gione, aumentando anche il totale delle materie minerali, men-
tre diminuisce quello delle organiche.
Il dott. Ghizzoni, dai fatti che accenna desume che non si dovrebbe
far perdere alla vite, con una potatura tardiva o primaverile, una
176 CAPITOLO IV
certa quantità della sua linfa; stabilito infatti, coll'esperimentatore,
che l'azione di detta linfa sia quella di promuovere ed aiutare lo svi-
luppo delle gemme, parrebbe potersi conchiudere che questo viene
necessariamente ritardato quando venga a perdersi una gran parte
di quella.
Noi non esitiamo a convenire in massima con quanto qui dice lo
studioso autore: ma non possiamo tuttavia scordare gli indiscutibili
vantaggi del salasso primaverile delle viti nelle primavere umide,
precedute da un autunno e da un inverno pure umidi, e ciò onde
evitare la colatura dei fiori la quale quasi ogni anno arreca così
gravi danni ai vigneti dell'alta e media Italia. Facciamo quindi voti
acciò l'importante quistione del pianto della vite sia pure studiata nel
caso, non certo raro, d'una vite pletorica.
Dalle nostre numerose osservazioni risulterebbe infatti, che con viti
cosifatte ed in primavere molto piovose, è assolutamente indispen-
sabile provocare o aiutare il pianto, nei modi che diremo studiando
F aborto dei fiori, e questo tanto più se trattasi di viti giovani, ri-
gogliose e potate corte. Per contro, nei paesi a primavera general-
mente secca e calda, e dove si hanno viti vecchie e non molto ri-
gogliose, bisogna che la vite non pianga o pianga assai poco (pota-
tura precoce, meglio se autunnale).
Ma lo studio della vegetazione della vite non può limitarsi a quanto
si riferisce al pianto: abbiamo altre importanti considerazioni a fare
su questo grave soggetto, specialmente riguardo al portamento delle
radici, alla tendenza naturale dei tralci e dei viticci ed alla varia
lunghezza degli internodi.
Il portamento del sistema radicale della vite varia a seconda
di differenti circostanze; non parliamo del numero più o meno grande
delle radichette, il quale dipende dai sali azotati (nitrato di potassa,
solfato d'ammoniaca) che si trovano più o meno in copia a disposi-
zione delle radici (pag. 166): vogliamo invece alludere alla disposi-
zione delle radichette stesse ed alla loro profondità variabile. Nei
vigneti non mai lavorati esse si portano a poca distanza dalla su-
perficie del suolo, quasi in cerca di principii assimilabili; diciamo
quasi in cerca di alimento, perchè realmente la radice non si di-
rige verso le sostanze nutritizie, ma solo si sviluppa e si ramifica
tanto più copiosamente quanto più abbondante è l'alimento, se così
possiamo dire, col quale si trova in vicinanza, in contatto: ora, es-
sendo dimostrato dalle esperienze di Emilio WolfF e Boussingault,
BOTANICA DELLA VITE 177
che nei terreni lavorati, cosicché gli agenti atmosferici vi abbiano
facile accesso, si forma una maggior quantità di nitrati (1), è facile
intendere come le radichette si formino più copiose negli strati su-
perficiali del terreno, se questo è lavorato a poca profondità o peggio
se non mai lavorato. Allorquando poi il piantamento della vite è
fatto troppo profondamente e, come suol dirsi, sul duro, allora (fig. 2
pag. 89 tolta da un nostro piantamento a 0,60 di profondità) accade
che l'ultima corona di radici si dirige all'insù, come dicevamo or' ora,
laddove le altre corone sono orizzontali o quasi. Certamente ciò non
accadrà nelle terre leggere e ciottolose; infatti nei terreni lapillari
sofficissimi dei dintorni di Napoli si piantano i maglioli ad oltre un
metro di profondità, senza inconvenienti: ma nelle terre compatte si
verifica quanto dicevamo sopra, e la vite ne soffre, avendo un si-
stema radicale che non si sviluppa in condizioni troppo favorevoli.
Il piantamento profondo vuol dunque essere accompagnato, o per
meglio dire, preceduto dal lavoro profondo: in caso diverso la radice
si riduce ad un fittone quasi sprovvisto di radichette, ed ha una sola
corona di radici secondarie quasi presso la superfìcie del suolo: ad
esempio un magliolo (fig. 59) piantato profondamente sino al segno
b, in terreno non scassato convenientemente, mette bensì in principio
una corona di radici sotto al punto a, ma queste in così cattive con-
dizioni di suolo deperiscono rapidamente, onde il sistema radicale in
pochi anni si riduce a poco presso come è disegnato nella fig. 60,
cioè alle sole radici superficiali, troppo esposte all'azione della sic-
cità e troppo facilmente danneggiate dagli istrumenti lavoratorii: ora
è evidente che, se soffrono queste radici, tale pianta non può con-
tare su altre più profonde, ed intristisce essa pure.
Infine per la grande armonia che regna fra il sistema sotterraneo
e quello aereo della pianta, avviene che ogni offesa recata ai rami
si ripercuote sulle radici; d'onde il consiglio di non potare la giovine
vite al suo primo anno e di potarla leggermente al secondo, perchè
così operando si permette un ampio sviluppo al sistema radicale, che
ha tanta influenza sulla produttività, sulla robustezza e sulla longe-
vità delle viti. È poi ovvio il comprendere che, appunto in conse-
(1) Wolff, professore 'a Hoenheim (Baden) trovò, con esperienze dirette, che
quando la terra è bene smossa e divisa, l'ammoniaca del terreno si cangia in a-
cido nitrico per l'azione dell'ossigeno dell'aria. Boussìngault (Chimie Agricole L
jpag. 296) venne alla stessa conclusione.
0. Ottavi, Trattato di Viticoltura. 13
178
CAPITOLO IV
guenza di cotale armonia vegetativa, il sistema radicale sarà assai
meno sviluppato nelle viti potate corte ed educate basse, che non in
quelle allevate a lunghi tralci, nel qual caso si possono vedere ra-
dici lunghe oltre i dieci metri. Ed è tale 1' armonia fra i rami e le
radici che abbiamo osservato molte volte come a rami robusti corri-
Fig. 59.
Figr. 60.
spondano, dallo stesso lato della pianta, radici secondarie robuste; e
come offendendo ad esempio la pianta a diritta, ne soffrono precisa-
mente le radici a diritta: cosa facile a spiegarsi se si riflette, come
dicevamo studiando l'anatomia della radice e del caule (pag. 119), che
i vasi del tessuto vascolare vanno dalla prima al secondo senza in-
terruzione, senza cioè una vera linea di demarcazione al così detto
BOTANICA DELLA VITE 179
nodo vitale, e proseguono così ponendo in comunicazione le foglie
colle radichette; ma queste non possono vivere e svilupparsi oltre
senza gli idrati di carbonio di quelle (pag. 168), onde se si offende
il sistema aereo si offende pure il sistema sotterraneo.
Passiamo ora a studiare la tendenza naturale dei tralci. Ab-
biamo già detto, al paragrafo sull' organografia, che i tralci della
vite propendono ad allungarsi ed espandersi strisciando sul terreno
se pure non si slanciano sugli alberi che loro si trovano vicini, rag-
giungendo altezze relativamente grandi: si narra infatti di viti d'A-
frica e d'America, che slanciansi a guisa di ponti attraverso i fiumi;
e Plinio ci tramanda d'una statua di Giove fatta con un tronco di
vite e di colonne di tempii pure di viti. È pure noto che le viti sel-
vatiche, delle quali abbiamo già parlato più addietro, assumono spesso
proporzioni enormi; e che le viti coltivate stesse, se si abbandonano
a sé, possono coprire coi loro tralci molta superficie di terreno (1).
In quei pochi locali (ad esempio nella Valle d' Aosta) ove si lascia
la vite libera (vale a dire che non le si recidono mai tralci secchi,
come si fa potando) essa si espande con tanta ricchezza di vegeta-
zione, che si è costretti a fare i piantamene ponendo i filari a 5
metri di distanza uno dall'altro, e le piante nelle file a ben 25 metri
l'ima dall'altra; queste enormi distanze sono indispensabili. Che dire
poi delle viti americane? Giustamente quelle selvatiche furono chia-
mate piante da bosco (2) poiché si arrampicano fìuo alle più alte
cime degli alberi, ove maturano i loro frutti.
Ora, tutto ciò dimostra che la tendenza naturale della vite è quella
di allungare quasi direbbesi senza limiti i suoi tralci, a guisa di ri-
gogliosa liana; che se noi la vediamo invece nei nostri vigneti ridotta
generalmente a meschine proporzioni si è per i sistemi di viticoltura
in uso, così spesso antirazionali. Né vale il dire che così si deve fare
se si vogliono avere frutti zuccherini ed abbondanti, perchè è noto
che, ad esempio, le viti tenute col sistema francese detto en chaintres
(ampie spalliere orizzontali) talora con 15 tralci frutticosi lunghi da
metri 1,50 a 2, danno molta uva, che matura bene, mentre le piante vi
sono più longeve che non seguendo il sistema delle energiche potature.
(1) Il Dott. A. Cencelli-Perti narra d'un suo ceppo di pizzutello (uva Cornetta)
il quale si estende su una superficie di 150 metri quadrati, da tempi remotis-
simi. [Albereto Fedisco: Conegliano 1874, pag. 4).
(2) Così il viticultore americano Hecker negli Annalen der Oenologie (1883).
Citato da A. Cencelli (op. cit. 4).
180 CAPITOLO IV
Ed anche con taluni sistemi italiani di viti maritate ad alberi, specie-
se all'acero campestre (1), si hanno viti le quali sono più longeve
che non quelle educate basse, oltre ad offrire una produzione più
costante; locchè è senza dubbio conseguenza del sistema di potatura
lunga, mercè cui si asseconda la tendenza naturale dei tralci.
Tuttavia non vorremmo che si spingesse questo principio sino alle
sue ultime conseguenze, cioè se ne deducesse che la potatura annuale
della vite è più dannosa che utile; noi diciamo solo che un eccesso nella
potatura (potatura povera o corta) rende la vite vecchia e spossata
in poco tempo, perchè essendo meschini i suoi tralci si fanno me-
schine anche le sue radici. Inoltre è certo che la potatura energica
modifica i tessuti della vite per quanto riguarda la loro compattezza.
Ci porge una prova assai convincente degli inconvenienti ai quali
si può andar incontro inceppando nella vite quello sfogo che le è
indispensabile siccome pianta sarmentosa, la storia delle viti americane
nel Nord America ed in Europa. Nel Nord America i viticultori eu-
ropei che, sin dal 1600, vi si recarono a coltivare viti, volendo educare
quelle indigene colla potatura corta, non riuscirono mai ad avere viti
robuste e longeve; il sig. Hecker (loc. cit, pag. 13) dice chiaramente
che le viti americane non si debbono sottoporre al taglio corto, bensì
potarle a tralcio lungo, e soggiunge che chi pota secondo la ma-
niera tedesca (corto) raccoglie poco, mentre essi, gli Americani, po-
tano soventi volte i loro tralci a 20-30 gemme, nei terreni fertili;
infine conclude che « chi fra gli Alleganei e le Montagne Rocciose
non vuol ottenere punto raccolta, deve lasciar potare il suo vigneto
da un vignaiuolo tedesco, perchè allora sarà sicuro che egli avrà
rovinato il suo vigneto. »
Le viti americane introdotte in Europa vogliono sempre, ed è na-
turale, la potatura lunga, che è la più consentanea alla loro indole;,
invece nelle numerose coltivazioni che se ne sono fatte in Francia,
quali resistenti alla fillossera, si seguirono senz'altro i sistemi locali,
cioè si potarono corte, inducendo così talune modificazioni nei tessuti
oppure inceppando un più ampio sviluppo del sistema radicale. La mo-
dificazione nella compattezza dei tessuti per causa della coltura che
diremo all'europea, è oramai ammessa dai fisiologi, e ad essa si attri-
buisce il fatto sconfortante di parecchi vitigni d'America, i quali
(1) L' acero o oppio ha poche radici e si può potare energicamente; perciò si
può quasi considerare come un sostegno non vivo, benché sia vivo.
BOTANICA DELLA VITE 181
mentre nel loro paese d'origine resistono alle punture della fillossera,
introdotti in Europa vanno grado grado perdendo questa loro pre-
ziosa proprietà, cosicché oggi sono pochissime le specie che ancora
la conservano.
Concludendo diremo che sono a ritenersi come canoni importanti
della fisiologia della vite questi; 1°) che la espansione che si lascia
prendere alla vite mentre accresce la sua fecondità ne accresce pure
il vigore e la durata (Guyot); 2°) che in generale è a preferirsi la
potatura ricca a quella povera, perchè la potatura ricca logora la
vite solo quando il suolo è spossato, al che si rimedia con opportune
concimazioni, laddove la potatura povera logora la pianta, il che è
assai più grave (G. A. Ottavi). Studiando la potatura e le distanze
dei piantamenti ci accadrà di richiamare in nostro aiuto questi pre-
ziosi ammaestramenti.
Veniamo ora alla tendenza naturale dei viticci: già sappiamo
(pag. 94) come si sviluppino e quale ufficio abbiano. Le spire vanno
da destra a sinistra o viceversa, senza seguire una norma costante;
cosa però non ammessa da tutti, poiché v' ha chi sostiene che essi
generalmente tendono a sinistra. Certo è però che la loro tendenza
naturale è quella di attorcigliarsi agli oggetti cui vengono in contatto
colle loro estremità, fosse anche un altro viticcio, o il gambo d'un
grappolo, o una foglia, od un tralcio: così attorcigliati ai sostegni
delle viti, le tengono salde, le rendono resistenti all'azione dei venti,
ed innalzano i pampini esponendo meglio le foglie all'azione impor-
tantissima della luce solare.
Ma se i viticci colle loro estremità (nelle quali il Dr. Penzig crede
esistano i rudimenti di organi già destinati (1) molto probabilmente a
congiungere la vite al sostegno) non riescono a toccare qualche og-
getto, generalmente non si contraggono a spirale : tuttavia non è
necessario che essi tocchino l'oggetto precisamente coll'apice; abbiamo
osservato che il contatto su qualsiasi punto della loro superfìce li
fa ricurvare verso l'oggetto. I viticci sono molto più sensibili quando
sono giovani; allora anche toccati leggermente, si curvano, ma se
cessa tosto il contatto si raddrizzano.
(1) Questi organi si osservano ancora nell'Ampelopsis, e consistono come in un
disco che aderisce ai muri con forza. Il Dr. Penzig crede che nella vite le punte
dei cirri avessero un tempo questa funzione, ma ora non più perchè acquistarono
irritabilità su tutti i punti.
182 CAPITOLO IV
Dunque la tendenza naturale dei viticci è quella di avvolgersi a
spirale; se non possono, diremo così, soddisfare a questa loro esigenza
naturale, si essicano. E così di due viticci consecutivi (pag. 95) quando
uno si è avviticchiato, non essendo più necessario, per sostenere il
pampino, che si attorcigli anche 1' altro, in quest'ultimo cessa la vi-
talità e quasi si atrofizza. Studiando se convenga o non sopprimere
i viticci, diremo se oltre all'ufficio di organi di prensione essi adem-
piano anche, come taluno crede, a quello di organi coadiutori di nu-
trizione, essendo clorofìllati essi pure come le foglie.
Darwin ha cercato di spiegare perchè quando un viticcio tocca
un oggetto si curva e si avvolge a spirale attorno ad esso: a suo
parere ciò dipenderebbe dalla contrazione delle cellule lungo il lato
concavo (1) ed in ciò si trova d'accordo con H. De Vries e con Sachs,
il quale dice che quando il viticcio viene in contatto con un oggetto,
si accelera notevolmente lo sviluppo della superficie convessa, mentre
vi ha contrazione nella superfìcie concava. È però diffìcile spiegare
come mai talvolta i viticci si avvolgano a spirale senza toccare ve-
rmi oggetto, come abbiamo potuto osservare più d'una volta; in questi
casi i viticci della vite si comportano come quelli di altre molte piante,
i quali si contraggono spiralmente senza essere mai venuti in con-
tatto con oggetti; ciò accade però solo quando i viticci stanno pen-
zoloni ed hanno perduto in grande parte la loro sensibilità, cosicché
a poco a poco finiscono coll'essicarsi.
Ci rimane a studiare quanto si riferisce alla lunghezza degli in-
ternodii ne' suoi rapporti colla vegetazione della vite.
Si ritiene generalmente che la lunghezza degli internodi (meritalli
o mesofiti) sia costante per le singole varietà di vitigni, e per vie-
meglio convalidare questa opinione si citano anche le osservazioni
di Pier de' Crescenzi, il quale visitando i vigneti di Asti osservava
che gli internodi dei nebbioli erano lunghi; « queste generazioni di
« viti, dice egli, hanno le loro gemme per lunghi internodi distanti: »
ora, chi ha veduto oggi viti di nebbiolo può far fede che gli inter-
nodi sono tuttavia lunghi; eppure sono trascorsi nientemeno che G00
anni. Il compianto Luigi Oudart nella sua Introduzione alla am-
pelografia italiana, narra di aver veduto un vigneto piantato con
Pinot e Gamai or sono più di ottantanni dall'avo del conte di Ca-
stelborgo, nel suo podere di Neive presso Alba; « e queste specie,
(1) Le piante rampicanti — pag. 107.
BOTANICA DELLA VITE 183
dice egli, benché piantate in un terreno e sotto un clima tanto di-
verso da quello della Borgogna e del Beaujolais, coltivate e potate
così diversamente, conservano i loro nodi alla distanza che anche
oggi conservano nei vigneti della Borgogna e del Beaujolais. »
Il sig. Oudart, basandosi su questi ed altri fatti, i quali pare par-
lino in favore d'una costante lunghezza dei meritalli per ogni vizzato,
propose nel 1874 una classificazione dei vizzati stessi in tre grandi
schiatte o tribù, collocando nella prima le viti ad internodi corti,
nella seconda quelli ad internodi medii e nella terza quelli ad inter-
nodi lunghi. In quell'anno, prendendo ad esame nel voi. XXXI del
Coltivatore, questa proposta, e citando alcune nostre osservazioni
fatte sui principali vitigni del Monferrato, ci associavamo alle idee
del valente sig. Oudart; non vi si associava però il barone Antonio
Mendola, dotto ampelografo siciliano, il quale in una lettera a noi di-
retta concludeva col dire « che questo carattere (la lunghezza degli in-
ternodi) tanto proteiforme, tanto incerto, tanto difficilmente apprezzabile
e che cangia coi climi e colle età, colle colture, colle esposizioni, non
è un carattere distintivo, ma una mera particolarità da tenersi in un
cotal conto in via secondaria, non mai da poterne far base fonda-
mentale di un sistema. »
In progresso di tempo, facendo ricerche su questo argomento, ci
accadde di trovare parecchi autori in accordo col sig. Oudart, e così
i francesi Conte Odart, Olivier de Serres, Victor Rendu e lo spa-
gnuolo Simon de Rojas. Ma oltre alle ricerche sui libri facemmo
anche varie esperienze sui vigneti, cercando, con speciali trattamenti
inflitti alle viti, di fare variare la lunghezza dei meritalli; ora queste
esperienze ci portarono invece a concludere che ben s' apponeva il
barone Mendola, poiché il sistema di coltura può influire a ren-
dere piti o meno lunghi gli internodi.
Le piante sulle quali facemmo le nostre osservazioni erano poste
in filari distanti 3 metri circa uno dall' altro; solo che mentre uno
dei filari era coltivato al sistema monferrino, 1' altro era tenuto ad
alberello. Il vitigno era lo stesso, il terreno lo stesso, la esposizione
la stessa: solo era diverso il metodo di educazione della vite. In-
fatti col sistema monferrino si ha un lungo tralcio frutticoso ed uno
sperone legnoso, e non si praticano cimature o svettature; invece
col sistema alla latina o ad alberello da noi modificato, si pratica
una cimatura graduale prima della fioritura (si noti bene questa cir-
costanza) svettando coll'unghia i getti uviferi, man mano che si al-
184
CAPITOLO IV
lungano, e precisamente quando è spuntata la quarta o quinta foglia
sopra 1' ultimo grappolo. Per tale cimatura (che non vuoisi confon-
dere, come si fa spesso, colle cimature tardive e colle scacchiature)
si esporta la vera punta dei getti dell'annata, la quale ha V aspetto
di un piccolissimo ventaglio; si concentra per tal maniera il vigore
della pianta nella sua parte inferiore locchè è indispensabile per
costituire un vero e solido alberello, con una impalcatura ugual-
mente solida.
Veniamo ora alle suddette osservazioni.
(Dopo 4 anni di cultura ad alberello e 5 di cultura a tralcio lungo).
VITIGNO
Viti ad alberello
Lunghezza degli internodi
sui tralci di un anno
Viti a tralcio lungo
Lunghezza degli internodi
sui tralci di un anno
Pianta di Barbera ...
/ Cent. 11
» 8 50
» 13
» 6 50
6 50
6 50
Pianta di Barbera.
/ Cent.
Pianta di Barbera.
9 75
Cent. 9
10
10
11
11
7
4
11
13
6
6 50
9 50
9
10
9
9 50
7
10
8
11
14
6
50
Media e. 8 75
Cent.
Media e. 9 20
Cent.
Media e. 9 10
Cent.
10
14
15
9
12
15
13 50
16 50
16
11
7 50
14
12
10
13
10
8
10 50
14
15
16
10
10
16 50
1150
9
12 50
15
15 50
9
15
12 50
Media e. 12 50
} Media e. 11 90
Media e. 12 65
BOTANICA DELLA VITE
185
VITIGNO
Viti ad alberello
Lunghezza degli intemodi
sui tralci di uu anno
Viti a tralcio lungo
Lunghezza degli internodi
sui tralci di un anno
Cent. 11
J> 4
Pianta di Barbera..../
Pianta di Barbera.
Pianta di Fresia.
Pianta di Fresia.
Cent.
Cent.
»
/ Cent.
6
7 50
6 50
3
6
4
10
4
10
> Media e. 6 90
10
4
50
10
15
8 50
17
6
7
4
6
10
4 50
5 50
1150
8
5 50
8 50
8
7
8 50
7 50
10
6 50
9
4 50
6
8 50
13
9 50
10
11
>Media e. 8 50
Media e. 7 45
Cent. 13
» 1150
» 9
» 10
» 8 50
» 13 50
» 10 50
» 12
» 10
> 12
» 14
» 13
» 9
» 10
» 12
Cent. 10
» 10
» 12
» 13
» 11
» 10
» 14
» 10 50
» 9
» 10
» 10
» 8
» 1150
» 10
» 7
» 8
» 9
Cent. 12 50 \
» 12 50 '
» 10
» 11
» 11
Media e. 1120
)Media e. 10 10
Media e. 11 16
\ Media e. 8 45
Cent.
9 50
14
11
9 50
» 8
9 50
11
7
7
8 50
7
Media e. 8 37
186
CAPITOLO IV
VITIGNO
Viti ad alberello
Lunghezza degli iaternodi
sui tralci di un anno
Viti a tralcio lungo
Lunghezza degli internodi
sui tralci di un anno
Pianta di Fresia.
Pianta di Fresia.
Pianta di Fresia.
/ Cent. 8 50 \
» 7
» 3 50 /
» 7 50
» 4 50
» 6
» 7
Cent. 4
» 5 50
» 5
» 6 50
» 7 50
» 4 50
» 5
» 6 50
Cent. 5 50
» 5
» 3 50
» 5
» 5 50
» 9 50
» 11
» 5
Media e. 6 10
Media e. 5 56
Media e. 6 20
Cent.
Cent.
Cent.
Media e. 7 60
Media e. 1150
Media e. 8 10
Riuniamo ora in un solo quadro tutte le medie:
VITIGNO
Ad alberello
A tralcio lungo
Barbera
»
»
»
»
Fresia
Cent.
Cent.
8 75
9 20
9 10
6 90
8 50
7 45
8 45
6 10
5 56
6 20
\ Media e. 8 49
Media e. 6 75
Cent.
Cent.
12 50
1190
12 65
1120
10 10
11 16
8 37
7 60
1150
8 10
Mediac.il 6T
Media e. 9 34
Dall'esame di questi dati deducesi che a parità di vitigno, di suolo,
di esposizione e di altitudine, il sistema di cultura ad alberello in-
fluisce a far diminuire la lunghezza dei meritalli in proporzione molto
BOTANICA DELLA VITE
187
sensibile. Nel caso suddetto questa diminuzione risultò alquanto mag-
giore per il barbera che non p^l fresia: volendo stabilire un dato
medio pei due vitigni, avremo:
Viti a lungo tralcio cent. 10,50
Viti ad alberello
7,62
Differenza cent. 2,88
Ma quale importanza può egli avere per la pratica della viticul-
tura una maggiore o minore lunghezza dei meritalli?
Ignoriamo fino a qual punto i viticultori abbiano riflettuto ad un
simile quesito; crediamo però di non andar errati asserendo che po-
chi si sono curati di risolverlo. Eppure, come si vedrà dagli altri
dati che seguono, è a ritenersi che ad una minor lunghezza dei
meritalli corrisponde in generale una maggior fecondità nelle
gemme uvifere.
Ecco a questo riguardo alcuni dati esatti fornitici nel giugno del
1882 dallo stesso vigneto dove facemmo le precedenti osservazioni.
VITIGNO
LUNGHEZZA.
DEI MERITALLI
GRAPPOLI
PER GEMMA
Media di varii vitigni vecchi e a tralcio lungo . .
Media di varii vitigni vecchi a tralcio lungo ma
cimati
Barbera in filari distanti 4 m. coltivati a frumento
(età anni 8)
Barbera della stessa età ma cimata, e senza col-
ture negli interfilari
Pinot anni 4 a 6, specializzati, alberelli ....
Cabernet id. id. id
Grenache o Alicante id. id
Barbera id. id. id
Teinturier id. id. id
Bonarda id. id. id
Nebiolo id. id. id
Slarina id. id. id
Fresia id. id. id
Croetto id. id. id
Centim. 10 25
» 8 50
» 14 25
» 9 95
» 6 70
» 9 15
» 6 05
» 8 75
» 8 70
» 8
» 10
» 7
» 8 75
» 7
N. 1
» 1 25
» 0 60
75
30
Le misure furono prese tra la quarta e la sesta gemma dei tralci
uviferi lasciati alla potatura, cioè fra le gemme che sbucciando ci
188 CAPITOLO IV
avevano dato i germogli uviferi: i dati sovra riferiti sono le medie
di misure determinate su sei piante per ogni qualità.
Sin dal 1874 il prof. Carlo Hugues, avendo istituito varie ricer-
che sulla lunghezza dei meritalli nei vitigni coltivati a Rovereto, ebbe
a trovare, analogamente a quanto dicemmo or'ora, che i vitigni a
nodi corti eran i più ricchi in grappoli. Le sue osservazioni versa-
rono su vitigni tedeschi ed italiani, e confermarono pure il fatto già
accennato che la lunghezza degli internodi non è un carattere co-
stante delle diverse varietà di vizzati. D'altra parte anche qui si può
ricordare Y adagio, che non vi ha nulla di nuovo sotto il sole, poiché
il valente viticultore latino Plinio Secondo (C. Plini Secundi, Na-
turalis Historiae, liber XVII) aveva scritto fin dai suoi tempi, al
cap. 21, che la densità o spessezza delle gemme è indizio di fe-
condità: densitas gemmarum fertilitatis indicium est.
Concludendo, diremo che la lunghezza degli internodi può variare
a seconda dei sistemi di potatura, e che le gemme dei tralci ad in-
ternodi brevi sono in generale più feconde di quelle dei tralci a in-
ternodi lunghi.
5.° Fioritura delle viti. Eccoci ora all' importantissimo atto
della vita vegetativa che incomincia colla comparsa del fiore e ter-
mina coli' allegamento del frutto: della fruttificazione parleremo poi,
per ora diremo solo della fioritura propriamente detta e della fecon-
dazione dei fiori.
I fiori delle vite si presentano quasi sempre, come già sappiamo,
su germogli spuntati in primavera da gemme di tralci i quali hanno
un anno di vita, cioè di tralci dell' anno avanti. A questa regola
si danno, per quello che ci fu dato di constatare, due eccezioni:
1°) talvolta portano qualche raro grappolo quei polloni che nascono
sul ceppo o vecchio tronco della vite, specialmente nei paesi meri-
dionali, od in qualche vite a pergolato; 2°) talvolta vedonsi grappoli
sui getti estivi (le femminelle) che spuntano all'ascella delle foglie
dei getti primaverili: ma in rari casi si è potuto trarre partito da
queste fruttificazioni anormali.
La fioritura della vite è singolarmente favorita da una primavera
calda e moderatamente umida: è un errore quello di credere che l'u-
mido sia assolutamente dannoso ai fiori, perchè è a sapersi che senza
l'azione di esso sul polline la fecondazione non potrebbe aver luogo: i
granelli pollinici si gonfiano per endosmosi, le loro pieghe scompaiono
(pag. 145) ed essi finiscono per emettere il loro contenuto, d'onde
BOTANICA DELLA VITE 189
la fecondazione. Certo però le pioggie abbondanti sono molto dan-
nose, perchè disperdono il polline. Dannosissimo è pure il freddo, e
sovratutto il freddo accompagnato da molta umidità, nel qual caso
il fiore della vite abortisce facilmente.
L'osservazione ci ha pure appreso che la viva luce solare favo-
risce in modo singolare la fioritura della vite; per cui quando la
primavera si mantiene calda, con cielo abitualmente sereno, e mo-
deratamente umida, la vendemmia è in generale abbondante, se non
soppraggiungono avversità.
La fioritura avviene nell'ordine seguente: prima fioriscono i grap-
poli della base del germoglio, poi gli altri; e nel grappolo prima fio-
riscono gli acini che stanno presso il gambo: adunque la fioritura
avviene secondo lo stesso ordine con cui si formano i grappoli sui
tralci e gli acini sulla rachide.
Come ha luogo la fioritura della vite? Un tempo si riteneva che la
fecondazione degli ovuli avvenisse a vaso chiuso, cioè sotto la cuffia
della corolla quinquepetala (pag. 109); poscia si credette che la vite
appartenesse alla classe delle piante anemofile, cioè fecondate per
opera del vento, quale veicolo pel trasporto del polline; così essendo
è evidente che non può arrivare il polline sugli stimmi se non
quando la cuffia sia caduta. Ma oggidì si ritiene che siano gli m-
settì i pronubi della vite, e lo si argomenta anche dal fatto che i
fiori della vite sono provvisti, come già sappiamo (pag. 143) di glan-
dole nettariche che esalano gratissimo odore; queste glandole infatti
non si essicano se non quando la fioritura è finita.
Abbiamo fatto alcune ricerche sulla impollinazione nei fiori della
vite e vogliamo qui riferirle a complemento di quanto ora dicemmo.
Oramai, dietro le osservazioni dell'illustre botanico dott. Engel-
mann di San Luigi (Missouri), non v'ha più alcun dubbio che la vite
selvatica, ne' luoghi primitivi della sua origine (e ciò sia che si
tratti di" vite asiatico-europea, di vite americana o di qualsiasi altra
vera vite) è poligama; ciò vuol dire che vi sono le piante che por-
tano unicamente fiori maschi, e le piante che portano o fiori com-
pleti (maschi e femmine; ermafroditi) o rarissime volte fiori femminei;
in una parola fiori fertili, mentre i primi sono sterili. Faremo però
notare che i fiori fertili sono quasi sempre ermafroditi, perchè (come
dice Engelmann) non pare essersi mai osservati fiori femminei sprov-
visti di stami. Così se noi seminiamo dei vinacciuoli, otteniamo sog-
getti sterili e soggetti fertili; questi ultimi sono a fiori completi, e
190 CAPITOLO IV
sono quelli che noi prescegliamo per la coltura, distruggendo gli
altri, locchè ci pare un errore, come diremo fra breve.
La fecondazione dei fiori della vite può dunque aver luogo in tre
modi diversi, cioè con tre pollini; o col polline dei soggetti sterili, a
fiori maschi, o col polline di altri stami che non siano quelli dell'o-
vario fecondato, ma di fiori ermafroditi, o infine col polline dei cin-
que stami medesimi che circondano il pistillo o ovario fecondato. —
La prima maniera di impollinazione si chiama impollinazione o fe-
condazione dioica (1), la seconda, monoica (2), e la terza, omoclina.
Ora, le osservazioni già fatte da Hildebrand e da Delpino sull'a-
rancio e su altre piante, porterebbero a credere che la forza fecon-
dativa sia variabile nei tre suddetti casi d'impollinazione. Così, par-
rebbe potersi ammettere che quando ha luogo la fecondazione omo-
clina, si abbia l'infimo grado di forza fecondativa e per ciò zero semi
nell'acino d'uva; che quando invece ha luogo un'impollinazione mo-
noica, si abbia un grado sensibilmente maggiore, potendo variare il
numero dei semi da 1 a 2 a 3; e che infine quando può verificarsi
la fecondazione dioica, allora si abbia il massimo di forza fecondativa
e 4 vinacciuoli nell'ovario, cioè nell'acino.
Per vedere quanto, riguardo alla vite, si verifichi in natura a
questo proposito (poiché pare che fin'ora non siansi fatte esperienze
dirette, ma solo si sia scritto dietro congetture e raffronti) abbiamo
fatto le seguenti prove.
Varii grappolini d'uva barbera, i quali non erano ancora in fiori-
tura, vennero introdotti entro leggere boccettine di cristallo, chiudendo
poscia queste con cura attorno al gambo del grapp olino stesso, in
guisa che assolutamente non potesse penetrarvi verun insetto appor-
tatore di polline, e solo si avesse una leggera aerazione, Questi grap-
polini non potevano ricevere altro polline che quello dei loro stami; —
ciò non costituiva, è vero, una impollinazione omoclina propriamente
detta, perchè entro ogni boccettina vi erano varii fiori il cui polline
poteva incrociarsi, ma intanto era escluso il polline non solo di altri
grappoli dello stesso soggetto, ma altresì quello di altri soggetti, il quale
come vedremo, può avvicinarsi, in quanto ad attività fecondatrice, al
polline dei fiori maschi. L'uva allegò bene nelle boccettine, che furon
rotte a suo tempo, ed ecco il numero esatto dei semi che trovammo
in ogni acino:
(1) Ce ne porge un esempio comunissimo la canapa.
(2) Ce ne porge pure un esempio la meliga (maiz).
BOTANICA DELLA VITE 191
Con un solo vinacciuolo N. 210 acini
N. 280 acini \ Con due vinacciuoli » 60 »
di berbara j Con tre vinacciuoli » 10 »
\ Con quattro vinacciuoli » 0 »
Per confronto prendemmo ugual numero d'acini della stessa uva,
di vitigni allevati collo stesso sistema (alberello) e posti nello stesso
vigneto: ecco i risultati della controprova:
[ Con un solo vinacciuolo N. 40 acini
N. 280 acini ] Con due vinacciuoli » 60 »
di barbera \ Qon tre vinacciuoli » 100 »
\ Con quattro vinacciuoli » 80 »
Ci pare che questo esperimento dia ragione alle suddette conget-
ture, e permetta anche di "farvi qualche utile aggiunta per la viti-
cultura.
In primo luogo sta il fatto che quando un fiore di vite riceve il
polline d'altri fiori (meglio se questi fiori appartengono ad altri grap-
poli o ad altri soggetti), la fecondazione è sicura, efficace; ed au-
menta il numero dei semi, mentre questi senza dubbio darebbero sog-
getti assai robusti qualora fossero confidati al suolo. Converrebbe
dunque di avere frammezzo alle nostre viti varii soggetti maschi,
benché sterili, nella proporzione ad esempio di uno ogni cinquanta
ceppi di vite. La fecondazione in primavera si farebbe meglio, sa-
rebbe cioè completa, e non abortirebbero tanti fiori, come accade con
certe varietà dei nostri vitigni.
In secondo luogo si può ritenere che il polline dei fiori che ap-
partengono ad uno stesso grappolo, ha una debole forza fecondatrice
su quei fiori stessi, ed il numero dei semi si riduce ad uno circa per
acino; ci avviciniamo quindi alla fecondazione omoclina, con zero semi,
sulla quale converrà però fare esperienze dirette.
In terzo luogo può stabilirsi che il polline proveniente da fiori eh e
stanno su altri soggetti ermafroditi, od anche su altri grappoli dello
stesso soggetto, ha una forza fecondativa assai superiore a quella
del caso precedente, come risulta dall'esame dei 280 acini dell'espe-
rimento di confronto.
In quarto luogo infine è a ritenersi che nella fecondazione dei fiori
della vite v'ha un continuo incrociamento di polline, non solo tra un
192 CAPITOLO IV
grappolo e l'altro della stessa pianta, ma anche fra i grappoli dei
diversi soggetti: vuol dire adunque che i semi difficilmente riprodur-
ranno i caratteri individuali della pianta madre. Ciò infatti è oramai
noto a tutti coloro che hanno seminato vinacciuoli; anzi questo ibri-
dismo è molto temuto ora in Francia per le viti americane colà col-
tivate, dei cui semi si fa commercio, perchè si è osservato che ne
nascono soggetti meno resistenti alle punture della fillossera. A con-
ferma di ciò diremo che il professore G. Foéx, raccomandando
la seminagione di alcune viti americane, dopo aver consigliato di
« scegliere delle razze le cui proprietà di resistenza non siano state
« alterate dalla ibridazione colle nostre viti indigene » soggiunge
che conviene attenersi specialmente alle viti Riparia, « grdce à
« la hdtiveté de leur floraison, qui exclui tonte chance d'hybri-
« dation. » {Messager Agric. du Midi n. 2, 1880).
Osserveremo infine, che se la esperienza sovracitata conclude in
favore della impollinazione dicog amica (cioè mediante incrocia-
mento di polline) ciò è in perfetta armonia colle leggi naturali. La
dicogamìa infatti è legge universale, ed i botanici più insigni ci di-
cono che essa è valida e nel regno vegetale e nel regno animale,
nelle crittogame inferiori e nelle superiori, nelle ginnosperme e nelle
angiosperme, nelle dicotiledoni e nelle monocotiledoni. Sin dal 1793
Sprenghel scrisse: « pare che la natura abbia voluto che niun fiore
ermafrodita sia fecondato col polline proprio ». Knight, sette anni
più tardi, provò che se si adduce agli stimmi polline eteroclino, si
ottengono semi più numerosi e una posterità più robusta che non
altrimenti. Herbert nel 1837 concluse analogamente, accennando ad
un maggior numero di semi e ad una prole più robusta. Lo stesso
concluse Darwin nel 1858. Infine ci dicano uguali cose Delpino, Hil-
debrand, Axell, Ricca, Erm. Mùller, Fr. Mùller ed altri illustri bo-
tanici. Il nostro Delpino intanto diede a quella legge il nome di legge
della dicogamia.
Sta bene che nelle piante non si hanno sempre le nozze incrociate;
ma questa è una previdente disposizione della natura, dal momento
che i vegetali essendo immobili ed avendo organi sessuali pure im-
mobili, andrebbero incontro a molti inconvenienti riguardo alla fe-
condazione, locchè non si verifica nel regno animale. La natura ha
però provvisto che vi siano dei pronubi (insetti, uccelli melifagi,
vento, acqua, e in casi rarissimi le lumache) i quali si incaricano
di portare il polline eteroclino (che è il più attivo) da un soggetto-
BOTANICA DELLA VITE 193
all'altro. Tutto porta a credere che, nel caso della vite, siano le
mosche gli agenti principali della traslazione del polline o gli insetti
in genere come dicemmo più sopra; su di che ci riserviamo di fare
speciali osservazioni: — sta intanto che i fiori della vite non sono
adattati all'impollinazione per mezzo del vento. Naturalmente essendo
talvolta deficiente il numero delle mosche — per sfavorevoli condi-
zioni climatologiche in primavera — allora ha luogo una feconda-
zione con polline omoclino (cioè senza incrociamento): ma questo pol-
line è poco attivo, ed allora molti fiori possono abortire.
6.° Fruttificazione della vite. Ed eccoci all' atto fisiologico
precipuo, massime pel viticultore che chiede alla vite frutti abbon-
danti e di qualità pregiata. Vediamo anzitutto quanto riguarda il
tralcio frutticoso. Esso prende origine dalle gemme ascellari. La
gemma è verosimilmente in origine una cellula vegetale, cioè un
corpicciuolo tondeggiante formato da una membrana (cellulosa) rac-
chiudente un nocciolo di sostanza più consistente, il quale nuota in
un liquido; — quando poi il bottone è costituito ed ha perforato la
corteccia, presenta nel suo interno (cioè entro l'involucro delle scaglie
protettrici) un embrione di germoglio, del quale tutte le parti late-
rali — i rudimenti delle foglie e fors' anche delle gemme fiorifere,
foglifere o miste — stanno quasi diremmo rannicchiate, pieghettate
attorno ad un cortissimo asse (H. De Jussieu), per modo da occu-
pare il minore spazio possibile. Come avvenga che da una semplice
cellula si formi grado grado questo bottone, non lo si sa fin'ora; si
può solo ammettere con Raspail che la gemma si costituisca a spese
degli strati esterni dell'alburno, e che per segmentazioni incessanti
(strozzature) della cellula madre da cui trasse origine, essa finisca
per allungarsi sotto la corteccia, rendendosi infine esterna.
Ora se è vero che, consentaneamente alle razionali idee del Ra-
spai^ al ritorno della primavera l'alburno dovrà nutrire gli organi
più interni, fra cui cotali bottoni latenti, nessun dubbio che esso si
andrà esaurendo, passando in parte allo stato di libro, e confonden-
dosi per tal maniera col libro degli anni antecedenti, per poi passare
allo stato di corteccia ed infine essicarsi affatto. Quindi è che la
pianta sentirà un potente bisogno di riparare a queste perdite per
le quali il legno si fa alburno, l'alburno si fa libro, ed il libro cor-
teccia. Se la pianta si troverà in condizioni di provvedere a questo
suo accrescimento per intuscezione, vuol dire che avrà un alburno
ricco di materiali atti alla buona costituzione delle gemme ed al loro
0. Ottayi, Trattato di Viticoltura. 14
194 CAPITOLO IV
accrescimento; per cui ognuna di esse, uscita che sia di sotto la cor-
teccia, conterrà nel suo interno un embrione di germoglio provvisto
di parecchie gemme fiorifere. Allungatosi poi il germoglio a prima-
vera, cotali gemme ci daranno i grappoli. Ogni gemma ne contiene
allo stato rudimentale due o tre; è raro che non ve ne siano affatto;
ma non è egualmente raro il loro aborto, per cui il germoglio nasce
e si sviluppa senza portare frutti. Così quando la gemma si costi-
tuisce sotto cattive condizioni, sovratutto perchè la pianta è contra-
riata dal cattivo andamento delle stagioni, questi embrioni di grap-
poli possono benissimo fallire completamente, o ridursi ad uno solo
per bottone.
Nel tralcio frutticoso adunque si devono considerare: 1° i frutti
pendenti; 2° i bottoni frutticosi per l'anno successivo.
Passiamo ora a studiare le gemme, le quali sono la base della
fruttificazione.
Poiché i getti primaverili portanti uva nascono dà gemme, vuol
dire che il loro vigore, la loro potenza fruttificatrice sarà anzitutto
in relazione diretta colla fecondità delle singole gemme madri. Oltre
a ciò se questa gemma non troverà nel legno del tralcio (alburno)
e nel succo ascendente quella copia di alimenti che le tornano in-
dispensabili, specialmente durante i primi momenti del suo sviluppo
e della cresciuta del proprio germoglio, darà un getto meschino e
poco fruttifero. Dunque quello che è il suolo, ad esempio, per il
seme di frumento, è il tralcio di un anno per la gemina. Le
radici non hanno grande influenza nei primi momenti della germo-
gliazione e della cresciuta dei teneri germogli; prova ne sia che se
si pone in terra un pezzetto di tralcio munito di alcune gemme,
queste danno piccoli germogli anche prima d'aver cacciato radici, le
quali possano elaborare materiali del suolo. A suo tempo poi, e col
comparire delle foglie, le radici incomincieranno la loro opera ali-
mentatrice, perchè allora le fibre radicali della gemma stessa si sa-
ranno già intrecciate, o diremo meglio anastomizzate, colle fibre cor-
ticali del libro preesistente. Da questo punto il germoglio cessa di
essere un parassita, ma fa parte attiva del vegetabile, perchè le sue
parti verdi incominciano ad assorbire acido carbonico e fors' anche
ossigeno. Come si vede, havvi un periodo abbastanza lungo, durante
il quale la pianta madre deve alimentare del proprio non pochi pa-
rassiti; sono dessi i bottoni (veri svernatoi di Linneo) che spuntano
all'ascella delle foglie in primavera sui rametti dell'annata. Essi vi-
BOTANICA DELLA VITE 195
vono a spese della madre tutta l'estate, tutto l'autunno ed il verno
successivi, nonché una parte della primavera, benché già sviluppa-
tisi in teneri germogli, e non cessano dal loro parassitismo che al-
lorquando questi ultimi, per la loro corteccia recente (che è verde)
e poi per le prime foglioline, incominciano ad assorbire acido car-
bonico e fors' anche ossigeno in presenza della luce.
Durante tutto questo periodo si forma pertanto la fruttifica-
zione dell'anno agrario successivo, fruttificazione che sarà più
o meno abbondante a seconda delle condizioni metereologiche
alle quali sarà stata soggetta la pianta madre nell'anno agrario
precedente.
Le gemme infatti avranno risentito esse pure l'influenza di queste
condizioni atmosferiche e se la madre sarà stata contrariata nella
sua vegetazione, anche le gemme dovranno crescere mal costituite
e dare Tanno dopo germogli poco o punto fruttiferi. E tutto ciò
perchè ogni influenza metereologica alquanto costante, si tra-
duce in un fatto fisiologico più o meno importante.
La fruttificazione futura non sarà quindi altro che la risultante
delle varie influenze meteorologiche dell'anno anteriore, tenendo cal-
colo, ben inteso, della cooperazione del suolo e dei concimi, coope-
razione che noi possiamo già valutare in anticipazione con grande
certezza. Anzi, ci preme di insistere su questo punto, acciò non
si creda che siamo ciechi seguaci dell'antica massima annus fructi-
ficai, non tellus, che pecca alquanto di assolutismo, tuttoché sia in
parte giusta.
In conclusione: 1° La fruttificazione che in maggio vediamo
sulle viti, è il frutto d'un lavorìo interno della pianta, il quale
ebbe a durare 12 mesi o poco meno; 2° Le gemme spuntate su
tralci dell'annata, i quali più propriamente si debbono dire germogli,
e che mettono quasi un anno a costituirsi, possono dare, al loro schiu-
dersi, getti molto, poco o punto frutticosi; invece le gemme che sor-
gono sul legno di soli 2, di 3, di 4 e più anni, non possono (fatte
rarissime eccezioni) dare getti fruttiferi, per quanto siano bene co-
stituite fin dalla loro origine.
Orbene l'osservazione ha provato, come ci fu dato constatare per
oltre un ventennio (1), che « durante una primavera calda e so-
pratutto poco piovosa, nelle viti rigogliose, in terre fertili, ben te-
(1) Vedi il capitolo Carpoprognosia.
196 CAPITOLO IV
nute, dell'alta e media Italia, nonché nelle regioni alte e fresche del
Mezzodì, le gemme ascellari primaverili che debbono svolgersi nel
successivo anno, si organizzano bene. » Giovano pure allo stesso
intento uri estate ed un autunno egualmente caldi e poco pio-
vosi, e giova infine il non essere la pianta troppo carica di frutti.
Infatti i frutti, che sono veri parassiti della pianta madre, danneg-
giano anche e gravemente le dette gemme ascellari, ed è per questo
che due annate di copiosissima vendemmia può dirsi che non si se-
guono mai.
È superfluo poi soggiungere che i concimi ed i lavori oppor-
tuni aiutano, come diremo a suo luogo, la fruttificazione in modo
potente, e possono in parte, se non in tutto, rimediare alla si-
nistra influenza di cattive condizioni climateriche.
Vediamo ora le relazioni che passano fra le gemme ascellari, le
foglie e le femminelle. All'ascella della foglia ove trovasi la gemma
fruttifera, sorge spesso, per non dir sempre, una femminella, per cui il
bottoncello rimane collocato tra questa ed il picciuolo della accennata
foglia. Le femminelle già sappiamo che sono rimessiticci (o cacchii o getti)
che spuntano sul finire della primavera, specialmente su quei tralci uviferi
i quali furono spuntati al principio della stessa stagione. Cosi, dove
si cimano molto questi tralci frutticosi, le femminelle sono assai più
numerose che non colà dove non si pratica la cimatura, come pure
là dove le piante sono poco rigogliose. Ma a che cosa servono
le femminelle? Esse hanno due uffici, ed ambedue della maggior por-
tata. L'uno è quello di permettere col loro mezzo alla vite quello
sfogo vegetativo che le è indispensabile, siccome pianta per natura
rampicante e tendente ad estendersi per ogni verso. L'altro è quello
di giovare alla fruttificazione dell' anno susseguente a quello della
loro vita vegetativa. Bisogna che spieghiamo bene questi due punti,
perchè speriamo cosi di poter dissipare varii errori che si commet-
tono nel cimare. La vite è un frutice a rami rampicanti, i quali,
se l'uomo non intervenisse col ferro a moderarne il rigoglio, si esten-
derebbero rapidamente, e quasi diremmo prepotentemente da ogni
lato, avvitichiandosi coi capreoli ai sostegni e salendo lunghesso i
medesimi sino a grandi altezze. Se il viticultore inceppa questa ten-
denza naturale della preziosa nostra ampelidea, accade che essa ne
soffre più o meno a seconda del suo stato di robustezza; ed in tesi
generale può stabilirsi che i tagli ripetuti, energici e frequenti,
siano essi su rami giovani o vecchi, sono sempre dannosi alla
BOTANICA DELLA VITE 197
pianta nel senso che ne provocano il precoce invecchiamento. Of-
fendendo i rami, infatti, noi offendiamo le radici. Ma se il viticul-
tore avveduto limita al puro necessario le amputazioni alle sue viti,
può averne eccellenti risultati. Si osservi che cimando i tralci uvi-
feri spuntati a primavera, spunta tosto a fianco alla gemma ap-
pena nascente che si disegna su di essi, una femminella, oltre alla
consueta foglia. È codesta la manifestazione d'un prepotente bisogno
naturale della vite: il viticultore le impedisce di allungarsi ed esten-
dersi per mezzo dei tralci uviferi che egli le ha spuntato, ed essa
caccia rimessiticci coi quali può liberamente espandersi. Se il viti-
cultore allora spunta o cima anche questi rimessiticci, la vite manda
fuori delle sotto- femminelle, perchè quello che fu chiamato sfogo
vegetativo le è indispensabile. Ed ecco qual' è il primo ufficio delle
femminelle.
Ma dicemmo anche che esse giovano pure alla fruttificazione fu-
tura, e precisamente a quella dell'anno che segue. Si badi infatti che
l'umile bottone che sta alla loro base, cioè presso il loro punto d'in-
serzione, non può provvedere da solo che molto debolmente alla sua
cresciuta, né perfezionarsi secondo quanto dicemmo più sopra. Il suo
potere assorbente è assai poca cosa, massime relativamente al ter-
reno: esso si accresce a spese dei materiali del tralcio stesso, ma
noi riteniamo, dietro 1' osservazione di moltissimi fatti, che ciò non
gli basti per farsi uu turgido bottone fruttifero. La natura però ha
pensato a codesto, e lo ha provveduto di una foglia che gli sorge
accanto. Anche ciò è ottimo per la buona costituzione della gemma,
perchè la foglia, che è il laboratorio della pianta, lavora anzi-
tutto a beneficio della sua gemma ascellare. Queste gemme
ascellari però non danno sempre molta uva; le prove di ciò sono
qui in Monferrato, di dove scriviamo, numerosissime, e lo consta-
tammo molte volte osservando i getti non fruttiferi dello sperone.
Ma se, come fa taluno, si provoca lo sviluppo delle femminelle ac-
canto alle gemme dei futuri speroni, ecco che l'anno dopo si ha uva.
Adunque la femminella coadiuva potentemente la foglia suddetta a
fecondare la gemma, la quale allora presenta altresì sotto di sé, in
autunno, un bel rigonfiamento del legno (una specie di mensoletta
o cuscinetto polputo) racchiudente una sostanza di apparenza ami-
lacea, la quale funge la stessa parte che fungono nei semi i cotile-
doni; cioè deve alimentare il tenero germoglio nella successiva pri-
mavera sino a che esso non abbia cacciato le foglie ed intrecciate
le sue fibre radicali, colle fibre corticali del libro.
198 CAPITOLO IV
Ma non tutte le gemme d'un tralcio frutticoso sono feconde,
e fra le feconde non tutte lo sono in uguale misura. Generalmente
parlando le prime gemme dei capi a frutto sono poco frutticose, e
sono poi sempre meno feconde delle gemme che stanno sulla parte
mediana e sulla parte estrema dei capi stessi. Queste gemme infe-
riori si possono a dirittura considerare come sterili allorquando si
sono organizzate sotto la influenza d'un'estate umida e poco calda:
infatti in questo caso le viti continuano senza posa a cacciare fem-
minelle e foglie e bottoni ascellari, e perfino femminelle sulle femmi-
nelle, e per ciò le gemme che si trovano alla base del futuro tral-
cio frutticoso non possono organizzarsi bene, ed i loro serbatoi riescono
meno bene provvisti di materiali utili: ciò non accade alle gemme
della parte superiore del futuro tralcio, perchè essendo questa por-
zione di tralcio penzoloni, ricurvata ed assai meglio esposta alla luce
ed al calore, quelle gemme si fanno più turgide e feconde, coi loro ser-
batoi ben forniti di materiali nutritizii. Infatti se restate trascorre
molto umida accade che le gemme meglio sviluppate sono quelle
della punta dei germogli primaverili. Potando corto, in questi
casi, si otterrebbe ben poca uva perchè si reciderebbe la parte mi-
gliore del tralcio; per questo noi crediamo che la potatura debba su-
bire da un anno all'altro qualche variante, che il viticultore stabi-
lirà dietro l'osservazione attenta delle condizioni meteorologiche cui
la vite fu soggetta durante il periodo in cui si prepara la fruttifi-
cazione futura.
Il perchè le gemme della base dei tralci frutticosi siano general-
mente assai meno frutticose di quelle della parte mediana e della
estrema, ci pare di poterlo rintracciare considerando quanto segue:
noi sappiamo che se si piega orizzontalmente a primavera un tralcio
frutticoso, il succo subisce un rallentamento nel suo moto, ed i bot-
toni si costituiscono assai bene, facendosi turgidi e fecondi, mentre
è pur noto che i tralci diritti o verticali danno sempre pochis-
simi frutti. Consentaneamente a ciò noi vediamo che sono poco o
punto feconde le gemme le quali si trovano sulla porzione verticale
dei tralci, mentre quelle cresciute e sbucciate sulla porzione oriz-
zontale o ricurva sono assai più ubertose.
Non bisogna però scordare la efficacia delle cimature graduali,
fatte prima della fioritura, sulla fecondazione dei bottoni inferiori del
futuro tralcio a frutto; quelle svettature oltre a cagionare esse pure
un arresto nel movimento della sava, provocano l'uscita delle fem-
BOTANICA DELLA VITE 199
minelle a lato dei bottoni medesimi; le quali femminelle, come dice-
vamo or ora, loro recano non piccolo giovamento. Ma lasciamo in
disparte per ora le cimature e stiamo al nostro argomento, cioè
alla maggior fecondità delle gemme medie e superiori dei tralci a
frutto.
Le gemme di un tralcio, che vuoisi destinato alla futura fruttifi-
cazione, si possono a nostro avviso dividere in due gruppi: le prima-
verili e le estive. Le prime si disegnano sul tralcio crescente, gene-
ralmente in maggio ed in parte di giugno; le seconde si formano in
giugno e luglio ad un dipresso: or bene, la differenza che passa,
meteorologicamente parlando, fra le dette due stagioni si traduce in
una differente fecondità delle gemme frutticose, e ciò a parte l'in-
fluenza della piegatura del tralcio, delle cimature, delle incisioni anu-
lari e via dicendo.
Infatti le gemme che chiamammo primaverili nascono in una sta-
gione meno calda e spesso più umida che non le estive; il succo
nutritore è allora più acquoso, e l'analisi chimica ci dice che la sua
composizione varia sensibilmente col progredire della stagione. E
varia anche innalzandosi nella pianta, perchè nel suo tragitto si ca-
rica di materia organica; è per questo che nella linfa della parte in-
feriore della vite v'ha invece predominio di materia minerale (pag. 174).
Le gemme estive adunque, che sono poi le superiori, si trovano in con-
dizione di meglio organizzarsi; nei loro serbatoi si accumula quindi
molta sostanza amilacea, ed a ciò contribuisce lo stesso calore estivo,
infine sono più feconde l'anno successivo.
Concludendo si potrebbe consigliare a parer nostro l'accecamento
delle due gemme inferiori, al massimo tre, del tralcio frutticoso (1)
perchè con esso si ottengono varii vantaggi, cioè 1°) s'impedisce l'uscita
di germogli quasi sempre infecondi, e veri ghiottoni; 2°) si favorisce
l'allegamento dei frutti perchè si impedisce un soverchio adombramento
dei grappolini nascenti; 3°) si favorisce lo sviluppo dei getti dello
sperone; 4°) si rendono feconde in certa misura anche le gemme de-
gli speroni stessi; 5°) infine si ottiene un maggior prodotto, senza
scapito nella vigorìa della pianta, perchè si usufruttano le gemme
più feconde del tralcio fruttifero.
(1) Fu proposto ed attuato con pieno successo dal compianto Dr. Luigi Van-
nuccini di Scansano (V. la nostra Monografia sul sistema razionale Yannuc-
cini edita nel 1881 in Casale).
200 CAPITOLO IV
Sulla fecondità del tralcio frutticoso, oltre alle cause sovra enu-
merate, esercitano pure una marcata influenza le seguenti altre.
Anzitutto accenneremo al movimento più o meno rapido della
linfa: è un fatto bene accertato in fisiologia vegetale che il ritardo nel
movimento della sava o succo nutritore, favorisce la produzione
dei frutti, alimenta meglio le gemme ascellari, e rassoda il le-
gno dei tralci; mentre V acceleramento favorisce la produzione
delle foglie e delle tenere messe erbacee. Ciò è esatto anche per
la vite. La fisiologia vegetale ci insegna però anche che questo ri-
tardo nel movimento della sava, allorquando è tale da arre-
stare la vegetazione, finisce per arrecare grande nocumento
alla pianta ed ai frutti. Numerosissimi sono i fatti dai quali si
desunsero i due principii qui esposti; gli albericoltori e gli stessi or-
ticoltori ce ne forniscono molti. La cimatura dei meloni e di
varie altre cucurbitacee, quella dei piselli e dei pomodori, quella del
maice, la curvatura dei rami troppo diritti, le incisioni anulari sulla
corteccia e via dicendo, sono tutte operazioni (che quasi costitui-
scono una vera ortopedìa vegetale) le quali hanno per iscopo di ri-
tardare il movimento del succo nutritore, per favorire i frutti, o le
gemme, o il legno, a seconda dei casi.
La pratica adunque ci insegna a sua volta che se si piega orizzon-
talmente a primavera un tralcio frutticoso, il succo subisce un
rallentamento nel suo moto, ed i bottoni si costituiscono assai
bene, facendosi turgidi e fecondi secondo quanto premettemmo
testé, mentre i tralci diritti o verticali danno sempre pochissimi
frutti.
Le cimature graduali (1) cagionando esse pure un arresto nel
movimento della sava, giovano a raggiungere lo stesso intento.
In Toscana la piegatura è praticata artificialmente ogni anno e
si effettua sul finire di giugno. È pure praticata in Monferrato, nel-
l'Astigiano ed ovunque con successo, massimamente se le viti sono
vigorose. Pelle viti deboli o vecchie essa sarebbe però superflua;
ma per certi vitigni (bonarda, grignolino) essa è indispensabile. Vo-
(1) Osserveremo che « per cimatura intendiamo quella operazione mercè cui
si esporta l'estremità dei germogli, estremità la quale ha l'aspetto d'un piccolis-
simo ventaglio; tale operazione si deve fare coli' unghia. » La cimatura dunque
non è né una sfogliatura, né una scacchiatura, come erroneamente molti cre-
dono; con essa si esporta unicamente la piccola vetta del germoglio, e si fa quindi
una vera svettatura.
BOTANICA DELLA VITE 201
lendosi praticarla, si devono anzitutto recidere i capreoli o viticci ai
tralci frutticosi che dovranno servire per il prossimo anno, e poscia
lasciare ohe da sé si facciano penzoloni od orizzontali, salvo poi ad
appoggiarli agli altri tralci vicini- però senza far ombra, perchè la
luce solare loro giova assai.
Influiscono pure sulla fecondità dei tralci frutticosi i lavori op-
portuni nel vigneto, coi quali si ottengono due risultati: il primo è
la distruzione delle male erbe che recano grave danno alle viti
togliendo loro alimento e bevanda; il secondo quello di concentrare,
se così possiamo dire, la freschezza nel suolo, e ciò per la ragione
che un terreno smosso, riempiendosi di bolle d'aria, diventa coibente,
cioè cattivo conduttore del calorico, epperciò si riscalda meno; onde
le radici stanno in ambiente fresco; si aggiunga poi che la terra zap-
pata assorbe meglio le rugiade notturne.
I concimi appropriati esercitano pure una notevolissima influenza
sui tralci frutticosi. Ma a questo riguardo è bene fare alcune distin-
zioni; anzitutto è oramai provato che il letame e gli altri concimi
molto attivi giovano assai nei primi anni del piantamento, per-
chè fanno sviluppare bene e presto le parti legnose che debbono
costituire la pianta. In avvenire, invece, non bisognerà eccedere
nella dose del letame di stalla e dei concimi ricchi di ammoniaca,
perchè usando ingrassi assai azotati si ha più uva, ma vino
meno pregevole, più ricco di albuminoidi e perciò più facile
ad alterarsi.
Infine il metodo di potatura ed il momento in cui si effettua
questa importantissima operazione influisce pure assai sulla fecon-
dità dei capi a frutto. Studiando la potatura scenderemo ai dettagli;
qui ci limiteremo a dire che: 1°) un eccesso nella potatura rendendo
la vite stanca in poco tempo, rende pure meno fertili i tralci frut-
tiferi; 2°) che simili viti estenuate è meglio potarle in autunno, cioè
subito dopo la vendemmia, quando le foglie sono ancora alquanto
verdi e continua qualche movimento nei succhi; questi succhi ven-
gono così usufruttati a beneficio delle gemme frutticose dei tralci
uviferi, i quali appunto per ciò non si debbono sfogliare; 3°) la vite
in condizioni quasi normali, cioè non troppo rigogliosa, ma nemmeno
spossata, si deve potare più tardi; nel verno, ad esempio; 4°) infine
la vite giovane e robusta si deve potare tardi in primavera, ma
sempre prima nei paesi caldi che non nei freddi. Queste viti rigo-
gliose, che crescono su terre feraci, massime se si trovano nell'Italia
202 CAPITOLO IV
superiore, ove la primavera è spesso umida assai, è indispensabile
che piangano molto, se pur si vogliono evitare i gravissimi danni
dell'aborto dei fiori.
Da quanto qui dicemmo si deduce poi che le viti poste in terre
aride, quelle dei climi assai caldi, o esposte al sud o coltivate sui
poggi, o composte di vitigni molto feraci e produttivi, debbono po-
tarsi prima che non le viti poste in terre fertili, quelle dei climi
mediani o freschi, o esposte al nord, o coltivate nelle piane, o com-
poste di vitigni a produzione scarsa, a lunghi internodi e che sof-
frono per le primavere umide. Quando poi una vite avesse sofferto,
o avesse portato troppa uva, o avesse avuto per vicini, negli inter-
filari, il frumento, la segale, ecc., o peggio le male erbe, e non si
fosse vangata o zappata che una sol volta, essa dovrà potarsi prima
che non la vite che abbia vegetato in condizioni normali; e ciò per-
chè avvantaggi un po' neh' autunno, come dicemmo or ora, e non
pianga troppo in primavera, perdendo quel succo di cui ha tanto
bisogno e che in essa non è sicuramente esuberante.
La conclusione generale di quanto abbiamo detto riguardo alla
fruttificazione della vite, è questa: che la vite deve essere bensì vi-
gorosa, ma entro certi limiti, oltrepassando i quali si otterrebbe più
legno che frutti; bisogna quindi trasformare il vigore in fecondità;
inoltre il viticultore deve risolvere ogni anno un triplice problema,
vale a dire deve predisporre bene nelle gemme ascellari la fruttifi-
cazione del successivo anno; deve badare di non recare danno al
vigore ed alla longevità della pianta; infine deve aiutare l'ingrossa-
mento ed il perfezionamento dei frutti pendenti, del che diremo fra
poco.
Ognuno vede quindi quanto difficile sia il compito del viticultore,
e come gli sia indispensabile 1' aiuto della fisiologia vegetale nell'e-
sercizio della sua arte, poiché il solo empirismo non potrebbe trac-
ciargli una via sicura.
7° Maturazione dell' uva. Fintantoché 1' uva è verde essa si
comporta come le foglie (1) vale a dire che essendo clorofìllata as-
sorbe, benché con debolissima attività, acido carbonico ed emette os-
sigeno; ma dal momento in cui al colore verde subentrano il rosso
(1) Frémy (Comptes rendus de VAcadémìe des Sciences, t. 58 pag. 656) « Il
« frutto verde agisce sull'atmosfera a modo delle foglie, decomponendone l'acido-
« carbonico sotto l'azione della luce solare ecc. ».
BOTANICA DELLA VITE 203
od il giallo (e secondo Bérard anche prima) 1' uva inspira ossigeno
ed emette acido carbonico ed acqua, cioè respira (pag. 158), La ma-
turazione è quindi una vera ossidazione, cioè una combustione lenta.
Queste combustioni insensibili, non essendo accompagnate dalla pro-
duzione di luce e calore (come accade ad esempio quando abbrucia,
cioè si ossida, la legna nel focolare) sono ignote al volgo dei viti-
cultori; ma pure conviene avvezzarsi a considerare siccome combu-
stione anche la ossidazione, a fine di intendere in qual modo avvengano
quei cambiamenti nell'acino che da acerbo lo fanno divenire maturo.
Adunque mano mano che il colore verde va scomparendo dall'uva,
varii dei suoi componenti si ossidano, si abbruciano, si distruggono
dietro le azioni chimiche che avvengono fra di loro; e così una parte
degli acidi vegetali ossidandosi si cambia in acido tartarico, che si
combina poi colla potassa, d'onde il bitartrato di potassa che aumenta
nell'uva mano mano che questa va maturando; l'altra parte degli acidi
pure ossidandosi è abbruciata e si cangia in acido carbonico ed acqua
che, come dicemmo, sono emessi dall'uva. Il tannino in parte si muta
in zucchero (1) ed in parte emigra sotto la buccia, ove si trova sempre
unito alla materia colorante, e nel tegumento esterno dei vinacciuoli
(pag. 149). Abbiamo quindi una continua diminuzione di principii
acidi nella polpa dell'uva.
Ma la maturazione dell'uva non consiste solamente in questo fe-
nomeno di ossidazione; vi ha altresì quello importantissimo della for-
mazione e della emigrazione dello zucchero negli acini. È fuor
di dubbio che negli acini si forma direttamente dello zucchero, a
parte cioè quello che loro viene dalle foglie: essendo essi clorofillati
producono zucchero benché in quantità molto limitata. Lo abbiamo
constatato in piante di viti spogliate quasi totalmente dalle loro foglie
per causa della peronospora mentre gli acini erano appena sul prin-
cipio della maturanza e quasi del tutto verdi; contuttociò il loro
mosto conteneva piccole quantità di glucosio. Gli è sotto 1' azione
della luce, del calore e dell'umidità che nella polpa dell'acino avven-
gono quelle trasformazioni per cui le mucilaggini, la pectina, le
gomme ed altre sostanze le quali si possono considerare come zuc-
(1) Secondo Mayer e Sachs (Vedi A. Levi: Rivista di Vii. ed En. di Conegliano
1879, pag. 72. — Ciò però è ora contraddetto, ed il Prof. Comboni (Trattato di
Enochimica pag. 73) dice che oggi « non si crede più alla importanza del tan-
nino nella formazione del glucosio ».
204 CAPITOLO IV
cheri imperfetti, si mutano in parte in zucchero d'uva; tutto ciò stu-
elleremo più in disteso al capitolo Meteorologia viticola.
Senza dubbio però la maggior parte dello zucchero, come già di-
cemmo a pag. 164, si forma nelle foglie e di qui emigra negli acini
a traverso i peduncoli dei grappoli ed i pedicelli degli acini stessi.
Fra le molte esperienze fatte per dimostrare questa formazione di
glucosio nelle foglie le più accurate sono certo quelle del compianto
Dr. Macagno. Eccone le conclusioni:
1° Nelle foglie della vite vi sono quantità considerevoli di glucosio,
ivi preparato a vantaggio dei grappoli sottostanti; 2° il glucosio
abbonda principalmente nelle foglie della punta dei tralci frutticosi,
cioè nelle foglie estreme del germoglio uvifero, mentre si trova in
quantità minore nelle foglie situate inferiormente rispetto ai grappoli
del tralcio stesso, nonché in quelle che sono destinate unicamente
alla produzione legnosa ; 3° in conseguenza di ciò le sfogliature
(non le cimature) fatte in giugno, luglio ecc., mercè le quali s1
scacchia, cioè si esporta tutto quanto sta al disopra della terza o
quarta foglia oltre l'ultimo grappolo, sono generalmente nocive alla
vite, che dà allora poca uva ed uva mal matura e poco zuccherina;
4° la piena luce solare attiva la funzione delle foglie, e quindi ajuta
potentemente la maturanza dell'uva, oltre ad aver ajutato dapprima
la fioritura, impedendo che i grappolini si trasformassero in viticci.
Ecco infatti alcune analisi comparative:
Uva delle viti Uva delle viti
scacchiate (sfogliate) non
in estate scacchiate
Glucosio, o zucchero (p. 100) 14,600 17,541
Acidità totale (per 1000) . . 14 13,200
Quantità di mosto (in peso) . 581 (p. 1000 peso grapp.) 620 (p. 1000)
La maturazione dell' uva adunque risulta dalla ossidazione d' una
parte degli acidi organici della polpa dell'acino, dalla formazione di
zucchero negli acini stessi e sovratutto dallo zucchero che vi si ac-
cumula proveniente dalle foglie e dalle altre parti verdi della vite.
Staccata che sia l'uva dal tralcio è evidente che possono conti-
nuare a verificarsi nel suo parenchima i soli fenomeni di ossidazione;
ed infatti le esperienze del Prof. Pollacci, del Prof. Pasteur e di altri,
hanno dimostrato che nelle uve, dopo la loro separazione dalla pianta,
continuano a diminuire gli acidi, che vi sono come bruciati: noi stessi
usiamo tenere le uve poco mature, ma sane, ammucchiate senza rom-
BOTANICA DELLA VITE 205
perle entro tini, perchè abbiamo constatato che vi aumenta il per-
cento di zucchero e diminuisce l'acidità complessiva. È questo il me-
todo del portoghese Sampayo, che anche Vauquelin e Maumené
hanno trovato efficace per favorire la maturità dell'uva vendemmiata.
Il Prof. Pollaccì trovò però che la diminuzione degli acidi e quindi
l'aumento dello zucchero hanno un limite; infatti la quantità di zuc-
chero, oltre un dato punto, incomincia a diminuire e continuando
sempre la ossidazione sovra accennata, la polpa dell'acino finisce per
essere decomposta del tutto, tanto più perchè vi si manifesta anche
una speciale fermentazione, d'onde la produzione dell' acido carbo-
nico (1): allora lo zucchero sparisce totalmente, il pericarpio si di-
sorganizza ed i vinacciuoli sono allora liberi. Quest'ultimo è lo scopo
della natura, perchè essa provvede essenzialmente alla riproduzione
della pianta, ed infatti il vinacciuolo in quello stadio di disfacimento
dell'acino è maturo ed ottimo per la seminagione. Ma il viticultore
ha uno scopo diverso; egli poco si cura del seme, ed invece vuole
un acino che contenga il massimo di zucchero; quindi lo raccoglie
nel punto culminante della maturanza. La prima dunque si potrebbe
chiamare maturità botanica; la seconda maturità agricola, pren-
dendo ad imprestito una dicitura di Gasparin.
Vediamo ora quali agenti favoriscano sovratutto la matura-
zione. Dietro numerosissime osservazioni (2) da noi fatte non in la-
boratorio ma nei vigneti stessi e per molti anni consecutivi, crediamo
di poter stabilire che ciò che contribuisce a rendere più volumi-
nosi gli acini ed il loro succo più ricco in sostanza zuccherina
e per conseguenza non soverchiamente aspro né troppo ricco di al-
buminoidi, è il concorso in solido dei tre fattori luce, calore ed
umido. Se facesse difetto l'azione di uno di questi fattori, qualunque
esso fosse, la maturazione riescirebbe imperfetta; è adunque indi-
spensabile il loro concorso, come è indispensabile ognuna delle tre note
musicali di un accordo perfetto per produrre questo accordo stesso.
a) Circa alla influenza della luce è dimostrato in modo irrefu-
tabile (3) che se essa non è viva e potente, il calore non basta, col-
(1) Frémy (loc. cit.) dice che si possono ottimamente conciliare le due opinioni
di Chatin (sviluppo di acido carbonico derivante da ossidazione) e di CaJiours
(sviluppo di acido carbonico per causa di fermentazione).
(2) Le accenneremo in disteso al capitolo Meteorologia applicata alla viticultura.
(3) Il Dr. A. Levi dopo molte accurate osservazioni è venuto a concludere che
« la luce esercita una influenza rimarchevole sul fenomeno della maturazione delle
uve » Annales Agronomiques (1881).
206
CAPITOLO IV
l'umido, per portare gli acini a quel grado di ricchezza zuccherina
che caratterizza le uve delle annate ottime. L'estate adunque deve
trascorrere non solamente calda, ma con un cielo abitualmente
scoperto. La luce, quando proprio sia intensa, come nelle belle
giornate di luglio, di agosto e di settembre, forza per così dire il
vitigno ad assorbire dal suolo tutta quanta l'umidità che esso con-
tiene; ma allora la stessa luce provoca altresì una attiva evapora-
zione di questo umido dalle foglie; or siccome l'evaporazione è una
fra le principali cause determinanti il movimento dei principii imme-
diati necessarii alla maturazione, ne consegue che più è attiva quella,
più completa è questa; e quindi infine le uve riescono più ricche in
zucchero;
b) In quanto al calore esso agisce come agisce la luce, e tutti
sanno che è indispensabile; ma è altresì comprovato che se si pon-
gono due piante, una all' ombra e 1' altra al sole sullo stesso ter-
reno, la prima (anche ad una maggior temperatura) evapora assai
meno che la seconda. Dehérain fece di più ancora: mise tre piante
una al sole, l'altra alla luce diffusa e la terza nella oscurità compietà,
tutte e tre a 20° C. Egli ebbe ad osservare che mentre la prima
evaporò gr. 88 circa d'acqua per ogni 100 di foglie, la seconda non
ne evaporò che 17 e la terza un solo gramma. Il dottor Macagno,
nelle accennate esperienze fatte a Gattinara, ha trovato che le
viti tenute sotto una tela nera (le quali perciò ricevettero dall'aprile
a tutto luglio pochissima luce solare) ma ebbero a godere di una
maggior temperatura, vegetarono malissimo, e nelle loro foglie non
trovò traccia di glucosio. Riassumeremo in una tabella i principali
risultati ottenuti dal Dr. Macagno su viti di Nebiolo.
Temperatura media dal 20 aprile a
tutto luglio
Quantità di tralci
Glucosio (nei tralci con foglie) . . .
Acido tartarico
Acido carbonico nella cenere . . .
Cenere pura
Calce
Potassa totale
Acido fosforico
All'aria
libera
21°.13C.
100
126,01
90,15
30,71
154,12
21,81
31,91
2,15
Sotto tela
bianca
27°.53 C.
80
69,29
53,52
20,83
102,53
15,34
20,02
1,47
Sotto tela
nera
33°.90 C.
10
nulla
1,36
0,44
8,22
0,87
1,34
0,07
BOTANICA DELLA VITE 207
Questi dati son disposti in modo che stanno fra loro come 100
ad 80 a 10, ponendo eguale a 100 la quantità di tralci prodotti
dalle viti poste in condizioni naturali. Essi dimostrano in modo evi-
dente: 1° che il calore non basta; 2° che un maggior calore non
giova affatto a supplire alla deficienza della luce. Infatti noi ab-
biamo osservato che nel 1874, nonostante che la vite, in Monferrato,
avesse avuto circa 2600 gradi di calore, il mosto era poco zucche-
rino e ricco di acidi liberi, e ciò perchè il cielo, dal maggio al set-
tembre, era stato abitualmente coperto, e s' avevano avuto soli 39
giorni di perfetta serenità e di viva luce solare. (Vedi pei molti det-
tagli il nostro Giornale Vinicolo, 1875, pag. 355, voi. L);
e) Infine, per quanto riguarda Yacqua, è noto che se essa scar-
seggia le uve tardano anche fino al novembre a maturare, e spesso
maturano male assai, facendosi allora lentissimi ed incompleti quei
processi chimici per cui il frutto da acerbo si fa maturo (1); ciò ac-
cade in varie delle nostre plaghe del Mezzodì, quantunque le viti
abbiano colà luce e calore ad esuberanza. A tal riguardo citeremo
una esperienza fatta nelle nostre viti di Ajaccio (in Corsica): certe
uve non maturavano se non nel novembre e sempre con grande
stento ed imperfettamente: un anno si deliberò di annacquare al piede
le ceppaie due volte per settimana; però non si riuscì con questo
espediente a far maturare i grappoli (2). Allora supponendo che
V acqua potesse direttamente entrare nei frutti per endosmosi,
fecero aspergere i grappoli e le foglie; or bene la cosa si avverò
appunto in questo senso, perchè l'uva maturò prontamente ed assai
bene. Altri nel nostro Mezzodì praticarono con uguale successo l'a-
spersione dell'acqua sui frutti restii a maturare, per cui è questo un
fatto oramai acquisito per la fisiologia vegetale. Infatti si può facil-
mente dimostrare che vi ha endosmosi tra l'acqua che sta sugli a-
cini ed il liquido racchiuso nell'acino stesso: a tal uopo si immergano
nell'acqua degli acini d'uva dopo averli esattamente pesati; si lascino
nell'acqua alcuni giorni, e dopo si ripesino. Si troverà una differenza
molto sensibile nel loro peso. Continuando poi a lasciarli nell'acqua,
(1) Il contadino siciliano dice ben a ragione che « la pioggia nei primi di a-
gosto riempie il tino di mosto ». E noi, dell'Alta Italia, diciamo: « chi zappa la
vigna in agosto, la cantina riempie di mosto » perchè la zappatura vale almeno
una innaffiatura, come dimostreremo a suo .luogo.
(2) La stagione essendo troppo avanzata, verosimilmente non vi era più assor-
bimento per mezzo delle radici.
208 CAPITOLO IV
finiranno per iscrepolarsi dopo cinque, sei o più giorni a seconda
dell'elasticità del tessuto epidermico, precisamente come talvolta ac-
cade degli acini sulla pianta. — J. Boussingault trovò che due granelli
di tokai, i quali pesavano prima dell'immersione grammi 7,66, cinque
giorni dopo pesavano grammi 8,07: per cui in questo frattempo s'e-
rano introdotti dentro grammi 0,41 di acqua, cioè gr. 0,082 per
giorno. Nell'acqua poi trovò dello zucchero, segno che la fiocine
(volg. la pelle) aveva agito come una membrana interposta fra due
liquidi mescolabili e di diversa natura.
Concludendo adunque, gli è col concorso in solido degli agenti
luce, calore ed umido, cui converrebbe aggiungere altresì la elet-
tricità (1), che V acino si arricchisce in zucchero e si fa più
voluminoso. Sull'importanza dello zucchero nel mosto è assoluta-
mente superfluo di insistere; ma in quanto al volume maggiore o
minore degli acini stessi, diremo qualche cosa forse non osservata
da tutti i viticoltori, ed è che la quantità del mosto aumenta
assai di più coli 'aumentare del volume degli acini, che non col-
V accrescersi entro certi limiti $el numero dei grappoli. Diciamo
a bello studio « entro certi limiti » e ognuno intende il perchè di
questa riserva: ma è un fatto che, ad esempio nell'anno 1878 le
piante di viti (alberelli) aventi 18 grappoli per ciascheduna, diedero
in complesso una quantità di mosto sensibilmente minore che non le
piante di viti (pure alberelli) aventi nell'anno successivo soli 12 grap-
poli. Ciò dipese dal fatto che questi ultimi grappoli avevano gli acini
più grossi (perchè dopo i calori estivi caddero alcune benefiche piogge);
ora noi sappiamo come per legge matematica, per poco che aumenti
il diametro degli acini, aumenta d'assai e si raddoppia o triplica la
quantità del mosto che essi possono contenere. Ecco le prove dirette
da noi fatte nel 1879 al nostro podere Cardello, dove per la prima
volta si studiò questo fatto:
40 acini di barbera del diametro medio ognuno di millim. 18,5,
pesarono gr. 99,91:
40 acini di bonarda del diametro di mill. 16 pesarono gr. 76,31:
40 acini di grignolino del diametro, ancor minore, di mill. 14
pesarono soli gr. 53,32. Adunque gli acini di barbera benché non
avessero che circa 4 millim. di più di diametro, pure contenevano
quasi il doppio di mosto. Il viticoltore deve pertanto procurare
(1) Di ciò ci occuperemo al capitolo Carpoprognosia.
BOTANICA DELLA VITE 209
di fare aumentare, fosse pure di soli due o tre millimetri, il dia-
metro degli acini, perchè ne avrebbe in compenso il doppio di
prodotto. Ciò potrà ottenerlo mettendo in pratica i buoni precetti della
viticoltura, e principalmente; 1° tenendo, colle zappature, fresco il
suolo in luglio, agosto e settembre; 2° se possibile spruzzando acqua
in autunno sugli acini che stanno maturando; 3° evitando che sui tralci
deboli, specialmente se la regione è calda ed arida, vi sia un nu-
mero soverchio di grappoli, locchè si fa nel nostro Mezzodì da qualche
esperto viticultore, staccando un certo numero di grappoli in maggio;
4° scacchiando, cioè sopprimendo i getti inutili; 5° non coltivando
nulla negli interfìlari per impedire una soverchia sottrazione di umido
dal suolo; 6° concimando opportunamente i proprii vigneti; 7° infine
adottando, salve le riserve che già facemmo a suo luogo, la pota-
tura corta, quella cioè con cui si lasciano al capo frutticoso quattro,
cinque o sei gemme al più, e ciò perchè il succo nutritore, appena
uscito dal suolo, trovi subito i grappoli, senza dover percorrere lungo
tratto di legno, inquantochè in questo lungo percorso perderebbe
molta acqua.
Oltre a questi mezzi, che sono i più potenti, ve n'hanno altri i
quali giovano essenzialmente a far più ricco di zucchero il mosto.
Essi sono: 1° il taglio dei tralci carichi d'uva, otto o dieci giorni
prima della vendemmia, troncando la loro comunicazione colla pianta.
Ma ciò non si può fare se non quando la vite è educata con sistemi
mercè cui i tralci sono sostenuti da canne o fili di ferro; 2° La sfo-
gliatura autunnale; 3° Il conservare le foglie in estate; 4° L'offen-
dere il tralcio a frutto o il peduncolo del grappolo; 5° Il vendem-
miare nelle ore calde ed in più tempi; 6° Il pulire e lo spuntare i
grappoli.
8°. Longevità della vite. Ora che abbiamo studiato come nasca
la vite dal vinacciuolo, come viva, quali tendenze naturali abbia, come
si nutra e come fruttifichi, dobbiamo dire come deperisca e muoia»
dobbiamo in altri termini studiare le cause che influiscono sulla sua
longevità.
Queste cause sono varie, ma si debbono principalmente considerare le
seguenti: 1°) la fertilità del terreno e la maniera di concimazione; 2°) la
distanza delle viti le une dalle altre; 3°) il sistema di potatura. Riguardo
alla fertilità del terreno diremo come in un terreno magro e scarsamente
ingrassato, la vite deperisce prontamente; nel Basso Monferrato, colà
0. Ottavi, Trattato di Viticoltura. 15
210 CAPITOLO IV
dove si concima il vigneto ogni biennio, le viti che hanno sessanta
o settantanni sono tuttavia cariche di molti grappoli, cioè non sono
né vecchie né spossate. In quanto alla distanza dei ceppi gli uni
dagli altri, ed alla distanza fra i filari, risulta dall' osservazione di
quanto accade in Italia ed in Francia, che la vite deperisce assai
presto quando queste distanze sono piccole ed il terreno è magro;
invece, dato pure cosifatto terreno, se le viti sono distanti, durano
all'incirca il doppio. In Toscana, per esempio, le viti fìtte non vi du-
rano oltre i 18 o 20 anni, e danno in questo frattempo uno scarso
reddito; lo stesso può dirsi delle Marche. Nella Liguria ogni 15 anni
circa conviene svellere le ceppaie, già vecchie e sfinite, perchè in
un suolo che è per natura arido si contano circa 9000 ceppi ad et-
tare, cioè su 10,000 metri quadrati, locchè è assolutamente troppo;
in Corsica si contano 10,000 piante ad ettare, su suolo arido, e la
vite è vecchia a 12 anni; invece in Sicilia, generalmente parlando,
non si contano che 4500 piante ad ettare (a Cefalù 5000 a 5500)
e la vite non invecchia che oltre i trent' anni; nel Basso Monferrato
poi con sole 3000 piante ad ettare, all' ingrosso, la vigna può toc-
care i 100 anni se aiutata dal concime; e nel Salernitano con piante
a 1,60 circa di distanza, e con buon terreno e buona cultura, vi
sono viti che toccano pure i 100 anni. Uscendo poi dall' Italia, ve-
diamo che nel rinomato Hérault (Francia) il viticultore invecchia
prima della sua vigna; costì prima della fillossera si contavano 4500
piante ad ettare con concimazione triennale; il prodotto toccava i 200
ettolitri ad ettare, ma la pianta nonostante non si esauriva. Dunque,
quanto più il terreno è magro ed arido, massime nei paesi molto
caldi, e quanto più sono grandi, entro ragionevoli limiti, le di-
stanze, tanto più longeva è la vite.
Ci rimane a considerare il « sistema di potatura. » Già sappiamo
che potando energicamente, e cimando e ricimando senza criterii, si
inceppa lo sviluppo aereo della vite, e si influisce sinistramente sul
suo sistema sotterraneo; ciò fa invecchiare precocemente la vite.
In quel di Siena è stata fatta questa bella esperienza (1): certe viti
potate ad un solo sperone (con 2 gemme) s' eran fatte vecchie e
sfinite in poco tempo; si provò allora a potarle a sei speroni eon
due gemme caduno, ed ecco che il tronco ingrossò, la pianta riprese
novello vigore e si serba così da 18 anni a questa parte, perchè
(1) Presso il sig. Severiano Ardinghi di Siena.
BOTANICA DELLA VITE 211
si concima il vigneto ogni due anni con terricciati. Adunque quando
si vuole stabilire con una certa approssimazione la durata di un vi-
gneto, si deve tener calcolo dei tre suddetti coefficienti.
Ma se 1' uomo non fosse costretto a moderare la tendenza natu-
rale della vite colla potatura, e se la preziosa ampelidea non fosse
bersagliata da tanti parassiti, si potrebbe dire che la sua durata può
raggiungere i secoli, e forse non esagerò colui che disse « la Vite
non muore mai ! »
CAPITOLO V
Chimica della "Vite.
§ 1. Composizione del legno della vite — § 2. Composizione delle foglie —
§ 3. Composizione dell'uva e dei semi — § 4. Composizione del mosto e delle
vinaccie — § 5. Componenti principali della vite — § 6. Relazioni fra la com-
posizione del terreno e quella della vite — § 7. Relazioni fra i concimi e la
composizione dell'uva.
§ 1. Composizione del legno della vite. — Lo studio della
composizione chimica delle varie parti ond'è costituita essenzialmente
la pianta di vite, ha una importanza non piccola, inquantochè può
fornirci utili ammaestramenti riguardo agli alimenti che il viticultore
deve di preferenza porre a sua disposizione, tenuto calcolo della com-
posizione del terreno. E siccome questi alimenti (concimi) esercitano
una notevole influenza sulla quantità e sulla qualità dell' uva, così
è evidente che la chimica della vite può rendere importanti servizii
al viticultore.
La composizione della cenere del legno della vite, secondo la media
di otto analisi fatte da Wolff ad Hohenheim, sarebbe la seguente:
Percento di cenere 2,75
Potassa 29,80
Soda 6,7
Magnesia 6,8
Calce , 37,3
Acido fosforico anidro 12,9
Acido solforico anidro 2,8
Silice 0,8
Cloro 0,8
CHIMICA DELLA VITE
213
Il percento di cenere rappresenta la parte fissa (pag. 160) della
pianta, la quale è sempre minore della parte volatile; infatti gene-
ralmente non supera il cinque per cento.
Nel caso speciale della vite su 100 parti di sostanza secca solo circa
2,75 sono costituite da materie fìsse, cioè che rimangono allo stato
di cenere quando si sottopone il legno all'abbruciamento. Fra i varii
legni la vite è tuttavia dei più ricchi in cenere; ecco ad esempio
alcuni dati di confronto dello stesso Wolff:
Melo percento in cenere 1,3 Faggio percento in cenere 1,0
Abete »
»
2,0
Larice »
»
0,3
Pino rosso
»
0,3
Pino bianco »
»
0,3
Giunco »
»
0,3
Gelso »
»
1,6
B e tuia »
»
0,3
Vite »
»
2,75
Ora, essendo gli elementi della cenere indispensabili alla vita ed
allo sviluppo di tutte le piante, e la pianta di vite contenendone re-
lativamente una forte proporzione, è facile dedurre quanta impor-
tanza abbiano per essa i principii minerali del suolo, e specialmente
la potassa, la calce e l'acido fosforico.
Infatti, dall'analisi sovra riferita emerge che questi tre elementi
sono i più abbondanti nel legno di vite. Lo stesso dicasi della com-
posizione dei tralci dell'annata; ecco una analisi del Dottor Ro-
tondi:
Barbera
Grignolino
Pinot
Ossido di Calcio 36,83
35,18
32,76
» di Potassio 34,54
33,47
32,84
» di Magnesio 6,64
6,50
5,38
» di Sodio 0,88
1,77
1,78
» di Manganese —
—
—
» d'Alluminio traccie
traccie
0,13
» di ferro 2,34
1,90
2,47
Cloro 0,74
0,91
1,26
Silice 6,36
6,01
8,60
Acido fosforico (anidro) 7,69
10,01
10,56
» solforico » 3,42
4,67
4,07
A conferma di queste analisi del Rotondi, citeremo anche le se-
guenti determinazioni fatte presso la Scuola viticola di Klosterneu-
òurg (Vienna):
214 CAPITOLO V
Cenere di nuovi tralci
di Riesling
Potassa 33,876 0[q
Calce 30,411 »
Soda 0,708 »
Magnesia 7,195 »
Ferro 7,720 »
Manganato di manganese .... 0,092 »
Cloro 0,699 »
Acido fosforico 13,175 »
Acido solforico 3,153 »
» silicico 3,129 »
L'esame delle ceneri del pianto di vite concorda con quanto di-
cevamo or ora: Neubauer trovò infatti quanto segue:
Potassa 16,20 0\q
Calce 63,73 »
Magnesia 8,54 »
Acido solforico 2,22 »
» fosforico 4,35 »
Cloro 4,41 »
Silice 1,25 »
Ossido di ferro 0,29 »
Per altri dettagli sulla composizione del pianto di vite, rimandiamo
il lettore alle pag. 174: qui ricorderemo solo che esso è essenzial-
mente costituito da acqua, come si può vedere in questa analisi del
Dott. Nessler:
Pinot nero
Quantità complessiva delle sostanze secche 1,99 per mille
Sostanze organiche .0,81 »
Azoto 0,17 »
Ceneri 0,84 »
Acido carbonico . . , 0,35 »
Neubauer avrebbe trovato i seguenti massimi, esaminando il
pianto di diversi vitigni:
Sostanze secche 2,91 per mille
» organiche 2,03 »
Ceneri 0,94 »
0
CHIMICA DELLA VITE 215
Infine Rotondi studiando il pianto di viti a uve bianche e rosse
trovò quanto segue:
Rosse Bianche
Sostanze secche . . . 0,20 0,11 per mille
» organiche . . 0,14 0,06 »
Azoto 0,00 1,55 »
Ceneri .-..., 0,06 0,04 »
Nelle annate molto piovose aumenta la quantità dell'acqua; inoltre
progredendo la primavera aumenta la quantità della cenere e dimi-
nuiscono le sostanze organiche. Ciò può spiegare le contraddizioni delle
precedenti analisi.
Le sostanze organiche che entrano a far parte del legno di vite
sono la cellulosa, l'amido, l'acido tannico, l'ossalato di calcio, il tar-
trato di potassio ed infine le sostanze azotate. Queste ultime nella
sostanza secca trovansi nella proporzione di circa l'uno per cento.
Però lo studio di tutte queste sostanze organiche in quanto alle pro-
porzioni in cui si trovano nel legno della vite, è oggi assai defi-
ciente: solo si sa, dalle analisi fatte a S. Michele (Tirolo), che i getti
erbacei della vite contengono da 20 a 30 per cento di sostanze a-
zotate, nella sostanza secca; corrispondenti dal 4 al 5 0[0 nei getti
allo stato fresco, cioè col 70-77 0[q di acqua. Ciò spiega come i
concimi azotati favoriscano tanto la produzione erbacea nella vite.
§ 2. Composizione delle foglie. — Già sappiamo che nelle
foglie riscontransi principalmente la clorofilla (pag. 135 e 158) l'a-
mido (pag. 162) Vossalato di calcio (pag. 136) oltre allo zucchero
(1 0[Q secondo Neubauer nelle foglie fresche), le sostanze albumi-
noidi, (da 2 a 3 0[q nella sostanza secca secondo Rotondi e Kur-
manrì), le sostanze coloranti ed altre enumerate a pag. 161. Ve-
diamo ora la composizione delle ceneri: dietro le suaccennate analisi
del D.r Rotondi si avrebbe il seguente per cento;
Barbera Grignolino Pinot
Silice 34,22 39,44 33,11
Acido solforico (anidro) 2,82 1,41 1,41
Acido fosforico id. 0,92 0,66 0,90
Ossido di ferro ... 1,04 0,74 1,28
» d'alluminio . . traccie traccie —
» di manganese . — — —
216 CAPITOLO V
Barbera
Grignolino
Pinot
Ossido DI CALCIO .
. . 45,06
41,61
46,32
» di magnesia
. . 8,04
8,36
8,78
» DI POTASSIO
. . 6,53
6,36
6,05
» di sodio .
. . 0,64
0,64
0,58
Cloro ....
. . 0,62
0,50
0,46
La quantità di cenere lasciata dalle foglie è maggiore di quella
del legno (pag. 213): infatti Rotondi trovò quanto segue:
Ceneri pure (private del- Barbera Grignolino Pinot
l'anidride, carbonica) . 0[Q gr. 8,34 9,52 8,30
Invece nei tralci aveva
trovato » 2,66 2,41 2,91
E nel mosto (per ogni
litro) ...... » 3,98 8,07 3,71
Blankenhorn e Rósler hanno trovato la seguente composizione
media delle ceneri di foglie di viti:
Potassa . .
Soda ....
Calce . . .
Magnesia . .
Ossido di ferro
» di manganese
Acido solforico
Acido fosforico .
Cloro
Acido silicico . .
Foglie
per cento 13,02
» 1,07
» 55,19
» 11,13
» 1,26
» 0,86
» 4,92
» 3,63
» 1,57
» 7.51
Legno di vite
32,20
0,49
41,77
10,88
0,53
0,49
4,18
6,32
2,14
1,48
Da tutte queste analisi risulta che la cenere delle foglie è più ricca
in silice, calce e magnesia di quella del legno; mentre quest' ultima
è più ricca in potassa ed acido fosforico. La rilevante quantità di
silice trovata dal Dr. Rotondi nelle foglie di viti può forse spiegarsi
supponendo che egli abbia esperimentato su foglie vecchie, cioè nel
tardo estate od in autunno, avendo Arendt trovato che in queste
stagioni la silice si accumula nelle parti più vecchie della pianta,
mentre è relativamente poca nelle parti più giovani ed ancora in
isviluppo. Sin' ora non è stato bene spiegato quale ufficio compia
questa sostanza nel vegetale, e tanto meno nella vite.
CHIMICA DELLA VITE 217
Nelle foglie di alcune varietà di viti, quali la tintoria, il barbera
e lo zag arese abbiamo trovato, sin dal 1882, una materia colo-
rante rossa della quale diremo qui brevemente.
Nel settembre del detto anno, raccolte varie foglie di tintoria
fteinturier dei Francesi) che appaiono rossastre in autunno, le po-
nemmo in infusione nell'alcool a 92° G. L. in guisa che l'alcool gal-
leggiasse sulle foglie stesse. Dopo 8 giorni il liquido mostrava un
incipiente colore rossastro, ed al 14° giorno aveva un bellissimo co-
lore di vino vecchio. Degustato ci accusò un sapore speciale che ri-
cordava lontanamente quello del the.
Sul finire dello stesso settembre facemmo un'esperienza in grande:
preso un recipiente della capacità di un ettolitro, lo riempimmo di
foglie di Tintoria, comprimendole alquanto; su di esse versammo
30 litri di alcool a 92° G. L. Per facilitare però la dissoluzione della
materia colorante e darle un colore più vivace, aggiungemmo all'al-
cool 15 grammi di acido tartarico per litro.
Dopo 48 ore lo spirito era colorato intensamente in un bel rosso
cupo; il liquido era denso ed esalava l'odore delle foglie di viti. Il
sapore sui generis della prima esperienza era qui assai più pronun-
ciato, causa la grande quantità di foglie adoperate.
Abbiamo ora in corso altre prove sulle foglie di varii vitigni per
sperimentare questa materia colorante su vini chiari, intanto cre-
diamo di poter dedurre quanto segue:
1) Nelle foglie di alcune varietà di viti si forma una materia
colorante solubilissima nell'alcool.
2) Tale formazione progredisce di pari passo colla maturazione
dell'uva; infatti le foglie raccolte dopo la prima metà di settembre
ne sono assai più ricche che non quelle raccolte sul finir dell'agosto.
3) L'acido tartarico aggiunto all'alcool favorisce la dissoluzione
di tale pigmento colorante e lo rende più rosso.
4) La materia colorante delle foglie delle varietà Tintoria e
Barbera ha un sapore speciale che converrebbe eliminare prima di
adoperare quella sostanza per colorare i vini.
In seguito alla pubblicazione di queste notizie il signor Antonio
Anelli di Grottamare nelle Marche fece esprimenti sulle foglie dello
Zagarese, uva la quale dà vini di bel colore: queste esperienze sono
molto interessanti, onde vogliamo farne cenno brevemente.
Il signor Anelli fece adunque pigiare della malvasia bianca cosi
da ricavare tre litri di liquido, che mise in una pentola di coccio;
218 CAPITOLO V
immediatamente sopra cotale mosto, egli stratificò le foglie dello za-
garese (200 grammi) senza punto ammaccarle, e sopra di esse stra-
tificò tutte le vinaccie della suddetta malvasia. Lo scopo prefissosi
dall' esperimentatore nel collocare queste vinaccie sul mosto fu solo
quello di costringere le foglie stesse a stare immerse nel liquido fer-
mentante, onde ottenere una copiosa dissoluzione di materia colorante
mercè l'alcool prodotto dalla fermentazione. Le foglie non erano
dunque mescolate al mosto ma solo poste sopra di esso, e non ri-
piegate bensì aperte, perchè nelle foglie ripiegate rimane una maggior
quantità di colore non disciolto dal liquido alcoolico. Questo fu ab-
bandonato a sé durante 8 giorni, trascorsi i quali il mosto, che era,
come dicemmo, di malvasia bianca, si trasformò in un liquido vinoso
di' un colore rosso assai bello, come noi stessi ebbimo a constatare sul
campione che il signor Anelli ci inviava. Questo mosto vino non a-
veva nessun sapore disgustoso o sui generis, come nel nostro espe-
rimento sopra descritto: ma certo ciò dipese da che noi adoperammo
alcool puro e forte, che disciolse non solo il colore ma anche i suc-
chi delle foglie stesse, mentre il signor Anelli adoperò il semplice
mosto.
Da questo esperimento del distinto enofilo di Grottamare si deduce
che è possibile, mediante le foglie di certe uve ricche di colore, tra-
sformare durante la fermentazione un mosto d'uva bianca in un vino
rosso. Invitiamo intanto gli studiosi ad occuparsi essi pure di questo
interessante argomento.
§ 3. Composizione dell'uva e dei semi. — a) Uva sana. Il
suo componente più importante è lo zucchero : V uva è fra i frutti
più ricchi in principio dolce, come risulta dalle seguenti medie di
Fresenius:
per cento
Pesche 1,6
Albicocche 1,8
Susine 2,1
Susine (green gages) 3,1
Susine gialle 3,6
Lamponi 4,0
More di rovo 4,4
Fragole 5,7
CHIMICA DELLA VITE 219
per cento
Mirtillo di macchia 5,8
Ribes 6,1
Prune 6,3
Uva spina 7,2
Pere rosse 7,5
Mele 8,4
Ciliege morelle 8,8
More del gelso 9,2
Ciliege dolci 10,8
Uva 14,9
È noto però che nei paesi meridionali il percento di zucchero del-
l'uva è molto superiore al 14 e s'aggira intorno al 20, oltrepassan-
dolo non di rado.
Secondo le analisi di Berthier le ceneri dell'uva avrebbero la se-
guente composizione media:
Potassa per cento 56,00
Calce » 28,06
Magnesia » 2,97
Acido fosforico » 12,97
La cenere delle pellicole o fiocine, secondo Crasso avrebbe la
seguente composizione:
Potassa per cento 41,66
Soda » 2,13
Calce ........ » 20,32
Magnesia » 6,02
Ossido di ferro per cento 2,11
» di manganese ... » 0,76
Acido silicico » 3,46
» solforico » 3,48
» fosforico » 19,58
» cloridrico ..... » 0,51
Le ceneri dei vinacciuoli, pure secondo Crasso, sarebbero così
composte:
Potassa per cento 27,87
Soda » —
220 CAPITOLO V
Calce per cento 32,18
Magnèsia ....... » 8,53
Ossido di ferro » 0,46
» di manganese ... » 0,35
Acido silicico » 0,95
» solforico ..... » 2,40
» fosforico » 27,01
» cloridrico ...... » 0,28
Come si vede i componenti principali delle ceneri dell'uva, come
quelli del legno, sono sempre la potassa, la calce e l'acido fosforico;
quest'ultimo abbonda specialmente nei semi, come diremo fra poco.
b) Uve ammalate. Blankenhorn e Rósler alcuni anni or sono
fecero interessanti ricerche di confronto sulla composizione delle uve
sane ed ammalate di crittogama (oidio): crediamo riescirà utile
farne qui cenno.
Uva Silvaner
molto ammalata poco ammalata sana
Soda 0,45 2,74 0,31
Potassa 46,42 42,52 48,46
Calce 7,33 ' 8,74 6,95
Magnesia 3,75 3,50 3,86
Ossido di ferro 0,10 0,19 0,05
Manganese — 0,08 —
Alluminio 0,46 0,53 0,02
Acido carbonico 24,38 23,46 23,24
» fosforico ........ 7,36 11,68 8,00
» solforico ....... 4,89 2,97 4,31
» cloridrico ...... 0,96 0,33 0,78
» silicico 1,71 3,26 3,92
Da questo quadro risulta che Y oidio non induce grandi differenze
nella composizione dell'uva per quanto riguarda gli elementi mine-
rali; diminuisce solo di poco la potassa. È noto però che nelle uve
ammalate è lo zucchero che si riduce di molto, quando la detta crit-
togama riprende ad attaccare le uve in via di maturazione.
e) Semi d'uva. I vinacciuoli non contengono amido, bensì tan-
nino (5 0[o) e olio fìsso (15 Ojo), del che abbiamo già parlato a pa-
gina 152. Essi contengono pure oltre al 2 0[q di azoto. La quantità
CHIMICA DELLA VITE
221
di tannino varia però secondo la varietà delle viti e secondo il grado
di maturanza degli acini.
Nelle ceneri dei vinacciuoli il Prof. Bechi trovò:
Potassa per cento 34,4
Soda , » 6,36
Calce » 6,48
Magnesia , » 1,81
Acido fosforico ..... » 44,42
Acido solforico » 5,44
Acido silicico » 0,90
Cloro » 0,18
Questa analisi differisce solo sensibilmente riguardo alla calce da
quelle di altri esperimentatori; ad esempio Crasso ne aveva trovato
ora il 32 ora il 35 0[q. Ad ogni modo l' acido fosforico, la potassa
e la calce sono, anche nella cenere dei vinacciuoli, i principali com-
ponenti.
§ 4. Composizione del mosto e delle vinaccie. — Le ana-
lisi fatte dal prefato Dott. Rotondi ad Asti su mosti di Barbera, Gri-
gnolino e Pinot (vitigni dei quali già abbiamo dato analisi nei tre
precedenti paragrafi) diedero i seguenti risultati, su 1000 parti di
mosto :
ELEMENTI DETERMINATI
Acidità totale
Bitartrato di potassio (cremore) . .
Acido tartarico libero
Acidi diversi
Glucosio
Materie estrattive, sottratte le ceneri
Grado all'areometro di Guyot . . .
Densità a •*- 15°
Qualità del Vitigno
Barbera
. 11,75
7,40
2,52
6,49
183,24
241,10
23,0
1,099
Grignolino
l\ 10,65
7,15
2,86
4,94
171,10
209,21
19,25
1,089
Pinot
'. 6,30
7,25
0,62
2,80
201,61
247,80
22,50
1,096
Dall' esame di questo quadro risulta, cosa notoria d' altronde, che
il componente più importante, se non il più abbondante, è lo zuc-
chero (glucosio).
Ma il mosto dà dal 3 al 4 0[q di ceneri : or ecco la composizione di
queste comparata con quella dei tralci e delle foglie, su 100 parti:
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di sodio .
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CHIMICA DELLA VITE 223
L' esame delle ceneri del mosto ci dice che in esse il principale
componente è la potassa: in seconda linea vengono la calce e l'a-
cido fosforico, analogamente a quanto dicemmo del legno nei prece-
denti paragrafi. E questo prova sempre più 1' importanza di questi
tre elementi per la Vite.
La composizione del mosto varia però secondo lo stato di mag-
giore o minore maturità delle uve, e questo non solo riguardo allo
zucchero, ma anche riguardo al cremortartaro: già Neubauer (1)
aveva trovato che la potassa, in un colle sostanze minerali, au-
menta negli acini durante il periodo della maturazione. Ma nel
1875 il Doti. Macagno dietro analisi accurate trovò non solo la
conferma di quanto aveva detto Neubauer, ma altresì che il tar-
trato acido di potassio è meno abbondante nel mosto della parte
inferiore del grappolo, cioè in quella meno matura; onde si può
ritenere che la formazione del cremortartaro procede di pari passo
colla maturazione dell'uva; cosa evidente del resto, se si riflette che
infatti le vinaccie dei paesi meridionali danno più tartaro che non
quelle dei paesi settentrionali.
Ecco riunite in una interessante tabella le ricerche del Dott. Ma-
cagno, il quale fece i suoi saggi operando su 25 a 30 chilogr.
d'uva; (la parte inferiore corrisponde alla punta del grappolo):
(1) Chemische Untersuchungen iiber das Reifen der Trauben negli Annalen
der Oenologìe (V, 358).
.224
CAPITOLO V
NOME DELL'UVA
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IN UN LITRO DI MOSTO
Glucosio
Acidi
Cremor-
tartaro
EPOCA
della vendemmia
1
Barbera . . .
2
Uvaggio . . .
3
Grignolino verde
4
Barbera . . .
5
Uvaggio . . .
6
Grignolino. . .
7
Uvaggio verde .
8
Moscato . . .
9
Malvasia . . .
10
Nebbiolo . . .
11
Bordeaux . . .
12
Pinot . . . .
13
Barbera appassita
14
Balsamina .
15
Tokai . . . .
16
Fresia . . . .
17
Grignolino . . .
18
Barbera . . .
19
Fresia . . . .
20
Grignolino . .
21
Moscato . . .
22
Malvasia . . .
23
Montepulciano .
24
Barbera . . .
25
Dolcetto . . .
26
Grignolino. . .
27
Nebbiolo . . .
parte sup.
parte inf.
parte sup.
parte inf.
parte sup.
parte inf.
parte sup.
parte inf.
parte sup.
parte inf.
parte sup.
parte inf.
parte sup.
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parte inf.
parte sup.
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parte sup.
parte inf.
parte sup.
parte inf.
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193
10,9
9,7
1,094
188
10,8
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1,080
160
7,0
9,2
1,078
155
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142
10,4
6,0
1,059
119
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3,2
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10,1
6,1
6 Ottobre
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29 Settembre
11 Ottobre
29 Settembre
2 Ottobre
2 id.
28 Settembre
27 id.
24 id.
7 id.
24 id.
4 Ottobre
3 id.
29 Settembre
25 id.
28 id.
28 id.
4 Ottobre
28 Settembre
4 Ottobre
25 Settembre
CHIMICA DELLA VITE 225
Vediamo ora la composizione delle vinaccie. In alcune interes-
santi ricerche fatte a Klosterneuburg dal Prof. S. Meneghini, la
cenere delle vinaccie abbruciate accusò la seguente composizione:
Su 100 grammi di cenere
Potassa 44,09
Soda 0,48
Calce 7,18
Magnesia 5,38
Ferro . 8,56
Manganese 0,22
Cloro 0,37
Acido solforico 2,33
» fosforico . ... . . . 10,59
» silicico 20,83
Come vedesi anche nella cenere delle vinaccie la potassa è l'ele-
mento principale; vengono dopo la silice, e poi Y acido fosforico, la
calce ed il ferro (a cui si deve la colorazione verde dei tralci, come
dicemmo a pag. 136).
Su 1000 parti di vinaccia umida sì trovano in generale:
Graspi .... parti 280
B uccie .... » 520
Vinacciuoli ... » 200
1000
Secondo il Prof. De Grully le vinaccie umide contengono in media:
Acqua 70
Materia secca totale . 30
Materie azotate . . 3,25 (corr. azoto 0,535)
Materie grasse . . 2,36
Estrattive non azotate 17,45
Cellulosa o legnosa . 4,06
Materie minerali . . 2,93
Invece quando sono secche contengono in media:
Materie azotate . . 11,25 (corr. azoto 1,784)
Materie grasse . . . 7,86
Estrattive non azotate 58,17
Cellulosa .... 13,53
Ceneri .' . . . . 9,78
O. Ottavi, Trattato di Viticoltura 16
226 CAPITOLO V
§ 5. Componenti principali della vite. — Dall' esame delle
numerose analisi sovra riportate si deduce che i principali compo-
nenti della vite, volendosi riunire in una sola le varie composizioni
del legno vecchio e giovine, delle foglie, dell'uva e del mosto, sono
i seguenti: la potassa, Y acido fosforico, la calce, l' acido silicico
ed il ferro fra le sostanze minerali, Y amido, lo zucchero, la mate-
ria colorante ed il tannino, fra le sostanze organiche. Accenne-
remo fra i componenti anche Y acqua, che è assai abbondante; in-
fatti nel legno verde ne troviamo circa il 50 per cento: in quello
essiccato all' aria il 14 0[q e nelle foglie oltre all'80 0[q, massime
se fresche. Nei grappoli circa 60 al 66 0[Q, nei semi circa il 25 Ojq,
neh' uva matura il 75 e più per cento, infine nel capellamento delle
radici dal 60 al 63 per 0[q ed il 47 Ojo circa nelle radici grosse.
L' acqua è adunque senza dubbio il più abbondante componente della
vite. Ma esaminiamo gli altri componenti sovra accennati.
a) Potassa. Moltissime sono le ricerche chimiche e le espe-
rienze nei vigneti, dalle quali risulta che la potassa ha grande in-
fluenza sulla vite e massimamente sulla maggiore ricchezza dell'uva
in zucchero. Onde non si riesce ad intendere come Boussingault abbia
potuto dedurre, dalle sue ricerche, che « la coltura della vigna
non esige una maggior quantità di potassa che le altre col-
ture » (1). Sta però che i concimi potassici giovano molto alla vite
massimamente il nitrato di potassa, il cloruro, il carbonato ed
il solfato. Il prof. Andognand (2) ha potuto constatare con ricerche
dirette: 1. Che la potassa deve essere mescolata con altre sostanze
concimanti, perchè essa ne aiuta V assorbimento da parte della vite;
2. Che la quantità complessiva di potassa non vien concentrata to-
talmente nel frutto, ma in parte resta in serbo nel legno vecchio
e nei tralci annuali; cosa che noi pure constatammo e ne riparleremo
tra breve.
Il Prof. Rotondi dalle sue ricerche in proposito dedusse poi che
i concimi potassici sotto forma di cloruro sembrano essere quelli
che danno il maggiore aumento in materia zuccherina; la qual cosa
abbiamo noi pure constatato ripetutamente nei nostri vigneti ove
usiamo appunto concimi chimici a base di cloruro potassico al 50
per cento di ossido (cioè di potassa assimilabile). Il prof. Rotondi
(1) Agronomie, Chimìe Agricole et Physiologie. Tom. V, pag. 421.
(2) Biedermann's Centralblatt fur Agricultur Chemie. 1878.
CHIMICA DELLA VITE 227
ha pure trovato che la potassa somministrata sotto questa forma è,
fra le sostanze concimanti, quella che dà un maggior aumento in
sostanze minerali. Il Prof. Bechi giunse a conclusioni quasi uguali (1).
Il Prof. Saint-Pierre, dopo molte esperienze accurate fatte nei
vigneti stessi, è venuto alle seguenti conclusioni: 1.) La potassa è
1' elemento fertilizzante più necessario alla vite; 2.) i fosfati solubili
da soli non giovano molto; 3.) Il miglior ingrasso è quello che con-
tiene potassa e fosfati uniti assieme. Queste esperienze del Saint-Pierre
concordano pienamente colle nostre.
In quanto alla soda abbiamo constatato con certezza che non è
di alcun giovamento alla vite, non ostante la sua analogia con la
potassa; e trovammo pure differenze notevoli fra il nitrato di po-
tassa e quello di soda considerati come concimi.
b) Acido fosforico. Il celebre chimico G. Liebig credeva che l'e-
saurimento del terreno, specialmente riguardo ai fosfati ed alla potassa,
fosse la causa della facile diffusione della crittogama oidio ; ciò ci pare
assai discutibile , perchè anche le vigne di terreni ubertosi e concimati
razionalmente sono fieramente attaccate dalla malattia; ad ogni modo
è dimostrato che anche Y acido fosforico ha una grande importanza
per le viti, e si può facilmente desumerlo dalle analisi sovra riportate.
Un prodotto di 30 ettolitri di vino sottrae da un ettare di terreno
(10 mila m. q.) circa chilog. 7 a 8 di acido fosforico; ciò non è molto,
ma conviene riflettere che l'acido fosforico è l'elemento che più scar-
seggia nel terreno, ond'è che quasi sempre la vite non trova a di-
sposizione neppur quella piccola dose. Le ricerche del Professore
Joulie hanno dimostrato che una più abbondante alimentazione della
vite con acido fosforico, come avviene per tutte le piante saccarifere,
accresce la proporzione dello zucchero nell'uva. Il sig. Joulie ri-
tiene pure che la presenza di questo acido nel terreno faciliti l'as-
sorbimento dell'azoto, e quindi indirettamente giovi anche alla forma-
zione d' un copioso sistema radicale e d'una ricca vegetazione; altri
esperimentatori sono giunti alle stesse conclusioni.
Noi, che usiamo sempre unire ai concimi potassici, fosfati di calce
allo stato di perfosfato commerciale, possiamo accertare che la vite
se ne avvantaggia notevolmente sia nel vigore vegetativo sia nella
qualità dell'uva.
Ma oltre la vite ne avvantaggia anche notevolmente la qualità
(1) Così il Prof. Comboni — op. cit. pag. 24.
228 CAPITOLO V
del vino: infatti il fosfato di calce è un componente costante del
vino buono, rosso o nero (1). Un litro ne può contenere circa grammi
0,8 ed allora riesce molto nutriente perchè il fosfato, elemento pre-
cipuo delle nostre ossa, viene agevolmente trasportato dal vino stesso
nei liquidi del corpo umano, e va cosi a supplire alle perdite gior-
naliere che le nostre ossa fanno del fosfato medesimo.
e) La calce. Anche questa sostanza ha una non piccola impor-
tanza per la vite, e lo dimostrano le analisi sovra riportate del legno
e delle foglie. Benché nel mosto essa quasi scompaia, pure è dimo-
strato da numerose osservazioni che nei terreni calcari V uva si fa
più ricca di principio dolce che non negli altri terreni: il vino quindi
risulta più alcoolico e più tardi si arricchisce di eteri. La calce quindi
indirettamente contribuisce alla finezza ed alla fragranza del vino.
Clanj trovò, ad esempio, per la stessa varietà d'uva il seguente per
cento di alcool nel vino:
Terreno calcare . . . . 11,30 per 100 in volumi
Terreno argilloso . . . 9,60 » »
ed in altri esperimenti trovò:
Terreno calcare .... 11,00 » »
Terreno argilloso . . . 9,00 » »
Tuttavia non è men vero che speciali condizioni non ancora bene
studiate, possono supplire anche alla totale assenza del calcare: veggasi
per esempio qui appresso l'analisi della terra di Chdteau de La fitte,
famosissimo vigneto di 78 ettari situato nel Bordolese, al Nord del
Comune di Pauillac:
Ciottoli levigati silicei .... 630 per mille
Sabbia minuta 344 »
Sostanze organiche (1,3 0[q) . . 13 »
Allumina 7 »
Calce (1[2 0[q) 5 »
Ossido di ferro 1 »
1000
In Italia abbiamo pure ottimi vigneti il cui suolo non contiene as-
(1) Secondo Midder i fosfati accompagnano sempre la enocianina (principio co-
lorante dell'uva) ed è forse anche per questo che i vini rossi sono più nutrienti
dei vini bianchi.
CHIMICA DELLA VITE 229
solutamente calcare: il Dott. Angelo Mona nei suoi Studi di eno-
logia scrive d'aver fatto alcune analisi su diversi campioni di terra
dei migliori vigneti di Brindisi, analisi le quali gli diedero per ri-
sultato la quasi assoluta mancanza di calce: alcuni campioni bolliti
coll'acido dorico e tentati poi coll'acido ossalico e coll'ossalato d'am-
moniaca non accusarono che una debole traccia di calce: eppure le
viti di quelle terre danno eccellenti vini.
Si vede quindi che se la presenza del calcare è giovevole, non è
però indispensabile; e questo valga a tranquillare varii fra i nostri
viticultori che sogliono attribuire la meno buona qualità dei loro vini
al terreno, laddove dovrebbero incolparne o il metodo di fabbrica-
zione o le scadenti varietà d'uva coltivate.
Dell' ossalato di calcio abbiamo già parlato a pag. 118 e 136; è
una combinazione di calce ed acido ossalico, acido che si trova in
abbondanza ad esempio nell'acetosella. L'ossalato di calcio benché in-
solubile nell'acqua pura si trova però disciolto, come già sappiamo,
nel liquido delle cellule mentre la pianta è in sviluppo. Più tardi, se-
condo Schmidt ed altri, esso si accumula in cristalli dei quali ab-
biamo dato varii disegni a pag. 136. Quale sia la funzione di que-
sto sale nella pianta di vite, non è ancora stato detto; ma è a spe-
rarsi che gli studiosi, coll'aiuto della micro-chimica, riescano presto
a formulare qualche conclusione soddisfacente sul delicato soggetto.
d) La silice. Abbiamo già detto a pag. 216 che è sovratutto
nelle foglie della vite che abbonda la silice (dal 7 al 35 0\q secondo
l'età della foglia): nei tralci invece se ne trova soltanto dell' 1 al 9 0[0
secondo l'età ed il vitigno, e nel mosto meno ancora, cioè circa il
5 Ofo (il 3 0[o nella cenere delle buccie dell'uva e solo l'I 0\q in
quella dei vinacciuoli). È singolare il fatto che la silice pare dimi-
nuisca nelle uve affette da crittogama (oidio); infatti nelle esperienze
citate a pag. 220 si vede che nelle uve sane la silice rappresenta
quasi il 4 0[q delle ceneri mentre nelle uve poco ammalate abbiamo
solo il 3,26 ed in quelle molto ammalate l'I, 71 0[q; la diminuzione
è rilevante. Nulla possiamo però dire dell'ufficio che la silice compie
nei varii organi della vite.
e) Il ferro ha una grande importanza nella vite, non solo per-
chè senza ferro non si forma clorofilla (pag. 136) ma perchè esso
contribuisce alla robustezza della pianta ed alla salubrità del vino.
Contribuisce alla robustezza della vite perchè le foglie colorate d'un
bel verde, lavorano più attivamente a benefizio del legno, delle gemme
230 CAPITOLO V
e dell'uva, come abbiamo lungamente detto studiando la fisiologia
della vite. Contribuisce poi alla salubrità del vino perchè è fuori di
dubbio che i sali di ferro, e specialmente il tartrato, sono impor-
tanti fattori di quelle proprietà ristoratrici che posseggono certi vini
fra cui il Barbera ed il Bordeaux, se fabbricati con mosto e vi-
naccìe (1). Il Dr. Rotondi in alcune sue ricerche trovò quanto segue:
Ossido ferroso
Barbera fatto con puro mosto per litro gr. 0,0067
» » 8 0[o di vinaccie » 0,0095
» » 50 0[Q » » 0,0114
Le esperienze dei Dottori Pasqualina Pasqua Perier e Faurè
provano esse pure che i sali di ferro conferiscono proprietà risto-
ratrici a taluni vini rossi: Faurè dice che il Bordeaux contiene sino
a 0,25 per mille di tartrato di perossido di ferro, cioè un quarto di
gramma per litro; i vini bordolesi bianchi ne contengono meno.
Vino rosso Vino bianco
Minimo Massimo Minimo Massimo
gr. 0,1632 0,24S4 gr. 0,0642 0,1870
Il solo Prof. Nessler non ammette tanta ricchezza in ferro nei
vini bordolesi; egli avrebbe trovato infatti soltanto 6 decimilligrammi
di ferro per ogni litro. Senonchè le numerose ricerche di parecchi
altri analizzatori, fanno supporre che il Nessler abbia esperimentato
su vini bordolesi di qualità mediocre.
Ma il ferro è anche un costituente della materia colorante del-
l' uva. Le interessanti ricerche del sig. Glenard e sovratutto del
Prof. Comboni sulla enocianina hanno dimostrato che il principio
violetto del colore d'uva è un sale di ferro (2), e questo spiega
perchè i vini rossi siano più ricchi in ferro dei bianchi.
Infine da quanto dicemmo risulta pienamente giustificata la pra-
tica consigliata dal Do IL Guyot, e seguita da parecchi fra cui noi
stessi, di spargere il solfato di ferro al piede delle ceppaie di viti
alla dose di circa 20 chilog. per ettare, cioè circa 2 grammi per
pianta di vite di vigneto specializzato.
f) Materie organiche. Dell' amido abbiamo già parlato lunga-
(1) Fabbricandoli con solo mosto la quantità di ossido di ferro diminuisce sen~
sibilmente.
(2) E. Comboni — Trattato di Enochimica, voi. 2°, pag. 26.
CHIMICA DELLA VITE 231
mente, ed abbiamo anche visto quale sia la sua importantissima fun-
zione nella vite; rimandiamo perciò il lettore alle pag. 118, 135, 144,
149, 156 e 162.
Abbiamo pure parlato dello zucchero studiando a pag. 202 la
maturazione dell' uva; qui dobbiamo soggiungere che lo zucchero
d'uva risulta dalla mescolanza di due sostanze dolci, dette glucosio
e levulosio. Il glucosio ha la seguente composizione centesimale:
Carbonio 40,00
Idrogeno 6,67
Ossigeno 59,33
100,00
Il levulosio (o chilarioso) ha la stessa composizione del glucosio, di
cui può considerarsi siccome un isomero (1). Allorquando l'uva si es-
sica, una parte dello zucchero trasuda e cristallizza alla superfìcie della
buccia, e costituisce il glucosio; la parte liquida o sciropposa, non
cristallizzabile, che rimane nell'interno dell'acino è il levulosio. Gli è
certo perchè il principio dolce dell'uva è così composto, che non è
possibile imitare perfettamente il vino con nessun' altra sostanza
zuccherina.
La materia colorante dell'uva fu studiata molto accuratamente
in questi ultimi anni dai Prof.i Comboni e Carpenè di Conegliano, i
quali riuscirono a prepararla industrialmente con un processo noto
soltanto in parte: solo si sa che le vinaccie d'uve molto colorate
sono tenute in infusione durante 20 giorni nell'alcool a 85°, acidu-
lato con acido tartarico, e che poscia si distilla il liquido di infusione
in apparecchi speciali. Colla decantazione si ottiene quindi la eno-
cianina commerciale la quale ha la seguente composizione:
Densità a + 15° = 1,0200
Acqua gr. 95,006 0I0
Glicerina » 0,320 »
Materie grasse » 0,049 »
Enocianina » 1,840 »
Quercetina traccie
(1) Diconsi isomeri quei corpi che hanno bensì la stessa composizione cente-
simale ma differiscono per le loro proprietà fisiche o chimiche.
232
CAPITOLO V
Tannino
Acido pectico e gumme . . .
Acidi tartarico, succinico, malico
Acidi minerali combinati . . .
Cremore
» 0,850 »
traccie
» 1,190 »
traccie
» 0,657 »
99,912
gr. 1,0920 0|o
Ceneri
La composizione di queste ceneri è in media la seguente
Calce
Acido fosforico (anidro)
Magnesia
Potassio .
Acido solforico (anidro)
Ferro
Cloro
Silice
Sodio, litio, rubidio .
Gr. 10,1 0[0
» 23,6 »
30,2 »
14,0 »
7,0 »
9.0 »
2.1 »
3,0 »
traccie
99,0
Il Dr. Comboni (1) conclude che l'enocianina commerciale si può
quasi considerare siccome vino privato del suo alcoole e della maggior
parte dei sali.
L'enocianina ricavata coll'accennato processo, è solubile nell'acqua
senza intorbidamento di sorta e senza aggiunte di alcoole; è pure
solubilissima nel vino, siccome noi abbiamo ripetutamente esperimen-
tato: sin qui invece si era sempre ritenuto che V enocianina fosse
insolubile nell'acqua, il che dipende dal metodo di preparazione.
Dagli studii fatti a Conegliano risulterebbe che nell'uva esistono varii
principii coloranti; l'uno violetto, l'altro rosso ed un terzo che diventa
rosso dietro trasformazioni chimiche: ad essi va sempre unita clo-
rofilla. Il violetto, che è instabile e precipita, contiene più ferro che
non il rosso, che è la materia colorante la quale rimane in soluzione
quando si prepara la enocianina. Lo studioso che desiderasse cono-
scere tutte le esperienze del Prof. Comboni, dovrebbe ricorrere al
suo pregevole Trattato di enochimica.
(1) Op. cit. voi. II pag. 265.
CHIMICA DELLA VITE 233
Il tannino devesi pure annoverare fra i principali componenti
della vite; infatti contengono tannino le cellule dei raggi midollari
(pag. 124), gli strati corticali, il libro, il legno giovine ed il legno
vecchio (pag. 128), i viticci (pag. 131), i picciuoli (pag. 132), i fila-
menti degli stami (pag. 144), la rachide il peduncolo ed i sub-pe-
duncoli (pag. 108) infine la fiocine ed i vinacciuoli.
L'acido tannico ha la seguente composizione centesimale:
Carbonio 52,42
Idrogeno 3,56
Ossigeno 44,02
100,00
Il Dr. Wagner, distinguendo i varii tannini, chiama quello del-
l'uva enotannino e lo dice tannino fisiologico poiché è un prodotto
di elaborazione della pianta. Gli altri tannini enumerati dal prof.
Gauthier sono quello della noce di galla, del caffè (caffetannico)
della china (chinotannico) del cauciù (caschutannico) ed altri. Ab-
biamo già detto come varii chimici ritengano che il tannino sia un
glucoside capace di sdoppiarsi per fermentazione in acido gallico e
glucosio; recentemente invece, dopo le esperienze del Dr. Schiff, ciò
è contraddetto. Crediamo però che sia ancora a studiarsi qual1
trasformazioni subisca il tannino dei vini ruvidi, i quali, invec-
chiando, si fanno più morbidi perdendo una grande parte del tannino
stesso.
Dell' acido tartarico e dei molti altri acidi dell' uva non diciamo
nulla, non volendo invadere maggiormente il campo della enologia;
per cui rimandiamo il lettore all'altra nostra pubblicazione Enologia
teorico -pratica (1).
§ 6. Relazioni fra la composizione del terreno e quella
della vite. — È facile supporre che la composizione chimica, e per
certi rapporti anche la struttura, del terreno sul quale vegeta la vite,
debbono esercitare una rimarchevole influenza sulla composizione di
quest'ultima. Anzitutto il terreno influisce sulla quantità delle ce-
neri di tutte le piante, e così anche della vite; ma, dato lo stesso
terreno, le diverse varietà di vitigni assimilano quantità approssima-
(1) Un voi. di pag. 726 — presso il Tip. C. Cassone — Casal monferrato.
234 CAPITOLO V
tivamente uguali di materie minerali. Però le piante più robuste e
più ricche di fogliame contengono quantità notevolmente maggiori
di cenere.
Riguardo all'influenza del terreno sui componenti organici della
vite,, e specialmente dell'uva che è il nostro obbiettivo principale,
abbiamo creduto opportuno di radunare nella seguente tabella i ri-
sultati delle nostre osservazioni al riguardo:
Sostanze la cui formazione
Natura del terreno viene favorita
Calcare sciolto ciottoloso (1) Zucchero ( alcool abbondante nel
vino) (2)
Calcare sabbioso leggero . . Zucchero id.
Marnoso- calcare . .
Ferruginoso rossastro
Argillo-calcare compatto
Argilloso umifero, fertile
Id. id.
Zucchero, colore id.
Tannino, colore, tartrati (vini ruvidi)
Sostanze azotate (vini poco serbevoli)
Argillo-calcare di media fertilità Zucchero, tannino, colore, sostanze
azotate (vini usuali)
Asciutto arido vulcanico , . Zucchero (vino scelto)
Umido Sostanze azotate, acqua (vino sca-
dentissimo)
Osserveremo che la quantità di principio dolce varia poi, a parità
di terreno, a seconda del clima, del vitigno e del sistema di potatura;
diciamo questo acciò non si attribuisca alla tabella che precede un
valore affatto assoluto.
Supponendo un ettare di vigneto specializzato, colla raccolta del-
l'uva si esporteranno in media (Bonssing ault):
Potassa .... chilogrammi 16,42
Acido fosforico . . » 7,23
Calce .... » 12,49
Acido solforico (3) . . » 1,93
(1) Il Bordeaux di prima qualità (es. Chdteau La fitte) viene da terreni simili;,
è vero che l'alcool in esso non si può dire che abbondi, ma vi abbondano gli eteri
perchè l'uva contiene una dose conveniente di acidi ed è povera di sostanze a-
zotate.
(2) Nei climi caldi, vini alcoolici o liquorosi; nei climi temperati vini meno
alcoolici ma ricchi di eteri invecchiando.
(3) Ricorderemo che l'acido solforico si trova nel terreno sotto forma di gesso
(solfato di calcio).
CHIMICA DELLA VITE
235
Secondo le accurate ricerche fatte dal Prof. Meneghini a Klo-
sterneuburg 2400 viti di Riesling tolsero in un anno al terreno
quanto segue:
Legno nuovo (1)
Parti erbacee .
Vinacce . . .
Feccia ....
Vino ....
Totale in chilogr.
Potassa
Calce
Magnes.
4.579
9.122
6.686
0.853
2.190
4.092
5.821
1.085
0.103
0.270
0.969
2.334
0.819
0.010
0.100
23, 430
11.371
4.232
Ac. fos£
1.773
2, 661
1.602
0.093
0.660
789
Questi dati del Prof. Meneghini si riferiscono ad un vigneto di
circa mezzo ettare: supponendo un vigneto di un ettare con 5000
piante di viti, avremo con approssimazione una doppia esportazione
annuale ài potassa, acido fosforico, calce e magnesia dal terreno. Ora
giustamente egli osserva che concimando i vigneti collo stallatico ogni
biennio od ogni triennio come si usa usualmente, si restituiscono al
terreno quantità assai minori di detti elementi minerali, ond' è che,
volendo fare una coltura razionale ed avere vigneti longevi e robusti
ed il terreno non spossato, converrebbe ricorrere ai concimi chimici; e
jioi aggiungiamo altresì alla cenere, alla terra vergine ed alle vi-
naccie debitamente preparate. Ma di questo dovremo occuparci stu-
diando la concimazione del vigneto.
§ 7. Relazioni fra i concimi e la composizione dell' uva.
— I concimi esercitano una marcata influenza sulla composizione del-
l'uva; sono principalmente lo zucchero, il tartaro e le sostanze azo-
tate che subiscono le variazioni più notevoli. È provato che i concimi
potassici (ceneri, cloruro di potassa ecc.) provocano la formazione
d'una maggior quantità di glucosio e di tartaro; ed è pure certo che
i concimi azotati (solfato d'ammoniaca, letami, guano, polverina
ecc.) provocano una copiosa formazione di sostanze albuminoidi, d'onde
un mosto meno zuccherino, ed un vino di più difficile conservazione.
(1) Degli altri elementi minerali non si tien conto, perchè parte non sono in-
dispensabili alla vite, ovvero in ogni terreno se ne ha a sufficienza.
236 CAPITOLO V
Il Prof. Cer letti fece nel 1882 varie interessanti ricerche, all'I-
stituto di Conegliano, sovra questo argomento; ecco le sue conclusioni:
1) Le viti in qualsiasi modo concimate entrano in fruttificazione
più prontamente, o a parità di tempo in maggior numero che quelle
non concimate;
2) Non si può ancora stabilire nettamente se colla concimazione
aumenta il coefficiente di allegazione del frutto;
3) La quantità di prodotto in uva è sempre considerevolmente
maggiore per le viti concimate in confronto di quelle non concimate.
4) I concimi complessi a base di azoto, potassa ed acido fosfo-
rico inducono una maggiore produzione dei concimi isolati e ciò anche
quando vengono abbinati due di essi, ovvero anche raddoppiata la
quantità di uno.
5) La formazione del glucosio nell'uva è notevolmente più ab-
bondante nelle viti in qualunque modo concimate che non in quelle
non concimate; per le applicazioni sotto i diversi climi occorre de-
terminare anche se questo aumento deve ritenersi in senso assoluto,
ovvero come una maggior rapidità di maturazione procurata dal
concime.
6) Fra i diversi concimi quelli a base di potassa fanno aumen-
tare la quantità di glucosio in proporzione maggiore che non i con-
cimi a base di acido fosforico o d'azoto.
7) Colla concimazione ha sempre luogo un aumento assoluto di
glucosio, ma esso è meno appariscente là dove il quantitativo d'uva
non crebbe assai, che ove questo aumento risultò considerevole.
8) Circa all'acidità complessiva dell'uva quattro risultati direb-
bero che colla concimazione essa diminuisce, due invece accennereb-
bero ad un aumento. »
Da alcuni fatti si sarebbe poi indotti a concludere che i concimi
puzzolenti, se adoperati tali e quali anziché mescolati con terra nei
composti o terricciati, comunicano disgustosi aromi all'uva; su di ciò
mancano però esatte osservazioni, perchè la cosa appare dubbia se
si riflette che i vigneti del Reno sono spesso concimati cogli escre-
menti umani.
Taluno infine pretende che concimando i vigneti con sostanze ricche
di tannino (cuojacci ecc.) l'uva si faccia molto aspra e tanninica; ma
anche questa affermazione merita conferma.
CAPITOLO VI
Meteorologia viticola.
§ 1. La luce e la vite — § 2. Il calore e la vite — § 3. L'umido e la vite —
§ 4. L'elettricità e la vite — § 5. La grandine e la vite — § 6. La brina e
la vite — § 7. Il gelo, la neve e le viti — § 8. I venti e la vite — § 9. La-
titudine, altitudine ed esposizione — § 10. Linee isotermiche e punti clime-
nologici.
§ 1. La luce e la vite. — L'influenza che le condizioni me-
teorologiche a cui va soggetto l'ambiente nel quale vegeta la vite
esercitano sulla fruttificazione, è marcatissima; e se è vero in gene-
rale, come scrisse Arturo Young, che il clima è altrettanto essen-
ziale quanto il suolo, nel caso speciale della vite si può affermare
che l'influenza di quello è assai maggiore; poiché la nostra ampeli-
dea, quale pianta rusticana, quasi si adatta ad ogni maniera di ter-
reno, laddove, se le condizioni metereologiche le sono avverse, ve-
geta mediocremente e fruttifica male o non fruttifica del tutto. È
adunque grande l'importanza dello studio che stiamo per fare in
questo capitolo, onde vi richiamiamo sopra la maggior attenzione
del lettore.
Allorquando Galileo chiamava il vino « un composto di umore
e di luce » sintetizzava il prodotto della vite assai meglio di Dante,
il quale aveva cantato « il calor del sole » che si fa vino
Misto all'umor che dalla vite cola.
Infatti gli ultimi studii riguardo all'influenza della luce sulla frut-
tificazione della vite hanno dimostrato in modo non dubbio che essa
è l'agente che esercita la massima influenza sulla formazione del
principio dolce nell'uva; e che a parità di temperatura, l'uva è tanto
più zuccherina e povera di acidi, quanto più intensa è l'azione della
luce solare.
238 CAPITOLO VI
Abbiamo già accennato a questo fatto a pag. 205 e 207; ma qui
dobbiamo scendere a varii utili dettagli. Già da alcuni anni qual-
che studioso di viticultura aveva osservato che ad annate ugual-
mente calde non corrispondevano uve ugualmente zuccherine; anzi
si notavano talvolta differenze così rimarchevoli da non potersi
assolutamente spiegare attribuendole alle cause minori che possono
influire sulla maturazione dell'uva. Così, gli anni 1865 e 1866 die-
dero in Francia, e più precisamente in Borgogna, vini molto di-
versi nel titolo alcoolico: — quelli del 1865 riescirono eccellenti e
quelli del 1866 scadenti o poco meno. Tuttavia le osservazioni me-
tereologiche attestarono che nei due anni la quantità di calore che
il suolo aveva ricevuto era stata la stessa: senonchè dalle stesse
osservazioni risultava che nel 1865 il cielo era stato abitualmente
chiaro e la luce viva, piena, intensa, mentre nel 1866 quello era
stato coperto molte volte. Negli anni 1873 e 1874 noi facemmo
una uguale osservazione nell'Italia superiore e specialmente in Mon-
ferrato, e d'allora in poi raccogliemmo ogni anno osservazioni non
solo a Casalmonferrato, di dove scriviamo, ma in altri punti (Asti,
Moncalieri , Bra, Firenze) sempre allo scopo di constatare se re-
almente la luce esercitasse, a parità di temperatura, una così grande
influenza sulla formazione del principio dolce nelle foglie ed indiret-
tamente nell'uva.
Ecco radunate nei seguenti quadri, parecchie fra le osservazioni
da noi fatte (1).
Incominciamo da un parallelo fra gli anni 1874 e 1875; avvertiremo
anzitutto che le osservazioni meteorologiche non vanno oltre la 2a
decade di agosto così nei due anni accennati come nei successivi,
perchè noi volevamo essenzialmente studiare l'influenza della luce,
prima che l'uva incominciasse a colorarsi, sulla formazione del
glucosio nelle foglie. Citeremo poscia altre esperienze le quali ab-
bracciano anche il periodo della maturazione dell'uva, cioè dal set-
tembre all'ottobre. Abbiamo chiamato nelle seguenti tabelle giorni
sereni quelli che ebbero realmente una serenità perfetta; perciò fra
i giorni misti ve ne sono parecchi che ad intervalli ebbero ore di
sole vivo e molto proficue per la maturità delle uve.
(1) Ringraziamo qui nuovamente gli egregi professori Bonza (Moncalieri) Cra-
veri (Bra) Ravizza (Asti) e Meucci (Firenze) che ci fornirono i dati raccolti
dai loro reputati Osservatomi meteorologici.
METEOROLOGIA VITICOLA
239
Anno 1875.
ASTI — Osservazioni fatte per cura della R. Stazione Enologica.
Giorni sereni
Misti
ID.
Coperti
ID.
Temperatura media (1)
dal 1 giugno al 10 agosto
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto
l.a decade
31
33
7
—
25 C
25 C
33 C
CASALE — Osservazioni fatte per cura del Giornale Vinicolo.
13
74
15
19 C
22 C
23 C
21
BRA — Osservazioni fatte dal Prof F. Craveri
all' Osservatorio metereologico.
9
80
13
18.90 C
19.96 C
20.90 C
20.39 C
MONCALIERI — Osservazioni fatto dal Rev. P. Denza
all'Osservatorio del Collegio Carlo Alberto.
6
82
14
18.57 C
20.01 C
21.37 C
20.88 C
FIRENZE — Osservazioni fatte dal Prof F. Meucci
presso V Archivio metereologico.
91
6
21.4 C
23 C
24.9 C
23.6 C
Riguardo all'anno 1874 riferiremo solo i dati che si riferiscono a
Casalmonferrato; ed ecco quindi un breve parallelo col 1875.
CASALMONFERRATO
1874 (2) 1875
g. sereni misti coperti
39 58 15
g. sereni misti coperti
13 74 15
Il 1874 che ebbe sino alla metà circa di agosto maggior numero
di giorni sereni, quantunque la temperatura non sia stata molto su-
periore a quella del 1875 dal giugno al settembre, produsse uve sen-
(1) Per Asti le osservazioni furono fatte con termometri posti a 0,50 dal suolo
a Mezzodì.
(1) Qui vi sono 10 giorni di più che nel 1875 e cioè dal 1 maggio al 20
agosto: ma il confronto può farsi egualmente.
402
CAPITOLO VI
sibilmente più ricche in principio dolce, e questo non solo nel Mon-
ferrato, ma altresì nei paesi delle suddette stazioni meteorologiche:
tuttavia il 1874 non fu una grande annata, quantunque il calore a-
vesse raggiunto quel numero di gradi che abbisognano all'uva per
farsi molto ricca di zucchero; e questo perchè i giorni perfettamente
sereni non furono che 39 sa 112; in detto anno le buone uve del
Monferrato non accusarono in media che 19 0[q di zucchero ed i vini
in media 1 1 0[Q di alcool. L' acidità dei mosti toccò 1' 11 per mille
(acidità complessiva, calcolata come acido tartarico). Vedremo che
in annate più ricche di giorni sereni, i mosti riuscirono più zucche-
rini e meno acidi.
Veniamo ora al 1876.
CASALMONFERRATO. — Osservazioni del Giornale Vinicolo.
Mesi
Maggio ....
Giugno ....
Luglio ....
Agosto (due decadi)
Totali
Giorni
Sereni
Misti
Coperti
5
12
14
7
13
10
14
16
1
9
10
1
35
51
26
Temperatura
media
14°80C
21.47
24.93
25.46
ASTI — Osservazioni della R. Stazione Enologica. (1)
Maggio ....
Giugno ....
Luglio
Agosto (due decadi)
Totali
5
13
13
13
15
2
23
2
6
12
4
4
53
34
25
18°27C
26.66
32.36
33. 01
BRA — Osservatorio diretto dal Prof. Craverl
Maggio ....
Giugno ....
Luglio
Agosto (due decadi)
Totali
17
14
4
23
3
4
27
—
5
14
1
13
81
18
13°64C
19.76
23. 59
23.65
(1) La temperatura fu misurata a 0,50 dal suolo.
METEOROLOGIA VITICOLA
241
FIRENZE — R. Museo di fisica e storia naturale.
Giorni
Temperatura
media
Mesi
Sereni
Misti
Coperti
Maggio
4
2
25
28
26
18
6
2
1
17° C
22.3
25.1
26.9
Giugno
Luglio
Agosto (due decadi) . . .
Totali
6
97
9
Riassumendo abbiamo:
1876 Casale Asti
Giorni sereni 35 53
Id. coperti e misti 77 59
Bra
Firenze
13
6
99
106
Totali 112
112
112
112
Facciamo ora un parallelo col 1875.
1875 Casale Asti
Giorni sereni 13 31
Id. coperti e misti 89 40
Bra
Firenze
9
5
93
97
Totali 102
71
102
102
Disgraziatamente le osservazioni del 1875 non datano tutte dal
1° maggio e non si protrassero fino ai 20 agosto come è di quelle
del 1876 sopra stampate; così è bene facciamo notare che per
Casale le osservazioni del 1875 partirono dal 1° maggio e si arre-
starono al 10 agosto; quelle di Asti si protrassero dal 1° giugno
al 10 agosto, infine quelle di Bra e di Firenze similmente alle casalesi.
Però è facile scorgere che, eccezione fatta per Firenze, a Casale
ad Asti ed a Bra le uve hanno potuto godere nel 1876 di
un maggior numero di giorni sereni che non nel 1875, e questo ci
spiega come il vino sia riescito migliore di quello dell'anno prece-
dente. Asti fu in special modo favorita, come la era stata, a petto
delle altre stazioni, nel precedente anno; infatti i vini del 75 riusci-
rono nell'astigiano molto migliori che altrove.
La temperatura non fu nel 1876 sensibilmente differente dal 1875;
le uve ricevettero cioè una somma di gradi di calore di poco supe-
riore a quella ricevuta nell'anno precedente: — pure riescirono più ric-
che di zucchero (in media 22 0[q nel Monferrato) e meno acido (8 per
O. Ottavi, Trattato di Viticoltura 17
242
CAPITOLO VI
mille in media, compreso il tartrato acido di potassa, che già sappiamo
aumentare coll'accrescersi dello zucchero e che perciò converrebbe
eliminare nel determinare le variazioni dell'acidità complessiva dei
mosti delle diverse annate: ritorneremo fra breve su di ciò).
Ecco ora i dati che si riferiscono al 1877.
CASALMONFERRATO — Osservazioni del Giornale Vinicolo.
Mesi
Giorni
Temperatura
media
Sereni
Misti
Coperti
Maggio
2
11
6
4
18
18
25
14
11
1
2
16° 14 C
Giugno
Luglio . .
Agosto (due
decadi)
Totali
23. 96
23.92
25.31
(aN.)
23
75
14
BRÀ — Osservatorio diretto dal Prof. Craveri.
Maggio ....
Giugno ....
Luglio
Agosto (due decadi)
2
24
5
4
25
1
2
29
—
2
18
—
10
96
6
FIRENZE
Totali
R. Musco di fisica e storia naturale.
Maggio ....
Giugno ....
Luglio
Agosto (due decadi)
Totali
ASTI — Osservazioni della R. Stazione Enologica.
14° C
22.17
22.64
23.39
28
3
—
30
—
3
28
—
3
17
—
6
103
3
17° 1
24,3
25,1
25,6
Giorni
Temperat. media
a m. 0,50 dal suolo
Mesi
piovosi
non piovosi
Giugno
6
7
4
24
21
16
25° 38 C
Luglio
Agosto (due decadi) . . .
Totali
25.48
26.01
17
61
METEOROLOGIA VITICOLA
243
Nel 1877 i giorni perfettamente sereni furono bensì inferiori in
numero a quelli del 1876; ma in compenso si ebbero pochissimi
giorni coperti e molti misti, fra cui parecchi con ad intervalli varie
ore di sole splendido. Per questo le uve del 1877 riescirono assai
ricche di principio dolce e povere di acidi, al che contribuì anche
l'elevata temperatura estiva. Intanto è facile intendere che, per fare
più accurate osservazioni non basta la suddivisione dei giorni nelle
tre categorie sereni misti e coperti, ma è indispensabile misurare
giornalmente l'intensità luminosa: di questo ci occuperemo tra poco.
Le osservazioni fatte negli anni 1878 e 1879 non possiamo qui
riferirle, essendo incomplete per quanto consone in massima alle pre-
cedenti: passiamo quindi al 1880.
Ecco i dati meteorologici che vi si riferiscono:
CASALMONFERRATO. — Osservazioni del Giornale Vinicolo.
Giorni
Temperatura
media
Mesi
Sereni
Misti
Coperti
Mastio
8
6
15
5
11
16
14
20
12
8
2
6
15°37C
Giugno
14. 60
Luglio
23.67
Agosto .
20 91
Totali
34
61
28
Maggio
Giugno
Luglio .
Agosto.
ASTI — Osservazioni della R. Staz. Enologica (Dr. F. Konig).
(Altezza degli strumenti — m. 0,50)
(1) Media delle osservazioni fatte alle ore 11 ed alle ore 3 p.
BRA — Osservatorio diretto dal Prof. Craveri.
(Altezza degli strumenti — m. 15)
Maggio
Giugno
Luglio .
Agosto
(1)
20°50C
23. 20
29.—
26. 20
Totali
5
20
6
3
25
2
11
20
—
8
21
2
27
86
10
20° 31 C
23.85
31.19
9"
03
244
CAPITOLO VI
FIRENZE — Osservatorio del R. Museo di fisica {Prof. F. Meucci)
Giorni
Temperatura
media
Mesi
Sereni
Misti
Coperti
Maggio
7
4
28
5
7
18
3
19
17
8
7
16. 8 C
Giugno
Luglio
20. 2
26. 8
Agosto
23. 1
Totali
44
47
32
Come si vede nel 1880 furono assai scarsi i giorni sereni dell'a-
gosto, e quantunque l'annata fosse trascorsa assai calda, si ven-
demmiarono uve povere di zucchero e ricche di acidi.
Per far rilevare come l'Italia Meridionale siasi trovata nel 1880
in condizioni assai migliori dell'Italia Settentrionale riguardo alla
luce solare, ed abbia quindi vendemmiato uve molto pregiate per
ricchezza zuccherina, riferiremo qui i dati fornitici da Palermo dal
compianto Dr. Macagno:
PALERMO — R Stazione Agraria - 1880 -
Giorni
Media mensile dei term.
ad 1 m. dal terreno
Data
Sereni
Coperti
all'ombra
al sole
Maggio
30
29
30
19
1
1
1
12
19.52
24.73
30.43
30.20
22 12
Giugno
Luglio
27.60
33.42
31 58
Agosto
Totali
108
15
Sono quindi 108 giorni sereni, mentre nello stesso periodo se ne
ebbero soli 34 in Monferrato.
Infine, da tutte queste osservazioni, proseguite sino al 1883 con
risultanze simili alle precedenti, risulta che la viva luce solare fa-
vorisce dal maggio all'agosto la formazione del glucosio nelle foglie,
il quale vi si immagazzina per poscia emigrare in copia nell'uva.
Ma è molto maggiore la quantità di glucosio che vi si forma nel
periodo della maturazione (da metà agosto a metà ottobre circa), e
questo vedremo ora, riferendo le ricerche del Dr. A. Levi e del
Prof. F. Craveri.
METEOROLOGIA VITICOLA
245
Il Dr. Levi intraprese sin dal 1877 accuratissime esperienze a
Villanova di Farra; partendo dal principio che per conoscere l'influenza
d'un agente metereologico qualsiasi sovra un fenomeno di fisiologia
vegetale, conviene nelle esperienze comparative eliminare quest'agente,
senza modificare però le altre condizioni fra cui il fenomeno si com-
pie naturalmente, il Dott. Levi costrusse un apparecchio che serve
ad isolare completamente dalla luce i grappoli d'uva destinati alle
esperienze, lasciandoli esposti alle stesse condizioni di temperatura e
di umidità dell'atmosfera.
Fig. 61.
Ecco la descrizione di questo apparecchio (fig. 61):
Esso è composto di una specie di botticella a in latta racchiusa in
altra botticella più grande b in legno di castagno o di rovere, per modo
che tra di esse vi sia in tutti i punti un vuoto d'un 15 mm.; l'aria,
che in questo vuoto si racchiude, serve ad isolare la botticella di latta
dagli agenti esterni che influiscono sulla botticella esterna; inoltre
per rendere completo questo isolamento si produce, a mezzo d'un tubo
aspiratore A D, una corrente continua d'aria nello spazio vuoto; così
la temperatura dell'aria racchiusa tra le due botticelle non differisce
dalla temperatura dell'aria esterna.
Un altro aspiratore B C in comunicazione coli' interno della bot-
ticella di latta vi produce una corrente d' aria dall' esterno e serve
così ad eguagliare la temperatura ed il grado igrometrico tra l'aria
esterna e l'aria interna, in mezzo alla quale si troverà il grappolo.
246 CAPITOLO VI
Ciascuno di questi aspiratori è costituito di due tubi colle pareti
interne annerite, ed esternamente invece tinte a biacca; l'uno supe-
riore A e B ripiegato più volte ad angolo retto finisce in una grossa
palla g di rame annerita al nero fumo, che porta superiormente un
tubo piegato orizzontalmente e rimpicciolito alla sua estremità: la
palla internamente é munita ai suoi due punti di congiuzione coi tubi
di due piccoli diaframmi i tenuti a distanza conveniente da supporti
in filo di ferro; l'altro inferiore C e D, esso pure piegato più volte
ad angolo retto, termina ad imbuto, di cui l'apertura è difesa da una
specie di coperchio l che l'avvolge co' suoi bordi senza chiuderlo,
cosicché lascia passar l'aria e non la luce. La corrente d'aria vi è
prodotta dal riscaldamento delle palle di rame annerite e battute dai
raggi del sole.
Sulla parete superiore della botticella in legno sono aperti due pic-
coli fori chiusi con un turacciolo di cautchouc, pel quale passano due ter-
mometri n, nr destinati a misurare le temperature interne; allo stesso
tempo un terzo termometro si trova^sospeso tra i rami della vite
all'altezza dei grappoli d'uva esposti all'aria aperta e che dovranno
poi servire nelle esperienze come termine di confronto.
Nella parte più bassa della botticella in latta vi è un piccolo tubo
o, che traversata la botticella in legno finisce in punta sottilissima
e serve a far scolare l'acqua di condensazione che un rapido abbas-
samento di temperatura avesse condensato sulle pareti interne della
botticella di latta.
Infine nella parte superiore della botticella vi ha una apertura,
per cui si introduce il grappolo, che deve sottrarsi alla luce; questa
apertura viene poi chiusa da un turacciolo e e in cautchouc , ta-
gliato in due nel senso della lunghezza e traversato in questo senso
da un piccolo canale destinato a ricevere il peduncolo del grappolo;
un po' di cotone vegetale cosparso d'un mastice, preparato con una
soluzione alcoolica di cera e di colofonia, serve a chiudere ogni in-
terstizio attorno al peduncolo, acciocché non possa entrare nell'in-
terno dell'apparecchio né aria né acqua.
In tal modo un grappolo che sia chiuso nella botticella trovasi com-
pletamente privo di luce, mentre per riguardo alla temperatura ed
alla umidità dell'aria si troverà nelle stesse condizioni dei grappoli
che trovansi all'aria aperta.
E così analizzando i gradi di zuccaro e di acidità dei grappoli
posti nel!' apparecchio ed i gradi di zucchero e di acidità di altri
METEOROLOGIA VITICOLA 247
grappoli lasciati in piena luce, ma, tranne ciò, posti nelle stesse con-
dizioni, e paragonandoli tra loro si avranno dati sufficienti per mi-
surare l'influenza della luce sulla maturazione, la quale appunto si
manifesta con 1' aumento dello zuccaro e con la diminuzione degli
acidi.
Il Dott. Levi aveva incominciato i suoi esperimenti nel 1879 con
17 degli apparecchi suddetti; ma nel 1880 ripetè gli stessi esperi-
menti più in grande ossia usando di 40 apparecchi, e quindi isolando
dalla luce 40 grappoli. Il vitigno, sul quale fu fatto 1' esperimento,
era il Pinot nero. I 40 grappoli furono chiusi negli apparecchi al 7
luglio, qualche giorno dopo la seconda solforazione. Le analisi di con-
fronto cominciarono al 26 agosto, e continuarono giornalmente fino
al 22 settembre, tempo della vendemmia.
Nessuna differenza apprezzabile si rimarcò all'aspetto esterno tra
i grappoli maturati all'oscuro e quelli maturati in piena luce, tranne
pel colore degli acini, i quali erano d'un rosso più pallido nei primi,
e tranne per l'aspetto dei peduncoli, i quali avevano in questi la loro
corteccia più legnosa, mentre che essa era ancora verde ed erbacea
al tempo dell'ultima analisi, nei peduncoli sottratti alla luce.
Ma analizzando i grappoli per rispetto all'acidità ed allo zuccaro,
si trovò sempre una maggior quantità di sostanza zuccherina e quasi
sempre una minor quantità di acidi nei grappoli esposti alla luce in
confronto dei grappoli sottratti completamente alla luce stessa; in me-
dia l'aumento della sostanza zuccherina, fu del 3,59 per cento e la
diminuzione degli acidi di 1,23 per cento; risultati che si erano anche
ottenuti quasi colle stesse cifre nelle esperienze del 1879.
Da ciò il Dott. Levi, e giustamente, potè trarre la conseguenza
che « i grappoli conservati dopo la fioritura in una profonda oscu-
rità, benché nelle stesse condizioni termometriche ed igrometriche di
quelli dello stesso ceppo, della stessa branca e dello stesso pampino
esposti alla luce, contengono in ogni tempo della loro maturanza,
meno di zuccaro e quasi sempre più di acidi di quest'ultimi; che la
luce la quale manca a quelli ed illumina questi è la vera causa
di tali differenze; che la luce esercita per conseguenza una in-
fluenza rimarchevole sul fenomeno della maturazione dell'uva ».
Osserveremo riguardo all' acidità, come già dicemmo brevemente
a pag. 242, che è indispensabile allorquando se ne studia l'accresci-
mento o la diminuzione nell'uva a seconda della maturità di quest'ul-
tima, distinguere gli acidi liberi (tartrico, malico, citrico ecc.) dal
248 CAPITOLO VI
tartrato acido di potassio. Quest'ultimo aumenta col progredire della
maturazione; e siccome dosando l'acidità complessiva non si distingue
generalmente questo sale acido dai detti acidi liberi, ne viene che
si può trovare un aumento nell'acidità in uve bene mature, come è
accaduto a qualche esperimentatore. Conviene quindi, in simili ri-
cerche, dosare anzitutto ed eliminare il bitartrato di potassio; le va-
riazioni nella rimanente acidità potranno allora porgere un sicuro
indizio del progresso della maturazione.
Il Prof. Federico Cr averi di Bra, ideava sino dal 1873 un istru-
mento per misurare e registrare approssimativamente la quantità, in
durata, dell'intensità dei raggi che il sole manda nel luogo dove si fa
l'esperienza. Questo istrumento, che il Craveri chiamò elio fotometro,
permette di fare osservazioni abbastanza esatte sull' influenza della
luce nella maturazione dell'uva. Descriviamolo colle parole stesse del-
l'inventore :
« L'idea di possedere una qualche misura della luce solare ger-
mogliò in me da più anni, allorquando provai che non è impossibile,
addizionando certi dati forniti dai termometri nei mesi dell'accresci-
mento dell'uva, il poter predire con qualche probabilità le qualità del
raccolto che si dovrà ottenere. Ognuno si persuaderà che, se la tem-
peratura è uno dei fattori principali della vegetazione, questa tut-
tavia dipende assolutamente dalla energia solare; e di più F effetto
della luce, che non ponno registrare i termometri, ha talvolta mag-
giore importanza pei vegetali che non i dati consueti della tempe-
ratura.
Credevo in allora essere necessario per la riescita dell'osservazione
sulla luce solare, di possedere un Eliostato, apparato troppo delicato
e costoso; epperò ne abbandonai l'idea. Non fu che all'incominciare
dell'anno 1873 che mi determinai ad intraprendere delle prove molto
facili ad eseguirsi. Racchiusi cioè delle cartoline fotografiche entro
una cassa, combinando in modo F imperfetto apparecchio, che pochi
raggi solari percuotessero le cartoline, mentre queste obbligavo a
camminare dando loro moto colla mano. Visto il buon esito dei primi
tentativi, mi decisi a far eseguire l'Eliofotometro quale passo a de-
scrivere.
Una cassa di legno forte fig. 62 (1), lunga mm. 280, larga mm. 145,
alta mm. 200 colle pareti spesse mm. 30, costituisce un parallelepipedo
(1) Le dimensioni dei due disegni (fig. 62 e 63) sono ì\6 dell'originale.
METEOROLOGIA VITICOLA
249
collocato su di un sostegno all'aperto, ove niente impedisce l'azione
diretta del sole.
Non può però la faccia superiore dell'apparato conservar sempre
ne' dodici mesi dell'anno la posizione orizzontale, perchè spostandosi
il sole durante l'inverno troppo al di sotto dell'equatore, i suoi raggi
cadrebbero su di essa troppo obliqui. È necessario perciò inclinarla
in modo da seguire in questo tempo, se non esattamente, almeno
con approssimazione il movimento del sole. Ciò si ottiene inclinando
poco a poco l'Eliofotometro verso il Sud, incominciando dal mese di
settembre sino al dicembre; poi si va diminuendo V inclinazione in
senso inverso sino al marzo, epoca nella quale ricomincia la posizione
orizzontale.
Fisr. 62.
A tal uopo la cassa si appoggia su di un sostegno o zoccolo di
legno: e per mezzo di una vite di pressione che questo attraversa,
se ne alza od abbassa la parte posteriore. Un arco graduato in ot-
tone, fìsso lateralmente allo zoccolo, fa conoscere l'angolo d'inclina-
zione.
Lo specchio che segue aiuta la memoria per eseguire le indicate
inclinazioni.
250
CAPITOLO VI
Periodo
dell' innalzamento
Periodo
dell'abbassamento
Settenib.
Ottobre
Novemb.
Dicemb.
Gennaio
Febbraio
Marzo
o M
no
©
1
CD
O M
.2
T3
^3
©
CD
o >-
3
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17
17
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9
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13
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11
23
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25
12
26
8
28
13
29
7
31
14
Una delle facce principali del parallelepipedo trovasi in posizione
normale alla suddetta faccia superiore; ed è l'apertura o porta, fis-
sata con cerniere in modo, che, aprendo la cassa, si ha libera en-
trata a tutta la cavità interna, come vedesi nella figura 63.
Alla parete opposta alla porta, ed al di dentro, vi si attaccò un
orologio a molla ed a spirale; ed aprendo un foro nel legno, si fece
presentare al lato esterno della cassa il suo quadrante Q (fig. 62)
munito d'un buon vetro, onde preservare il meccanismo dalle ingiurie
dell'atmosfera.
A quest' orologio si adattò una ruota dentata B (fig. 63), che
prende movimento da quella del suo tamburo O racchiudente la molla.
Questa ruota compie una sola rivoluzione nelle 24 ore. Al suo perno
vi si adatta, mediante una vite mobile, un grande cerchio d'ottone
C, la cui circonferenza è di 520 mm. ed il diametro è di 16 mm.
Sul contorno di questo cerchio si colloca una striscia di carta, come
si usa nel telegrafo Morse del nostro paese. I due suoi capi si fis-
sano in una fessura posta in M, per mezzo d'una molla scorrevole,
nel modo che si dirà appresso.
Mettendo il cerchio entro la cassa al suo posto, si trova in posi-
zione normale alla parete superiore, occupando la linea media della
cavità interna e la parte superiore del cerchio rimane pressoché
tangente alla suddetta parete interna, alla distanza d' una frazione
di millimetro, da un diaframma F (fig. 62 e 63) di platino, avente
un intaglio rettangolare, lungo mm. 3 e largo mm. 1, fissato sul
METEOROLOGIA VITICOLA
251
lato superiore della cassa; di guisa che la striscia di carta rimane
allo scoperto pel tratto libero lasciato dalla fessura, ed immediata-
mente sotto la medesima. Questo diaframma è difeso contro le in-
temperie da un vetro da orologio. I raggi solari, penetrando nella
fessura, percuotono la striscia della carta sensibile che avvolge il
cerchio, anche quando l'astro si trova vicino all'orizzonte sensibile.
Un bottone esterno D (fìg. 62) serve a far muovere una vite V
(fig. 63), la quale fa innalzare od abbassare il cerchio C, per ren-
derlo tangente alla fessura.
Fig. 63.
L'apparecchio deve avere dimora stabile sopra un terrazzo, un
balcone, ecc.; esposto al Sud in sito tale, che i primi raggi del sole
nascente e gli ultimi del tramonto, non vengano mai disturbati dal
loro contatto coll'apparecchio, durante i dodici mesi dell'anno.
Attiguo a questo luogo esposto al cielo aperto, deve trovarsi una
stanza, un ambiente qualunque, chiuso da imposte, il quale servirà
da laboratorio per eseguire tutte le sere le brevi operazioni del cam-
biamento e della fissazione delle strisele; per le quali operazioni si
trasporta la cassa, separandola dal suo zoccolo e collocandola sopra
una tavola nel laboratorio.
Sul terrazzo vi sarà un sostegno massiccio, solido, capace di ri-
cevere la tavola di legno forte, ben connessa dal falegname; e, per
252 CAPITOLO VI
maggior precauzione, munita di due lastre di ferro invitate sugli orli
proclivi al torcimento, per le ingiurie atmosferiche. Il tutto è rico-
perto con denso strato di biacca all'olio cotto.
Questa tavola porta nel suo mezzo la chiocciola, nella quale pe-
netra la vite che serve pel rialzamento dello zoccolo. È dunque ne-
cessario che, mentre la tavola posa sul sostegno, esista un vuoto al
disotto, affinchè si possa con una mano far muovere la vite.
La tavola vien collocata sul sostegno in perfetta posizione orizzon-
tale, valendosi del livello a bolla d'aria.
Il modo di fissare questa tavola può variare a seconda della na-
tura del sostegno (muratura, pietra, ferro,) in qualunque caso, devesi
curare alla sua immobilità, non dimenticando l'apertura al disotto pel
maneggio della vite.
Disposta la tavola, vi si traccia nella sua metà una linea meri-
diana. Non credo necessario dare le indicazioni per eseguire questa
operazione, troppo ovvia ai cultori della meteorologia.
È utile fissare in lontananza un punto di mira, per verificare, se
fia duopo, l'immobilità della tavola rispetto alla linea meridiana trac-
ciata.
Lo zoccolo porta una cerniera al suo lato anteriore. Si colloca
questo zoccolo in modo che coincida nella sua metà colla linea me-
ridiana tracciata sulla tavola. Fissando colle viti la cerniera alla ta-
vola, si ha lo zoccolo movibile in un solo senso; si può cioè incli-
narlo dal di dietro in avanti (facendo agire la sottostante vite), senza
che in questo movimento cambi il parallelismo col meridiano.
Collocando finalmente sullo zoccolo la cassa dell'apparecchio, que-
sta si troverà perfettamente orizzontale, ciò che si verificherà col
livello. La linea meridiana coinciderà colla metà della fessura, dove
penetrano i raggi della luce. Movendo la vite sottostante l'apparec-
chio s'inclinerà a volontà dell'operatore.
Da pochi anni, venne introdotto nell'arte grafica un ausiliare utile
assai, quando si abbisogna di ripetere varie copie dei disegni fatti
sulla carta non totalmente opaca. Questo ausiliare è il sale cono-
sciuto nei laboratori di chimica col nome di prussiato giallo di ferro;
il quale, convenientemente disteso sopra una delle superficie dei fo-
gli di carta, riesce un agente inalterabile finché lo si conserva fuori
dal contatto della luce solare; ma appena i raggi luminosi, anche
diffusi, lo percuotono per lo spazio di pochi secondi di tempo, il prus-
siato cambia il suo stato chimico, acquista un bel colore azzurro e
METEOROLOGIA VITICOLA 253
perde la sua primitiva solubilità nell'acqua. Questa alterazione chi-
mica permette di poterlo adoperare alla stessa guisa come nell'arte
fotografica si adopera la carta albuminata intrisa nel sale di argento;
il quale, se toccato dai raggi della luce del sole, s'imbrunisce e rie-
riesce insolubile nell'iposolfito di sodio; per cui, immergendo il foglio,
che fu esposto alla luce dietro alla prova negativa, nella soluzione
dell'iposolfito, quest'ultimo esporta il sale d'argento non alterato e
rimane quello oscuro: si ha in tal modo la prova positiva.
Colla carta spalmata di prussiato di ferro si consegue il medesimo
risultato, risparmiando l'iposolfito di sodio; giacché basta mettere in
un bagno di acqua tiepida a 30 gradi la carta, sulla quale agirono
i raggi luminosi, perchè l'acqua disciolga il prussiato inalterato, la-
sciando intatte quelle porzioni, sulle quali il sole non ebbe influenza.
La carta al prussiato ci viene da Londra. Si potrebbe talvolta
tentare la sua preparazione presso di noi; ma non credo che valga
la pena intraprenderne l'esperimento, almeno per l'uso dell'Eliofoto-
metro.
Da Londra si spedisce in rotoli, i quali sviluppati misurano circa
10 metri per 60 centim. di larghezza.
Tagliando coll'aiuto del tornio questi rotoli in tante porzioni larghe
7 mm., si hanno altrettanti anelli CI).
Da ogni anello sviluppato si ottengono 17 strisce utili per collo-
carle sul cerchio dell'apparecchio, cioè della lunghezza di 59 centim.
ciascheduna.
Non è prudente servirsi di queste strisce dopo un anno dalla loro
preparazione; imperocché ho notato che invecchiando perdono al-
quanto della loro sensibilità. Inutile l'avvertire che queste strisce si
devono conservare nella completa oscurità ed in luogo secco.
Per l'uso giornaliero è comodo tenerne una piccola provvista nella
cassettina a compartimenti. Quando si deve riempire la cassetta, si
opera colla luce artificiale, dividendo gli anelli sopra notati in tante
porzioni colla esatta misura voluta dal cerchio dell'apparecchio.
Scala dell'intensità e dei toni della tinta. — Affine di apprez-
zare la diversa intensità della tinta, corrispondente alla diversa e-
nergia dell'azione della luce solare, si è formata una scala di sette
(1) Presso il sig. Duroni, meccanico dell'Associazione Meteorologica Italiana in
Torino, si trovano questi anelli preparati e scrupolosamente conservati fuori dal
contatto della luce solare anche diffusa.
254 CAPITOLO VI
gradazioni di tinte, dal bianco, che corrisponde a mancanza di luce,
alla tinta più intensa, che indica il massimo dell'intensità luminosa.
Le sette gradazioni, o toni, si rappresentano coi numeri 1, 2, 3,... 7.
Ogni sera dopo le ore 8, l'incaricato delle osservazioni meteorolo-
giche, solleva l'apparecchio eliofotometrico dal suo zoccolo, dove ri-
mase nel corso della giornata, e lo trasporta nella stanza attigua
che serve quale laboratorio. Rischiarato da una lampada, apre l'ap-
parecchio, stacca il cerchio dal suo perno, svitando la chiocciola che
lo tien fermo; quindi facendo scorrere la molla, toglie via la striscia
che ha lavorato nella giornata, la quale ravvolge a grandi giri sopra
se stessa, e l'immerge nella cassula dove aveva preventivamente scal-
dato all'incirca 80 cent, cubici di acqua sino ai 30 gradi; tenendo a
tal uopo un termometro immerso nell'acqua.
Nel momento in cui la striscia entra nel bagno, è prudunte sepa-
rare la fiamma della lampada dalla cassula, per evitare il riscalda-
mento esagerato.
La striscia deve rimanere nel bagno quel tempo che basta perchè
il fondo si presenti senza colore, cioè come la carta bianca: mentre
l'azzurro dove operò il sole, appare più o meno intenso, a seconda
della quantità della luce ricevuta.
Colla carta sensibile recente, un minuto primo è bastevole per la
bagnatura; colla carta preparata da dodici mesi prima, abbisognano
circa 3 minuti.
Questa manipolazione la deve eseguire colui che fece alcune prove
per impratichirsi a conoscere il momento preciso, nel quale deve so-
spendere l'azione dell'acqua tiepida sulla striscia.
In certe giornate eccessivamente umide, si trova la striscia come
bagnata. Si deve in questi casi rari far essicare al fuoco la striscia
prima d'immergerla nel bagno tiepido. Senza questa precauzione, si
ottiene la prova col fondo giallognolo, di brutto aspetto e con poco
rilievo nelle tinte azzurre deboli.
Quando l'operatore considera giunto l'istante di sospendere l'azione
del bagno, afferra colle dita l'orlo della cassula, versa l'acqua in un
recipiente, mentre coli' aiuto del termometro agitatore impedisce lo
scivolamento della striscia. Rimette acqua fresca nella cassula, ed
agitando, risciacqua. Rigetta quest'acqua, e ripete la medesima ope-
razione con nuova acqua. Dopo la seconda lavatura sospende la stri-
scia, accavalcandola su d'un filo teso orizzontalmente, affinchè s' a-
sciughi.
METEOROLOGIA VITICOLA
zoo
È ovvio l'aggiungere che, dopo questo trattamento, la striscia può
venire esposta alla luce anche diretta del sole, senza tema che si
alterino le tinte.
Avrei forse dovuto far precedere questa descrizione all' antece-
dente; ma si ha V abitudine nella pratica di eseguire questa opera-
zione dopo la già descritta, ed io, fedele narratore, mi vi adatto.
Liberato il cerchio dalla striscia che funzionò nella giornata, fa
d'uopo rivestirlo con altra ancor vergine.
L'operatore prende dalla cassettina a compartimenti una delle due
striscie rotolata, la sviluppa, e ritaglia colle forbici i due capi, re-
stringendoli a pochi millimetri nella larghezza, per una lunghezza
all'incirca di due centimetri in isbieco.
Questo si fa perchè la fenditura, dove devono introdursi i due
capi, è un po' più stretta della larghezza totale della striscia.
Introdotto uno dei capi nella fenditura, adatta la striscia sul cer-
chio, ed introduce il secondo capo nella medesima, in guisa che la
superficie sensibile della carta rimanga all'esterno. Tenendo colle dita
i due capi alla parte dissotto, fa scorrere lo molla, la quale compri-
mendo questi capi, impedisce ogni movimento alla carta.
Con una matita si segna la carta sui due spigoli della fessura dove
venne piegata. Questo segno deve essere visibile, e servirà per ciò
che in seguito vedremo.
Si scrive pure colla matita la data del giorno seguente (quello
cioè nel quale la striscia riceverà la luce solare), nonché l'ora ed i
minuti, calcolando in previsione i pochi minuti che passeranno prima
di fissare il cerchio entro l'apparecchio. Questi segni fatti colla ma-
tita non sono alterati dalle lavature, alle quali si sottopone la striscia.
Rimesso il cerchio sul suo perno, s'invita la chiocciola, ma non la
si serra. Si fa girare il cerchio lentamente, onde portare la fendi-
tura al punto dove esiste 1' occhio dell' apparecchio. Il lume della
lucerna permette all' operatore lo scoprire questa coincidenza, ed i
segni della matita ne facilitano lo scoprimento. Tenendo fermo il
cerchio con una mano in tale postura, si guarderà l' orologio; e
quando la lancetta segnerà l'ora ed i minuti stati scritti sulla striscia,
si fa girare la chiocciola, e si fissa il cerchio in modo che più non
si muova attorno al perno.
L'apparecchio può venir subito ricollocato al suo posto, dove al-
l'indomani deve operare, ovvero lo si può lasciare nel laboratorio.
Io ho 1' abitudine di rimetterlo in sito nei mesi quando non nevica
256 CAPITOLO VI
e non gela, per evitare di alzarsi troppo presto al mattino; e lo
lascio nel laboratorio nelle notti d' inverno, bastando rimetterlo in
sito prima del levar del sole.
La striscia che nella giornata antecedente ha ricevuto la luce so-
lare, ebbe tempo ad essicare durante le ore notturne.
Questa striscia si stende sul regolo che porta disegnato lo sviluppo
del cerchio, diviso in ore, ed ogni ora in dodici parti di cinque mi-
nuti ciascheduna.
Il segno della matita che trovasi sulla striscia verso il lato sinistro,
corrispondeva alla sera, all' ora notata dall' operatore ; adesso si fa
coincidere questo segno colla corrispondente ora segnata sul regolo;
e si fissa con uno spillo, del pari che l'altro capo opposto, in modo
che la striscia rimanga ben tesa sul regolo.
Consultando le effemeridi del luogo dove si fa Y osservazione, si
trova l'ora ed i minuti in cui si levò il sole che lavorò la striscia.
Si fa un segno colla matita, dove il regolo indica tale momento,
avvertendo che pei minuti è bastevole tener conto da cinque in cin-
que. Ad esempio, 1' effemeride segna: levar del sole ore 7 min. 58,
io noto ore 8 min. 0; l'effemeride segna 7,56, io noto 7,55; e così
pel tramonto.
Notati i due estremi della giornata solare, si vedrà che la striscia
in queste due regioni non ha colore azzurro sensibile; il che vuol
dire che al levar del sole ed al suo tramontare i raggi luminosi non
furon tali da lasciare traccia visibile.
Continuando 1' esame verso la destra, là dove principia ad appa-
rire una lieve sfumatura azzurra, si fa una riga colla matita; e qui
comincia il n. 2 della scala, il quale va man mano acquistando forza
ed arriva al n. 3; in questo luogo si fa un altro segno colla matita.
Proseguendo con questo criterio si formano i sette toni, se esistono.
Tengasi per regola, che vale assai meglio il determinare prima di
tutto quale è stata la tinta più forte che si ebbe nella giornata, li-
mitando questa regione con duo segni di matita, Y uno a destra e
l'altro a sinistra; e quindi proseguire in appresso alle altre divisioni.
Sul margine bianco della striscia che trovasi in alto si segnano i
numeri corrispondenti ai toni coloriti; e sul margine inferiore si se-
gnano i tempi, cioè le ore ed i minuti che occupa ciaschedun tono
nel suo spazio.
Questi numeri, cioè i tempi ed i toni, si registrano a volontà del-
l'operatore, a norma dei dati che pretende ricavare dalle osserva-
zioni eliofotometriche.
METEOROLOGIA VITICOLA 257
Per suggerimento dell' egregio P. Denza, io seguii finora due si-
stemi; nel primo addiziono i tempi corrispondenti ai toni, e dico, ad
esempio: 2 ore al mattino del tono n. 2, più 1 ,30 alla sera, uguale ad
ore 3,30 del tono n. 2.
Nel secondo sistema dico, ad esempio: dalle ore 8 alle 9 mattina
tono 2, dalle 9 alle 10 tono 3, dalle 10 alle 11 tono 3, dalle 11
alle 12 tono 3, dalle 12 all'I tono 2; e così di seguito.
Questi due esempi di registrazione non sono i soli che potrebbero
adottarsi, come ora vedremo; ed è per tal ragione che io conservo
le striscie, per soddisfare alle ulteriori domande che potrebbero fare
i posteri su questo soggetto.
Fisso i due capi delle striscie con una goccia di gomma sopra un
cartone bristol. Questi fogli di cartone, lunghi 50 centim. e larghi
centim. 33 e 1{2, contengono 31 striscie.
Le striscie corrispondenti alle giornate più lunghe in ore solari,
le ripiego alquanto ai due estremi, per economizzare la larghezza
dei cartoni; i quali dovrebbero misurare 36 centimetri, e si spreche-
rebbero i fogli commerciali, non potendoli più dividere nella loro
metà ». —
Questa è adunque la descrizione che lo stesso Prof. Cr averi ci
dà del suo elio fotometro. Ora soggiungeremo che le indicazioni e-
liofotometriche dal 1875 in qua concordano con quelle, benché meno
precise, da noi fatte e più sopra riferite. Ad esempio nel 1875 l'in-
tensità luminosa fu quasi la metà di quella che era stata nel 1874
e perciò le uve riuscirono ancor meno ricche di principio dolce.
(V. pag. 239).
Lo stesso dicasi degli anni 1879 e 1880 di cui ecco un breve
confronto:
1879 1880
vi. VII. VI. Vii.
Maggio — 1.04 — 0.49 — 1.02 — 0.15
Giugno — 2.46 — 2.31 — 1.58 — 0.25
Luglio — 2,07 — 1.38 — 2.17 — 0.50
Agosto — 2.43 — 0.50 — 1.13 — 0.40
Settembre — 1.18 — 0.18 — 1.02 - 0.11
I numeri romani corrispondono alle due tinte di maggior forza
solare.
I numeri arabici indicano in media la quantità di luce solare, in
0. Ottavi, Trattato di Viticoltura 18
258
CAPITOLO VI
ore e minuti, per ogni giornata del mese che ciascheduna ebbe. Cosi
nel giugno 1879 ogni giornata ebbe in media 2 ore e 31 minuti di
sole splendido; mentre nel 1880 le corrispondenti giornate di giugno,
ebbero appena 25 minuti della medesima luce.
Ora, le uve del 1879 riuscirono ottime per maturazione perfetta,
vale a dire molto ricche di zucchero, mentre quelle del 1880 lascia-
rono molto a desiderare.
Similmente, ecco i dati termometrici ed eliofotometrici che si ri-
feriscono agli anni 1883 e 1884.
Osservat07"io meteorologico di Brà. (Prof. Craveri).
1883
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto
Settembre
Ottobre....
1884,
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto
Settembre
Ottobre....
Temp.
media
16.98
19.67
23.04
23.03
18.09
12.19
18.20
17.87
24.17
23.35
17.79
11.48
Giorni
Sereni
4
2
4
10
4
3
Misti
23
25
26
21
21
26
20
27
24
26
24
19
Coperti
Eliofotometro
Intensità della luce solare in ore — Medie di oqni mese
1.51
2.06
1.39
1.22
1.26
1,25
1.49
2.12
1.37
1.43
1.43
1.27
3.27
3.43
2.57
2.33
3.11
2.25
3.22
3.14
2.34
2.36
2.54
1.57
HI
4.04
3.41
3.43
3.20
4.17
4.33
4.31
4.40
3.56
3.48
4.52
4.10
IV
2.01
1.24
1.39
1.50
1.44
1.31
2.03
2.01
2.00
2.04
1.25
2.27
1.31
1.21
1.38
1.42
1.23
0.59
2.09
1.37
1.58
1.44
0.44
0.48
vi
1.34
1.35
2.14
2.05
0.26
0.03
0.49
1.46
2.28
1.34
0.40
0.04
VII
0.19
1.39
1.21
1.09
0.01
0.06
0.11
0.35
0.29
0.09
Decimi di
cielo coper.
4.52
4.41
2.87
2.20
5.18
4.13
3.69
4.33
2.30
2.74
5.58
3.52
Facendo un parallelo fra i toni VI e VII dell' 83 e dell' 84 si
notano gravi differenze a danno dell' 84, infatti:
1883
1884
vi
7.57
7.21
VII
4.29
1.30
— 0.36 — 2.99
E nel 1884 i vini riuscirono meno che mediocri, certo inferiori a
quelli del 1883, che pure erano riesciti al disotto dei precedenti del
METEOROLOGIA VITICOLA 259
1882. I dati dell' eliof otometro spiegano molto bene cotali differenze
e confermano vieppiù i principii sovra esposti.
Per dare infine un' ultima prova della importanza grande della
luce nella produzione dello zucchero, diremo che la luce stessa può
entro certi limiti supplire alla deficienza di calore. Abbiamo
osservato molte volte che le giornate completamente serene della
seconda quindicina del settembre, anche se poco calde, sono assai
favorevoli alla formazione del principio dolce; anzi in alcuni casi
potendosi ritardare la vendemmia sino alla prima decade di ottobre,
se è molta l'intensità luminosa le uve si arricchiscono di zucchero così
da produrre vini contenenti circa l'uno per cento di più d'alcool che
non vendemmiando nella terza decade del settembre, e questo anche
se è relativamente deficiente il calore. Secondo una comunicazione
fatta all'Accademia delle scienze di Vienna (1) dal Dott. Richter, si po-
trebbe ritenere che la luce diretta si trasformi in calore; e già Hum-
boldt nel suo Cosmo s aveva richiamato l'attenzione dei fisiologi sul
calore che la luce diretta sviluppa nelle cellule della pianta.
Fatto è che il principio dolce può aumentare nell'uva mentre dimi-
nuisce la temperatura ma si mantiene elevata la intensità luminosa:
•ecco alcuni dati al riguardo raccolti nel 1877.
Moscatellone di Alessandria (2).
Zucchero Cielo Temp. a 1,50
p. Ojo dal suolo
media della decade
1 Agosto — — 23,°7 C.
20 » ......— — 23,4
30 » 12,31 — 25,4
10 Settembre 17,30 — 18, 4
20 » 17,91 — 20,9
30 » 19,62 serenissimo 15, 0
10 Ottobre 22,81 id. 13, 6
Sul finire del settembre e per tutta la prima decade di ottobre il
cielo, nel 1877, si mantenne neh" alto Novarese, dove furono fatte
(1) Addì 19 giugno 1879.
(2) Stazione Enologica di Gattinara (I. Macagno).
260 CAPITOLO VI
queste osservazioni, perfettamente sereno, per cui la intensità lumi-
nosa fu vivissima (1). Ora, è oramai dimostrato che la produzione
della materia organica (amido, zucchero, ecc.) è tanto più abbondante
quanto è maggiore l'intensità luminosa: più questa cresce e più cresce
eziandio l'emissione dell'ossigeno e contemporaneamente e propor-
zionatamente la produzione di materia organica: ciò fu dimostrato
con interessanti esperienze prima da Saussure poi dal fisiologo
Wollkoff.
Riassumendo quanto dicemmo sin qui relativamente alla luce, cre-
diamo di poter formulare le seguenti conclusioni: 1°) La luce solare
intensa e viva influisce notevolmente sulla produzione del prin-
cipio dolce nelle foglie, d'onde emigra nei grappoli; 2°) A pa-
rità di temperatura la quantità di principio dolce cresce col
crescere dell' intensità luminosa; 3°) L influenza benefica della
luce non si esercita soltanto nel periodo di maturanza dell'uva,
ma incomincia dal momento in cui la vite si copre di foglie,
per la qual cosa se il cielo si mantiene abitualmente sereno
dal giugno all'agosto, si può pronosticare che le uve saranno
ricche di glucosio; più o meno secondochè il sereno si sarà o non
mantenuto predominante in settembre ed ottobre; 4°) Entro certi
limiti la luce intensa può supplire alla deficienza di calore,
laddove un maggior calore non può supplire alla deficienza
della luce. (Veggasi la pag. 207).
§ 2. Il calore e la vite. — Gli è solo entro certi limiti, come
or'ora dicevamo, che la luce può supplire al calore; poiché questo
fluido è indispensabile alla vite se deve produrci quei frutti zuccherini
che da essa vogliamo.
L' importantissimo lavoro chimico-fisiologico della clorofilla, senza
del quale non si formerebbe il principio dolce dell'uva, non può ef-
fettuarsi quando manca un certo grado di calore; e ciò anche se
la luce è intensa. Il Dr. Cuboni ha potuto osservare che quando il
termometro, posto vicino alle foglie stesse, segna 17° C si forma an-
cora amido, che convertito poscia in zucchero emigra dalle foglie ai
grappoli; mentre se. il termometro segna circa 13° o meno di 13°,
non si forma più amido, anche se il cielo è sereno, cioè se vi ha
molta energia di raggi luminosi. Ma questi sono i limiti minimi, presso
(1) Yeggansi altri dettagli nel mio Giornale Vinicolo 1878 p. 40.
METEOROLOGIA VITICOLA 261
i quali si forma bensì amido, ma in quantità troppo piccole; onde
sotto tali condizioni di temperatura l'uva riescirebbe tanto povera di
zucchero da non poter servire agli usi enologici. Il lavoro della clo-
rofilla si fa invece attivissimo a più elevate temperature, special-
mente se l'intensità luminosa è molta; è massimo a 35° (pag. 158)
e poscia incomincia a scemare sinché si arriva ad una temperatura
così alta che non può più formarsi la clorofilla medesima.
Alla vite è però assai più confacente un moderato calore, il quale
cresca per gradi sino ad un dato punto, che or' ora determineremo,
che non una temperatura subitaneamente elevata e di durata breve:
vale a dire che la somma di gradi di calore i quali occorrono alla vite
per vegetare normalmente e portare a perfetta maturazione i suoi
frutti, deve esserle somministrata nello spazio di parecchi mesi, partendo
da 9° o 10° C. al momento della germogliazione, salendo a 17°, 18° o
20° C. al momento della fioritura (a seconda delle varietà) e poscia
gradatamente a 30° o 35° nel periodo più caldo dell'agosto ed a 0m,50
dal suolo (1). Questo calore crescente per gradi è favorevolissimo
alla produzione di molta uva di buona qualità, laddove un calore
elevato subitaneo, specie se favorito dall'umido, provoca un eccesso
di vegetazione erbacea, rende la pianta rigogliosa bensì ma non fe-
conda, e più ricca di legno che non di grappoli.
Havvi però un limite in questo periodo, poiché influisce molto sulla
qualità dell'uva e sulla sua ricchezza in principio dolce, il vario modo
con cui possono essere ripartiti i gradi di calore (in media 4000) occor-
renti alla vite dall'uscita dei germogli uviferi alla maturazione per-
fetta dell'uva. Cotale periodo infatti può durare soli 110 giorni ma può
protrarsi ai 170 circa, e si può ritenere che allorquando la somma
dei gradi di calore di cui la vite abbisogna è distribuita in un
troppo lungo periodo di giorni, le uve riescono meno ricche di
zucchero che non quando il periodo della fruttificazione e ma-
turazione è relativamente più breve. In questo caso però, cioè
quando il calore è molto elevato, la quantità del raccolto dimi-
nuisce, perchè il succo delle uve si fa più denso, più sciropposo, e
però meno acquoso, onde spesso occorrono più di 16 miriagrammi
d'uva per ottenere un ettolitro di mosto.
Abbiamo accennato ai 4000° di calore occorrenti in media alla vite,
(1) Questi dati si riferiscono specialmente al Monferrato ed all'Alta Italia in
genere: nell'Italia meridionale il periodo dell'agosto tocca temperature più elevate.
262 CAPITOLO VI
dallo spuntare dei germogli uviferi (sbucciamento delle gemme) alla
maturazione perfetta dell'uva: se consideriamo invece il periodo dalla
fioritura alla vendemmia troviamo in media soli 3000° circa per l'Eu-
ropa meridionale. Questi dati sono ottenuti col metodo di Gasparin,
moltiplicando cioè la temperatura media per il numero dei giorni
che trascorrono nei detti periodi; il metodo è lungi dal potersi
dire rigoroso, ma tuttavia è quello seguito generalmente, potendo
avere un certo valore per la pratica. D'altronde i suddetti dati non
possono avere nulla di assoluto, perchè la somma dei gradi di ca-
lore varia eziandio, e di molto, da vitigno a vitigno e converrebbe
perciò istituire numerosissime osservazioni tenendo calcolo anche di
questo importante elemento.
Alla Stazione Enologica di Asti, ad esempio, studiando la matura-
zione delle uve barbera, grignolino e fresia neh" anno 1878, nello
stesso vigneto, sr trovarono le seguenti differenze:
Barbera
Grignolino
Fresia
Dalla germogliazione'(22 aprile) alla
fioritura; giorni.
43
45
46
Temperatura a 0,50 dal suolo (1)
816° C.
861° C.
884° C
» a 0,25 nel suolo
771° C.
817° C.
839° C
Dalla fioritura alla maturazione per-
fetta; giorni ....
125
123
122
Temperatura a 0,50 dal suolo
2793° C.
2725° C.
2751° C
» a 0,25 nel suolo
3024° C.
2954° C.
2981° C
Presso l'Istituto Agrario Castelnuovo (Palermo) seguendo il me-
todo di Gasparin si trovarono nel 1879 i seguenti dati:
Fioritura: 22 maggio ( : d di ffiorni n6
Vendemmia: IG^settembre^10™ dl Sl0rni lib
Temperatura massima all'aria libera nel detto periodo 31,9° C.
» minima » » 24,6° C.
» media » » 28,2° C.
Che moltiplicata per 116 dà 3271° C.
Gasparin, per la vigna coltivata presso il limite della viticoltura
nel Nord della Francia (Parigi), trovò gradi 2676. Fra Parigi, Asti
(1) Diamo qui la somma dei gradi, come di consueto.
METEOROLOGIA VITICOLA
263
e Palermo vi ha quindi una notevolissima differenza nella quantità
di calore occorrente alla vite nel periodo dalla fioritura alla ven-
demmia. A Palermo le viti vogliono circa 600° di più; è vero però
che le uve riescono notevolmente meno acide e più ricche di prin-
cipio dolce, onde la maturità di cui parla Gasparin deve intendersi
in senso relativo.
Per dare un'idea più precisa dei rapporti che esistono fra la tem-
peratura e la produzione della vite, riporteremo qui una tabella di
Humboldt:
Latitudine
Temperature medie (centigrade)
Luoghi
<D
<D O
Osservazioni
dell'
dell'
della
dell'
dall'
2 -b'o
82
23
anno
invern.
prima-
estate
autun-
Z ^S
vera
a) Vi
■S'S,
Bordeaux...
44° 50'
13.9
6.1
13.4
21,7
14.4
5.0
22.8
Clima molto fa-
Francoforte
vorev. alla vite.
sul M
50° r
9.8
1.2
9.9
18.3
10.0
-0.4
10.8
Parisi
48° 50'
46° 31'
10.8
9.5
3.3
0.5
10.3
9.2
18.1
18.4
11.2
9.9
1.8
-1.0
18.9
18.7
Vino mediocre.
Losanna
Ginevra
46° 12'
9.7
1.2
9.5
17.9
10.2
-0.4
18.6
Berlino
52° 31'
8.6
-0.7
8.0
17.3
8.8
-2.4
18.0
Vino appena be-
vibile.
Cherbourg..
49° 39'
11.2
5.2
10.4
16.5
12.5
3.2
17.3
Senza viti.
Londra
51°31'
10.4
4.2
9.5
17.1
10.7
3.0
17.8
Id.
Dublino
53° 23'
9.5
4.6
8.4
15.3
9.8
4.3
16.0
Id.
Come vedesi nel clima di Bordeaux si verificano appunto le con-
dizioni di temperatura che dicemmo essere cotanto favorevoli alla
fruttificazione della vite. Quasi tutta l'Alta Italia si trova in condi-
zioni uguali se non migliori; ma si trova certo in condizioni migliori il
rimanente d'Italia, d'onde uve più zuccherine e vini più alcoolici.
Senonchè nel misurare la temperatura converrebbe eziandio tenere cal-
colo dell' altezza dei termometri dal livello del suolo, cosa che
non si fa sempre, dal che derivano i molti dati contraclditorii che si ri-
scontrano nei differenti autori: nell'anno 1876 la Stazione Enologica
d'Asti volle misurare le variazioni termometriche a seconda dell'al-
tezza degli istrumenti d' osservazione, ed ecco i dati che si riferi-
scono all'estate:
>64
CAPITOLO VI
Altezza dal suolo
Media
Media delle due
e ;
profondità in un vigneto
di luglio
prime decadi
di agosto
Termometro Cent.
al sole a lm,50
30,60 C.
31,13 C.
»
» 0m,50
32,36
33,01
»
nel suolo 0m,10
29,89
29,27
»
» 0m,20
28,74
28,99
»
» 0m,30
26,52
27,65
»
» 0m,40
25,31
26,67
È notevole la differenza fra la temperatura a 0m,50 e quella ad
lm,50; ed è pure notevole che nel terreno, se duro o poco smosso come
era quello dell'esperimento, anche a 0,40 di profondità la tempera-
tura può innalzarsi da 25° a quasi 27°, quando si innalza pure la
la temperatura dell'aria, per la qual cosa in terreni non scassati le
radici sono più esposte ai danni della siccità, come del resto è notorio.
Crediamo però opportuno di far notare che non in tutte le sta-
gioni si ha a 0,50 di altezza dal suolo una temperatura maggiore
che a lm,50; nei mesi più freddi, specialmente ai crepuscoli ed a
ciel sereno, la temperatura può farsi più bassa a 0m,50 come ha
constatato il Prof. Gaetano Cantoni. Le viti allevate basse nei
paesi ove V inverno ed il principio della primavera sono freddi,
sono infatti più danneggiate dalle brine che non le viti alte, perchè
basta qualche grado di meno di temperatura per determinare la for-
mazione della brina; diremo a suo luogo come possa evitarsi questo
grave inconveniente (1).
Ma se alla vite è indispensabile un adeguato calore, una tempe-
ratura la quale ecceda certi limiti può riescirle molto dannosa: fa-
cendo la somma dei gradi di calore solare che si hanno ora per ora
nei mesi di maggio, giugno, luglio, agosto e settembre si trova che
il numero 63.000 rappresenta il limite estremo, ed il numero 55.000
rappresenta la media più favorevole alla vegetazione ed alla frutti-
ficazione della vite.
I seguenti dati possono permettere al lettore di fare un parallelo
fra alcuni paesi viticoli:
Vienna
Mompellieri
Palermo
Guibar-Bou-Aoun (Algeria limite estremo)
49.900
55.900
56 500
63.000
(1) Vedi Viti a piramidi — ed il capitolo ove si parla delle brine.
METEOROLOGIA VITICOLA 265
Sotto i 50.000 gradi orarii bisogna proteggere la vite contro i geli,
sopra i 60.000 la vegetazione e la fruttificazione sono irregolari. Ac-
cade allora che l'uva si essica anziché maturare, e questo special-
mente nei vigneti esposti a mezzogiorno ed in terreni pietrosi. I raggi
calorifici che cadono sulla loro superficie sono allora riflessi, come
si vede nella fìg. 64, e vanno a colpire l'uva senza nulla aver per-
Fig. 64.
eluto della loro potenza; vale a dire che i raggi diretti a hanno u-
guale potenza calorifica dei raggi riflessi b, onde l'uva c> se non è
protetta da foglie, riceve per riflessione i raggi solari che giungono
alla superfìcie dei ciottoli, oltre a quelli che possono venirle diretta-
mente dalla parte superiore. In queste condizioni se il calore non ec-
cede i suaccennati limiti, l'uva matura completamente; anzi in alcuni
paesi ove il clima non è troppo favorevole alla vigna, si coadiuva
la maturazione dell'uva appunto circondando le ceppaie di grosse
pietre, che si riscaldano al sole e ne riflettono i raggi sui grappoli (1).
Ma, oltre quei limiti, si verifica la così detta scottatura dei grap-
poli, che i Francesi chiamano échaudage, fenomeno ben noto nel-
l'Italia e nella Francia meridionali. Si può ritenere che allorquando
il termometro centigrado segna intorno ai 40° all'ombra ed a nord,
gli acini si essicano, e ciò perchè essi vengono a trovarsi sotto Fin-
fluenza di una temperatura assai maggiore, appunto pel calore ri-
flesso dal suolo. Non si erra stabilendo che se il termometro nei-
CI) De Candolle. Pliysiologie vegetale, p. 1254.
266 CAPITOLO VI
l'aria segna 35° a 40°, l'uva può scaldarsi sino a 60°-65°, special-
mente se i grappoli sono poco distanti dalla superfìcie del suolo. Nel-
l'interno degli acini dei nostri vitigni coltivati ad alberello sui colli
di Casalmonferrato, abbiamo sempre riscontrato in giornate serene
di settembre 35° a 40° C.; ma questo in condizioni normali di calore.
Al capitolo Malattie della vite, studieremo in disteso quanto si rife-
risce alla scottatura.
Qui soggiungeremo soltanto che i perniciosi effetti della tempera-
tura soverchiamente elevata, sono temperati alquanto dall'umido e
dal vento, o per meglio dire dallo stato di movimento in cui può tro-
varsi l'aria; in altri termini se il tempo è molto secco e calmo non
è necessario un innalzamento di temperatura uguale a quello che si
richiede durante un tempo umido perchè l'uva abbia a soffrirne; la.
scottatura potrà allora verificarsi anche a 2 o 3 gradi al disotto del-
l'accennato limite.
§ 3. L'umido e la vite. — Le pioggie moderate sono senza
dubbio di giovamento alla vite, la quale non potrebbe vegetare, e
peggio poi fruttificare convenientemente, senza un adeguato umidore
nel suolo; ma a bello studio abbiamo parlato di pioggie moderate,
perchè poche piante risentono tanto quanto la vite gli effetti perni-
ciosi del soverchio umido.
Come ed in quale misura l'acqua giovi alla vite ed all'uva l'ab-
biamo già studiato a pag. 207, accennando alle nostre osservazioni
sulla grossezza degli acini a seconda della quantità d'acqua caduta
sul suolo. Senz'acqua non può esservi vino; né ciò deve parere un
paradosso per chi conosce solo gli elementi della fisiologia della vite
e la composizione del mosto.
Le piogge moderate nei mesi di agosto e di settembre giovano
eziandio a far aumentare la quantità del mosto, e sin dal 1846 il
sig. Vergnette Lamotte (1) asseriva di aver constatato con esperi-
menti esatti che « il giorno dopo una pioggia vi era néìYuva matura
un assorbimento d'acqua tanto meccanico che organico, il quale po-
teva elevarsi sino al 5 °/0 del peso primitivo. »
Una adeguata quantità d'umido è poi indispensabile per la matu-
razione dell'uva; senza l'acqua o con quantità troppo piccole d'acqua
non avverrebbero quelle trasformazioni dei componenti dell'acino che
(1) Congrès des vignerons, Dijon, p. 431,
METEOROLOGIA VITICOLA 267
da acerbo lo fanno maturo; e questo perchè l'acqua essendo uno fra
i più importanti solventi, specialmente considerata nei fenomeni ve-
getali, permette un più intimo contatto fra i suddetti componenti,
d'onde traggono origine nuovi composti. E di ciò pure abbiamo lun-
gamente detto studiando la maturazione dell'uva.
Ma è però vero di dire che la vite ama piuttosto la siccità che non
l'umido, e basterebbe a dimostrarlo il fatto a tutti notorio, che nei
paesi ove il cielo è abitualmente sereno da aprile a ottobre, con un
persistente alidore, le uve riescono esuberantemente ricche di zuc-
chero cioè perfette per dolcezza e profumo.
Abbiamo però altri fatti che ci provano come la vite si appaghi
di una limitata quantità d'umido, e sia allora più sana, oltre a produrre
frutto migliore. Anzitutto ogni viticultore ha osservato di certo che negli
anni secchi il vino è migliore, e che per contro negli anni umidi la vite
è facilmente infestata da crittogame, onde l'uva riesce mediocre e ciò
quand'anche si vincano questi parassiti. In simili condizioni, cioè se
le piogge sono abbondanti, si ha anzitutto un notevole abbassamento
di temperatura, per la qual cosa tutte le funzioni vitali della pianta
restano se non paralizzate di certo inceppate per deficienza di luce
e di calore.
Inoltre nelle annate umide il succo entra nei frutti troppo abbon-
dante e troppo acquoso, e le cellule destinate ad elaborarlo non pos-
sono farlo che in modo incompleto; il frutto diventa grosso, ma ac-
quoso ed insipido (1).
Quando poi le piogge sopraggiungono alla vigilia, se così possiamo
dire, della vendemmia, oltre al guasto ed al marcimento di molti grap-
poli, si hanno mosti che fermentano lentamente ed incompletamente, e
vini di poca stabilità. Accade allora che gli acini si gonfiano oltre
misura in un tempo relativamente breve, e le fiocine si screpolano;
di qui ha principio il marciume, e quindi sviluppasi la muffa speciale
di cui ci occuperemo studiando le crittogame degli acini.
È pure noto ai viticultori che se le pioggie abbondano durante
l'attecchimento degli acini, vale a dire dopo la fioritura, gli acini
cadono e si ha la cosidetta càscola di cui diremo studiando le ma-
lattie della vite. Qui ci limiteremo a notare che la càscola arreca
spesso danni assai gravi, specialmente se le piogge soverchie cadono
(1) De Candolle loc. cit. pag. 577.
268 CAPITOLO VI
nel mese di giugno e se, come accade quasi sempre, all'azione no-
civa dell'umido, associasi quella nocivissima del freddo.
Infine è pure noto che l'umido soverchio durante il periodo della
fioritura, cagiona 1' aborto dei fiori, di cui abbiamo già parlato stu-
diando la formazione dei viticci, e di cui diremo a lungo più in-
nanzi.
Un altro inconveniente delle piogge è l' abrasione delle foglie
dei tralci e dell'uva causata dalla subitanea comparsa del sole co-
cente: allora le goccioline d'acqua che stanno sulla pianta fanno l'uf-
ficio come d'una lente ustoria, concentrando sovra un solo punto i
raggi solari e causando una alterazione nei tessuti che si palesa poi
come una piccola macchia rosso- nerastra (1).
Infine il grande calore dopo un tempo umido prolungato, provoca
una soverchia evaporazione dalle foglie della vite, specialmente se
il vigneto è situato in esposizione calda e protetta dai venti; in queste
condizioni se perdura l'elevata temperatura le foglie ingialliscono a
poco a poco e finiscono col cadere.
Sono quindi parecchi e gravi gli inconvenienti causati da un ec-
cesso di umido: per precisare meglio la sinistra influenza delle
pioggie sulla qualità dell'uva, riferiremo i saggi comparativi fatti dal
Dr. F. Ravizza alla Stazione Enologica di Asti sui mosti di due anni,
l'uno secco, l'altro umido.
Questi due anni furono il 1877 ed il 1878: i vitigni sui quali si
esperimentò furono il Barbera, il Grignolino e la Fresia. Ecco le
quantità di pioggia cadute:
1877 . . . millimetri di pioggia 62
1878 .. . » 309
Adunque il 1877 fu molto asciutto ed il 1878 molto umido. Ad
onta di ciò i giorni passati dalla fioritura alla completa maturanza
non variarono di molto:
Barbera Grignolino Fresia
1877 . . . giorni 123 117 118
1878 ... » 125 123 122
Variò però sensibilmente la quantità di zucchero, sostanze estrat-
(1) Ne riparleremo al Cap. XXVIII studiando la melata o manna.
METEOROLOGIA VITICOLA
269
tive e tartrato potassico, che fu notevolmente maggiore nelF anno
asciutto, cioè nel 1877:
Densità
Grado Guyot
Zucchero
Tartrato
Acidi
Sostanze
estrattive
Barbera .
1877
1.101
23
200.0
8.52
6.38
242.7
»
1878
1.096
22.5
190.8
6,95
8.59
235.7
Grignolino
1877
1.101
24
208.3
8.12
7.37
242.6
»
1878
1.083
19
168.0
6.21
9.90
202.1
Fresia . .
1877
1.104
24
192.3
8.38
7.47 '
235.8
» . . 1878 1.086 19.5 172.4 6.10 10.00 209.3
Da questo specchietto si desume eziandio che negli anni piovos_
aumenta il per mille di acidi, la qual cosa è un indizio che la ma
turità dell'uva è imperfetta. Il tartrato di potassio aumenta invece
coll'aumentare dello zucchero, come già dicemmo a pag. 223.
Le pioggie abbondanti indussero nel 1878 una notevole diminuzione
nella temperatura misurata entro terra:
Totale dei gradi
dalla fioritura alla completa maturazione
Termometri nel suolo
a metri
0,25
a metri
0,45
a metri
0,65
Barbera
.
1877
3024
2910
2841
»
. . .
1878
2841
2875
2729
Grignolino
, .
1877
2954
2826
2749
»
. • •
1878
2791
2719
2682
Fresia
. .
1877
2981
2850
2772
»
#
. 1878
2766
2700
2658
La temperatura totale (dalla fioritura alla completa maturanza)
misurata a 25 centimetri di profondità fu notevolmente maggiore
nell'anno asciutto (1877) in cui ad esempio il barbera ebbe un to-
tale di 3024 gradi, cioè circa 200 di più che non nell' anno umido
(1878). È facile però intendere come queste differenze vadano di-
minuendo col crescere della profondità, perchè negli strati inferiori
è minore la evaporazione che è causa del raffreddamento del terreno:
nel 1878 ad ogni modo il terreno si raffreddò assai più che non nel
precedente anno, causa le molte piogge. Tutti questi fatti giovano
a dimostrare viemeglio quanto l'umido soverchio sia dannevole alla
vite.
270 CAPITOLO VI
§ 4. L'elettricità e la vite. — L'influenza grande che l'elet-
tricità esercita sulla vegetazione, ci induce a svolgere questo pa-
ragrafo con alquanti dettagli, tanto più che gli studii che hanno
tratto all'elettricità ne' suoi rapporti colla vite, sono abbastanza re-
centi e poco conosciuti.
L'illustre J. Sachs premesso che « colle radici nel suolo la pianta
terrestre svolge nell'atmosfera i suoi rami e le sue foglie e presenta
all'aria un'ampia superfìcie, e che il tessuto della pianta è imbevuto
intieramente di liquidi elettrolitici », ritiene che la pianta sia capace
di eguagliare le differenze elettriche che possono esistere tra il suolo
e l'atmosfera, a mezzo delle correnti che traversano dall'alto al basso
tutto il tessuto vegetale. Ora siccome Y atmosfera possiede d' or-
dinario una tensione elettrica differente dalla tensione elettrica del
terreno, e siccome questa differenza di tensione cambia secondo il
tempo che fa, si è tratti a credere che si operino continuamente at-
traverso alle piante degli scambi di elettricità. « Queste correnti con-
tinue esercitano esse un'azione favorevole sui fenomeni della vege-
tazione? Le improvvise e potenti scariche elettriche che hanno luogo
in occasione della caduta del fulmine attraverso gli alberi dimostrano
per lo meno che delle deboli differenze di tensione elettrica possono
egualmente neutralizzarsi con lentezza attraverso al corpo della
pianta ».
Nollet in Francia, Jallabert a Ginevra, Mambray ad Edimburgo
fecero fin dal secolo scorso esperienze in proposito su piante ed a-
nimali, caricando di elettricità con macchine a sfregamento V am-
biente in cui racchiudevano le une o gli altri, oppure in cui pone-
vano semi a germogliare; e ne dedussero che un aumento di ten-
sione elettrica accelerava le funzioni vitali.
Il prof. G. A. Ottavi mio padre scriveva nel suo Coltivatore (voi. 19,
pag. 160): « Le cose più meravigliose della natura, come la riso-
luzione dei problemi più diffìcili, pare siano inerenti a questo potente
fluido (l'elettricità). Ad esso perciò, se pure non mi illudo, si do-
vranno le maggiori scoperte dei secoli avvenire. »
Duhamel de Monceau nella sua Fisica delle piante insiste sul ra-
pido sviluppo delle piante stesse durante i tempi procellosi e sull'azione
benefica delle piogge, anche sulle piante acquatiche, « S'incominciano
a vedere nella natura, egli aggiunge, altri agenti potentissimi che
possono produrre questi effetti; la virtù magnetica e quella dell'e-
lettricità possono esser portate ad esempio: chi sa che non ve ne
METEOROLOGIA VITICOLA 271
sia una infinità d'altre? L'abate Nollet, il signor Le Mosnier il
medico e vari altri fisici, ci hanno fatto intravedere che l'elettricità
può influire sulla vegetazione. »
L'abate Bertolon è più reciso; « l'elettricità dell'atmosfera ha sulle
piante, come sopra tutti gli animali e particolarmente sull'uomo, una
influenza ben marcata. » E le sue esperienze provarono che codesta
influenza era delle più benefiche per la vegetazione.
Ma il merito di avere in questi ultimi tempi con esperimenti
esatti tratto conclusioni più precise, spetta al signor Grandeau in
Francia ed in Italia ai compianti nostri scienziati dott. Celi e dottor
Macagno.
Per constatare con un'esperienza diretta se l'elettricità atmosferica
esercita o no una influenza sulla vegetazione, il sig. Grandeau u-
sando di terreni più o meno differenti per origine, per ricchezza va-
riabile in principii nutritivi, per profondità diverse ecc., ma pren-
dendone sempre due identici per natura e condizioni esterne in cia-
scuna esperienza, in questi poneva due piante della stessa specie e
tanto eguali tra loro da potersi paragonare senza errore. Così queste
due piante si trovavano in condizioni assolutamente simili sotto ogni
riguardo: terreno, umidità, luce, ecc. Soltanto che una delle due
piante la lasciava crescere liberamente nell'aria a contatto di tutta
l'elettricità atmosferica; per l'altra invece l'aria circostante veniva
privata dell'elettricità atmosferica ed ecco come:
Due casse metalliche, munite di fori nella parte inferiore, conte-
nenti ciascuna 19 chilogr. della medesima terra, venivano infossate
nel terreno di un giardino ai ò\6 circa della loro altezza. Una delle
casse era posta all'aria libera; l'altra era superiormente coperta da
una leggiera gabbia in ferro alta metri 1,50 e larga lateralmente
metri 0,40, come si vede nella figura 65. Questa gabbia era
formata da quattro montanti in ferro di m. 0,01 di diametro, uniti
tra loro da una rete in filo di ferro fino (m. 0,0005) a maglie di
m. 0,15 su m. 0,10; questa gabbia lascia libero accesso all'aria, alla
luce, al calore, all'acqua, ecc.; essa non ha altro effetto che quello
di sopprimere intieramente per la pianta che vi sta dentro, l'azione
dell'elettricità atmosferica.
Le due casse erano poste a poca distanza l'una dall'altra; esse
ricevevano egualmente e durante lo stesso tempo, i raggi del sole,
la pioggia, ecc. In un angolo di ciascuna delle due casse, il Gran-
deau pose, al principio della esperienza, due scatole metalliche con-
272
CAPITOLO VI
tenenti lo stesso terreno delle casse; esse erano destinate a servir
di confronto per le variazioni che la terra senza piante subisce nella
sua composizione pel contatto prolungato con l'atmosfera ed a stu-
diare così la nitrificazione naturale del suolo nudo, sottratto o non
all'azione dell'elettricità.
Le esperienze furono fatte sul tabacco, sul mais caragua, e sul
frumento Chiddam.
Esperienze sul tabacco. — Il 7 aprile 1877 in ciascuna delle
due casse fu posto un piede di tabacco, proveniente dalla stessa
aiuola, pesante gr. 3,5 ed avente quattro foglie primordiali. Queste
piante affatto identiche avevano completamente attechito al 14 aprile.
A partire dal 20 dello stesso mese fino al giorno del raccolto (7 a-
gosto) si constatarono differenze assai notevoli nello sviluppo dei
due tabacchi: quello che vegetava all'aria libera si comportava come
METEOROLOGIA VITICOLA
273
le altre piante vegetanti vicino a lui in piena terra; quello invece
che era posto sotto la gabbia cresceva assai meno rapidamente in
altezza ed in diametro. Tutti e due erano vigorosi; le loro foglie,
assai verdi, dinotavano una regolare funzione, benché sensibilmente
differente in intensità, della cellula clorofilliana. Al 7 agosto la pianta
fuori gabbia aveva fiorito ed i grani incominciavano a formarsi,
mentre la pianta sotto gabbia assai in ritardo relativamente all'altra,
presentava appena qualche bottone, ma neanche un fiore.
Eccone i dati dei pesaggi e dell'analisi:
TABACCO
Altezza totale
Numero delle foglie . . .
Peso delle foglie fresche
Peso medio di una foglia .
Peso dei fusti e delle radici
Peso totale della raccolta
Peso della so- l foglie . .
stanza secca \ fusti e radici
Acqua
Materie azotate
Materie idrocarbonate . .
Ceneri (materie minerali)
fuori
m.
gr.
gabbia
1,05
14
107
7,64
106
273
13
17
243,000
2,269
24,629
3,102
sotto
m.
gr
30
gabbia
0,69
10
70
7
70
140
8,5
9,0
122,500
1,325
13,755
2,420
17,5
Per potere fare un paragone, supponendo eguale a 100 la quan-
tità delle sostanze della pianta in piena elettricità, avremo i seguenti
dati:
fuori gabbia sotto gabbia
Materia vivente totale 100 51,28
Materia azotata » 58,39
Materie idrocarbonate (cellulosa, amidacee) » 55,85
Ceneri » 98,02
Esperienze sul mais cavagna. — All' 8 agosto alle due piante
di tabacco furono sostituite due piante di mais in tutto paragona-
bili; misuravano m. 0,18 di altezza e pesavano ciascuna gr. 2,8; il
terreno fu concimato egualmente in tutte e due le casse; al 13 agosto
le piante avevano attecchito; al 21 dello stesso mese la differenza
nello sviluppo dei due mais era assai sensibile, poiché la pianta tolta all'e-
lettricità cresceva assai meno della pianta all'aria libera. All'8 ottobre
per tema delle brinate fu fatto il raccolto: la differenza apparente
O. Ottavi, Trattato di Viticoltura 19
274 CAPITOLO VI
tra le due raccolte si accentuò piuttosto nello sviluppo del diametro
del fusto e delle foglie, che sull' altezza delle piante.
Ecco i dati dell'analisi
MAIS
fuori gabbia sotto gabbia
Altezza totale m. 1,10 0,98
Numero delle foglie » 7 7
Peso dei fusti e foglie gr. 86 50
Circonf. del fusto ad 1 decim. dal colletto
delle radici ..*... cm. 5,3 4,1
Peso della raccolta secca gr. 7,922 5,428
Acqua » 78,078 44,572
Materie azotate » 1,084 0,673
Materie idrocarbonate » 5,696 3,693
Ceneri , . . . . » 1,142 1,062
Supponendo anche qui eguale a 100 la quantità delle sostanze
delle piante in piena elettricità, avremo i dati seguenti:
fuori gabbia sotto gabbia
Materia vivente totale 100 58,14
Materie azotate » 62,08
Materie idrocarbonate » 64,45
Materie minerali » 92,99
Esperienza sul frumento Chiddam. — Al 6 novembre 1877
dopo aver ben lavorato la terra delle due casse, vi fu seminato il
frumento; la nascita fu regolare e le piante si comportarono sensi-
bilmente nello stesso modo dal novembre alla fine di marzo. Al primo
aprile 1878 i frumenti delle due casse non presentavano alcuna dif-
ferenza marcata per l'altezza ed il vigore. Al 25 maggio i fusti del
frumento misuravano in ambo le casse da m. 0,38 a 0,40 di altezza,
ma il volume apparente dei fusti era assai differente; il frumento
cresciuto all'aria libera aveva maggior grossezza, mentre i fusti del
frumento sotto gabbia erano assai meschini.
Tolti sei gambi, tagliati rasente terra in ambedue le casse, si trovò :
Peso dei 6 fusti fuori gabbia gr/ 6,570
» sotto gabbia » 4,950
Un accidente impedì di proseguire 1' esperimento fino alla matu-
rarla ; ma il frumento rimasto sotto gabbia rimase intristito, fiori
METEOROLOGIA VITICOLA 275
difficimente, molti fiori abortirono e la raccolta in grano fu poco ab-
bondante.
Da queste sperienze il Grandeau trasse le seguenti conclusioni:
1° I vegetali sottoposti all' esperienza furono notevolmente in-
fluenzati nel loro accrescimento della soppressione della tensione e-
lettrica dell'atmosfera che li circondava. La proporzione dei tessuti
viventi formati in assenza dell' azione dell' elettricità atmosferica fu
inferiore del 27,09 per cento alla produzione normale.
2° Il tasso di materia secca elaborata dalla pianta si è abbas-
sato sotto la gabbia del 29,71 per cento; quello della materia azo-
tata del 20,28 per cento; il tasso delle materie amilacee (zuccaro,
amido, ecc.) fu specialmente influenzato dalla soppressione dello stato
elettrico dell'aria; si abbassò del 31,75 per cento sotto la gabbia.
3° Le piante vegetanti all'aria libera assorbirono un po' più di
azoto (0,06 per cento) ed assai meno di sostanze minerali.
Il compianto Dott. Celi fece esperienze consimili alle precedenti,
seminando alcuni semi di mais in ambienti elettrizzati, ed altri in
ambienti non eletrizzati. Germinati i semi, le piante si svolsero in
proporzioni assai differenti; al 10 agosto misurate le piante si eb-
bero le seguenti dimensioni:
Piante nell'aria elettrizzata, altezza metri 0,17
Id. non elettrizzata » » 0,08
Ma veniamo infine alla Vite, che fu essa pure sottoposta ad eguali
esperienze per cura del compianto nostro collega Dott. Macagno. Egli,
all'Istituto Agrario di Castelnuovo (Palermo) applicò a 16 viti l'ap-
parecchio indicato nella figura 66.
Un filo di rame M N, innestato mediante punta di platino nella
estremità superiore del tralcio frutticoso, era spinto verticalmente
nell' aria ad un' altezza di 80 centimetri circa sopra la linea A B,
che indica l'altezza cui arrivano le foglie e le punte dei tralci della
vite durante la sua vegetazione.
Questo filo fu fissato con sostegni isolatori al palo stesso, ove si
vengono ad attorcigliare e legare i tralci più lunghi, secondo il si-
stema del luogo. Alla base del tralcio frutticoso venne pure innestato
con punta di platino un altro filo di rame O P che andava nel suolo.
In tal modo le 16 viti si trovavano nella condizione di ricevere
più facilmente delle altre F influsso dell'elettricità atmosferica. L' ap-
276
CAPITOLO VI
parecchio venne applicato al 15 aprile e lo si lasciò fino al 20 set-
tembre, giorno della vendemmia. Raccolti allora i tralci frutticosi
Fip-. 06.
tanto di queste come di altre viti vicine lasciate in condizioni ordi-
narie per confronto, vennero analizzati, ed eccone i risultati:
METEOROLOGIA VITICOLA
277
Quantità per cento
Nel legno secco a 110°
Materie minerali
Potassa
Calce
Acido fosforico
Nelle foglie secche a 110°
Materie minerali
Potassa sotto forma di bitartrato
Potassa sotto altra forma . .
Calce
Acido fosforico
Bitartrato potassico
Acido malico
Acido tannico .......
Acido tartarico libero . . . .
Amido e destr
Glucosio , . .
Negli acini freschi
Mosto per cento
Acqua
Glucosio
Acido tartarico libero . . . .
Bitartrato di potassa . . . .
Acido tannico .......
Acido malico
Viti
Viti
aturali
con apparecchio
3,684
3,115
0,642
0,541
1,184
1,192
0,182
0,128
13,415
14,415
0,795 )
0,429 j
22! 0.871J
'~~X 0,390) V°
5,211
5,321
0,428
0,665
3,180
3,491
2.480
2,515
12,760
11,911
2,051
3,221
9,730
10,415
3,444
3,528
78,21
79,84
75,80
74,23
16,86
18,41
0,112
tracce
0,880
0,791
0,180
0,186
0,064
0,058
Considerando le sole materie minerali troviamo, siccome conchiude
il Macagno, che esse abbondano di preferenza nelle viti naturali
quando si consideri soltanto il loro peso totale. Nelle foglie invece
succede il rovescio, essendo maggiore la loro quantità nelle viti
che hanno subito maggiore influsso elettrico. Ciò indicherebbe una
certa accelerazione di forza vegetativa prodotta dall'elettricità, giac-
ché dove essa scarseggia sembra che le materie minerali stentino a
diffondersi per tutta la pianta.
Altro indizio di questa speciale tendenza indotta dall' elettricità è
la distribuzione della potassa. Nei tralci è maggiore per quelle viti
che rimasero in condizione naturale, per un ritardo forse di vege-
tazione, ma nelle foglie delle viti munite d'apparecchio metallico, non
solo essa è un po' maggiore, ma osservasi molto più pronunciata la
278 CAPITOLO VI
quantità combinata con acido tartarico. Il bitartrato di potassa è più
abbondante là dove è più facile l'accesso dell'elettricità ; ed oltre ciò
rispettivamente alla quantità totale della potassa è maggiore quella
trasformata in bitartrato, prodotto caratteristico dell' attività delle
foglie. Sopra 100 parti di potassa 65 nelle foglie delle viti naturali
stanno combinate coll'acido tartrico, mentre nelle altre ve ne sono 69.
Nessun' altra differenza rimarchevole si rileva nella composizione
delle foglie, tranne una certa tendenza a produrre maggiormente
amido e glucosio per quelle munite del suddetto apparecchio.
Ma dove le risultanze dell'esperimento danno una più chiara idea
dell' influenza che l'armatura metallica applicata alle viti può avervi
esercitato, è nell'esame dell'analisi degli acini freschi.
Quelli lasciati nelle condizioni naturali presentano un carattere di
maturanza ritardata rispetto agli altri che meglio poterono ricevere
elettricità dall'aria. Cioè-, troviamo nei primi meno mosto, meno glu-
cosio e maggior dose di acidi.
Le differenze sono molto sensibili, per cui se ne deve conchiudere
che l'elettricità facilita ed accelera lo sviluppo degli elementi
del grappolo, nel tempo stesso che porta maggior attività nelle
foglie della vite.
Di questi interessanti studii non venne fatta sin'ora veruna pratica ap-
plicazione; ma noi crediamo che in un avvenire non lontano si penserà
a trarre partito dell'influenza elettrica anche nella coltura della vite.
§ 5. La grandine e la vite. — Questa idrometeora è senza
dubbio uno fra i più terribili flagelli delle viti. Da osservazioni fatte
sino dal precedente secolo risulterebbe che gli è specialmente nel qua-
drimestre maggio-agosto che le grandinate sono più funeste, benché
si diano talvolta eccezioni.
La grandine reca danni diretti ed indiretti. I danni diretti sono
la percossa e le abrasioni dei tessuti, la rottura dei tralci, la scortec-
ciatura, infine la acciaccatura e lo sgranellamento dei grappoli, I
danni indiretti provengono dal notevole abbassamento di temperatura
che segue sempre la caduta della gragnuola.
I danni diretti sono più o meno gravi secondochè la grandine cade
accompagnata o non da acqua; tutti i viticultori sanno che la cosi
detta tempesta secca o asciutta è la più temibile, mentre se la gra-
gnuola è accompagnata dalla pioggia può anche arrecare danni in-
significanti.
METEOROLOGIA VITICOLA 279
Il guasto è poi maggiore se spira un forte vento, perchè in questo
caso i diacciuoli della grandine colpiscono, cadendo obbliquamente,
anche quelle parti della vite che probabilmente sarebbero rimaste il-
lese. Anche la grossezza dei diacciuoli influisce, come è naturale, a ren-
dere la percossa più o meno dannosa: il loro peso può raggiungere
proporzioni incredibili; si narra di palle di gragnuola che pesavano
oltre i cinque chilogrammi (1) e che formarono sul terreno uno strato
alto 25 centimetri. Certo queste sono rarissime eccezioni; ma diac-
cioli del peso di varii ettogrammi sono frequenti, e ne facemmo una
dolorosa esperienza nel 1884, specialmente alla funesta grandinata del
6 giugno. La grossezza dei diacciuoli dipende dalla violenta agita-
zione che sempre ha luogo nelle nubi temporalesche, per la quale i
granelli di grandine vengono sbattuti gli uni contro gli altri, e quasi
diremmo saldati, per modo che il loro volume si va mano mano ac-
crescendo; alcuni osservatori hanno potuto udire il rumore prodotto
dal cozzo dei diacciuoli fra di loro, come ci narra Marié-Davy (2)
accennando alle trombe che accompagnano sempre la formazione
della grandine nelle nubi.
Infine i danni della grandine sono gravissimi e senza rimedio se
essa cade quando la vite ha appena messo fuori i grappolini, perchè
allora una grandinata anche minuta può compromettere tutto il rac-
colto d'un vigneto. È noto infatti che molte Compagnie di assicura-
zione non accettano rischi anteriori al 15 di giugno.
Indirettamente la grandine arreca danno alle viti, come già di-
cemmo, per l'abbassamento notevole di temperatura che trae seco.
Dalle medie termometriche da noi raccolte prima e dopo le quattro
funestissime grandinate che nell'estate del decorso 1884 distrussero
i nove decimi del raccolto dell'uva nel basso Monferrato (circon-
dario di Casale) ci è risultato quanto segue:
Temperatura media Termom. sul suolo del vigneto (Esp. Sud.)
— in luogo soleggiato
Prima della grandine (a mezzodì) . 40° C.
Poche ore dopo la grandine . . 20° C.
La mattina successiva (ore 6) . . 16° C.
Il giorno dopo (a mezzodì) . . 25° C.
Due giorni dopo 35° C.
(1) Van Meeske. Grèle tombée à Koewacht (Fiandre Zélandaise) il 25 agosta
1853. (Citato da Berti-Pichat: Istituzioni: lib. II. Cap. I.)
(2) Meteorologie et Physique agricoles — 171.
280 CAPITOLO VI
Come vedesi il raffreddamento durò per molto tempo, recando senza
dubbio grave danno alle viti, le quali dopo le grandinate hanno invece
d'uopo di molto calore. Il compianto Dr. Macagno fece analoghe osser-
zioni a Gattinara (alto Novarese) nell'anno 1877 in cui ebbero luogo
colà tre grandinate addì 9, 18 e 22 maggio. Eccone i resultati:
Terni, nell'aria Termometro nel suolo
ci £L £b <X <X
50 centim. 10 e. 20 e. 30 e. 40 e.
Media delle temperature
osservate per cinque
giorni innanzi il tem-
porale del 22 maggio 20° C. 21° C. 18° C. 17° C. 17° C.
Media delle temperature
osservate per sette
giorni dopo il tempo-
rale del 22 . . . 16° C. 15° C. 16° C. 10° C. 16° C.
Da questi dati risulta che non bastarono sette giorni per rimet-
tere il terreno nelle primitive condizioni di temperatura: inoltre, l'ab-
bassamento di temperatura subito fu più marcato negli strati super-
ficiali e specialmente a 10 centim. di profondità, ove si ebbe un ab-
bassamento maggiore di quello che ebbe luogo nell'aria.
La grandine tuttavia sarebbe assai meno nociva di per sé stessa,
se discendesse placidamente dalle nubi come la neve; anzi come que-
st'ultima idrometeora, recherebbe un po' d'ammoniaca nel terreno,
siccome ha constatato il sig. Mene, analizzando i diacciuoli caduti
presso Parigi il 5 maggio 1851.
Diremo al capitolo XXVIII come sia possibile porre rimedio en-
tro certi limiti ai danni che cagiona la percossa della grandine. Qui
ci rimane solo a dire che la sua caduta è preannunciata da un
crepitìo speciale dovuto all'urto dei diacciuoli gli uni contro gli al-
tri, come già accennavamo or' ora. Inoltre le nubi assumono un a-
spetto rigonfio ed una tinta giallo -grigia; sono i così detti nembi dei
meteorologisti, situati a grandi altezze ove la temperatura è molto
bassa (sotto Io zero), d'onde la formazione della grandine, che poi
scende dagli alti strati delle nubi e si ingrossa vieppiù. Il nembo
temporalesco suole però terminare inferiormente assai basso, cioè
METEOROLOGIA VITICOLA
281
all'altezza di un miglia o poco più (1). « Se il nembo ha. piede, cioè
se insiste per lunga base sull'orizzonte e rapido se ne solleva, ma-
nifestando come un fremito nei nuvoli congregantisi, e manda fre-
quentissimi lampi e un continuo ma cupo rumore, a ragione temesi
allora il temporale con rovescii di pioggia e di gragnuola, tanto più
orrenda quanto più la stagione sarà stata calda ed asciutta. » Così
si esprime, e giustamente, il rinomato Nipote del Vestaverde, ac-
cennato dal Prof. Gaetano Cantoni nella sua Enciclopedia agraria.
La regione d'Italia ove sono più frequenti i temporali, e quindi
anche le grandinate, è la Valle del Po, come risulta dal seguente
specchio:
Giorni
TEMPORALESCHI
STAZIONI
o
ci
CD
>
o
0
u
c3
c3
0
CD
>
a
2
3
<
£
*
San Gottardo
0,4
1,6
0,8
2,8
Biella . .
4,4
9,8
0,4
14,6
Torino .
4,6
5,2
0,6
10,4
Moncalieri
8,6
14,2
2,0
24,8
Mondovì
4,0
10,4
2,2
16,2
Alessandria
4,8
10,8
2,8
18,4
Lugano .
3,0
9,2
2,8
15,0
Milano .
4,0
13,2
2 2
19,4
Pavia
0,2
3,2
10,6
2', 8
16,8
Guastalla
0,2
4,8
13,2
2,8
21,0
Modena .
—
3,6
8,8
2,2
14,6
Bologna .
—
2,4
12,6
3,4
18,4
Forlì . .
2,0
6,2
3,0
11,2
Firenze .
0,2
4,6
6,0
3,0
13,8
Siena . .
1,4
3,8
5,4
2,8
13,4
Urbino .
0,4
1,2
7,0
2,0
10,6
Perugia .
0,4
1,6
7,6
1,8
11,4
Roma
0,8
2,8
6,4
2,6
12,6
Napoli (S. R.)
2,0
3,6
5,4
5,2
16,2
Locorotondo
0,4
3,0
5,4
9 9
11,0
San Remo . .
0,4
1,8
2,9
1,8
6,9
Genova . .
1,6
4,8
10,0
3,2
19,6
Livorno . . .
0,2
3,0
5,8
2,4
11,4
Ancona . .
0,2
1.4
6.2
2,0
9,8
Napoli (0. U.)
1,6
3,2
7,6
4,6
17,0
Reggio (Calabi
iaj .
0.4
1,4
2,8
2,8
7,4
Palermo ....
2,0
3,0
3 9
3,0
11,2
(1) Enciclopedìa agraria. — Climatologia italica. Dott. Paolo Cantoni, p. 254.
282 CAPITOLO VI
§ 6. La brina e la vite. — La brina è pure una funesta i-
drometeora per la vite, benché possa tornare di giovamento all'uva,
come diremo tra poco: distingueremo intanto le brine primaverili
da quelle autunnali, essendo assai differenti i loro effetti sulla nostra
ampelidea.
Vediamo anzitutto come si formi la brina sulle viti e sui vege-
tali in genere. Man mano che il calore diminuisce per il tramonto
del sole, F atmosfera, specialmente ne' suoi strati inferiori, cioè
più caldi, va via deponendo del vapore allo stato acquoso, perchè
scemando la temperatura scema anche la quantità di vapore che l'a-
ria può tenere mescolata. Da accurate esperienze in proposito risultò
infatti, che ove la temperatura atmosferica durante la notte scendesse
da 25 a 20 gradi, ogni metro cubo di aria depositerebbe 584 cen-
tigrammi di vapore acqueo: che se da 20 scendesse a 15 gradi, cotale
deposito sarebbe di centigrammi 460 e cosi via via. Ma questa non
è la sola causa della produzione, durante la notte, del vapore acqueo:
ve n' ha un' altra, ed è l'irradiazione notturna della terra. Anche il
terreno, perdendo calore, produce vapor acqueo, benché in minor
proporzione di quanto ne producano i succitati strati atmosferici; il
dott. Wells lo dimostrò chiaramente a mezzo di due fiocchi di lana
di dieci grammi caduno collocati, durante quattro notti di seguito,
l'uno sopra un'asse lunga lm ,50, larga 0m,75 e spessa 0m,02 tenuta
con quattro sostegni ad un metro dal suolo, e l'altro subito al di-
sotto dell'asse istessa. Come si vede il fiocco di sopra era solo in
grado di ricevere il vapor acqueo condensato degli strati atmosferici,
mentre quello di sotto era esposto all'influenza dell'evaporazione del
suolo: ora, il dottor Wells ebbe a constatare ripetutamente che il
vapor acqueo del primo fiocco era il triplo e talvolta anche il quin-
tuplo di quello assorbito dal secondo.
Oltre alla terra vi sono pure i vegetali, nelle loro parti verdi, che
si coprono da loro stessi di una certa quantità di umido, il quale si
condensa tosto sulle foglie venendo in contatto con l'aria fredda dopo
il tramonto del sole. Ciò avviene per causa della traspirazione, la
quale non cessa subitamente col repentino mutarsi della temperatura
dell'aria quando fa notte, ma diminuisce invece grado a grado. E
naturale che se l'atmosfera è molto fredda quell'umidore assuma lo
stato di brina.
Ma ritornando al vapor acqueo che può trovarsi in più nell'at-
mosfera quando il sole è tramontato, diremo come, secondo la teoria
METEOROLOGIA VITICOLA 283
di Wells, esso vada a depositarsi e condensarsi sui corpi che hanno
la temperatura del gelo; e si deposita in tanto maggior copia quanto
più freddo è il corpo stesso: — infatti noi possiamo di leggieri per-
suadercene osservando che la brina non è egualmente intensa sopra
tutto che venga di notte tempo esposto all'aria libera. Come un ve-
getale possa venir coperto di brina si spiega facilmente riflettendo che
esso perde di notte tempo, per irradiazione, il calorico che ebbe dal
sole durante il giorno (1) e tende insomma ad equilibrare la sua tem-
peratura con «quella degli strati superiori atmosferici verso cui va ir-
radiando calore (fig. 67). La temperatura del suolo, nonché quella degli
strati dell'atmosfera ambiente, può essere anche superiore allo zero.
Fig. 67.
ma ciò non costituendo un ostacolo per l'irradiazione notturna, le
gemme delle viti, ad esempio, possono benissimo gelare, appunto per
aver perduto tanto calore da scendere sotto lo zero.
Da ciò è ovvio il dedurre che se — stando sempre nel caso nostro
speciale delle viti — si venisse a porre un ostacolo qualsiasi, come
un tetto, una larga stuoia di paglia, insomma un tramezzo purchessia
fra le gemme ed il cielo, esse non si raffredderebbero al segno da
condensarvisi e congelarvisi sopra del vapor atmosferico, vale a dire
da rimaner brinate. E questo è tanto vero che quando il cielo non
è completamente sereno non si hanno notti brinatose: le nubi interpo-
(1) A parte questo, è noto che il calore proprio delle piante nel verno è sem-
pre superiore all'atmosferico. Ha quindi luogo un'irradiazione forte nelle notti
serene e tranquille.
284 CAPITOLO VI
nendosi allora fra glispazii plaaetarii e la superfìcie della terra (fig. 68)
sono un potente ostacolo all'irradiazione, trattenendo il calore per-
duto dalla terra, dalle piante, ecc., fra esse ed il suolo stesso; però
notisi anche che le nubi hanno di per sé stesse una temperatura di
molto superiore a quella del firmamento.
mm.
Fig. 63.
Acciò possa formarsi la brina è poi altresì necessario che non vi
siano, di notte tempo, dei venti; i quali, oltreché diminuiscono l'umi-
dità dell'aria, inceppano altresì la suddetta irradiazione. Ma si badi
che parliamo qui di venti, poiché ognuno sa come nelle notti d'aprile
o di maggio si formino forti brinate anche in presenza di leggere
correnti d'aria, le quali costituiscono appunto uno fra i più serii o-
stacoli all'uso delle nubi artificiali contro le brine.
Conosciute così le cause che facilitano la formazione di questa i-
drometeora, è necessario che entriamo a discutere sulle osservazioni
termometriche che il viticultore deve sapere fare, per non essere
colto alla sprovvista. In generale si commette un grave errore, ed è
quello di collocare il termometro sotto una pianta, oppure appeso al
tronco o ad un muro o sulla finestra: ma lo strumento viene così ad
indicarci un grado che non è quello che noi abbiamo interesse di co-
noscere. Noi vogliamo avere la misura della irradiazione, per cono-
scere sino a qual segno la terra si vada raffreddando, mentre ci
importa poco della temperatura dell'aria; poiché abbiamo già detto
che l'ambiente può essere a 4, 5 e più gradi sopra lo zero, e tut-
tavia le gemme delle viti e la superficie del suolo ricoprirsi di brina.
METEOROLOGIA VITICOLA 285
Il termometro adunque si deve collocare alla superficie del suolo,
all'aria libera, in guisa che possa segnare un grado che sia in re-
lazione colla potenza dell'irradiazione notturna. Collocando allora al-
tro termometro contro un muro sarà facile accorgersi che in certe
notti mentre il primo segna 1-2 gradi sotto lo zero, il secondo può
indicarne 4°-5° sopra: senza dubbio allora, se si verificano le citate
condizioni, v'ha formazione di brina.
In Francia dove le viti hanno a soffrire, quasi annualmente, gravi
danni dalle brine, si sono costrutti speciali termometri con suoneria
elettrica che, collocati nella vigna, avvisano in tempo utile il vigna-
iuolo acciò dia mano ad accendere quei fuochi che producono le nubi
artificiali. Si dovette ricorrere a questi congegni perchè, quantunque
le brinate avvengano in un periodo di giorni abbastanza bene defi-
nito, pure spesse volte i viticultori si trovavano presi così all'improv-
visa, che più non era loro dato di porre un freno alla idrometeora
devastatrice (1).
Ed ora che sappiamo come si formi la brina, vediamo in qual
modo si renda cotanto dannosa alle gemme od alle teneri messe
della vite. Secondo l'opinione generale, i primi raggi del sole che
si leva, cagionano un disgelo precipitato che disorganizza i tessuti
vegetali; inoltre le goccioline di brina agiscono come lenti ustorie,
di cui già parlammo a pag. 268. Ma si è osservato che, anche te-
nendo all'ombra, sino dall'alba, le viti brinate, esse soffrono ugual-
mente come se fossero state colpite dai raggi del sole. Conviene
dunque ammettere che la brina sia tanto pregiudicievole per la
grande perdita di calore che i vegetali subiscono allorquando essa
si va formando: il calore è vita, e sottrarlo alle cellule vegetali vuol
dire ucciderle. Inoltre sotto l'influenza di temperature assai basse, il
succo della vite abbandona la sua aria (2) d'onde un disordine nei
tessuti. La morte delle parti colpite dalla brina e dal gelo è da at-
tribuirsi, secondo l'illustre Sachs, al disgelo repentino, il quale senza
dubbio è più a temersi del gelo stesso: secondo l'illustre fisiologo te-
desco le cellule delie piante gelate sono in uno stato particolare che
le rende molto più permeabili ai liquidi; le materie albuminoidi di
cui sono tapezzate e la cellulosa, di cui è formata la loro membrana,
(1) Si possono avere simili termometri dall'officina Galileo di Firenze.
(2) Allorquando l'acqua si congela, essa abbandona V aria che teneva disciolta.
Così J. Girardin.
286 CAPITOLO VI
si concretano per l'azione del freddo, e l'acqua di costituzione se ne
separa: esse hanno allora una grande tendenza a vuotarsi. La mag-
gior parte perdono questo stato anormale allorquando il disgelo è
assai lento; ma se la temperatura si rialza al punto da ristabilire
il movimento vitale innanzi a che le cellule abbiano ripreso il loro
stato normale,- esse si vuotano e muoiono.
La brina si forma più facilmente e più copiosa nei vigneti situati
presso le acque stagnanti, ove l'aria è assai tranquilla; oppure nelle
valli umide, o presso grandi masse di alberi che traspirano molto
vapor acqueo. La presenza delle piante erbacee e delle cereali nei
vigneti è pure una causa che facilita le brinate; conviene dunque
tenere mondo e lavorato il vigneto: ma in ciò non convengono
tutti i viticultori, come diremo più ampiamente al cap. XXVIII.
È invece difficile si forni la brina nei vigneti situati in luoghi
elevati, scoperti, ove l'aria circola liberamente e asciuga facilmente
il terreno, nonché presso i grandi corsi d' acqua soggetti al flusso
e riflusso, o meglio ancora presso al mare, appunto • perchè quivi
l'aria si può dire che è in movimento continuo.
Si sono fatte osservazioni tendenti a pronosticare nell'inverno se
la primavera sarà o non molto brinatosa; stimiamo utile di qui ri-
assumerle. Le condizioni meteorologiche dei mesi di gennaio e di
febbraio hanno senza dubbio una certa influenza: 1°) sull'andamento
della successiva primavera, nulla essendovi di più logico che di applicare
al caso nostro il detto del Laplace nel suo « Saggio sulla probabi-
lità », essere cioè lo stato presente dell'universo l'effetto del suo stato
anteriore, e la causa di quello che andrà a seguire; 2°) sui maggiori
o minori pericoli cui può andar esposta la vegetazione durante le
notti fredde di aprile o di maggio.
Hanno influenza sull'andamento dei mesi primaverili, perchè allor-
quando l'inverno trascorre molto nevoso, si hanno — parlandosi special-
mente della nostra Italia del nord e del centro — venti freddi dai monti,
e quindi notevoli abbassamenti di temperatura durante la notte. E
dove si è vicini a montagne coperte di neve, non c'è bisogno di venti
perchè s'abbia nelle notti d'aprile e maggio un sensibile abbassamento
al termometro. Siccome poi per la molta neve il suolo assorbe mag-
gior copia di umidore, così avviene che in seguito ne cede anche
molto all'aria durante l'irradiazione notturna: il suolo infatti si ri-
scalda al sole di aprile e maggio, ma dopo il tramonto irradia il ca-
lore ricevuto durante il giorno; ora perdendo calore perde anche
METEOROLOGIA VITICOLA 287
una parte della sua umidità, ed ecco che questo vapore acquoso si con-
densa in goccioline a cagione del raffreddarsi dell'atmosfera, e spesso,
a contatto di corpi freddi, passa allo stato di brina, che — nel caso
delle viti — trovasi poi tanto più abbondante quanto più le gemme
od i teneri germogli sonosi raffreddati di notte tempo. Può quindi
ritenersi che cadendo molta neve durante gennaio e febbraio, si hanno
facili brinate in primavera, tanto più quando non mancano nevicate
in marzo. Questa neve liquefacendosi, andrà infatti ad accrescere l'u-
midità del terreno. E qui noteremo di passaggio che i fossi di scolo
numerosi e ben nettigioverebbero a grand'uopo per smaltire più pron-
tamente ed in maggior copia cotale eccesso di acqua; si sappia quindi
trarne profitto.
I predetti mesi del verno hanno poi anche una certa influenza sull'entità
del danno che può dalle brinate derivarne alla vegetazione; infatti
quantunque si vada erroneamente dicendo che la vita vegetale tace
e riposa in gennaio e febbraio, deve invece ritenersi che essa prose -
gue, bene inteso più o meno attiva a seconda dell'andamento della
stagione j emale. Ora, se le brinate di primavera trovano una vege-
tazione che abbia già un certo sviluppo, ma che sia costituita da tes-
suti floscii, poco consistenti, diremmo quasi pletorici, recano serii
danni: se invece quella ha una costituzione meglio assodata, le con-
seguenze sono assai meno gravi.
Poiché parliamo di pronostici, accenneremo anche alle osservazioni
fatte sull'argomento da un antico ispettore forestale francese, il si-
gnor Millet, il quale da lunghi anni si è dedicato a studii molto serii
di meteorologia applicata. Siccome il signor Millet gode molta stima
in seno alla Società degli Agricoltori di Francia, così ci parve di dover
prendere atto dei suoi pronostici, per quanto curiosi e, almeno per
noi, inesplicabili.
Brevemente; egli aprì una inchiesta in tutta la Francia per con-
statare se veramente, secondo egli credeva, le nebbie che si produ-
cono in marzo sono generalmente seguite da brine alle date corrispon-
denti di maggio. A quanto pare sarebbe riuscito ne' suoi intenti, e solo
notò che le date non possono ritenersi come assolute, poiché in qual-
che località e per eccezione le brinate ebbero luogo un giorno prima
od un giorno dopo, e che se vi fu qualche previsione sbagliata di
pianta, dipese da ciò che si designarono col nome di nebbie gli ac-
cumulamenti di vapor acqueo che spesso osservansi presso i corsi
d'acqua o nelle vallate.
288 CAPITOLO VI
Sin qui abbiamo parlato più propriamente delle brine primaverili:
vediamo ora quanto si riferisce alle brine autunnali. La loro for-
mazione è determinata e favorita dalle stesse cause, ma i loro ef-
fetti sulla vite sono ben differenti. — Esse colgono le uve per così dire
alla vigilia della vendemmia e non recano loro verun nocumento;
anzi ne favoriscono vieppiù la maturazione. In alcune regioni viticole
dell'Italia superiore i viticultori desiderano infatti che le brinate col-
gano le uve prima della vendemmia, perchè allora il vino risulta più
amabile e più generoso, siccome essi asseriscono.
Già Columella aveva scritto che « l'uva si addolcisce col gelo
e colle brine », onde è antichissima questa credenza fra i coltivatori.
Ma anche gli studiosi sono oggidì dello stesso avviso, perchè le a-
nalisi comparative fra uve brinate e uve non brinate hanno accusato
per le prime una maggiore ricchezza in principio dolce. Il Prof. Gae-
tano Cantoni nelle sue Conferenze sul vino (pag. 23) dice che una
temperatura la quale anche per poco si abbassi sotto lo 0°, basta
ad indurre, per un diverso processo, la trasformazione dell'amido
e della fecola in destrina e glucosio. Ecco la media di tre prove in
proposito:
Glucosio
Mosto d'uva non gelata . . . 12.70 per cento
» gelata . . . 14.12 »
Alcool
Vino d'uva non gelata . . . 11.68 per cento
» gelata . . . 12.03 »
Lo stesso fenomeno avviene esponendo al gelo delle pere, dei pomi
di terra ed altri frutti consimili: all'azione del gelo la loro polpa
interna perde in totalità od in parte la proprietà di farsi violetta col-
l'iodio, ed acquista un sapore dolciastro, maggiore anche di quello
che aveva prima. La pratica di esporre alle brine i graticci sui quali
sta l'uva destinata a fare il così detto vin santo, è una applicazione
del suesposto principio.
Accurate esperienze su questo soggetto furono fatte dal Dr.
A. Carpenè e dal suo allievo Dr. TI, Benettì a Conegliano. In un
vigneto della Società Enotecnica Trivigiana si segnarono parecchie
viti di Raboso, tutte in vicinanza Y una all' altra e fra quelle che
avevano l'uva maturata più uniformemente ed i grappoli più regolari.
Alla vigilia della vendemmia, verso il 22 d'ottobre, quando l'uva era
METEOROLOGIA VITICOLA
289
considerata matura, si staccarono alcuni tralci con le rispettive foglie
e grappoli, in modo da permettere all'uva di continuare per qualche
po' di tempo ancora le sue funzioni fisiologiche, sebbene separata
dalla vite. Tolti alcuni grappoli dal tralcio con tutte le cautele,
perchè questi presentassero la stessa uniformità di maturazione di
quelli che rimasero sul tralcetto, si pigiarono con torchio a mano;
con la maggiore diligenza si determinò del mosto il quantitativo di
glucosio e l'acidità complessiva.
I grappoli rimasti sul tralcetto, aventi maturità uguale agli altri
pigiati, si immersero in un recipiente che a sua volta stava circon-
dato da una miscela frigorifera. D'intorno al grappolo si mantenne
per 6 ore una temperatura media di gradi 6 sotto lo zero e il re-
cipiente si riempì di vapor acqueo fino a che tutti i grappoli si co-
persero d'un velo d'acqua gelata rassomigliante alla brina.
Dopo 6 ore si tolsero dall'azione della bassa temperatura; i grap-
poli vennero asciugati diligentemente esponendoli per poco ad una
atmosfera d' aria secca e calda. Essi si mantennero intatti; le buc-
cie, essendo resistenti, non subirono lesione alcuna. Gli acini erano
morbidi e si staccavano più facilmente dal pedicello. Pigiati ugual-
mente agli altri simili non sottoposti all' azione del freddo, diedero
un mosto più carico di colore, che lasciò depositare con somma
prestezza, a differenza del mosto d'uva non agghiacciata, abbondanti
cristallini di tartrato di calcio. Ecco i risultati dell'analisi:
Glicosio per 100 (col reattivo
di Fehling)
Acidità per 1000 (coll'acqua di
calce)
Glicosio per 100 (col reattivo
di Fehling)
Acidità per 1000 (coll'acqua di
calce)
Glicosio per 100 (col reattivo
di Fehling)
Acidità per 1000 (coll'acqua di
calce)
Uva
Uva
non
agghiacc.
agghiacc.
la prova
12,230
13,870
16,800
15,900
12,850
14,100
17,850
16,320
12,960
14,600
17,930
Uva
agghiacc.
2a prova
13,960
15,580
13,850
15,660
14,520
17,150
O, Ottavi, Trattato di Viticoltura
20
290
CAPITOLO VI
Gli esperimentatori dubitando che la differenza potesse dipendere
da ineguaglianza di maturazione dei grappoli, quantunque i tre saggi
fatti fossero concordi, eseguirono un secondo esperimento.
Presero chilogr. 10 di uva ben scelta ed uniforme nella matura-
zione. Metà di quest'uva la collocarono in un mezzo frigorifero e la
sottoposero per 12 ore ad una temperatura media di gradi 5 sotto
zero.
Pigiarono in seguito nello stesso grado e condizioni, ma sepa-
ratamente, le due partitelle d'uva; i due mosti, senza graspi e buccie,
dopo analizzati li collocarono in due recipienti, la cui bocca si
chiuse con apparecchio di sicurezza. Ecco l'analisi dei due mosti:
Mosto d'uva non agghiacciata
Mosto d'uva agghiacciata . .
G licosio
p. 100
col reattivo
Fehling
Acidità
p. 1000
con F acqua
di calce
13,860
15,500
18.020
16.660
Il sapore dei due mosti non offriva differenze marcate, soltanto
il colorito era più carico nel mosto d'uva sottoposta al freddo.
Si abbandonarono i due mosti alla fermentazione, che si completò
in 12 giorni circa sotto una temperatura di gradi 12 a 16 cent.
La fermentazione proseguì ugualmente regolare in ambedue i mosti.
Dopo sei giorni di riposo, i vini si fecero sufficientemente limpidi e
vennero assaggiati. Nel sapore e nel profumo dei due vini non si
marcarono differenze, soltanto si sentiva meno austero e più ama-
bile quello d'uva agghiacciata, il quale era anche un po' più carico
di colore. Ecco l'analisi dei due vini:
Alcool
per 100 in
volume
Acidità
complessiva
per litro
Glicosio
indecomposto
Vino d' uva non agghiac-
ciata
Vino d'uva agghiacciata . .
9.500
10.600
15.910
15.300
traccie
traccie appe-
na sensibili
METEOROLOGIA VITICOLA 291
La conclusione dei signori Carpenè e Benetti fu questa: V uva,
per Vozione delle brine e del gelo, s arricchisce in materia zuc-
cherina e si spoglia leggermente della sua acidità.
Al capitolo XXVIII studieremo poi i varii modi di impedire la for-
mazione delle brine e di ovviare ai loro danni: qui dobbiamo limi-
tarci a pure considerazioni meteorologiche.
§ 7. Il gelo, la neve, la nebbia, la rugiada e le viti. —
Il gelo invernale può arrecare gravi danni alla vite; è però vero
che questa pianta sopporta anche temperature assai basse, ed in
speciali circostanze non perisce neppure se il termometro scende a
20° sotto lo zero. Ma a bello studio diciamo in speciali circostanze,
perchè talvolta anche a freddi meno intensi le ceppaie muoiono; ciò
accade nelle pianure, ove infatti si ha f abitudine di sotterrare le
viti nell'inverno. La ragione di ciò può trovarsi nel fatto che ivi i
tessuti delle viti sono più ricchi di succhi, ed il disgelo repentino
è assai più funesto.
Dalle numerose osservazioni e notizie da noi raccolte nel 1880,
dopo quel rigidissimo inverno, ci risultò che soffrono meno le viti
dei colli che non quelle delle pianure; a Stradella i vigneti della
pianura avevano sofferto a — 12°, mentre quelli del colle avevano re-
sistito a — 15°; inoltre soffrono molto le ceppaie vecchie, in vigneti
a tramontana, male tenuti ed in terreni leggieri nei quali possono pe-
rire anche giovani piante. Vi sono poi talune varietà che resistono
meglio delle altre, ed in generale può ritenersi che i vitigni del Nord
(Germania, Austria Sett.) resistono meglio di quelli del Sud (Italia,
Francia ecc.) alle basse temperature, la qual cosa è utile a sapersi
per chi possiede vigneti in pianure soggette a forti geli.
Il gelo può danneggiare le sole gemme senza uccidere la pianta.
Le gemme morte si riconoscono dal loro pronto distaccarsi e cadere
non appena si toccano col dito; tagliando poi una piccola porzione
dei serbatoi su cui esse stanno, non si vede il colore verde che
caratterizza i bottoni sani; — collo stesso mezzo si può ricono-
scere se, oltre agli occhi, hanno sofferto anche i sott' occhi. Se il
gelo sopraggiunge dopo un tempo umido, le gemme possono rima-
nere come ricoperte da uno strato di ghiaccio, massime nelle basse
piane; allora è diffìcile non periscano.
Il gelo può far perire i soli tralci pur rispettando le ceppaie: essi
allora appariscono come bruciati o arsicci, e le loro gemme sono
292 CAPITOLO VI
tutte quante male aderenti; nel 1880 abbiamo avuto occasione di
esaminare molti di questi casi.
Infine quando il gelo è molto intenso e di lunga durata, penetra
le parti legnose e vecchie della vite, e l'intera pianta può perire,
venendo allora a gelare anche le radici.
Si narra di freddi intensissimi avvenuti in Italia nel 1608, che
fecero perire viti e olivi; si narra pure dei danni gravi arrecati dal
gelo nel 1829. Questi freddi intensi si verificano sempre nel mese
di Gennaio che in Italia, eccezione fatta per la Sicilia (ove esso è
quasi simile al Febbraio) è il mese più freddo dell'anno. Neil' Italia
Centrale, ed eziandio nella Meridionale, sensibili abbassamenti di
temperatura sotto lo zero sono pure possibili, benché non nella stessa
misura dell' Italia superiore; ecco le minime assolute occorse dal-
l'anno 1865 al 1870.
Italia settentrionale — 17,° 7 (Alessandria, 12 gennaio 1868).
» centrale — 10,° 8 (Urbino, 23 gennaio 1869).
» meridionale — 12,° 8 (Camerino, 23 gennaio 1869).
Al capitolo XXVIII tratteremo del sotterramento delle viti per
evitarne il gelo, siccome praticasi in varie regioni d' Italia e d' altri
paesi vitiferi.
La neve non esercita veruna marcata influenza sulla pianta della
vite, e solo può nuocere quando liquefacendosi prontamente la poca
quantità rimasta sui rami, li inumidisce: quest'umido congelandosi du-
rante la notte, può danneggiare le gemme. Ma un po' di vento che agiti
i tralci, impedisce quasi sempre la formazione di questi piccoli strati
di ghiaccio. Del resto una neve copiosissima che copra totalmente
le viti basse nelle pianure e rimanga non squagliata dalle piogge,
agisce quale efficace copertura di terra. D'altra parte la neve reca
nel terreno sali ammoniacali e nitrati: Boussingaitlt trovò 4 milli-
grammi di acido nitrico per litro d'acqua di neve, e Marié-Davy
da 1 a 6 milligrammi di ammoniaca. Anche i signori Barrai e
Bence Jones trovarono acido nitrico nelle nevi, ed oramai non vi
ha più dubbio che questa idrometeora contiene più ammoniaca e
più acido nitrico che non la pioggia, anche perchè condensa, come
refrigerante, certe sostanze volatili (carbonato ammonico) che ema-
nano dal suolo. Però, se alla neve segue la pioggia, il terreno si
inzuppa d'acqua, che può nuocere molto alle viti ove non abbia un
pronto scolo: il danno sarà anche più grave in caso di gelo e di-
sgelo repentino.
METEOROLOGIA VITICOLA 293
La nebbia può arrecare danni gravissimi alle viti; ciò accade
quando le coglie al momento della fioritura. Il freddo umido da cui
vengono ad essere allora circondati i fiori può farli abortire; lo
stesso accade quando la nebbia si dirada d' un tratto ed un sole
cocente viene a colpire co' suoi raggi le infiorescenze : lo sbalzo
di temperatura che ne segue è dannosissimo ai fiori, che pronta-
mente cadono come essicati. Molti viticoltori attribuiscono alle nebbie
lo sviluppo di talune crittogame che infestano la vite, ma ciò è vero
soltanto sino ad un certo punto : Y oidio, ad esempio, si sviluppa
prontamente se l'atmosfera oltre ad essere calda è eziandio alquanto
umida, ed ecco come dopo una nebbia può vedersi la malattia in-
fierire con maggiore energia. Può dirsi lo stesso della peronospora.
In un vigneto sano però la nebbia non può mai essere la causa
prima dello sviluppo di crittogame; essa anzi può essere giovevole
nel senso che riesce giovevole la rugiada.
La rugiada infatti, per quanto rappresenti solo una tenue quan-
tità d'acqua (1), esercita pure una salutare influenza sulle parti verdi
della vite, specialmente allorquando queste sono esposte a forti sic-
cità: non tutti ammettono che le foglie possano approfittare diret-
tamente dell' acqua che si depone sovra di esse; ma noi abbiamo
provato varie volte, durante le arsure dell' agosto, a spruzzare di-
rettamente acqua sul fogliame delle viti che si mostravano come
sofferenti per difetto d' umido, e in breve d' ora le abbiamo sempre
viste farsi più rigogliose quasi si fossero dissetate. Conviene inoltre
tenere calcolo della rugiada che si forma sul suolo stesso, e che si
cangia poi in acqua utile alle radici, anche per le sostanze nutrienti
che tiene in dissoluzione. Certo però non si deve esagerare la in-
fluenza della rugiada tanto sulle viti quanto sulle altre piante.
§ 8. I venti e la vite. — Chaptal, studiando l'influenza dei
venti sulla vite, concludeva col dirli costantemente nocivi: « essi dis-
seccano i fusti, le uve ed il suolo; essi producono, sovratutto nelle
terre forti, uno strato duro e compatto che si oppone al libero pas-
saggio dell'aria e dell'acqua, e mantiene con ciò, attorno alla radice,
una umidità putrida che tende a corromperla » (L'art de faire le
vin, 41). Ciò è vero solo nel caso di venti continui, come è pure
(1) Racldi e Nacca trovarono, pel clima di Firenze, che 87 rugiade formatesi
in media nell'anno, corrispondevano a poco più di 6 millimetri d'acqua in media.
294 CAPITOLO VI
vero che là dove soffiano venti impetuosi a primavera, è quasi im-
possibile coltivare la vigna, le cui cacciate sono facilmente spezzate:
in questo caso conviene proteggere i vigneti con opportuni pianta-
menti di alberi, come pini e simili, ed è quanto si fa in alcuni
paesi.
Non sapremmo tuttavia disconoscere che i venti moderati possono
giovare alle viti in vario modo: anzitutto abbiamo già detto che se
l'aria è agitata è impossibile la formazione della brina, e questo è
già un notevole vantaggio indiretto; inoltre il vento agitando i tralci
inumiditi dalle pioggie o dalle nebbie, li asciuga prontamente ed il gelo
e disgelo sono allora quasi innocui del tutto: questo stesso movimento
dei tralci li fortifica, siccome ammetteva Gasparin (1): i venti in-
fine facilitano rincrociamento del polline, come dicevamo a pag. 191.
Tuttavia i venti possono portare abbassamenti di temperatura sfa-
vorevoli alla fioritura normale delle viti, (v. pag. 44); ed inoltre
sono spesso veicolo di insetti e crittogame; così il valente micro-
grafo A. F. Negri ritiene, per accurate osservazioni, che il vento
di sud-ovest sia quello che dissemina la peronospora nel Basso Mon-
ferrato, su di che diremo meglio studiando questo fungo microsco-
pico.
I venti infine possono portare seco loro principii deleterii per la
vite: quelli così detti salati vengono dal mare e portano cloruro di
sodio (sale), cloruro di potassio, magnesia, ecc. come dice Liebig
nella sua Chimica organica, danneggiando spesso le viti in primavera,
perchè abbruciano le giovani cacciate o danneggiano la fioritura. Il
sig. De Las Cases (2) accenna ad un vento africano caldissimo e
come carico di sabbia finissima, che addì 22 agosto 1815 distrusse
completamente il raccolto dell'uva a Madera: aveva però durato
circa due giorni consecutivi.
Questi fatti possono spiegare forse sino ad un certo punto l' opi-
nione dei pratici, i quali attribuiscono taluni malanni che incolgono
subitamente le viti, ai « colpi di vento ».
§ 9. Latitudine, altitudine ed esposizione. — Abbiamo già
accennato, alle pag. 28 e 39, all'influenza della latitudine, dell'altitu-
(1) Cours (VAyriculture, torn. second, 192. La stessa canapa coltivata in luoghi
ventosi <Jà una fibra più grossolana.
(2) Mémorial de Sainte-Hélène.
METEOROLOGIA VITICOLA 295
dine, dell'esposizione, ecc. sui limiti della stazione della vite: ora vo-
gliamo esaminare cotale influenza relativamente alla durata del periodo
vegetativo, dalla fioritura alla maturità dell' uva. Già sappiamo che
la zona della vite si estende in Europa fra il 30° ed il 50° di la-
titudine settentrionale; sarebbe però un errore di credere che do-
vunque, in questa zona, possa coltivarsi la vite; sono troppe le cause
che, a parte la latitudine, modificano il clima d'una data località, e
già ne enumerammo parecchie a pag. 39 e 41, ond'è che il viticul-
tore quando voglia studiare se un dato locale sia più o meno adat-
tato all'impianto d'un vigneto, deve esaminarne colla latitudine e l'al-
titudine, eziandio l'esposizione, l'inclinazione, la vicinanza delle acque,
la vicinanza delle masse di alberi, le pioggie, i venti dominanti, e via
via: rimandiamo intanto il lettore alle accennate pagine, non volendo
qui ripetere il già detto.
U altitudine influisce notevolmente sulla maturità delle uve, ed
anche a latitudini uguali le differenze sul periodo di vegetazione e
fruttificazione della vite possono essere ragguardevoli: citeremo un
esempio: — il piano di Renda trovasi a soli 15 chilometri (in pla-
nimetria) dalla piana di Palermo; però mentre quest' ultima sta fra
i 15 ed i 25 metri sul livello del mare, Renda invece è collocato a
550 metri circa; or bene, basta questa differenza di altitudine perchè
il clima della Conca d'Oro e delle terre dell'Agro Palermitano poste
a pochi metri sul livello del mare differisca notevolmente dalle terre
elevate, anche a pochi chilometri di distanza. E così a Palermo verso
la metà dell'agosto 1880 si stava vendemmiando lo zibibbo (che è di
natura precoce) mentre al piano di Renda la maturità era in ritardo
di due mesi circa: il Dott. Macagno parlò coi coloni di Renda, e tutti
gli attestarono che ivi la vendemmia non si può mai fare prima del
15 ottobre, e che d'altra parte tanto lo zibibbo quanto gli altri vi-
tigni siciliani colà non arrivano mai a maturanza completa. In simili
regioni conviene introdurre vitigni precoci del settentrione. — Ver-
g nette -Lamotte (1) studiando l'influenza dell'altitudine sui vini della
Borgogna trovò che i migliori si producono fra 15 e 78 metri sul
livello della pianura; più in basso si raccolgono vini meno delicati
e più deboli; più in alto vini duri, aspri e da collocarsi fra quelli di
seconda e terza qualità. Ciò può spiegarsi riflettendo che nelle parti
basse il terreno è sempre più fertile e più ricco di acqua (prove-
(1) Conyrès des vignerons de Dijon pag. 342,
296 CAPITOLO VI
niente dalla parte alta), quindi il vino riesce più acquoso laddove
nelle parti molto elevate vi ha relativamente deficienza di calore
solare, d'onde vini più ricchi di acidi.
U esposizione esercita essa pure una certa influenza sulla fioritura
e la fruttificazione della vite: si ritiene in generale che la migliore sia
quella di Sud, e poscia rispettivamente quelle di Ovest, d'Est e di Nord.
Però non si deve ritenere ciò come assoluto, perchè vi sono parecchie
cause che possono modificare sensibilmente la influenza della espo-
sizione. Già nelle Geoponiche greche si consigliava di scegliere pei
vigneti 1' esposizione nord nei climi caldi, e quella sud nei climi
freddi; e certamente là dove il calore è tale che le viti soffrono per
il soverchio ardore dei raggi solari è a preferirsi l'esposizione di
nord come accennano anche il conte Odart (nel suo Manuel du
Vigneron) e assai prima ancora Olivier de Serres e Columella che
ben conoscevano l' influenza del clima meridionale. Odart ritiene
pure che 1' esposizione nord è di poco inferiore alle altre ogni
qualvolta il suo angolo d'inclinazione non oltrepassa 20°; infatti più
quest'angolo si avvicina all'angolo retto e più il terreno può riscal-
darsi sotto l'azione del sole, come già accennammo a pag. 42. Tutti
poi sanno che vi sono vigneti rinomati sia all'esposizione nord che
aìVest ed aWovest, ond'è che alcuni autorevoli scrittori attribuiscono
all'esposizione stessa una mediocre importanza; Enrico Marès, distin-
tissimo agronomo francese, sostiene con validi argomenti che cotale
influenza è ben minore di quella del terreno e della situazione (1), e
noi pensiamo che sino ad un certo punto egli abbia ragione. Infatti
anche le pianure, se sono abbastanza elevate per non essere sog-
gette alle acque stagnanti, producono vini squisiti purché il terreno
lo permetta.
U inclinazione ed in genere la situazione influiscono molto sulla
produzione della vite: già Virgilio disse che Bacchus amai colles,
cioè i dolci declivii e le colline ove T aria circola liberamente ed i
raggi solari giungono efficacissimi; i luoghi troppo elevati e ripidi
non sono però troppo confacenti alla vite, in generale perchè so-
verchiamente esposti ai venti e ad un' aria sempre troppo cruda.
Abbiamo già detto che una pianura elevata e da cui le acque ab-
biano facile e pronto scolo è assai adattata alla vite. Riguardo alla
temperatura anche una piccola prominenza può influire favorevol-
(1) Des vignes du midi de la Franco p. 278.
METEOROLOGIA VITICOLA 297
mente sul prodotto della vite; infatti un osservatore inglese, il signor
Danieli, studiando la differenza di temperatura fra una valle ed un
leggero promontorio, trovò sensibili differenze, le quali durante la
notte raggiungevano varii gradi.
In queste situazioni leggermente elevate e che si potrebbero dire
esposte contemporaneamente ai quattro punti cardinali, la vite sbuccia,
fiorisce e fruttifica regolarmente; invece nei luoghi troppo bassi è
soggetta alle brine primaverili, al gelo ed al soverchio umido. In-
fine le viti dei pendìi danno uve più ricche di principio dolce, come
già avvertivamo a pag. 42.
§ 10. Linee isotermiche e punti climenologici. — Quanto
dicemmo a pag. 34 sulle isotermiche nei loro rapporti colla stazione
della vite, si attaglia pure alla vegetazione della vite stessa, ed alla
maturazione dell'uva; ripeteremo che le località tagliate da isochi-
mene di circa 4° a 8° e da isotere di 20° a 25° sono le più adatte
per la produzione di uva zuccherina, date però una altitudine ed
una situazione favorevoli, secondo quanto dicemmo or'ora. Come si
vede tutto si collega; ed errerebbe a partito chi volesse dettare
massime assolute riguardo a ciascuno dei numerosi fattori che concor-
rono alla regolare vegetazione e dalla buona fruttificazione della vite.
Ci rimane ora a parlare dei punti climenologici. Il compianto
Dr. Giulio Guyot (1) studiando nei vigneti francesi la influenza del-
l'altitudine e della latitudine, riconobbe che 60 metri d'altezza sul
livello del mare compensavano un grado di latitudine verso nord, e
questo più precisamente fra il 41° ed il 50°; in altri termini, la latitu-
dine di ogni luogo, espressa in minuti, a partire dal 41° preso come
zero, aggiunta all' altitudine espressa in metri, dà numeri paragonabili
ed abbastanza vicini al vero per stabilire i rapporti climatologici fra
i diversi vigneti e per determinare i differenti vitigni più o meno
precoci che possona coltivarvisi. Ma, soggiunge giustamente il Dr.
Guyot, colla condizione espressa che si tenga calcolo di tutti gli altri
elementi del clima, cioè esposizione, inclinazione, ripari, natura del
suolo, vicinanza delle acque, ecc. Il Dottor G. B. Belletti (2) ri-
fi) Ètude des vignobles de France, 2a edizione 1876, Tomo III, pag. 595.
(2) Il Belletti è il simpatico e valente scrittore del Nane Castaldo, prezioso
libro popolare di viticultura. — Veggasi la 3a edizione, pag-, 243 e seguenti. (Feti
tre 1884.)
298 CAPITOLO VI
chiamò pel primo l'attenzione dei viticultori italiani su queste osserva-
zioni del Dr. Guyot e denominò punti climenologici quelli appunto
che esprimono l'influenza combinata della latitudine coll'altitudine: il
Prof. G. Caruso (1) rilevando però che questi punti non esprimono
esattamente il clima locale, crede che in loro vece potrebbero con-
sultarsi le linee isotermiche, isochimeniche ed isoteriche, di cui ab-
biamo parlato a lungo a pag. 34. Ma a noi pare che neanche il semplice
esame delle isotermiche potrebbe consigliarsi, perchè non si terrebbe
calcolo di fattori importantissimi, quali la natura del suolo ed il suo
stato. Perciò bene osserva il Dr. Guyot, che il viticultore il quale voglia
impiantare un vigneto in una determinata località, prima di scegliere
i vitigni più o meno precoci e più o meno confacienti, deve anzi-
tutto determinare i punti climenologici e poscia tener calcolo degli
altri fattori (esposizione, inclinazione, terreno, ecc., ecc.) cosa che
gli riescirà abbastanza facile; questo precetto è senza dubbio saggio,
e può giovare molto al viticultore.
Ma veniamo a qualche applicazione ai vigneti italiani.
« Potrebbe essere interessante, dice il Dr. Belletti, conoscere i
punti climenologici dei paesi da cui ci vengono i vini più celebri
del mondo, come eziandio potrebbe essere utile rilevare che certe
località, quantunque poste in punti climenologici molto elevati, pure
producono vini eccellenti. Ma l'utilità maggiore l'otterremo quando
avremo il mezzo di sapere a quali paesi italiani corrispondano questi
medesimi punti climenologici; in allora chi sa che molti vignaiuoli di
quei luoghi, incoraggiati da un tale confronto, mirino a risultati ben
più felici di quelli ottenuti fin qui.
Per esempio, vari luoghi della provincia di Treviso si avvicinano
coi loro punti climenologici a quelli della Gironda (Bordeaux)
ed i paesi a vini famosi, come il Borgogna, il Reno e lo Sciampagna,
hanno i loro punti climenologici, chi lo crederebbe? compresi fra il
500 ed il 700 come lo sono appunto quelli della maggior parte dei
nostri paesi viticoli posti nelle vallate alpine.
Tali riflessi mi determinarono a segnare le prime traccie (quan-
tunque incomplete e non esatte quanto avrei desiderato, d'uno studio
simile a quello del Guyot, per la regione della media e dell' alta
Italia (2).
(\) Questioni urgenti di viticultura, 1871, pag. 14.
(2) ]aì altezze di livello che servirono di base ai calcoli delle unite tabelle mi
METEOROLOGIA VITICOLA 299
Il Guyot abbraccia nel suo lavoro circa l'estensione di 9 'gradi
di latitudine (540 miglia), vale a dire, quasi l' intera Francia. Egli
parte dal Capo Bonifacio in Corsica al gr. 41, dove fissa lo zero
della sua scala, ed arriva fino all'or troppo celebre Sédan (49° 52'),
estremo limite settentrionale della coltura della vite (in Francia).
Colà adunque dove il Capo Bonifacio si bagna nell'onda del Medi-
terraneo, cioè dov'è nulla l'elevazione sul livello del mare, colà se
vi fosse un paese, avrebbe zero per punto climenologico. Un altro
paese situato parimenti come il Capo Bonifacio 41° lat., ma che si
elevasse 100 metri sul livello del mare, avrebbe 100 per punto cli-
menologico: come avrebbe cento del pari quell'altro paese, bagnato
dal mare, che si allontanasse cento miglia verso settentrione dal
41°, ossia dal Capo Bonifacio: e 100 infine sarebbe il punto clime-
nologico di un'altra località che si discostasse 50 miglia (ossia 50
minuti) dal 41° latitudine, e che si elevasse 50 metri sul livello del
mare.
Esposta così la semplicissima teoria, vediamo di farne un'applica-
zione. Immaginiamo adunque una città di Francia posta al 44° 30'
lat., ed a 85 metri sul livello del mare; quale sarebbe il suo punto
climenologico?
A partire dallo zero della scala, ossia dal 41° lat, per arrivare
all'indicato paese bisognerebbe percorrere 3 gradi e 30 minuti.
Ora i tre gradi equivalgono a 180' (minuti) ossia a 180 miglia,
e quindi a punti climenologici 180
ed i trenta minuti corrispondono a trenta miglia, e perciò a
punti 30
Sommano punti . . 210
Se quel paese fosse a livello del mare, il suo punto climenologico
furono in parte gentilmente forniti dall'Osservatorio di Padova a mezzo del pro-
fessore cav. Legnazzi, dal dott. Locatelli ingegnere municipale di Udine e da altri
amici, ed in parte furono tratti dal Trinker (mis. delle Alt. della Prov. di Bel.
luno), dall'Ambrosi (Flora Tir. Aus) dal Mariani (Trìg. Vermessj, dal Monte-
rumici (Annali statistici della Provincia di Treviso pel 1870), dagli Annali pel
1870 (Bur. de Long.) ecc. ecc.
In alcuna di tali altezze di livello è indicato il punto preciso dove furono prese,
in altre no; per cui resta il dubbio se per qualche città situata in colle, l'altezza
data si riferisca al piede od alla cima del medesimo.
300 CAPITOLO VI
sarebbe semplicemente 210; ma siccome si eleva metri 85 sopra il
medesimo, così bisognerà aggiungervi 85
E allora il vero punto climenologico dell'indicato paese sarà . 295
Quindi si può stabilire che:
« Il punto climenologico d'un paese è un numero composto della
somma di due altri numeri, il primo dei quali esprima i minuti di
sua latitudine settentrionale a partire da quel grado che rappresenta
lo zero della scala previamente stabilita; ed il secondo numero la sua
elevazione sul livello del mare, espressa naturalmente in metri. »
Tale è la formola che, secondo gli studi del Guyot, serve per de-
terminare i punti climenologici in Francia.
Se ora si volesse trovare una formola analoga da applicarsi alla
intera Italia, che è compresa fra il 36° ed il 46° di latitudine, si
incontrerebbe una seria difficoltà per istabilire il punto di partenza,
ossia lo zero della scala.
Mentre il grado 41°, estremo limite sud della Francia, è per la
stessa una linea all' uopo opportunissima, perchè in quel punto la
temperatura è calda bensì, ma non eccessivamente; non si potrebbe
dire altrettanto riguardo al grado 36, estremo limite sud dell'Italia,
il quale e lì lì per uscire dalla zona vinifera, che, come abbiamo
veduto, si estende dal 35° al 50° ; in conseguenza di che retroce-
dendo dal 41° al 36° la condizione climenologica dei paesi che vi
sono compresi peggiorerebbe anziché migliorare; e se adottassimo il
37° per lo zero di nostra scala, avremmo risultati confusi e fallaci.
All'incontro, riflettendo che lo stesso 41° latitudine rasenta in Ita-
lia il paese che produsse un dì il celebrato Falerno, e che ci dà in
oggi quell'altro vino, il cui nome ne indica l'eccellenza, il Lamina
Cristi; e riflettendo altresì che il grado 41° passa fra Roma e Na-
poli, ossia percorre in Italia una linea centrale ed importante, ei par-
rebbe che quel grado medesimo potesse essere opportuno anche per
rappresentare una linea centrale enologica, una linea insomma che
costituisse lo zero della nostra scala, donde partissero i punti clime-
nologici riferibili almeno ai paesi della media e dell'alta Italia.
Una tal linea passa per Monopoli, città che per essere posta in
riva al mare (Adriatico) avrebbe in conseguenza zero per punto cli-
menologico.
Stabilito in questa guisa il nostro punto di partenza identico a
quello della Francia, ne verrà di necessaria conseguenza che i no-
METEOROLOGIA VITICOLA
301
stri punti climenologici corrisponderanno perfettamente a quelli esposti
nella Tabella del Guyot per la Francia medesima.
Data quindi la latitudine e 1' altezza di livello di ogni paese della
media e dell'alta Italia, mediante la stessa formola e le identiche re-
gole testé indicate per la Francia, sarà a noi facile trovarne il ri-
spettivo punto climenologico sempre riferibilmente al grado 41° lai,
ossia al grado che passa per Monopoli.
Dopo tali premesse, passiamo a tracciare i punti climenologici dei
paesi, di cui potemmo procurarci le altezze di livello, e che per mag-
gior chiarezza abbiamo divisi nelle seguenti tre tabelle ; in fine delle
quali ne collochiamo una quarta tratta dal Guyot che riporta i punti
climenologici di alcune principali località della Francia, coi quali
potrete a vostr'agio confrontare i punti climenologici de' paesi ita-
liani. »
TABELLA I.
Punti climenologici di alcuni fra i paesi italiani
posti al nord del grado 41 di latitudine
, - ^
7Z~~
._ 1 o
._ i 'o
._ i '«
Nomi dei Paesi
il'!
Nomi dei Paesi
3 S'5b
3 C O
Nomi dei Paesi
il*
£'■5 §
^'-8 §
0* og
Monopoli ....
0
Venezia ....
286
Rieti
495
Civitavecchia
67
Mantova ....
289
Moncalieri
498
Foggia . . .
69
Bologna ....
294
Pallanza .
513
Roma . .
103
Cremona ....
297
Torino .
514
Portoferraio
119
Alessandria .
331
Amelia .
525
Grosseto .
127
Verona ....
332
Assisi . .
534
Ancona . .
183
Magliano . . .
334
Todi . .
562
Livorno
185
Vicenza ....
336
Lugano .
575
San Remo
188
Foligno ....
346
Bergamo.
581
Pisa . . .
192
Pavia
348
Pinerolo .
618
Firenze . .
239
Casal Monferrato .
380
Città della l
^eve
623
Forlì . .
239
Velletri ....
392
Perugia .
656
Rimini . .
242
Urbino ....
414
Biella . .
658
Ferrara
245
Milano ....
415
Belluno .
691
Gubbio
245
Udine
419
Nocera .
701
Ravenna .
247
Chieti
429
Norcia
709
Genova . .
253
Brescia ....
437
Varallo .
729
Guastalla .
265
Narni
446
Montepulcia
LIO .
754
Jesi . . .
268
Trento ....
454
Mondovì .
758
Temi . .
272
Orvieto ....
459
Camerino
77<S
Padova . .
278
Città di Castello .
475
Aquila
822
Reggio (Emilia)
283
Siena
486
Aosta . .
884
Modena . .
283
Spoleto ....
487
302
CAPITOLO VI
TABELLA II.
Punti climenologici di alcuni paesi del Veneto, dell'Istria e del Trentino
._
._
—
Nomi dei Paesi
Nomi dei Paesi
Ili
Nomi dei Paesi
a 5.2
Oh-o o
Q-> o 2
0-1 o 2
Pola
240
Sacile
324
San Pietro degli
Legnago .
257
San Vito
324
Schiavi . . .
478
Dignano .
262
Pordenone .
326
Asolo
500
Chioggia .
263
Verona . .
332
Rovereto ....
509
Parenzo
269
Vicenza . .
336
Valdobbiadene . .
527
Fiume . .
275
Codroipo . .
337
San Daniele . .
528
Padova
278
Montebelluna
Chiavenna . . .
534
Pirano . .
284
Conegliano .
353
Moggio ....
543
Venezia
286
Riva di Trento
358
Morbegno . . .
565
Capo d'Istria
286
Gorizia . .
367
Feltre
568
Treviso
289
292
297
Arco .
370
419
428
Fonzaso ....
Sondrio ....
Borgo di Valsugana
630
Buie
Udine .
657
Muggia
Bassano .
664
Mon falcone
300
Vittorio . .
431
Belluno ....
691
Montona .
305
Spilimbergo
441
Tirano ....
771
Palmanova
321
Nabresina .
445
Levico ....
797
Castelfranco (Ven.)
322
Trento . .
454
TABELLA III.
Punti Climenologici di alcuni paesi e località della Provincia di Belluno.
Nomi dei Paesi
Fener .
Sanzan .
C esana .
Villapaiera
Vas . .
Rocca .
Lentiai .
Feltre .
Busche .
Quero .
Alano .
Bribano
Limana.
Arten .
-p Co
o
509
522
548
549
550
564
566
568
569
588
590
596
614
615
Nomi dei Paesi
Santa Lucia.
Sedico.
Arsiè .
Pat .
Marsiai
Fonzaso
Zermen
Visome
T richiana .
Villa di Villa
Mei . . .
Dussoi . .
Incin . . .
Pedavena
&■„,
619
623
626
628
629
630
631
639
641
649
651
658
668
669
NoMirDEi Paesi
Vi 11 ab runa .
Seren . . .
Porcen . .
Belluno . .
Menin . .
Cart . . .
Cesio . . .
San Diberal (B
luno) . .
San Gregorio
Lamen . ,
Sorriva . .
Lamon . .
el-
3 s SP
a<~.2
669
685
688
691
704
759
780
850
852
905
DOS
973
METEOROLOGIA VITICOLA
303
TABELLA IV.
Punti climenologici di alcuni paesi di Francia
estratti dalla Tabella del Guyot, Elude cles Vign. de France, t. Ili, p. 597.
Nomi dei Paesi
_ o
+3 CTS
a a àc
o
Nomi dei Paesi
-, o _
a a 6o
o
Nomi dei Paes^i
o
a § àn
Ajaccio
95
Paris
532
Chàtillon-sur-Seine
Bastia . .
131
Troyes ....
548
(Borgogna) . .
644
Marsiglia .
167
Chambery (Savoia)
549
Wissembourg (Bas-
Montpellier
201
Chalons-sur-Marne
so Reno . . .
646
Avignone .
232
(Sciampagna) .
559
Nancy ....
662
Bordeaux .
240
Chàteau-Thierry id.
560
Metz
664
La Réole (Bordeaux)
259
Epernay (id.) . .
564
S averne (Bass. Reno)
670
Lespare id.
264
Vitri - le - Francois
Sedan
680
Bazas id.
285
(id.)
565
Bar-le-Duc (Vino u-
Cognac ....
313
Beaune (Borgogna)
580
so Sciampagna)
705
La Rochelle
320
Versailles . . .
591
Commercy . . .
709
Tolosa . .
345
Strasburgo (Basso
Annecy (Savoia) .
748
Brignoles .
377
Reno) ....
599
S.t-Claude (Jura) .
760
Nantes . .
392
Chartres ....
605
Epinal (Vosgi) . .
771
Tours . .
439
Schelestadt (Basso
S.t-Jean-de-Mau-
Poitiers
453
Reno) ....
614
rienne (Savoia) .
830
Saint-Pons
465
Colmar (Alto Reno)
620
Gap (estremo limite
Mazon . .
508
Saint -Menehould
della vite) . .
964
Saint- Denis
509
(Sciampagna) .
623
Gex (estremo limite
Fontainebleau
523
Dijon (Borgogna) .
625
della vite)
967
Con queste tabelle del Dr. Belletti crediamo di aver dato al let-
tore un concetto esatto dei punti climenologici e dell' utilità che da
essi può venirne al viticoltore.
CAPITOLO VII
Pronostico della fruttificazione della vite.
(Carpoprognosia).
LT état présent de l'univers est
l'effet de son état antérieur et la
cause de celui qui va suivre.
(Laplace - Essai sur les pro-
babilitès).
§ 1 Generalità sulla carpoprognosia — § 2. Carpoprognosia e meteorognosia —
§ 3. Applicazioni generiche — §4. Applicazione speciale alle viti — § 5. In-
fluenza della primavera sulla formazione delle gemme frutticose — §6. In-
fluenza delle altre stagioni — § 7. Osservazioni e pronostici nel periodo 1855-
1883 — § 8. Deduzioni utili per la pratica.
§ 1. Generalità sulla carpoprognosia. — Sul finire del 1875
presentavamo al Congresso Enologico Italiano radunatosi in Verona
una nostra memoria, intitolata « Primi studii di Carpoprognosia
applicata alla viticoltura. » Detta memoria fu bene accolta dai
congregati ed ebbe 1' onore di essere stampata negli Atti del Con-
gresso: fu poi riprodotta da varii giornali agrarii, e però stimiamo
utile di qui ritornare sull'argomonto, con nuovi fatti e nuove osser-
vazioni.
La Carpoprognosia (parola che abbiamo formato dal greco carpós
frutto, e prógnosis prescienza, prognostico) dovrebbe essere, a no-
stro avviso, quella parte della meteorologia agricola che cercasse di
dedurre il valore, per rapporto alla quantità, della fruttificazione fu-
tura d'un vegetale, dall'osservazione dei fenomeni meteorologici pas-
sati e presenti di cui ebbe a subire l'influenza. Questa prescienza a-
dunque si riferisce unicamente alla quantità dei frutti; quanto ri-
guarda la loro qualità fu oggetto degli studii accennati nel capitolo
precedente.
PRONOSTICO DELLA FRUTTIFICAZIONE DELLA VITE 305
Noi già sappiamo che la meteorognosia cerca precisamente di
pronosticare i fenomeni atmosferici futuri, dietro 1' osservazione dei
fenomeni passati e presenti: or bene, la carpoprognosia sarebbe al*
cunchè di simile, inquantochè essa pure tenderebbe a leggere nel fu-
turo: se non che, invece di predire fatti meteorologici, predirebbe
fatti fisiologici. Così laddove la prima tenta ora di stabilire le pro-
babilità del tempo futuro, la seconda vorrebbe stabilire le probabilità
delle raccolte.
Naturalmente tanto 1' una che 1' altra non rappresentano che un
processo di induzione, per il quale studiate le svariate condizioni me-
teorologiche di una serie di anni ed esaminati attentamente i loro
differenti effetti negli anni susseguenti, coordinando cotali cause e
cotali effetti si viene ad indurre che ogni qualvolta si riprodurranno
quelle date condizioni si potranno attendere, con molta probabilità,
determinati fenomeni meteorologici o fisiologici.
Diciamo a bello studio « con molta probabilità » e non « con cer-
tezza » perchè (a parte le cause non prevedibili e delle quali non
si può quindi tener calcolo) ciò non è umanamente possibile, essendo
infinite le forze che animano la natura in questi fenomeni, e nessuna
mente potendo abbracciarle tutte, analizzandole prima, coordinandole
poscia e comprendendole infine in una sola formola. Se ci fosse dato
giungere a codesto, l'avvenire ci sarebbe tanto noto quanto il pre-
sente; l'astronomia ci porge al proposito alcuni esempii.
Un processo affatto opposto a quello della meteorognosia e della
carpoprognosia ce l'offre la geologia; poiché quantunque essa pure
si attenga alla non mai interrotta catena delle cause e degli effetti,
invece di andare come quelle dal presente al futuro, rifa la strada
e rimonta dal presente verso il passato. Così come la geologia non
è altro che la fisica, la chimica, la geografìa, la zoologia, la bota-
nica del passato, la carpoprognosia dovrebbe essere, per una data
pianta, la fisiologia del futuro.
§ 2. Carpoprognosia e meteorognosia. — La carpoprognosia
costituisce una novità, volendosi farne un complesso di cognizioni a
pane per cercare poscia di desumere alcune leggi sull'influenza delle
condizioni meteorologiche del ieri e dell'oggi sulla fruttificazione del
domani. Però i prognostici sull'abbondanza o non dei singoli raccolti
datano dai tempi i più remoti, precisamente come sono remotissimi
i prognostici sul tempo.
<è. Ottavi, Trattato di Viticoltura 21
306 CAPITOLO VII
Ed a quest' ultimo proposito diremo non essere molto che queste
sparse cognizioni di meteorognosia si vennero raggruppando e coor-
dinando fra di loro: il Gasparin se ne occupò con amore; ma questo
illustre agronomo non potè addentrarsi molto in simili studii, es-
sendo ancor troppo bambina questa parte della meteorologia. Si po-
trebbe invero affermare che al proposito noi non siamo ora molto più
innanzi di quel che lo fossero Virgilio {Georgiche) e Plinio {Storia
naturale).
Il Gasparin si limitò quindi a fare una scelta fra tutti i progno-
stici tramandati fino a noi, riassumendoli poscia, dopo aver sceve-
rato i più attendibili.
Invece gli studii sulla carpoprognosia sono ancora quasi tutti da
farsi; e nessuno poi tentò fin' ora di raccogliere le poche nozioni
che sono sparse qua e là nei libri agrarii, nonché i pronostici che
si ripetono da padre in figlio fra i contadini, per rapporto alla frut-
tificazione delle principali piante coltivate.
Eppure a noi pare che tali studii abbiano una grandissima impor-
tanza economico -agricola, poiché potrebbero servir di guida al col-
tinatore non solo nel governo delle proprie colture, ma altresì e
sopratutto nell' esitare col maggior lucro possibile i suoi prodotti;
diremo anzi che noi ce ne gioviamo appunto in questo senso da
varii anni. (v. § 8)
Oltre a ciò ci pare che, senza di essi, la stessa meteorognosia ri-
marrebbe sempre incompleta. Si dice, per esempio, che colla scorta
di quest'ultima potendosi (forse in un giorno non lontano) prevedere
il carattere generale d' un anno prossimo venturo, si potranno mo-
dificare le colture od il loro governo a seconda di cotesta prescienza.
Ciò è per certo di incontestabile utilità; ma potrebbe benissimo darsi
che, ad onta delle modificazioni introdotte nelle colture, le piante des-
sero meschini frutti a cagione delle poco favorevoli condizioni di ca-
lore, luce, umidità, ecc. in cui si vennero formando ed organizzando
i loro semi. Di ciò non tiene calcolo la meteorognosia, la quale sup-
pone che tutte le piante coltivate nascano da ottimi semi, tutti i
frutti da ottime gemme e nelle migliori condizioni, e si accrescano
senza alcun vizio di costituzione congenito, contratto cioè colla na-
scita, dal seme, dalla gemma, ecc.
La carpoprognosia invece tiene calcolo grandissimo di ciò (è questo
anzi il suo scopo precipuo) e tenta così pronosticare che i frutti sa-
ranno copiosi, poco abbondanti o quasi nulli, alquanto tempo innanzi
PRONOSTICO DELLA FRUTTIFICAZIONE DELLA VITE 307
la loro raccolta : naturalmente poi la meteorognosia viene in suo
aiuto, potendo soggiungere che codesti frutti saranno veramente co-
piosi perchè le stagioni trascorreranno favorevoli alla fruttificazione;
oppure che saranno meno copiosi di quello che le nozioni di carpo-
prognosia danno a sperare, perchè le condizioni climatologiche li con-
trareranno alquanto in determinate stagioni e via dicendo.
Come si vede questi due ordini di nozioni si completano a vicenda,
mentre presi isolatamente sarebbero insufficienti a conferire alle con-
ghietture quella utilità pratica che noi ci ripromettiamo da questi
calcoli di probabilità
§ 3. Applicazioni generiche. — Senonchè è facile prevedere
come gli studii sulla carpoprognosia non siano applicabili che ad un
dato ordine di piante coltivate; quelle cioè che per produrre frutti
debbono percorrere un ciclo vegetativo molto lungo, o per dir meglio
abbastanza prolungato da risentire l' influenza di varie stagioni a
partire dalla formazione del seme o della gemma fruttificatrice, ve-
nendo insino alla costituzione dei frutti stessi. La vite, l'ulivo e tutte
le piante così dette vivaci; la barbabietola, la carota e molte altre
piante dette biennali; infine quelle fra le annuali che, come il fru-
mento, si rendono biennali ad arte seminandole nell'autunno anziché
in primavera; tutte queste piante possono dar oggetto a studii più
o meno importanti di carpoprognosia.
I problemi che questa deve risolvere potrebbero, per ragion d'e-
sempio, così formularsi:
« Date delle gemme di viti formatesi prima e sviluppatesi poi sotto
« determinate condizioni climatologiche e sopra una pianta più o
« meno rigogliosa, quale sarà il loro prodotto in uva nell'anno sus-
« seguente? »
Oppure:
« Dati dei semi di frumento provenienti da piante cresciute in
« determinate condizioni climatologiche e telluriche, e seminati sotto
« altre determinate condizioni che favorirono o contrariarono il tal-
« limento delle giovani piantine, quale prodotto in granelle sarà le-
« cito sperare per l'anno successivo? »
In questo caso del frumento così detto autunnale, si tratterebbe,
per causa di esempio,
1° Di tener calcolo (come già fanno i più accorti agricoltori)
della costituzione fisiologica delle sementi adoperate;
308 CAPITOLO VII
2° Di tener calcolo se i semi in terra già sviluppati furono sor-
presi dal gelo, e se questo si approfondì nel suolo tanto da farne
perire un certo numero;
3° Di tener calcolo se dopo la seminagione i semi ebbero a su-
bire alternative di leggera umidità e di secchezza, perchè il dissec-
camento, se si ripete varie volte, nuoce ai germi sviluppantisi e rende
problematica una messe copiosa;
4° Di tener calcolo se in primavera (aprile) i grani sono tristi
0 no; perchè nel primo caso, anche se la stagione si mettesse al
bello, anche se la vegetazione apparisse in seguito rigogliosa, anche
se si concimasse il suolo, le spighe sono già formate, la loro lun-
ghezza ed il numero delle loro spighette sono già determinati, e
nessuno potrà mai accrescerne il numero, fosse pure d' una sola di
esse;
5° Di tener calcolo, in conseguenza di quanto si è detto testé,
dell'andamento del mese di marzo, perchè, come dice l'adagio, « marzo
asciutto, gran per tutto. »
Ben ponderate queste condizioni di successo, ed altre che per bre-
vità ommettiamo, si potranno predire, con grande probabilità di co-
gliere nel segno, una copiosa raccolta od una meschina messe; ed
in caso di cattivi prognostici il coltivatore potrà regolarsi non solo per
favorire in tempo utile la fruttificazione, ma altresì nella vendita dei
frumenti in magazzeno, per attendere forse un quasi certo rialzo,
e via dicendo. (Trattandosi di frumento marzuolo la carpoprognosia
non può venire diremmo quasi in nessun aiuto all'agricoltore).
Altri quesiti si potrebbero formulare per altre piante coltivate; ma
1 due qui sopra dettati bastano a nostro avviso per dare una idea
esatta dello scopo di questa nuova parte della meteorologia appli-
cata, la quale in conclusione dovrebbe prendere come elementi es-
senziali de' suoi calcoli di probabilità:
1° Le influenze climatologiche sotto le quali si andarono costi-
tuendo i semi o le gemme;
2° Quelle altre che ebbero influenza sul loro germogliamento e sul
primo periodo di accrescimento della nuova pianta o del germoglio
fruttifero, dalla fioritura alla pubertà, e da questa alla costituzione
del frutto.
Supponendo (tanto per concretizzare meglio la cosa) che in nn
numero e di casi nei quali si verificarono certe speciali condizioni
s' abbia avuto un numero b di prodotti abbondanti, la probabilità del ri-
PRONOSTICO DELLA FRUTTIFICAZIONE DELLA VITE 309
torno di questo prodotto, quando si ripresentano le suddette condi-
zioni, ci sarà dato dalla forinola:
_b_
e
Così se in 100 casi di cotali condizioni si ebbe 90 volte un co-
pioso prodotto, la probabilità che si abbia in quest'anno un analago
prodotto, essendosi verificate quelle stesse condizioni, ci è dato da
cioè una grande probabilità, la quale sta alla certezza come 0,90
sta ad 1.
Riassumendo: la fruttificazione presente ha la sua ragione di es-
sere nel passato della pianta e del seme, oppure della pianta e della
gemma; risalendo dal presente al passato l'agricoltore potrebbe ren-
dersi ragione — sino nei più minuti particolari — del perchè la
pianta fruttificò male in quest' anno, bene invece neh' anno prece-
dente, e via dicendo.
Infatti, quello che è oggi una pianta, non è altro che la conse-
guenza di quello che fu ieri; e quello che fu ieri è 1' effetto di ciò
che fu ieri 1' altro, e così di seguito. È una catena non mai inter-
rotta, senza soluzioni di continuità; una serie di anelli che rappre-
sentano tanti effetti. Potendosi studiarli a fondo uno ad uno e per
lunga serie d'anni, si potrebbero fissare con grande esattezza gli in-
timi rapporti che esistono fra il progresso delle stagioni e quello
della vegetazione.
§ 4. Applicazione speciale alle viti. — Eccoci ora a fare
noti i nostri studii speciali applicati alle viti.
Già sappiamo che i fiori della vite si presentano quasi sempre su
germogli spuntati in primavera da gemme di tralci che hanno un
anno di vita, di tralci cioè dell'anno avanti.
A questa regola si danno, per quello che ci fu dato constatare,
due eccezioni: 1° talvolta portano qualche raro grappolo quei pol-
loni che nascono sul ceppo o vecchio tronco della vite, specialmente
nei nostri paesi meridionali od in qualche vite a pergolato; 2° tal
310 CAPITOLO VII
altra vedonsi grappolini sui getti estivi (sulle femminelle) che spun-
tano all'ascella delle foglie dei getti primaverili.
Ma in rarissimi casi si è potuto trarre reale partito da queste
fruttificazioni che chiameremo anormali; per cui non ne diremo al-
tro, e ci occuperemo solo dei veri frutti dei getti primaverili
spuntati su rami di un anno.
Abbiamo detto che questi nascono da gemme; vuol dire dunque
che il loro vigore, la loro potenza fruttificatrice, sarà anzitutto in
relazione diretta colla fecondità delle singole gemme madri.
Infatti qui siamo neh' identico caso, ad esempio, del frumento, il
quale cresce tanto più sano, è tanto più fecondo e dà granelle tanto
più pregevoli, quanto più robusto e turgido e di buona provenienza
era il seme da cui nacque.
Ma ciò non basta. Il frumento potrebbe fallire se il suolo sul quale
vegeta non lo coadiuvasse durante il periodo della sua vegetazione:
or bene, lo stesso dobbiamo dire della gemma della vite, la quale
se non troverà nel legno del tralcio (alburno) e nel succo ascendente
quella copia di elementi che le tornano indispensabili, specialmente
durante i primi momenti del suo sviluppo e della cresciuta del pro-
prio germoglio, darà un getto meschinello e poco fruttifero.
Dunque, quello che è il suolo per il seme di frumento, è il tralcio
di un anno per la gemma.
Qui però si chiederà se noi non teniamo conto delle radici: ri-
sponderemo che non crediamo abbiano grande influenza nei primi
momenti della germogliazione e della cresciuta dei teneri germogli.
La mancanza di foglie ci fa persuasi che la gemma debba germo-
gliare, e debba altresì svilupparsi il nuovo getto, senza il concorso
delle radici. Ma meglio delle congetture, ci persuadono i seguenti
fatti:
Se si pone in terra un pezzetto di tralcio munito di alcune gemme,
queste danno piccoli germogli anche prima d'aver cacciato radici le
quali possano elaborare materiali del terreno; — se una ceppaia
muore nel verno, può talora dare getti in primavera da' suoi tralci
a frutto, getti però che giunti ad un certo punto del loro sviluppo,
muoiono perchè le radici non vengono in loro soccorso; — se in
primavera si sradica una pianta, un gelso ad esempio, prima che
siansi dischiuse le gemme, queste daranno tuttavia brevi germogli
quantunque le radici dell'albero più non sieno entro il suolo ; — se
gli alberi muoiono in piedi, cioè sul posto, portano ciò non ostante
PRONOSTICO DELLA FRUTTIFICAZIONE DELLA VITE 311
germogli, che vivono a spese del loro legno e li rendono meno ap-
prezzati dai commercianti di legnami; — se le talee di pioppi e di
ontano si tagliano verdi e si abbandonano a sé in lungo fresco,
danno germogli.
Dunque il tralcio frutticoso di un anno è proprio, per così dire,
il terreno nel quale deve nascere e indi vegetare per un poco di
tempo il tenero germoglio spuntato dalle gemme del tralcio mede-
simo. A suo tempo poi, e col comparire delle foglie, le radici inco-
mincieranno la loro opera alimentatrice, perchè allora le fibre radicali
della gemma stessa si saranno già intrecciate, o diremo meglio ana-
stomizzate, colle fibre corticali del libro preesistente. Da questo punto
il germoglio cessa di essere un parassita, un vero succhione svilup-
patosi a spese del tralcio a frutto, ma fa parte attiva del vegeta-
bile, perchè le sue parti verdi incominciano ad assorbire acido car-
bonico e fors'anche ossigeno. Come si vede, havvi un periodo ab-
bastanza lungo durante il quale la pianta madre deve alimentare del
proprio non pochi parassiti: sono dessi i bottoni (veri svernatoj di
Linneo) che spuntano all'ascella delle foglie in primavera sui rametti
dell'annata. Essi vivono a spese della madre tutto l'estate, l'autunno
ed il verno successivi, nonché una parte della primavera, benché già
sviluppatisi in teneri germogli; e non cessano dal loro parassitismo
che allorquando questi ultimi, per la loro corteccia recente (che è
verde) e poi per le prime foglioline, incominciano ad assorbire acido
carbonico e fors'anche ossigeno in presenza della luce.
Durante tutto questo periodo si forma pertanto la fruttifica-
zione delVanno agrario successivo, fruttificazione che sarà più o
meno abbondante a seconda delle condizioni meteorologiche alle quali
sarà stata soggetta la pianta madre nell'anno agrario precedente.
Le gemme infatti avranno risentito esse pure V influenza di queste
condizioni atmosferiche, e se la madre sarà stata contrariata nella
sua vegetazione, anche le gemme dovranno crescere mal costituite
e dare l'anno dopo germogli o poco o punto fruttiferi.
E tutto ciò perchè ogni influenza meteorologica alquanto costante
si traduce in un fatto fisiologico più o meno importante. La frutti-
ficazione futura non sarà quindi altro che la risultante delle varie
influenze meteorologiche dell'anno anteriore, tenendo ben' inteso cal-
colo della cooperazione del suolo e dei concimi che noi possiamo già
valutare in anticipazione con grande certezza. Anzi ci preme di in-
sistere su quest'ultimo punto, acciò non si creda che siamo ciechi
312 CAPITOLO VÌI
seguaci dell'antica massima annus fructifìcat, non tellus, che pecca
alquanto d'assolutismo, tuttoché sia in parte giustissima.
In conclusione, e ritornando al nostro assunto, la fruttificazione
che in maggio vediamo sulle nostre viti è il frutto d'un lavorìo in-
terno della pianta madre, il quale ebbe a durare 12 mesi, o poco
meno.
Queste gemme spuntate su tralci dell'annata, che più propriamente
si debbono dire germogli, e che mettono quasi un anno a costi-
tuirsi, possono dare al loro schiudersi getti molto, poco o punto frut-
icosi: — le gemme invece che sorgono sul legno di soli 2, di 3,
di 4 e più anni, non possono (tolte rarissime eccezioni) dare getti
fruttiferi per quanto siano bene costituite sino dalla loro origine.
Queste ultime pertanto non ci interessano affatto.
Le prime invece, che sono anche le più numerose, debbono atti-
rare tutta la nostra attenzione in questi tentativi di carpoprognosia,
poiché se noi arriveremo a studiare bene come si vadano costituendo,
sapremo anche predire, già prima che si schiudano, se i frutti sa-
ranno copiosi o no.
Siccome questa prescienza potremo acquistarla tra la fine dell'in-
verno ed il principio della primavera (circa nel dodicesimo mese di
vita delle gemme in questione), ne segue che da sette ad otto mesi prima
della vendemmia noi saremo in grado di accertare che i frutti sa-
ranno, per ragion d' esempio, abbondanti. Aggiungeremo che le
cause (meteore-parassiti) che possono influire sulle pigne già formate,
rare volte sono tali da modificare V entità della vendemmia in una
intera plaga vitifera ; l'influenza loro è grave relativamente a piccoli
predii, ma il prodotto medio generale d' un dato paese non subisce
per esse che in rari casi marcate diminuzioni (1).
E ritornando alla suddetta prescienza non solo noi possiamo ac-
quistarla da 7 ad 8 mesi prima della vendemmia, ma anche molto
tempo prima e così alla fine dell' estate (almeno 12 mesi innanzi) ;
perchè la influenza di questa stagione e della primavera che la pre-
cede può essere spesso rilevantissima, come vedremo.
Intanto incomincieremo a premettere che (come già dicemmo di
passsggio pel frumento), giunti ad un certo punto nel ciclo vegeta-
(1) Uno di questi rari casi si è verificato nel 1884 in cui in molte regioni del-
l'Italia Superiore un ubertoso raccolto d'uva fu ridotto quasi a nulla dalle gra-
gnuole, dalle pioggie soverchie e dalla peronospora.
PRONOSTICO DELLA FRUTTIFICAZIONE DELLA VITE 313
tivo delle gemme frutticose, torna affatto impossibile al viticultore
l'aumentare la vendemmia ; esso potrà solo contribuire a serbare in-
tatta la maggior parte possibile dei tirsi che si presentano in prima-
vera, e nulla più. Cotale punto coincide ad un dipresso col dodice-
simo mese di vita della gemma del tralcio disteso a frutto ; cotale
ciclo vegetativo, come già dicemmo, comprende il seguente periodo :
primavera,
estate,
autunno,
inverno.
Prima di giungere alla raccolta delle uve occorrerebbero ancora
una primavera, un' estate e parte dell' autunno, cioè all' incirca otto
mesi. Or bene in quest'ultimo periodo faccia pure il viticultore quanto
gli è possibile in favore della quantità dei grappoli; ari pure, e van-
ghi pure e zappi e concimi in primavera, od anche nel febbraio o
nel marzo; vanghi pure e zappi nel seguito della primavera e nella
state; egli non rinscirà mai ad accrescere d'un solo grappolo il pro-
dotto che gli sta dinnanzi, il prodotto pendente. Egli potrà far in-
grossare meglio gli acini delle singole pigne, potrà farne anticipare
la maturanza, potrà recar giovamento grande alla pianta madre; ma
questa per quell'anno non gli porterà, in premio delle sue fatiche, un
numero di grappoli maggiore di quelli segnati in primavera.
Si obbietterà che le femminelle, come già dicemmo, recano talvolta
grappolini ; ma oltre che quest'uva in rarissimi casi giunge a matu-
ranza, essa non rappresenta che una produzione eccezionale di viti
molto vigorose. Sarebbe una vera pazzia Y arrestarsi a considerare
quest' uva come possibile prodotto rinumeratore di quei lavori che
si fanno nella vigna durante l'anno.
Questi ultimi hanno uno scopo ben più importante; si fanno anzi
con duplice intento:
1°) quello di giovare ai frutti pendenti,
2°) quello di giovare alle gemme ascellari che nell'anno succes-
sivo dovranno dare i germogli fruttiferi.
Ma a noi non preme per queste ricerche che il secondo.
Diremo pertanto che se, colle opere di coltura (lavori e concimi),
si giova alle gemme della fruttificazione avvenire, ciò dipende da
questo fatto: che per esse si aumentano i materiali utili alla pianta
madre cotanto spossata a cagione dei frutti pendenti. Questi infatti
314 CAPITOLO VII
sono i più accaniti parassiti del vecchio ceppo: essi non fanno altro
che consumare senza pagargli alcun tributo di principii utili; essi in
sostanza non si comportano molto diversamente di quanto fa il te-
muto oidio. Crescono e maturano bene, se la pianta loro provvede
buona copia di alimenti convenientemente elaborati ; vivono invece
rachitici e non si completano mai se la pianta non ha questi mate-
riali nelle volute dosi : può darsi benissimo, e si dà spesso, che essi
prosperino a detrimento della madre, ma non si dà mai che la ma-
dre li sacrifichi a suo prò. Infatti se la pianta si trova in mediocri
condizioni e può assimilare poco, non sono già i frutti che ne risen-
tono maggiormente, ma è la parte legnosa della madre, cioè la pianta
stessa, che in parte sacrificasi a prò della costituzione del frutto.
Dopo una fruttificazione molto abbondante i ceppi trovansi quasi
estenuati, e ci vuole almeno un anno, e cure adatte, per rimetterli in
vigore.
Giunge per verità un certo punto in cui la pianta non toglie che
pochissimo (e fors'anche nulla) al terreno, come avviene per le piante
annuali dopo la fecondazione {Isidoro Pierre); allora i frutti vivono
proprio esclusivamente a spese dei materiali che costituiscono quella.
Abbiamo già accennato a pag. 207 ad una nostra vignala quale
non poteva maturare i suoi frutti per difetto di umidità, e che fu
inutilmente annacquata al piede d'ogni ceppo; le radici non funzio-
navano quasi più a beneficio dei frutti. Avendo provato ad asper-
gere direttamente i grappoli, la maturanza si fece pronta e completa;
l'acqua era penetrata forse per endosmosi, come proverebbero le belle
esperienze di /. Boussingault fatte per altro scopo.
Se pertanto il frutto è così dannoso alla pianta madre, come non
lo sarà egualmente alle delicate gemme latenti o visibili, che si vanno
appunto formando su di essa mentre crescono e maturano i grappoli ?
Queste gemme saranno anzi le prime a risentire Y influenza del
parassitismo dei frutti, di loro molto più potenti; ed ove questi ul-
timi fossero veramente molto numerosi le gemme potrebbero con-
trarre una organizzazione quasi diremmo rachitica, e non portare
Fanno dopo che getti infruttuosi o poco fruttiferi.
E così avviene. È cosa notoria a tutti i viticultori che due annate
di grande vendemmia non si succedono può dirsi mai, o solo in certe
condizioni affatto eccezionali di cui ci occuperemo in appresso ; le quali
condizioni però hanno sempre per effetto di favorire il miglior svi-
luppo delle gemme in quistione.
PRONOSTICO DELLA FRUTTIFICAZIONE DELLA VITE 3115
Dopo le gemme, risentiranno V effetto del parassitismo dei frutti i
tralci (il terreno per il primo sviluppo dei bottoni nell'anno susse-
guente), i quali saranno meno ricchi di sostanze utili alle gemme
stesse.
Dunque ne avremo un danno alle gemme ed un danno ai tralci
frutticosi per l'anno che segue.
Naturalmente dal fin qui detto desumesi il primo e più ovvio cri-
terio per prognosticare l'entità d'una vendemmia, anche più d'un anno
prima. E la carpoprognosia non può certo sprezzare questo primo in-
dizio, per cui noi lo terremo in nota.
§ 5. Influenza della primavera sulla formazione delle
gemme frutticose. — Quello che ora dobbiamo anzitutto studiare
è l'influenza della primavera sulle gemme che nel successivo anno
dovranno darci i germogli più o meno frutticosi. È in questa sta-
gione che si vanno formando cotali gemme, che noi vediamo dise-
gnarsi all'ascella delle giovani foglie ; è quindi naturale che le con-
dizioni meteorologiche di essa abbiano una marcatissima influenza sui
bottoncelli nascenti.
Già sappiamo che la gemma è in origine una cellula vegetale, cioè
un corpicciuolo tondeggiante formato da una membrana (cellulosa)
racchiudente un nocciolo di sostanza più consistente il quale nuota
in un liquido : — quando poi il bottone è costituito ed ha perforato
la corteccia, presenta nel suo interno (cioè entro Y involucro delle
scaglie protettrici) un embrione di germoglio del quale tutte le parti
laterali — i rudimenti delle foglie, e fors' anche delle gemme fiori-
fere, foglifere o miste — stanno per così dire rannicchiati, pieghettati
attorno ad un cortissimo asse (H. De Jussieu) per modo da occu-
pare il minor spazio possibile.
Come avvenga che da una semplice cellula si formi grado grado
questo bottone, noi non lo sappiamo fin'ora-: possiamo solo ammet-
tere con Raspail che la gemma si costituisca a spese degli strati
esterni dell'alburno, e che per segmentazioni incessanti (strozzature)
della cellula madre da cui trasse origine, essa finisca per allungarsi
sotto la corteccia, rendendosi infine esterna.
Ora se è vero — come già dicemmo studiando la fruttificazione
delle vite — che consentaneamente alle razionali idee di Raspati,
al ritorno della primavera l'alburno dovrà nutrire gli organi più in-
terni, fra cui cotali bottoni latenti, nessun dubbio che esso si andrà
316 CAPITOLO VII
esaurendo, passando in parte allo stato di libro, e confondendosi per
tal maniera col libro degli anni antecedenti, per poi passare allo
stato di corteccia ed infine essicarsi affatto.
Quindi è che la pianta sentirà un potente bisogno di riparare a
queste perdite per le quali il legno si fa alburno, l'alburno libro, ed
il libro corteccia.
Se la pianta si troverà in condizioni di provvedere a questo suo
accrescimento per intuscezione, vuol dire che avrà un alburno ricco
di materiali atti alla buona costituzione delle gemme ed al loro ac-
crescimento; per cui ognuna di esse, uscita che sia di sotto la cor-
teccia, conterrà nel suo interno un embrione di germoglio provvisto
di parecchie gemme fiorifere.
Allungatosi poi il germoglio a primavera, cotali gemme ci daranno
i grappoli. Ogni gemma ne contiene, allo stato rudimentale, due o
tre: è raro che non ve ne siano affatto; ma non è ugualmente raro
il loro aborto, per cui il germoglio nasce e si sviluppa senza por-
tare frutti. Così quando la gemma si costituisce sotto cattive con-
dizioni, sovratutto perchè la pianta è contrariata dal cattivo anda-
mento delle stagioni, questi embrioni di grappoli possono benissimo
fallire completamente o ridursi ad un solo per bottone.
Ricordato tutto ciò e volendosi ora studiare per tutta la nostra
penisola l' influenza della primavera sulla formazione delle gemme, bi-
sognerebbe distinguere vari casi, cioè :
« viti rigogliose, in terre fertili, ben tenute, nell'alta e media Italia
« nonché in tutte le regioni alte e fresche dell'Italia meridionale »;
« viti poco rigogliose, in terre poco fertili, in paesi assai caldi e
« secchi nell'estate » e via dicendo.
Noi però, per amor di chiarezza ed anche per deficienza di dati
sperimentali meteorologici e fisiologici, non ci occuperemo che del
primo fra i due casi citati. Date quindi le accennate condizioni, diciamo
che una primavera calda e poco piovosa sarà molto favorevole
alla buona organizzazione delle gemme ascellari suddette che, come
sappiamo, si formano appena mostransi le foglioline, tra l'aprile ed
il maggio.
Nel caso di abbondanti pioggie si ha nel terreno come dire una solu-
zione nella quale le viti vegetano a grande stento; si ha un soverchio as-
sorbimento di acqua che non può smaltirsi se non in piccola parte
per evaporazione, essendo poche le foglie: si ha altresì una scarsa
provvista di materiali inorganici; infine una produzione di germogli
PRONOSTICO DELLA FRUTTIFICAZIONE DELLA VITE 317
esili eà allungati, e quindi delle gemme rachitide, mal conformate
già dal loro nascere; quasi diremmo una cattiva gestazione nella pianta
madre.
Ma, come abbiamo notato, se la stagione oltre a trascorrere poco
piovosa, o meglio asciutta, fosse altresì calda, tanto meglio: allora
potendosi durante il giorno raggiungere, specialmente in maggio, 26
o 27 gradi di calore all'altezza di 0m,50 ad lra dal suolo (cioè nell'am-
biente in cui si trovano ad un dipresso le viti basse o mediane) riesce
di molto coadiuvata la formazione del legno, quindi le gemme na-
scono da un alburno ben provvisto di principii utili, e si vanno di
poi sempre più perfezionando nel maggio, nel giugno, e nei mesi
successivi, se l'estate non le contraria.
Vedremo in fine che le osservazioni fatte nel periodo 1855-83
confermano pienamente questo fatto:
« Che durante una primavera calda e sopratutto poco piovosa,
« nelle viti rigogliose, in terre fertili, ben tenute, dell'Alta e Media
« Italia nonché nelle regioni alte e fresche del Mezzodì, le gemme
« ascellari primaverili che debbono svolgersi nel successivo anno si
« organizzano bene ».
Ed è questo il 2° indizio di cui si giova la carpoprognosia appli-
cata alla viticultura.
§ 6. Influenza delle altre stagioni. — Abbiamo già detto più
sopra che dopo l'influenza della primavera sulle gemme nascenti,
conveniva studiare l'influenza dell'estate susseguente.
L'osservazione del citato periodo 1855-83 ci condusse a concludere
che ima estate poco piovosa e calda è a sua posta favorevolissima
alla buona cresciuta delle gemme ascellari ed alla provvigione, se
così possiamo esprimerci, dei loro serbatoi.
Poiché abbiamo già detto che ogni bottone reca sotto di sé un rigon-
fiamento del legno, una specie di mensoletta, o cuscinetto polputo, rac-
chiudente una sostanza di apparenza amilacea, la quale funge la stessa
parte che fungono nei semi i cotiledoni ; cioè deve alimentare il
tenero germoglio nella successiva primavera sino a che esso non
abbia cacciato le foglie, ed intrecciate le sue fibre radicali colle fibre
corticali del libro. Oltre a ciò anche alla base delle scaglie carnose
protettrici delle gemme delle viti, si trova immagazzinata sostanza
nutritizia.
Or bene, questa provvista si fa copiosa in un'estate calda e poco
318 CAPITOLO VII
umida, od anche asciuttissima: se 1' estate trascorre piovosa accade
che le viti continuando senza posa a cacciare femminelle e foglie e
bottoni ascellari e persino femminelle sulle femminelle (esempio, il
1875) non può provvedere siccome converrebbe ai suddetti serbatoi.
Accade poi anche un fatto pochissimo considerato sin qui, ma
pure importante ed è che « le gemme meglio sviluppate sono, in
tali casi, quelle della punta dei germogli primaverili. » Infatti o-
gnuno avrà notato che all'ascella della foglia ove trovasi la gemma
sorge spesso, per non dire sempre, una femminella, per cui il bot-
toncello rimane collocato tra questa ed il picciuolo della accennata
foglia. Ora, tanto quest'ultima che la femminella concorrono a nutrire
meglio cotale gemma ascellare, la quale, trovandosi per di più in punta
ove i succhi nutritori riescono meglio elaborati (essendo queste parti
dei tralci penzoloni ed esposte meglio alla luce ed al calore) finisce
infine per essere assai preferibile ai bottoni spuntati alla base del
tralcio; i quali, come sanno benissimo gli uomini della pratica, sono
poco appariscenti, piccoli, foggiati a punta e forieri di scarsa ven-
demmia per il successivo anno.
Da queste osservazioni è facile dedurre, che all'atto della potagione
recidendosi la punta di così fatti tralci, si reciderà né più né meno
che la loro parte migliore; quindi alla germogliazione nella prossima
ventura primavera si verificheranno questi fatti:
1°). cotali gemme poste sopra serbatoi scarsamente provvisti della
necessaria scorta di materiali nutritizii si svilupperanno male, e non
troveranno neppure il necessario alimento nel tralcio, esso pure
male organizzato, e di costituzione quasi diremmo erbacea e floscia;
quindi l'aborto di molti grappolini in viticci:
2°). quelli, fra i suddetti bottoni dell' anno avanti, i quali si
troveranno collocati verso la parte superiore del tralcio, siccome da-
ranno i loro germogli solo quando le radici della pianta madre già
funzionano, porteranno pur tuttavia un qualche grappolo.
Concludendo : V estate piovosa contraria la buona cresciuta dei
bottoni ascellari formatisi nella precedente primavera; contraria la
copiosa provvigione dei loro serbatoi; contraria la perfetta forma-
zione del legno dei nuovi getti, cioè dei futuri tralci a frutto; con-
traria la buona alimentazione di quelli fra cotesti bottoni che sono
posti nella parte inferiore dei getti.
In sostanza e come appunto si vedrà nelle osservazioni sopra ci-
tate, è contraria ad una copiosa vendemmia per il successivo anno.
PRONOSTICO DELLA FRUTTIFICAZIONE DELLA VITE 319
«
Ed è questo il 3° indizio o criterio che si deve tener a calcolo
per la carpoprognosia.
Ma lo studio dell'influenza della primavera e dell'estate {tuttoché
importantissimo e che tale basterebbe forse da solo in certi casi
al nostro intento) non è completo in ogni emergenza: ad esso deve
pure accoppiarsi Tesarne dell' andamento dell'autunno.
Una gemma formatasi sotto buone condizioni in primavera, cre-
sciuta bene e provvista d'un ricco serbatoio nell'estate, ha poco da
temere dall'autunno e dal verno susseguenti: e quasi si potrebbero,
come dicevamo, troncare a questo punto, in settembre cioè, le os-
servazioni per la carpoprognosia.
Se non che l'osservazione ci ha dimostrato che quando l'autunno
trascorre secco ed abitualmente sereno il raccolto futuro è viem-
meglio assicurato, e si potrebbe allora con una tal quale sicurezza
affermare che sarà veramente ubertoso ; (bene inteso si parla qui
della vendemmia dell'anno susseguente).
Infatti, se sono molte le giornate a sole vivo e cocente e se il
terreno non è inzuppato da piogge, si possono facilmente trovare,
specialmente durante l'intero mese di settembre, le condizioni neces-
sarie perchè la cellulosa si converta in sostanza legnosa od amilacea
coadiuvando così la perfetta formazione del legno e dei serbatoi sud-
detti, nonché delle gemme. Secondo il Prof. Gaetano Cantoni bisogna
per ciò che la temperatura atmosferica arrivi a -f- 27° C. e quella
del terreno a circa 25°; or se il suolo è umido, si riscalda troppo
difficilmente, e quando anche giungano in settembre giornate nelle
quali la temperatura di cui godono i tralci delle viti sia di 27 a 30
e più gradi, non si hanno le preziose trasformazioni sopra accennate.
In caso opposto e specialmente trattandosi di viti basse (le quali
perciò vivono negli strati più caldi dell'atmosfera, che sono quelli che
più avvicinano il terreno) l'autunno secco ed abitualmente sereno può
giovare assai, e nel settembre intero, ed anche spesso nell'ottobre.
Ma oltre a ciò l'autunno secco e caldo può giovare anche a ri-
mediare in parte ai danni della precedente estate, supponendo che
sia trascorsa umida, ed in ogni caso poi a migliorare le condi-
zioni dei tessuti della pianta. In tal caso questi ultimi saranno so-
verchiamente acquosi; ma se l'aria è in autunno secca e calda, può
contenere più vapor acqueo che non a temperature più basse, quindi
l'evaporazione dai tessuti stessi può riescire più attiva, e questi mi-
gliorare così sensibilmente la loro costituzione.
320 CAPITOLO VII
Infine, dato un autunno umidiccio, i tessuti essendo per l'appunto
troppo acquosi, nel successivo inverno potrebbero riescire assai più
fatali i danni dei disgeli; i quali, come è noto, sono poco a temersi
se la pianta non è impregnata d'acqua. È superfluo soggiungere che
questi disgeli riescono talvolta a distruggere molte gemme, facendo
scemare sensibilmente il prodotto dell'annata.
Infine ci rimane a studiare l'influenza dell'inverno, la stagione
che precede il momento dello sbocciamento di queste gemme, che allora
formerebbero già da un anno circa l'oggetto delle nostre osservazioni.
I fatti hanno provato che anche questa stagione, se deve essere
favorevole alla fruttificazione avvenire, deve trascorrere secca, con
molte giornate a cielo sereno. Certo l'influenza dell'inverno non è
da paragonarsi a quella della primavera, e tanto meno poi a quella
dell'estate, per le addotte ragioni; ma pure può essere utile una sta-
gione non umidiccia, a cielo abitualmente scoperto. Ed eccone i motivi.
Anche nel verno può attivarsi per qualche ora del giorno la ve-
getazione e ciò accade {Gaetano Cantoni) quando la temperatura
del terreno esplorato dalle radici, sia almeno di -f- 5° C. e quella dell'a-
ria, superiore a -f- 7° C. Ora noi abbiamo potuto constatare che
nelle giornate affatto serene e quando non vi sono venti freddi, il
tralcio delle viti basse (alla latina, ad alberello, alla casalese, alla
Guyot ecc.) può godere d'una temperatura maggiore di 7 gradi du-
rante alcune ore dopo il mezzodì: e così pure può il terreno, se non
è gelato, portarsi a 5° negli strati suoi che sono in contatto colle
radici, strati compresi all'ingrosso fra 0m,30 e 0m,50 di profondità.
Dunque durante un inverno secco ed a cielo poco nuvoloso vi pos-
sono essere parecchi giorni non del tutto perduti per la vegetazione.
Or bene, in queste ore utili di risveglio vegetativo si ha una leg-
gera evaporazione per la corteccia, ed un cotal perfezionamento nei
tessuti, come ammetteva anche Giusto Liebig. Che se non si avrà vera
evaporazione, certamente si dovrà avere la traspirazione, che quasi
diremmo cutanea, dagli stomi dell'epidermide, fenomeno fisiologico che
si produce specialmente sotto l'influenza della viva luce solare, in-
dipendentemente, secondo alcuni, dall'umidità dell'aria e dalla sua tem-
peratura (Guettard e DehérainJ.
Senza voler fare sforzi di induzione per dimostrare come da questa
traspirazione invernale possa derivare un utile per le vite, poiché è
meglio non spiegare che spiegare male, diremo solo che le osservazioni
che seguono, dimostrano veramente 1' utilità d' un inverno quale lo
abbiamo più sopra indicato.
PRONOSTICO DELLA FRUTTIFICAZIONE DELLA VITE 321
§ 7. Osservazioni e pronostici nel periodo 1855-1884. —
Premesse tutte queste considerazioni, indispensabili a formarsi un
criterio esatto di ciò che noi chiamammo Carpoprognosia, radu-
neremo in uno specchio i risultati delle osservazioni che si riferi-
scono ad un periodo di 30 anni, cioè dal 1855 al 1884, osserva-
zioni che confermano ampiamente tutto quanto precede e dimostrano
come questi pronostici della fruttificazione della vite abbiano un serio
fondamento.
Come si è visto per le viti rigogliose dell'alta e media Italia, poste
in terre fertili ecc., Vanno secco è in generale più giovevole che
Vanno amido, e ciò riescirà evidente a chi rifletta alle ragioni e-
sposte al § 5. Però non si vuol con ciò inferire che sia bene ab-
biano a mancare affatto le pioggie; allora si cadrebbe in eccessi op-
posti.
« Che esse siano quindi moderale durante le suddette sta-
« gioni — ma specialmente in primavera e nella state — e nel
« rimanente sia il cielo sereno, e perciò potente V azione della
« luce e del calore solare, e poi (data una vigna coltivata con
« qualche cura ed a parte i possibili danni dell'oidio, della grandine
« ecc.) si potrà andar sicuri di avere nelVanno successivo una
« abbondante vendemmia. »
Ed ecco ora la suddetta tabella nella pagina seguente.
L' inverno comprende, secondo queste osservazioni, i tre mesi di
dicembre, gennaio e febbraio, e così di seguito di tre in tre per le
altre stagioni.
L'esame di questa tabella convincerà, come noi crediamo, lo studioso
delle verità delle cose sin qui esposte. Le quali potranno mancare
di una più soddisfacente spiegazione fisiologica (la fisiologia vegetale
essendo tanto bambina), ma non per questo cessano di essere vere.
Gli anni ottimi per la vendemmia (parliamo sempre ed unicamente
dell' alta e media Italia e delle viti che si trovano nelle condizioni
altrove designate), cioè il 1862 ed 1871, nei quali si raccolsero co-
piosissime quantità d'uva, li vediamo preceduti da quattro stagioni
pressoché identiche per condizioni di calore e di umidità; il secco
predominò tanto nella primavera che nell'estate e nell'autunno, e se
nell'estate del 1870 si ebbe qualche pioggia di più che nel 1861 ciò
non nocque (come non poteva nuocere) al prodotto del successivo
1871, perchè anzitutto le pioggie moderate sono pur esse utili, eppoi
poiché l'autunno dello stesso 1870 fu asciutto.
0. Ottavi, Trattolo di Viticoltura 22,
322
CAPITOLO VII
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Abbreviazioni. — s. piov., semi piovoso — <j. nonn
— s. aorm.j semi o quasi aormale.
quasi normale — s. asciutto, semi asciutto
(1) Ku invece scarsa a. cagione della primavera umilia, e fredda del 1876 — (2) Fu invece b a
soltanto perchè le piogge della primavera del 1878 furono cagione di molta cascola. — f.i) Nonio fu
dappertutto. Nell'Alta Italia vi era bensi poca uva, ma in varii locali dopo tre mesi di siccità, se-
guita da aleune piogge moderate, essa ingrossò mollo e il reddito ivi fu buono. — (4) Fu itero dan-
neggiata moltissimo dalla peronospora e dall'antracnosi. — (5) Danneggiato dalla peronospora. — (6) Fu
pei'o quasi distrutto dalla peronospora e dalle grandini. Ma la promessa in primavera era assai beila
PRONOSTICO DELLA FRUTTIFICAZIONE DELLA VITE 323
Al contrario gli anni di scarsa vendemmia si mostrano in tutti i
casi preannunciati da primavere umide nell'anno precedente; e certo
questa stagione, che è quella come vedemmo in cui formansi i bot-
toni, deve avere una marcatissima influenza, tale che, come accadde
nel 1860, neppure un' estate caldissima può modificarla a prò della
fruttificazione avvenire.
In nessun caso poi una primavera umida e fredda ha permesso
nell'anno successivo una vendemmia soltanto buona; essa fu sempre
scarsa o mediocre, a seconda che fu molto umida e fredda, o umida
e calda e via dicendo.
Del resto non bisogna mai perdere di vista l'entità della vendemmia
precedente: così se il 1864 potè (benché piovosissima la primavera
del 1863) vantare una raccolta buona, si fu perchè nel 1863 se ne
ebbe una mediocre: la vigna quindi non doveva essere molto esausta,
e le gemme benché formatesi sotto condizioni poco buone, poterono
crescere bene e perfezionarsi; ciò tanto più se si riflette che la pri-
mavera del 1863 fu calda — tuttoché piovosissima — e calde fu-
rono pure le stagioni susseguenti; l'eccesso d'umido potè quindi es-
sere comodamente smaltito.
Gli anni buoni, cioè di vendemmia ubertosa senza essere abbon-
dantissima, succedono sempre a stagioni normali, tanto per calore
che per umidità, e ciò conferma viemmeglio le cose anzidette.
Ma quello su cui ci preme maggiormente di insistere egli è sulla
necessità di raggruppare fra loro, e confrontare e coordinare
i cinque criterii suddetti, la. vendemmia cioè, la primavera,
l'estate e l'autunno delV anno pcecedente e V inverno dell' anno
stesso, se si vuole formarne un unico criterio attendibile. Ed
egli è soltanto con questa, quasi diremo, compensazione, che esami-
nando la tabella suddetta si potrà trovare la conferma del fin qui
detto.
§ 8. Deduzioni utili per la pratica. — Ci rimangono a
trattare, a guisa di appendice a questi studi, due argomenti assai
importanti:
1.) accennare alle pratiche che sono oggi in nostro potere per
ovviare almeno in parte ai cattivi influssi delle condizioni meteoriche
d'un'annata, sulla vendemmia dell'anno susseguente;
2.) accennare alla questione economica cosi felicemente risolta
324 CAPITOLO VII
col mezzo della carpoprognosia, quella cioè di esitare sempre il proprio
vino a prezzi rimuneratori, anche nelle annate d'ubertosissima ven-
demmia.
È indispensabile svolgere anche questi due punti, prima di porre
termine a questo capitolo.
Consideriamo brevemente il primo fra i due: — quando il viti-
cultore, tutto ben ponderato, è quasi certo che l'anno successivo la
vendemmia sarà scarsa, non dovrà rassegnarvisi, ma invece vedrà
ogni maniera per venire coll'arte sua in soccorso alle proprie viti.
È un fatto degno di rimarco che per i bravi viticultori quasi non
esistono le male annate; per costoro questi studii di carpoprognosia
tornano pressocchè inutili perchè a dispetto dell'andamento delle sta-
gioni essi riescono a mantenere le proprie viti in condizioni normali
ad un dispresso, e la fruttificazione vi è almeno discreta anche nelle
annate così dette cattive. Siccome però questi viticultori sono pochi
assai, e siccome d'altra parte essi pure, per la migliore vendita dei
loro prodotti possono, come diremo fra breve, trarre grande giovamento
da questi prognostici, così anche per essi non riesciranno affatto i-
nutili, come parrebbe a primo aspetto.
Intanto però, attenendoci alle condizioni generali di quasi tutti i
nostri vigneti, i cui ceppi si lasciano crescere a benefizio di natura,
(tolte poche pratiche di cui non sarebbe possibile fare a meno) di-
remo succitamente che:
a) Durante gli anni di abbondanza si deve provvedere la vite
di buona copia di opportuni concimi, acciò possa riparare alle gravi
perdite cui la fa soggiacere il frutto e si predisponga bene colle sue
gemme ascellari ad una copiosa fruttificazione nell'anno successivo;
b) Trascorrendo umida assai la primavera, ad evitare i gra-
vissimi inconvenienti che già accennammo, fa mestieri porre in pra-
tica tutti quei mezzi (fognatura, fossi di scolo, ecc. ecc.) che gio-
vano a dare pronto smaltimento alle acque piovane; e nel tempo i-
stesso praticare il « salasso primaverile » delle viti, operazione
viticola di cui parleremo al cap. XXVIII. Il salasso ha per iscopo non
solo di frastornare i gravissimi danni dell'aborto nei fiori dell'annata,
ma quello altresì di cooperare in modo assai efficace al buon sviluppo
delle gemme ascellari che formano oggetto precipuo di queste ri-
cerche.
Non vogliamo qui entrare a descrivere il salasso delle viti perchè
non è questo il luogo opportuno; ci basti l'accennare che se la pri-
PRONOSTICO DELLA FRUTTIFICAZIONE DELLA VITE 325
mavera (maggio) trascorre molto umida, se non si provvede a questo
guajo, l'anno dopo le gemme danno quasi sempre fiori che aborti-
scono. Naturalmente poi trascorrendo la primavera molto secca e
calda queste pratiche non sono punto da consigliarsi specialmente
se le viti sono poco rigogliose perchè attempate;
e) Avendosi un' estate . umida assai bisogna praticare — con
molto discernimento però — quelle operazioni che, come le cima-
ture, le ricimature dei getti e delle femminelle, la scacchiatura o
spollonatura, in una parola la potatura verde, hanno per iscopo di
impedire gli inconvenienti che già accennammo; si badi però che di-
cemmo a bello studio « con molto discernimento » perchè è noto,
tanto per citare un esempio, che trattandosi di viti ricche di umori,
rigogliose e giovani, le scacchiature vogliono essere moderate assai,
se non si vuole che l'eccesso di umore danneggi le gemme ascellari;
d) Che infine, trascorrendo umidi l'autunno e l'inverno, giove-
ranno moltissimo a queste gemme e la fognatura ed i fossi di scolo
già accennati. Oltre a ciò gioverà pure il ritardare la potatura, a
fine di provocare il pianto delle viti che è cotanto giovevole in
ispecial modo alle piante robuste, rigogliose, giovani che crescono
in terreni pingui. Infine in certe condizioni gioverà altresì — per
ovviare agli inconvenienti delle due suddette stagioni, se umidicce
— la potatura ricca, cioè o con più tralci frutticosi ovvero con tralci
frutticosi più lunghi del consueto, tanto per avere un maggior fra-
zionamento del succo.
Ma, lo ripetiamo, qui non intendiamo entrare nel vasto campo
della pratica viticola, che sarà oggetto dei capitoli seguenti; abbiamo
solo voluto porre sotto gli occhi di chi legge, come possano questi
studii di carpoprognosia giovare anche al viticultare, servendogli di
guida nelle svariate operazioni dell'arte sua.
Ora veniamo alla questione economica, che interessa assai da vi-
cino l'enologo.
Le annate di grande abbondanza d'uva si può ben dire che non
si seguono mai; rare volte poi accade che ad un'annata buona, un'altra
ne segua pure tale; ma con tutto ciò il caso si dà, e ne ebbimo
un esempio nel 1874 e nel 1875. Tolti questi casi eccezionali si può
stabilire, in tesi generale, che le vendemmie buone e le mediocri o
le cattive si alternano d'anno in anno; così ne viene che il prezzo
del vino segue la stessa curva, le stesse oscillazioni. Nel Basso Mon-
ferrato si alternano generalmente parlando questi prezzi:
326 CAPITOLO VII
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40 ,>() ali ettolitro
Possono capitare due anni consecutivi nei quali il vino valga 60
lire, come
1854 L. 66 in media all'ettolitro
1855 » 67 » »
e possono capitare invece due anni di seguito in cui non valga che
da 20 a 30 lire, come
1865 L. 23 in media all'ettolitro
1866 » 27 » »
Ma tre anni consecutivi di prezzi bassi, inferiori cioè alle 30 lire,
nella citata plaga non si sono verificati in questi 30 anni, e ciò non
ci pare difficile a spiegarsi dietro quanto dicemmo sulla fruttifica-
zione delle viti.
Ora egli è evidente che chi sapesse approfittare dei prezzi suddetti
di 50 oppure 60 lire Y ettolitro, offrendo ai compratori nelle annate
di scarsa, o solo di mediocre vendemmia, del vino prodotto a 20
o 30 lire nelle annate abbondanti o buone, ricaverebbe tale utile
dalla sua industria da persuaderlo di leggieri che l'industria del vino,
esercitata con criterio ed accortezza, è la più lucrosa di quante si
conoscono e si esercitano in paese.
Ma per giungere a tale risultato, fa mestieri non solo fabbricare
bene il vino, in guisa da saperlo serbare anche per 24 mesi in cantina;
ma saper anche prevedere con una certa quale approssimazione come
andrà la vendemmia nell'anno susseguente. E così, prevedendosi —
dietro i criterii della carpoprognosia — una vendemmia copiosa per
l'anno dopo, si potrà esitare il proprio vino ai prezzi correnti, senza
attendere un rialzo impossibile, ed anche per non lasciarsi cogliere
da una straordinaria raccolta colle cantine tuttavia occupate dal
vino vecchio: oppure prevedendosi una assai scarsa raccolta si potrà
serbare il proprio vino colla certezza di rivenderlo fra 10 o 12 mesi
al doppio del suo valore, e lucrare cosi il 100 per 100, come già
accade a qualche accortissimo enologo, che pur opera così a caso,
cioè senza i criterii di quella prescienza che noi qui tentammo di sta-
bilire.
Né ci si venga a parlare degli interessi del capitale che si ter-
PRONOSTICO DELLA FRUTTIFICAZIONE DELLA VITE 327
rebbe infruttuoso, per un anno e forse più, in cantina; poiché il gua-
dagno sarebbe tale, in ogni caso, da pagare a grande esuberanza i
frutti, come si potrebbe vedere dietro un calcolo semplicissimo che
ognuno può istituire da sé.
I produttori di vino sono generalmente le vere vittime delle oscil-
lazioni che subiscono i prezzi della preziosa bevanda, specialmente
nelle annate assai ubertose. Dall' altro canto vediamo i consumatori
costretti a pagare il vino a carissimi prezzi quando le vendemmie
sono scarse.
Ma tutto ciò scomparirebbe, e si avrebbe il tanto desiderato « li-
vellamento nei prezzi » ove almeno i più ricchi enologi serbassero
una parte o tutto il loro vino (secondo i casi) nelle annate d'abbon-
danza per esitarlo solo in quelle di poca raccolta. Essi vi farebbero
grassi guadagni ed i consumatori avrebbero a loro disposizione una
maggior copia di vino che non pagherebbero mai a prezzi esorbi-
tanti; poiché noi chiamiamo esorbitante il prezzo di 70 lire l'etto-
litro per vino da pasto buono (senza essere poi di qualità speciale)
quale si ebbe non di rado a verificare qui in Monferrato.
Oltre a tutto ciò la carpoprognosia potrebbe giovare moltissimo
nelle annate di copiosa vendemmia nelle quali l'uva scende talvolta
a prezzi vili: infatti allora, essendo già trascorse e la primavera e
l'estate e conoscendosi 1' entità della vendemmia presente si hanno
di già tre fra i più importanti criterii sui quali si basano queste
nostre previsioni; e per questo si può con grande approssimazione
predire se l'anno successivo sarà di nuovo ubertoso o non.
Ma in quest'ultimo caso è evidente che niuna miglior speculazione
vi sarebbe di quella del fabbricare molto vino colle uve suddette a
prezzi bassissimi, per poi rivenderlo l'anno dopo al doppio ed anche
più del suo valore.
Così accadde per esempio nel 1871. L'uva nel basso Monferrato si
vendeva a 10 o 12 soldi il miriagramma, ed il vino si produsse perciò
al massimo a 12 lire l'ettolitro (vino ottimo, mercantile, da pasto): —
nell'anno successivo 1872 il vino ebbe, dopo la vendemmia, un va-
lore maggiore del doppio, e coloro che avevano vino del 1871 lu-
crarono il 100 per 100: nel 1873 poi, essendo l'uva salita a 4 lire il
miriagramma, il vino toccò le 60 — 70 lire per ettolitro. Ora sa-
rebbe stato facile — mediante questi nostri studii — prevedere la
scarsità d'uva del 1873, poiché i due anni precedenti erano stati ab-
bondanti, anzi il 1871 abbondantissimo, e sopratutto perchè il 1872
328 CAPITOLO VII
era trascorso pochissimo favorevole alla fruttificazione del successivo
anno (veggasi la tabella): siccome il vino buono del 1872 si era
prodotto a circa 30 lire l'ettolitro, così vendendolo nel 1873 anche
a sole 60 lire (prezzo dei vini usuali, poiché i scelti toccarono le
70) si sarebbe anche qui lucrato comodamente il 100 per 100. Non
parliamo poi dei guadagni che avrebbe potuto fare chi avesse avuto
scorte del vino del 1871 prodotto a 12 lire l'ettol.: gli interessi dei
capitali nei due anni circa d'infruttuosità sarebbero stati pagati più
che comodamente e l'industria avrebbe pur tuttavia reso più del 100
per 100.
Sotto questo aspetto nessuna industria può reggere il confronto
con quella del vino, e se si costituissero Associazioni per questo
unico scopo, gli azionisti ne ritrarrebbero i più lauti guadagni.
Qui poniamo termine a questi studii e tentativi di Carpoprognosia,
nutrendo fiducia che troveremo per essi dei seguaci, acciò, in un
tempo non lontano, possa questo ramo della meteorologia agricola
poggiare su più solide ed ampie basi.
CAPITOLO Vili
Il terreno per la vite,
Après avoir passe en revue la nature du
sol d'un" grand noinbre de vignobles
renommés, il est impossible de trouver une
seule nature de terrain qui ne fournisse
un exeinple d'un vin célèbre naissant à
sa sur face.
Gasparin — Cours d'Agriculturej
T. IV, p. 638.
1. Il terreno per la vite — § 2. Natura chimica del terreno — § 3. Influenza
della natura chimica del terreno sui fenomeni d'assorbimento — § 4. Compo-
posizione delle ceneri della vite — § 5. I quattro elementi immediati e loro
influenza sulla quantità e qualità del prodotto della vite — § %. Riassunto
sull'influenza della natura chimica del suolo — § 7. Natura fisica del terreno
— § 8. Riassunto sulle proprietà chimiche e fisiche del terreno in relazione
colla vite — § 9. Esposizione — § 10. Giacitura.
§ 1. Il terreno per la vite. — Tutti gli autori che scrissero
di viticultura pongono la vite tra le piante meno esigenti in quanto
al terreno. La vite quando trovi a sé confaciente il clima, facilmente
si contenta del terreno. Nello studio che faremo su quest'argomento
cominceremo dal considerare la composizione chimica, per venire poi
a quello ben più importante della struttura e delle proprietà fìsiche.
Completeremo infine le notizie sulla esposizione e sulla inclinazione
del terreno date nel capitolo VI. Come si vedrà, questi diversi
coefficienti che contribuiscono a formare la maggiore o minore bontà
del terreno per la vite, sono strettamente legati fra di loro, e si
330 CAPITOLO Vili
influenzano a vicenda in modo, che nessuno di essi è tale da non
poter essere dagli altri modificato nei suoi effetti.
§ 2. Natura chimica del terreno. — È stato detto e cre-
diamo con ragione, che la composizione chimica del terreno non è
mai un ostacolo alla formazione d'un buon prodotto. Questo potrebbe
dispensarci dal trattare della natura chimica del terreno per la vite,
e potremmo passare senz'altro alla trattazione delle proprietà fisiche
le quali sono al contrario della più alta importanza nella coltura
che ci occupa.
Ma tuttavia, acciocché quella proposizione non riesca a qualcuno
troppo assoluta e avventata, daremo innanzitutto qualche esempio che
varrà, meglio d'ogni dimostrazione, a dimostrarne la verità. Osser-
viamo i vini celebri italiani, francesi e d'altri paesi; ci persuaderemo
che non v'ha natura di terreno che non si possa con vantaggio appli-
care alla coltura della* vigna. Noi troveremo che un terreno calcare
è quello che più si acconcia alla produzione del Nebbiolo, che i ter-
reni vulcanici producono prodotti in vino abbondantissimi nella re-
gione Etnea e del Vesuvio e nei colli Laziali, troviamo un terreno
granitico pei vini famosi dell'Hermitage, un terreno sabbioso o ciot-
toloso nel Médoc, terre calcari e marnose nella Costa d'Oro, sabbie
quarzose a Xeres, schisti argillosi a Malaga, terre cretose nella
Sciampagna, sabbie nere e ricche di humus a Tokai.
Le sabbie calcari leggere, come ne ha molte la provincia d'Ales-
sandria, sono eccellenti. I terreni calcari sono buoni anche pel fatto
che resistono meglio alla siccità e ai calori estivi, mentre i terreni
neri basaltici di cui si trovano esempi nella provincia di Vicenza,
non riflettendo i raggi solari, fanno sì che la vigna soffra assai i
danni del secco. — Nel compartimento francese della Marne i ter-
reni che danno i prodotti più rinomati hanno uno strato poco pro-
fondo di terra vegetale e sotto di esso un sottosuolo calcare cretoso.
Infine abbiamo in Italia il proverbio la vite nel sasso, e lo studio
dei vigneti di regioni le più disparate, di cui abbiamo numerosi esempi
in Guyot, in Ladrey e in altri autori di viticoltura, ci ricorda una quan-
tità di plaghe vitifere a produzione abbondantissima e in cui la vite
cresce e prospera tra le pietre. Sono queste regioni per lo più le calde,
ma anche le centrali ne porgono esempii. Abbiamo in Francia le piane,
che Guyot chiama desolate, della Crau, le pietre e le roccie quasi senza
terra delle garrigues dei Pirenei Orientali, della Dròme, dell'Hérault,
IL TERRENO PER LA VITE 331
abbiamo in Spagna una regione tra la Sierra Morena e le Cordi-
gliere di Moclin tutta a sabbie e ciottoli, affatto sterile, e che pare
non si possa prestare a vegetazione alcuna, la quale pure si adatta
assai bene alla vite. Terreni consimili si trovano all'isola di Madera e
alle isole Azorre, nelle quali la vigna costituisce uno dei prodotti
più importanti.
V'è però un'altra considerazione a farsi, ed è che gli effetti della
composizione chimica del suolo possono essere notevolmente modi-
ficati dalla composizione fìsica del suolo stesso. L'illustre agronomo
Gasparin studiò V influenza che poteva avere su terreni di eguale
natura chimica, la facilità più o meno grande colla quale il terreno
trattiene l'acqua: ne concluse che da un terreno secco si ottiene
uva ricca assai di zucchero ma relativamente sprovvista d' acidi,
mentre in un terreno fresco la proporzione di acidi era maggiore.
Da un terreno umido si otterrebbe un frutto in cui predominano gli
acidi, l'albumina e le mucillagini a pregiudizio della proporzione dello
zucchero.
Si aggiunga che sulle proprietà del terreno relative ai fenomeni
d'assorbimento la composizione chimica ha una notevole influenza. Di
qui la necessità di far precedere un breve studio sui componenti del
terreno; poiché è evidente lo stretto legame tra le proprietà del ter-
reno e la sua composizione chimica, per quanto la conoscenza di
quest'ultima non possa fornire argomento a conchiusioni assolute
sulla fertilità del suolo stesso — come vedremo in seguito.
§ 3. Influenza della natura chimica del terreno sui fe-
nomeni d'assorbimento. — Le esperienze del Dr. Way dimostrarono
che tutte le argille, i silicati idrati d'allumina, esercitano una grande
influenza sui fenomeni d'assorbimento, mentre poca ne esercitano le
terre calcaree e pochissimo le terre sabbiose. Ne nasce da ciò che se
noi confideremo al terreno elementi fertilizzanti, la loro soluzione,
attraversando lo strato coltivabile cederà più o meno di questi ele-
menti a seconda del predominio del terreno dell' alimento argilloso,
calcare o siliceo.
Aggiungendo al terreno del cloruro di potassio e del. solfato d'am-
moniaca avviene un mutuo scambio tra i silicati doppi (zeolitici) con-
tenuti nel terreno e il sale aggiunto. La potassa e l'ammoniaca oc-
cupano il posto della calce nel zeolite, mentre la calce si combina
coli' acido cloridrico del cloruro o solforico del solfato. Tutto ciò
332
CAPITOLO Vili
gioverebbe adunque a quel complesso d'azioni che contribuiscono alla
formazione dell'argilla. Ed è nell'argilla che trovansi gli alcali e spe-
cialmente la potassa che un terreno può abbandonare alle piante.
Ma anche un altro elemento importantissimo viene assorbito, ed è
l'acido fosforico. Il Dr. Wólcher dimostrò che se esso trovasi nelle so-
luzioni allo stato di fosfato d'ammoniaca o di potassa, viene dal
terreno trattenuto tutto il sale, mentre se si tratta di fosfato sodico
solo l'acido fosforico viene trattenuto, mentre la soda esce dal ter-
reno stesso.
La conclusione di tutto ciò è che sarà interessante il conoscere
se in un terreno predomina l'elemento argilloso, poiché 1°) in questo
caso saremo certi che in tale terreno sarà grande la facoltà assor-
bente, ossia il potere di assorbire e trattenere delle sostanze dalle
soluzioni che lo attraversano; 2°) Perchè si sa che i terreni argillosi
formati dalla disgregazione delle roccie feldspatiche contengono na-
turalmente più potassa degli altri. Gli ultimi progressi della chimica a-
graria ci permettono di affermare questo fatto. Si provò infatti a
trattare un terreno con acido cloridrico concentrato e quindi privato
di silicati zeolitici, i quali come abbiamo veduto possono dar luogo
ad uno scambio chimico delle rispettive basi; orbene ne risultò che
facendo attraversare delle soluzioni di cloruri, nitrati e solfati per
quel terreno non vi era più assorbimento di basi alcaline (potassa,
ammoniaca) o terro-alcaline (calce, magnesia).
§ 4. Composizione delle ceneri della vite. — Dimostrata
cogli argomenti svolti al cap. V, nonché nei precedenti paragrafi, l'op-
portunità — se non la necessità — di conoscere le principali ma-
terie occorrenti alla nutrizione della vite, daremo le seguenti cifre
del Wolff le quali si riferiscono a 100 in peso di ceneri :
Principali sostanze
componenti le ceneri
Foglie
verdi
Tralci
44,1
36,0
4,8
7,1
1,8
1,2
Semi
Bucce
Mosto
d'uva
acerba
Mosto
d'uva
matura
Potassa
Calce
Magnesia
Acido fosforico . . .
» solforico . . .
Silice
23,9
20, 3
8,1
15,1
3,1
5,0
27,4
32,2
8,5
27,0
2,4
1,0
41,9
21,7
4,4
15, C)
3,8
2,6
66,3
5,2
3,2
15,4
5,2
2,0
65,0
3,4
4,7
16,6
5,5
2,1
IL TERRENO PER LA VITE 333
Basta dare uno sguardo alla tabella del Wo///"per rendersi ragione
di ciò che si dice comunemente, che cioè la vite è una pianta a po-
tassa. La potassa infatti, come già dicemmo al Cap. V, è l'elemento
che in proporzione maggiore concorre nella vite a formare la parte
erbacea, la legnosa, e specialmente il frutto.
Ma ad evitare che da questa rilevante proporzione di potassa con-
tenuta nella vite si traggano conseguenze troppo assolute, sottopor-
remo due fatti di singolare importanza, i quali fra le altre cose var-
ranno anche a dimostrare quanto sia limitata Y importanza che si
deve attribuire all' analisi chimica di un terreno.
Le esperienze di Boussingault e di Vergnefte hanno dimostrato
che la vigna non esige nel terreno una quantità di materie alcaline
(la potassa è appunto una sostanza alcalina) più grande di quella
assorbita da altri raccolti: non ostante la grande quantità di alcali
esistente in qualcuno dei suoi prodotti (specialmente nel frutto), la
vigna non toglie alla terra più di quello che tolgano altre piante (1).
Queste esperienze di Boussingault e di Vergnette giovarono a
prevenire un errore in cui si poteva troppo facilmente incorrere.
Era naturale che si credesse necessaria nel terreno una quantità
grandissima di potassa, specialmente anche dopo le esperienze di
Gueymard, le quali dimostrarono che le ceneri dei tralci sono più
ricche in sali alcalini ed in fosfati che quelle del ceppo: quelle della
vinaccia sono più ricche di quelle del tralcio, quelle del vino più
ricche ancora. Adunque le parti più alcaline sono quelle che servono
alla produzione del vino, onde quella credenza era naturale. Eppure
si provò che la barbabietola, la patata, il frumento tolgono al
terreno più alcali di quanto ne toglie la vigna nelle medesime con-
dizioni. La causa di questa apparente contraddizione sta in ciò, che
parte dei sali alcalini contenuti nelle foglie della vite resta nel ter-
reno. E poi si consideri che se le ceneri del vino sono più ricche di
potassa, esse ceneri sono per altro in piccolissima quantità. Si può
quindi conchiudere che la vigna esige meno potassa ed elementi mi-
nerali in genere delle altre colture. (2) S'aggiunga che essa occupa
un cubo di terreno non determinato, perchè può estendere assai le
sue radici, e ciò spiega in parte perchè la vite spesso trovi il suo
nutrimento anche in terreni aridissimi.
(1) Vedi Cap. V, pag. 126.
(2) JoiUie, pag. 348 (Engrais Chimiques),
334 CAPITOLO Vili
Ma vi è un'altra circostanza da considerare ed è il diverso grado
di assimilabilità della potassa e qui sta il secondo dei fatti che
volevamo osservare.
Esso si lega al principio, ormai accettato dai chimici agronomi, che
l'analisi chimica non basta a dare un'idea della fertilità d'un terreno.
E poiché siamo a parlare della potassa esistente nel suolo, gio-
viamoci di questo esempio, il quale ci semplificherà alquanto il cam-
mino da percorrere.
Quando non si avevano ancora idee esatte sulF assorbimento delle
sostanze contenute nel terreno per parte dei vegetali, e sulle condi-
zioni che lo regolano, si attribuiva all' analisi chimica una grande
importanza. La si riteneva un dato sufficiente per giudicare della
fertilità di un terreno. Ma in seguito si osservò che un terreno pro-
veniente da micaschisto, ricco cioè di potassa, non fa prosperare
piante esigenti potassa, come sarebbe appunto la vite. E si osservò
contemporaneamente che certi terreni poveri di potassa lo possono
fare, e lo fanno realmente per il solo motivo che in quel terreno
la potassa esiste sotto forma assimilabile. Si cita ad esempio il ter-
reno della foce del Nilo, poverissimo di potassa, ma che si presta
benissimo alla coltura di piante così dette potassiche, perchè questa
base in esso è contenuta allo stato assimilabile.
Se adunque siamo a questo punto, che una concimazione
potassica avrà esito favorevole in un terreno di micaschisto
mentre avrà pochissima influenza sul terreno del Nilo, dovremo
conchiudere che Y analisi chimica del terreno ci dà solo un' idea
sulla fertilità possibile di esso, ma non ci porge un esatto e giusto
criterio sulla sua attitudine a questa piuttosto che a quella coltiva-
zione.
Una conclusione sicura per quanto indiretta può trarsi dall'analisi
chimica ed è questa: se l'analisi ci dice che un terreno è ricco di
potassa e tuttavia vediamo che la vite od altra pianta potassica
non vi prosperano, noi conchiuderemo che questo elemento non si trova
nel terreno allo stato assimilabile, ed in tal caso bisognerà ricorrere
a concimazioni o a ripetute lavorazioni, le quali rendendo la terra
maggiormente esposta all'azione simultanea degli agenti atmosferici,
riducono la potassa allo stato assimilabile. Ecco adunque sino a qual
punto l'analisi chimica può servire di guida all'agricoltore. L'analisi
chimica ci dice quale è la ricchezza del terreno, cioè la quantità
di materiali utili contenuti in esso, mentre l'analisi unita alle espe-
IL TERRENO PER LA VITE 335
rienze di coltura ci conduce ad avere un' idea prossima al vero
sulla fertilità.
§ 5. I quattro elementi immediati (argilla, silice, calce ed
humus) e loro influenza sulla quantità e qualità del prodotto
della vite. — Le considerazioni teoriche sull'importanza dell'argilla nel
terreno per la vite trovano nella pratica una dimostrazione e una
conferma. Abbiamo veduto infatti come la chimica agraria moderna
spiega il legame che unisce l'elemento argilla all'elemento potassa.
E la pratica così dice per bocca dell'illustre H. Marès (1): « I ter-
reni argillosi formati dalla disgregazione delle roccie feldspatiche con-
tengono naturalmente più potassa degli altri. Il feldspato è un mi-
nerale alluminoso a base di potassa, di soda, di calce ecc. La po-
tassa che esso contiene la si ritrova nelle argille e dà molta forza
e vigore alla vegetazione della vite. I terreni puramente calcari o
silicei mancano di elementi potassici e non danno mai prodotti così
abbondanti. Il miscuglio degli elementi argilloso e calcare che tro-
vasi in certi terreni e sottosuoli marnosi, è una delle migliori con-
dizioni per assicurare la durata della vigna e l'abbondanza dei suoi
prodotti. »
Vediamo ora altre cause per cui il predominio di uno dei quattro
materiali immediati suddetti, possa influire sul prodotto finale.
I terreni argillosi — specialmente se ricchi d'ossido di ferrò —
danno vini più colorati e più stabili per essere più ricchi d'alcool.
Il Petit-Lafitte nel suo pregiato lavoro La vigne dans le Borde-
lais, dice che talvolta si dà colpa alla natura troppo argillosa del
terreno, di quel sapore speciale terroso del vino che i Francesi chia-
mano goùt de terroir.
Ciò è confermato anche dal Marès, il quale aggiunge che quei
medesimi terreni forti, assai argillosi dai quali si ottiene il vino col
gusto di terroir, danno invece con vitigni ad uva bianca, un vino
distintissimo.
I terreni in cui v'ha giusta armonia tra la silice ed il calcare
danno vini meno colorati, ma più fini e più suscettibili d'acquistare
il profumo {bouquet). Tali terreni trovansi nel mezzogiorno della
Francia in piane più o meno ondulate tra il mare e le montagne,
(1) Bes vignes chi midi de la Franca \
336 CAPITOLO Vili
In terreni di poggio, coperti di ciottoli qua calcari, là mescolati con
quarzo e silice, si ottengono — da vitigni ad uva molto colorata —
i vini più carichi di colore, che il commercio desidera pel taglio coi
vini inferiori.
Del resto la silice in particolare agisce sull'aroma, sulle qualità
che diremo brillanti del vino. Il Marès mette in dubbio la serbevo-
lezza dei vini ottenuti da terreni silicei: se non che molte osserva-
zioni fatte nella nostra Italia dicono che il vino dei terreni silicei è
leggero ma serbevole (1).
Il calcare o carbonato di calce esercita un'azione marcata sulla
solidità, sulla durata del vino e anche sulla sua ricchezza in al-
cool. Secondo alcuni osservatori i terreni calcari, a misura che in
essi predomina l','elemento siliceo o l'argilloso, partecipano della na-
tura dei terreni sabbiosi o argillosi.
Ultimo e non meno importante tra gli elementi immediati del ter-
reno agrario è 1' humus. — Esso, come pure il ferro, pare che au-
menti il colore del vino. Pare anche che comunichi a questo più a-
sprezza e maggiore conservabilità.
Una singolare importanza si attribuisce dagli autori quest'humus
(sostanza organica). Fra gli altri Guyot nell'accennare ai requisiti che
deve avere il terreno per la vigna nei paesi non meridionali, dice
che le terre leggere e permeabili, vulcaniche, calcari, giurassiche e
cretacee, sabbiose e silicee, a ciottoli, a frammenti sono le migliori,
ma alla condizione di essere mol'o profonde ed assai ricche di prin-
cipii vegetali (2). Ivi 1' humus supplirebbe all' azione stimolante
del calore, secondo il Guyot stesso; e ci pare che egli si apponga
al vero.
Si capisce che si dia notevole importanza sl\Y humus anche nei paesi
soggetti ai calori ed alla siccità: questa materia vegetale rende il
terreno assai proprio ad assorbire e a trattenere una quantità suffi-
ciente d'umidità anche durante il cuore dell'estate. Nello studio in-
teressante sui vigneti d'America fatto dal Ladrey si citano esempi
di questi terreni vegetali e ricchi anche assai di calcare magnesiaco
(centro e sud del Missouri).
(1) G. A. Ottavi. La Chiave dei Campi.
(2) Guyot. Elude des vignobles de France. Tome III. p. 605.
IL TERRENO PER LA VITE 337
È noto del resto che — passate le esagerazioni sulle pretese pro-
prietà fertilizzanti dell'humus — questa sostanza si ritiene ancora
d'un valore grandissimo e costituisce tuttavia uno dei mezzi per ri-
conoscere la fertilità di un terreno. In grazia all' humus il terreno
acquista non solo la igroscopicità, come abbiamo detto, ma anche
altre preziose proprietà fìsiche quali la porosità, il potere di assor-
bire e trattenere con più energia i materiali utili, e infine la facoltà
di assorbire una quantità più rilevante di calore, appunto per la
tinta oscura che esso ha naturalmente.
L'humus poi è sede di importanti reazioni chimiche, le quali av-
vengono ancorché la composizione di esso varii; e varia diffatti a
seconda della diversa natura dei vegetali che hanno vissuto su quel
dato terreno. L' humus è il generatore continuo nel terreno dell'a-
cido nitrico e dell'anidride carbonica (volgarmente acido carbonico).
Ed ecco in qual modo i chimici moderni spiegano la di lui benefica
azione nel terreno. L' acqua carbonicata che deriva dall' azione di
esso, scioglie una piccola quantità di fosfato neutro di calce (fosfato
tricalcico) il quale, come si sa, sarebbe insolubile nell'acqua pura.
Adunque l'humus provoca l'assorbimento di materiali che altrimenti
non sarebbero assimilabili. Contenendo poi esso sostanze azotate, dà
luogo a sviluppo d' ammoniaca, la quale genera poi l'acido ni-
trico.
Dall'analisi del Wolff abbiamo veduto che anche la calce e l'acido
fosforico sono contenuti in proporzioni rilevanti nelle ceneri della
vite.
G. A. Ottavi osservò (1) che si ottengono vini più colorati dove
esiste in abbondanza nel terreno il calcare (Casale, Acqui, Alessandria,
Bergamo, molte provincie del Veneto e Napoletano massime nel lito-
rale est, ecc), mentre dove non esiste calcare (Biella, Ivrea, Pinerolo)
si hanno vini più scolorati.
Un valente chimico agronomo francese, il sig. Joulie, ha coordinato
la seguente tabella, nella quale si confrontano gli elementi minerali
contenuti nei prodotti della vigna con quelli di altre coltivazioni,
prendendo per unità l'acido fosforico:
(l) Lezioni d'Agricoltura pei Contadini, voi. III.
0. Ottavi, Trattato di Viticoltura 23
338
CAPITOLO Vili
Acido
fosforico
Potassa
Soda
Calce
Magnesia
Vite
2,28
0,021
1,79
0,46
Frumento
maturo 1
1,28
»
0,52
0,36
»
in fiore 1
2,25
0,305
1,18
0,52
Pomi di terra (tubercoli) 1
3,30
0,048
0,12
0,24
Barbabietole (radici) 1
3,65
0,725
0,45
0,63
Fieno di
prateria 1
4,18
1,145
1,83
0,80
Da queste cifre il Joulie conchiude che per una medesima quan-
tità d'acido fosforico la vigna assorbe più di calce e meno di po-
tassa che la maggior parte delle altre colture. Per la calce essa è
quasi al livello del fieno di prateria, e per la potassa scende a quello
del frumento in fiore, che certo non ha la potassa come elemento
dominante. Dunque i viticultori neh' esame del terreno per la loro
vigna devono preoccuparsi almeno tanto dell'acido fosforico e della
potassa quanto della calce e degli altri elementi immediati.
§ 6. Riassunto sull'influenza della natura chimica del ter-
reno. — Riassumendo tutto ciò che abbiamo detto sin qui nella com-
posizione chimica del terreno per la vite diremo che, quantunque la
nostra ampelidea prosperi in terreni di natura diversissima, pure al-
cuni terreni ci sono che ad essa si confanno di più, ed è dimostrato
che la natura chimica del suolo esercita una sentita influenza sulla
qualità del prodotto. È noto a tutti come nei terreni grassi ed ar-
gillosi abbiasi per riguardo alla vegetazione uno sviluppo vigoroso
del legno, un prodotto abbondante, ma un vino di qualità non sempre
sceltissima, mentre nei terreni magri e secchi il prodotto della vite,
assai meno considerevole per riguardo alla quantità, sarà sempre su-
periore per la qualità. Si può ritenere che i terreni tipi per la
coltura della vite — dal punto di vista della fertilità — sono
quelli in cui si trovano sottosuoli formati di ceneri vulcaniche,
e ciò perchè tali sottosuoli più degli altri si prestano al disgre-
gamento delle roccie di cui sono composti, disgregamento che for-
nisce costantemente alla pianta tutti gli elementi che essa ha ten-
denza ad assimilarsi. I terreni primitivi più antichi che si avvicinano
ai precedenti per la loro composi/Jone ed origine, e che loro somi-
gliano nelle proprietà per i detriti che contengono mescolati alla terra
vegetale, sono buoni altrettanto quanto i terreni vulcanici. Vengono
IL TERRENO PER LA VITE 339
dopo — sempre riguardo alla fertilità — i terreni argillosi, in cui
l'elemento alcalino non esiste più che nei detriti che sfuggirono alle
decomposizioni anteriori; seguono infine le formazioni calcari e sab-
bionose.
Ma, lo ripetiamo, la vite è tra i vegetali uno di quelli che meno
esigono per quel che è della fertilità del suolo, e per darne una
idea, citeremo noi pure il fatto ricordato dal Ladreij che le an-
tiche leggi della Provenza non permettevano di piantar la vigna se
non dopo aver constatato con un'inchiesta che il suolo era realmente
sterile !
§ 7 Natura fisica del terreno. — La natura fisica del ter-
reno, e le proprietà che ne conseguono, relative al vario grado di
porosità, di umidità, di capillarità, di disgregamento più o meno a-
vanzato delle molecole terrose, per tacer d'altro, hanno sulla quan-
tità e sulla qualità del prodotto della vite una influenza più rimar-
chevole che non la composizione chimica.
Premettiamo che anche per quel che è della natura fisica del ter-
reno, la vigna è assai meno esigente delle altre piante coltivate. Veri
suoli ingrati per essa non esistono. Enumereremo colla scorta del
citato sig. Marès e delle osservazioni da noi fatte, i terreni che
meno si prestano alla coltura della vite, diremo poi dell' influenza
dell'umidità nel terreno, e verremo infine a conclusioni generali.
Suoli ingrati per la vite si potrebbero considerare quelli in cui
v' è eccesso di sabbia, il tufo, le ghiaie ed arene dilavate dalle acque,
i depositi di piccolo spessore sopra roccie compatte, gli strati d'ar-
gilla tenace. Suoli ingrati si possono considerare eziandio quelli
umidi e soggetti alle inondazioni.
Questi terreni presentano gli uni e gli altri le condizioni estreme
le più opposte. Cosi le sabbie, le ghiaie che tra loro non hanno alcun
elemento che le leghi, come ad esempio la marna o l' argilla, non
offrono consistenza alcuna. La vite in esse soffre e mal sopporta i
grandi calori, massime nei nostri paesi meridionali, e compie imperfet-
tamente la fioritura e la fruttificazione. Sopra il tufo le condizioni
sono ancora peggiori; in tali terreni la vigna produce poco e dura
poco. Dicasi lo stesso dei depositi in istrato sottile sulla roccia
compatta.
Negli strati d'argilla tenace la vigna si trova ancora peggio al-
lorché il terreno è orizzontale e non vi può quindi essere sfogo per
lo scolo delle acque, cosa che ognuno avrà potuto osservare.
340 CAPITOLO Vili
In questi casi vale meglio abbandonare affatto la coltura della vite:
un simile terreno, continuamente umido d'inverno, disseccato e con
larghi e profondi crepacci nella state, non può dar vita che a miseri
ceppi esposti ad ogni sorta di accidenti atmosferici, i quali danno
luogo poi alla colatura, al carbone, al marciume, ecc.
Quando le argille sono inclinate e possono essere prosciugate me-
diante la fognatura, le condizioni sono meno cattive (1).
Una massima che si vede ripetuta nei trattati di viticoltura è la
seguente, che la vite prospera bene in qualunque terreno purché
non sia umido.
La vite soffre il freddo ai piedi ha detto con frase felice il nostro
Prof. Cantoni, il quale ha conchiuso cogli altri che le bassure ed i
luoghi umidicci vogliono essere destinati ad altre colture.
Il precetto è adunque giusto, e non vi si può fare che qualche
eccezione come vedremo più sotto. La vite che vegeta in terreni
umidi non solo dà prodotti scarsi, ma dà uve meno zuccherine, più
ricche di albuminoidi e di sostanze mucillaginose, che sono poi di
pregiudizio alla buona conservazione del vino. Dà infine uve più a-
cide.
Lo stato arabile attivo del terreno si sovracarica di umidità quando
sotto di sé ha un sottosuolo impermeabile, il quale non permetta d'in-
verno l' infiltramento delle acque piovane. Conseguenza di ciò si è
che il terreno d'inverno è come pieno d'acqua stagnante e d' estate
diventa troppo asciutto, perchè, specialmente nei terreni sabbiosi,
l'acqua evaporandosi rapidamente lascia lo strato arabile affatto secco.
Il miglior sottosuolo sarebbe adunque quello composto d'uno strato
permeabile come sabbia, ma piuttosto alto, sovrapposto ad uno strato
impermeabile. Però quest'ultimo sarebbe invece dannoso se lo strato
permeabile di mezzo fosse di piccolo spessore. Qualora, essendovi
il sottosuolo impermeabile, esso sarà a 70-80 cent, almeno della su-
perficie, si potrà egualmente conchiudere in favore della bontà del
terreno, perchè quella distanza, oltre al non darci più a temere per
l'umidità, ci dinoterà che lo strato vergine è piuttosto spesso, e ciò
è della massima importanza, massime nel caso speciale della vite.
Ne risulta la necessità pel viticultore di farsi un'idea sulla natura
del sottosuolo, per potervi, occorrendo il caso, praticare gli opportuni,
-anzi indispensabili ammendamenti. Questa cognizione la si acquista nello
(!) II. Marès, op. cii. p. 273.
IL TERRENO PER LA VITE 311
scavar le fosse per le piantagioni o anche mercè opportuni trafori.
Quando si trova un sottosuolo formato di elementi grossolani come
ciottoli,' arena ecc. si avrà un indizio di terreno permeabile. Poco
permeabile sarà invece il sottosuolo formato di particelle finissime,
specie di argilla, ovvero formato di vero sasso.
Una proprietà importante da considerarsi nel sottosuolo è eziandìo
la forza di capillarità, quella proprietà cioè del terreno per cui
l'acqua esistente negli strati del suolo sale alla superficie.
Carattere del sottosuolo a molta forza di capillarità è l' essere
composto di particelle minute come in forma di fine sabbietta. —
In certi luoghi, di primavera e d' estate, alla superficie del terreno,
massime se il suolo è soffice, vangato e zappato, si vedono delle
efflorescenze saline. Questi sali, fra cui specialmente il salnitro ed il
sai di cucina, sono prova della capillarità del terreno, poiché vengono
trasportati alla superficie di esso dall'acqua, che sale appunto per la
forza di capillarità. La salita di essi si manifesta con maggiore e-
nergia allorché dopo le piogge succede un tempo bello e caldo, e
che il terreno non sia né asciutto ne molto freddo.
Nel sottosuolo la sabbia vera ha capillarità di pronto effetto, ma
talvolta di poco rilievo: la terra finissima invece come 1' argilla ha
capillarità d'effetto assai lento, ma più potente.
Veniamo ora alle eccezioni che avevamo accennato poco fa ri-
guardo alla natura del sottosuolo.
La prima di esse la troviamo nei paesi caldi, nei quali — quando
si ha ragione di temere la siccità — può ritenersi che un sottosuolo
di natura argillosa eserciti una vantaggiosa influenza sullo strato
arabile attivo. Esso infatti trattiene tra le radici una certa dose di umi-
dità, che viene certo utilizzata durante la stagione del secco; ma è sempre
necessario però che il terreno non sia di per sé stesso troppo com-
patto e che la circolazione dell'aria sia facile. Il signor Ladrey
nel citato suo Traile de Viticulture, senza neppure farne un caso
pei climi molto caldi, afferma senz'altro che le terre forti le quali
soddisferanno alle condizioni più sopra accennate, provocheranno nella
vigna un grande vigore di vegetazione.
A dimostrare che 1' umidità sotterranea può avere una vantag-
giosa influenza sulla vegetazione, purché non resti stagnante, cite-
remo un esempio che ci darà anche una bella applicazione di quanto
esponemmo sulla forza di capillarità.
In Francia, nella regione del basso Rodano, trovasi una zona di
342 CAPITOLO VITI
terreno dell'estensione di 6000 ettari, che prese il nome delle sabbie
di Aigues-Mortes. Quivi dal 1873 si vanno piantando alacremente
nuove vigne, poiché si scoprì in quelle sabbie la preziosa proprietà
di tenere la vigna illesa dagli attacchi della fillossera.
Infatti le sabbie di Aigues-Mortes sono eminentemente quarzifere,
costituite di granelli sottilissimi che scorrono assai facilmente gli uni
sugli altri, si asciugano prontamente dopo le pioggie, e mancano af-
fatto di miscugli plastici- Non possono quindi aver coerenza, e per
questa loro grandissima mobilità e scioltezza la fillossera non vi si
può muovere.
Ad Aigues-Mortes si ottengono prodotti favolosi; parlasi di 150 a
200 ettolitri di vino ad ettare. Il signor Barrai, illustre agronomo
francese, nello studiare le cause di sì splendidi raccolti in quella re-
gione, nella quale non cade quasi mai acqua meteorica dall' aprile
al settembre, non volle attribuire tutta la importanza al concime, e
specialmente al letame di stalla che colà si sparge sino alla bella
cifra di 100 m. e. per ettaro: ci doveva essere un' altra cagione.
Il sig. Barrai percorse l'intiera regione studiandone il terreno, e
trovò che i primi 20 cent, di sabbia contenevano l'I 0[q di umidità,
la quale umidità andava man mano aumentando sino a raggiungere
il 6, e il 12 0[o alla profondità d'un metro, e il 18-22 0[q a 2 metri
di profondità. Sotto le sabbie di Aigues-Mortes havvi dunque una
corrente di acqua dolce che, per capillarità, è portata in alto sino
a raggiungere le radici delle viti, e vi mantiene, ad onta della manc-
anza di pioggia, quella rigogliosa vegetazione.
Per provar ciò, un vagone di questa sabbia fu trasportata al capo
Pinède {Marsiglia) e vi furono piantate alcune viti in una fossa lunga
6 metri e larga 2. Le v'iti si mostrarono immuni alla fillossera, ma
vegetarono con molto minor vigore, perchè nella loro nuova località
l'acqua mancò assolutamente, non potendola esse assorbire dal sot-
tosuolo.
A questo punto, richiamativi anche dall'argomento della fillossera,
crediamo dover rispondere ad una obbiezione che si può fare a
quello che dicemmo sugli effetti dell'umido nel terreno. È noto come
uno dei metodi suggeriti per combattere V invasione fillosserica sia
la sommersione, mezzo energico e sicuro e del quale si fece strenuo
propugnatore in Francia il sig. Faucon. Si tratta di allagare il vigneto
durante 40 o 45 giorni. Si aggiunga che questa operazione va ri-
petuta tutti gli anni sul tardo autunno o nell'inverno, e che si pone
IL TERRENO PER LA VITE 343
per condizione della sua completa riescita la presenza di un sotto-
suolo impermeabile. Infatti se il sottosuolo lasciasse facile scolo al-
l' acqua, bisognerebbe rinnovare quest' ultima continuamente, e in
questo rinnovo si porterebbe naturalmente nel terreno anche una
certa quantità d'aria, la quale sarebbe sufficiente al funesto insetto
per respirare e per vivere.
Quest'obbiezione ha certo un valore, e noi ammettiamo che il pri-
vare il terreno della vite della sua aria, durante l'inverno, non può
che nuocere alla prosperità della vite stessa, benché questa sia al-
lora nel periodo del riposo. Ad ovviare in parte a questi inconvenienti
bisogna far seguire all' allagamento una buona concimazione con in-
grassi azotati e con potassa, ciò che supplirà ai materiali di fertilità
esportati dall'acqua, nonché frequenti lavorature del terreno, in pri-
mavera ed in estate, per ridonargli l'aria.
Veniamo ora alla struttura propriamente detta della terra.
Ad essa si attribuisce importanza massima. È constatato dall'os-
servazione che per tutto dove si produce vino di qualità superiore,
cioè vino rinomato, il terreno offre questa particolarità di trovarsi
mescolato a frammenti rocciosi, variabili in numero, in forma e in
grossezza, ma tali, sotto questi tre rapporti, che diminuirebbero assai,
e fors'anche ridurrebbero a zero il valore di questo terreno, ove ve-
nisse destinato ad altra coltura. Esempi di terre pietrose e ciottolose
producenti ottimi vini si trovano in Sicilia, in quel di Marsala, in
Francia nella Borgogna, nell'Hérault, in Spagna nei dintorni di Gra-
nata. Pare però da osservazioni raccolte in Italia (I) che le terre a
cui sono misti ciottoli e ghiaie, per quanto ottime a dar frutto ec-
cellente e vino veramente prelibato, siano in qualche modo di pre-
giudizio alla vitalità della pianta, la quale in esse avrebbe una breve
durata.
Ma ad ogni modo l'influenza di una simile struttura del terreno sul
vino è innegabile. Potremmo citare molti autori di viticoltura che la af-
fermano; ci limiteremo a ricordare il Conte Odart che afferma come
essa basti a prevenire l'alterazione del vino conosciuta sotto il nome
di grassume fgraissej. Il medesimo autore propone anzi un procedi-
mento fondato su questa proprietà per prevenire nei vini la detta
malattia; esso consisterebbe nel coprire di uno strato di ciottoli o
pietre stritolate la superfìcie del vigneto.
(1) V. giornale il Coltivatore voi. XXXII.
344 CAPITOLO Vili
§ 8. Riassunto sulle proprietà chimiche e fisiche del ter-
reno. — Da tutto quello che abbiamo detto si può conchiudere in
tesi generale che la vite vive e dà frutto in qualsiasi terreno anche
se situato in bassure e non perfetttamente asciutto, come quello della
classica Vernaccia di Oristano: però il viticultore non deve badare
soltanto ad ottenere frutti, ma ad ottenerne molti, di buona qualità
e nello stesso tempo di non nuocere soverchiamente alla longevità
della pianta. Studiando la questione sotto questo triplice aspetto, si
può stabilire un principio fondamentale invariabile; cioè che i terreni
umidi sono poco convenienti alla vite.
Allorquando poi i terreni non umidi sono composti di sabbie cal-
cari, sono leggieri, permeabili, ciottolosi, magri e via dicendo, la vite
ci dà vini secchi, ricchi di alcool, di eteri, poveri di albuminoidi e
di facile conservazione. Invece se i terreni sono compatti e fertili,
ci dà vini in maggior copia, colorati, più nutrienti, meno fini e meno
facili a conservarsi. Concludendo, la finezza del prodotto è pro-
porzionale alla scioltezza e magrezza del suolo; la sua quantità
invece aumenta nei suoli fertili. Il viticultore intelligente deve poi,
considerando la cosa dal lato economico, scegliere quel terréno che
naturalmente, o corretto con opportuni ammendamenti, potrà dargli
un prodotto discretamente copioso e con quelle buone qualità che il
commercio desidera: lo ripetiamo, noi qui parliamo in generale, perchè
non possiamo considerare i casi speciali in cui il viticultore può tro-
varsi.
§ 9. Esposizione. — Poco ci resta a dire sull'esposizione più
conveniente per la vite, già avendone parlato nel capitolo della Me-
teorologia viticola.
Rimandiamo innanzitutto il lettore alle idee generali esposte a pa-
gina 296, ed insisteremo nell'avvertire che la scala delle esposizioni
da noi stabilita, cominciando dalla migliore per venire alla meno fe-
lice, è tutt'altro che assoluta. Noi abbiamo detto che in generale la
miglior esposizione è quella di Sud, e che seguono poi rispettiva-
mente quelle di Ovest, di Est e di Nord. Ora, non solo le condizioni di
clima e di terreno possono cambiare o4 anche affatto invertire l'or-
dine da noi stabilito, ma ripari naturali particolari ad ogni regione,
operazioni speciali condotte dall'uomo, possono radicalmente modifi-
care gli effetti di una data esposizione.
Noi abbiamo visto infatti che, quantunque la vite resista al freddo
IL TERRENO PER LA VITE 345
più di molti altri vegetali, pure la esposizione Nord era per essa la
meno conveniente, essendo quella che riceve la minor quantità di
raggi solari diretti. Ma si è detto pure che var ii agronomi dell' età
antica e media, i quali scrissero sulla vite da regioni meridionali, ci
tramandarono il precetto che l'esposizione Nord era buona nei climi
caldi. — Magone Cartaginese, per aggiungerne un altro a quelli già
citati, scrivendo per l'Africa consigliava decisamente l'esposizione
Nord, la medesima d'altronde che si preferisce ora in Egitto, nei din-
torni di Alessandria. Queste differenze trovano la loro ragione special-
mente nel clima.
Si sa che nei paesi caldi le vigne hanno spesso a soffrire gli ar-
dori del sole, ed i loro frutti in certe annate sorpassano anche il
giusto grado della maturità. E così, quantunque la vite rifugga quanto
mai dall'ombra, spesso si è costretti a procurargliela correggendo
così in certa guisa il difetto dell'esposizione. Il sig. T. Carnevale da
Lipari ci scriveva che in molti vigneti di quell'isola negli anni di calore
eccessivo si provvede ad aumentare l'ombra al frutto per mezzo di
vegetali (ad esempio felci) coi quali si copre l'uva tanto dalla parte
superiore, quanto da quella cui da riceve il calore riflesso. (1)
Per quello che è dell' esposizione Ovest, se dovessimo accettare le
conclusioni dei molti fatti raccolti dal Guyot, dovremmo affermare
che essa sia la peggiore. Veramente essa presenta qualche difetto;
ad esempio è più umida di quella di levante non essendo colpita
dai raggi solari altro che nelle ore pomeridiane. Si aggiunga che
in questa esposizione e in quella di Sud Ovest può avvenire d'estate,
specialmente dall'una alle tre pomeridiane, che l'evaporazione e la tra-
spirazione delle piante si facciano eccessive. In tali casi l'umidità di
cui la pianta può disporre, e quella che essa toglie naturalmente al
suolo, non bastano a compensare le perdite prodotte dall'evaporazione
e ne nasce uno squilibrio nelle funzioni dalla pianta, il quale produce
la caduta delle foglie e l'essiccamento dei frutti.
Ma tuttavia anche tenuto calcolo di ciò noi abbiamo moltissimi
fatti che ci provano come in Italia alla esposizione ovest si otten-
gono ottime uve a frutto zuccherino; tanto che si può dire che in
tutte le parti d'Italia il sud e l'ovest danno i vini più generosi.
Neppure ha valore assoluto l'appunto che si fa alle vigne esposte
al levante di andar soggette alle brine. Innanzitutto la brina reca
(1) Giornale Vinicolo Italiano 1884, pag. 345.
346 CAPITOLO Vili
pochi danni se il suolo è asciutto, permeabile, sassoso o selcioso. E
d'altronde si sa che l'esposizione di levante è buona dove formasi
abbondante la rugiada, venendo questa dissipata dal sole nelle prime
ore del mattino. (1)
Sugli alti colli poi all' esposizione est il passaggio dal caldo al
freddo e viceversa non nuoce. Il danno è dunque limitato alle basse
valli ed alle piane.
L'esempio infine di vitigni celebri provenienti da terreni situati
ad esposizioni le più opposte, finirà per persuaderci della limitata
importanza che vuoisi dare all' esposizione. Abbiamo in Italia Ba-
roli squisiti provenienti da terre esposte al Nord del circondario
d'Alba, abbiamo in Francia il SaiUerne proveniente da vigneti
esposti quasi del tutto ad Est, e per tacer d'altri il Médoc esposto
al Nord-est.
Questi vini — il Médoc (Bordeaux) e il Nebbiolo — per quanto
abbiano una fama mondiale, non sono certo tra i più generosi, mentre
sono generosissimi i vini provenienti dalle esposizioni sud e ovest della
nostra Italia e dai paesi caldi specialmente. Questo fatto può aiutarci
a formulare un precetto o un consiglio pratico per le regioni calde
che può essere generalizzato secondo noi senza incontrare eccezioni
molto gravi. Nelle regioni calde oltre alle esposizioni sud e ovest
che danno vini generosissimi, possono convenire moltissimo le espo-
sizioni est e nord le quali in generale danno vini meno generosi;
ciò specialmente negli alti colli e anche al piede o alle falde dei più
alti monti dove si ottengono vini un po' acerbi, ma gustosi e ser-
bevoli.
Il sig. Petit- Lafltte nel libro da noi già ricordato, dedica un ca-
pitolo ad un argomento nuovo o almeno sin'ora pochissimo studiato:
l'influenza sulla vite della vicinanza di masse d'acqua, di montagne
e di foreste. Egli non cita che fatti, confessandosi incapace a spie-
garli, e questi fatti starebbero a dimostrare che realmente cotale vi-
cinanza esercita una influenza favorevole. Il conte Odart scrive nel
suo Manuel du Vigneron: « il corso dell' Ebro essendosi allontanato
dalla città di Emos in Tracia, le vigne di quei pressi perdettero la
loro fama » (pag. 64). Nelle Geoponiche greche si trova scritto che
l'aria, il calore e anche i venti di mare sono favoreroli alle vigne.
Il Pelit-Lafitle fa seguire a queste citazioni il nome di molte regioni
(1) F. Garelli. Viticoltura, pag. 24.
IL TERRENO PER LA VITE 347
celebri pel vino, e che risiedono presso grandi masse d'acqua. E così
il Tokai presso alla Theiss affluente del Danubio, il Porto non lontano
dall'Oceano e dal Douro, Malaga che domina il Mediterraneo, VHer-
mitage che ha vicini il Rodano, e nella Gironda, Lafitte, Latour e
Margaux sono vicinissimi al fiume del medesimo nome.
Esempi consimili potremmo trovare in Italia, nei nostri vini delle
isole, nel Marsala e nei Moscati Siciliani e Sardi, nella Vernaccia di
Oristano, nel Lacryma Cristi presso il Golfo di Napoli, e mille altri.
L'influenza delle montagne vicine può avere una spiegazione nel
fatto che esse servono di riparo contro i venti, e modificano affatto
l'influenza dell'esposizione. Le catene di montagne che riparano dai venti
del nord concorrono infatti a rendere più caldo il clima. — In Italia
ne abbiamo molti esempi. Pisa che è difesa dai suoi colli Pisani dai
venti di tramontana, quando questi spirano, è più calda di Livorno.
E la Riviera ligure deve in parte alla catena degli Appennini le sue
vegetazioni di agrumi e di palme.
E infine, riguardo all'influenza delle foreste, afferma il Petit La-
fitte che essa esiste realmente ed è dannosa. « La cura che si pone
a tenerne lontane le vigne — aggiunge egli — e i numerosi esempi
che si hanno nel Bordolese della loro pericolosa influenza, special-
mente riguardo ai geli, ci mostrano quanto sia prudente questo modo
di agire. »
Un solo fatto egli cita, che farebbe sotto un certo rispetto eccezione
alla massima data, fatto antico e che ha una conferma nella Gi-
ronda. Racconta Plutarco che a Bacco fu consacrato il pino come
quello che dà al vino la dolcezza, ed il nostro autore conferma ciò
applicandolo al Médoc. È un fatto costante che quei vini i quali
vengon si può dire all' ombra dei pini, hanno tra le loro preziose
qualità anche quella della dolcezza. Non la dolcezza che risulta uni-
camente dallo zucchero, ma quella che risulta dall' assenza di ogni
principio di sapore che domini gli altri. I vini del Médoc sono per
vero perfettamente equilibrati nei loro componenti.
§ 10. Giacitura. — Anche su quest'argomento rimandiamo il
lettore alla pag. 296. Bacco ama il colle e anche le gole più soleg-
giate degli alti monti purché abbia un terreno asciutto. Si trova più
a disagio nelle valli e nelle piane, ma vi vegeta e vi può prospe-
rare, purché queste valli e piane non siano a sottosuolo impermeabile.
La valle del Po conta numerosissimi vigneti, i quali sono in maggior
348 CAPITOLO Vili
numero alla destra di questo fiume dove vi hanno terre forti e ar-
gillo- calcari, che non alla sinistra dove abbondano la ghiaia e la
sabbia, elementi che contribuiscono a dare al terreno quella strut-
tura fisica che, come vedemmo, è per la vite la più adattata. Adunque
molte sono le piane della sinistra del Po che si potrebbero adattare
alla coltura della vite, perchè abbiamo appunto ghiaia e sabbia nelle
piane di Cuneo, di Torino, di Novara, di Milano, di Bergamo, di
Brescia e sovratutto di Verona, di Treviso e di Udine.
Le piane che veramente e assolutamente sono inadatte alla col-
tivazione della vite sono quelle soggette alle nebbie ed alle inonda-
zioni, nonché quelle in cui 1' acqua soggiorna d' inverno. Il nemico
principale della vite in pianura è Tumido, e quest'umido le viene e
dal terreno, e dall' evaporazione dei poggi vicini. Innanzitutto l'ec-
cesso d' acqua che la vite trova nell' aria e nel suolo produce un
raffreddamento; ciò perchè il vapore acqueo che scende a guisa di
nebbia alla pianura, assorbe molto del calore solare, e parte di
quest'ultimo è anche impiegato per l'evaporazione dell'umidità della
terra. È adunque una notevolissima quantità di calore che si sottrae
alla vite.
Venendo all'eccesso opposto diremo che difficoltà non meno gravi,
quantunque di diversa natura, la vite trova nelle erte pendici e nei
luoghi troppo alti. Le prime essendo troppo inclinate vengono dalle
acque di pioggia denudate della loro parte superficiale, ed essendo
esposte troppo direttamente ai raggi del sole perdono gran parte
della loro freschezza. Le alte cime sono esposte a tutti i venti e
continuamente da essi se cosi possiamo dire spazzate, onde vanno
poi soggette non solo ai grandi geli, ma anche alle brinate tardive,
alle nebbie della primavera, agli uragani dell' estate, alla grandine,
alle piogge.
Concluderemo adunque, per quel che è della situazione, che questa
è sempre conveniente, date però quelle condizioni di terreno che ab-
biamo più sopra stabilite.
CAPITOLO IX
Lavori preparatorii per l'impianto
del vigneto.
§ 1. Due modi di preparazione del terreno. Scasso reale — § 2. Fosse — § 3. Li-
vellazione del terreno — § 4. Disposizione del terreno a banchine — § 5. Am-
mendamenti. Marnatura. Terra vergine. Aggiunta di sali di ferro ai terreni
bianchi — § 6. Arrotto. Fognatura — § 7. Concimi per l'impianto.
§ 1. Due modi di preparazione del terreno. Scasso reale.
— Per facilitarci la trattazione dell'interessante tema che si riferisce
alla preparazione del terreno cominceremo a stabilire tre casi diffe-
renti che il terreno stesso ci può presentare, ed a seconda dei quali
diverse saranno le operazioni da eseguirsi dal viticultore.
Come primo caso supporremo quello più comune di un terreno
pianeggiante o leggermente inclinato, già da gran tempo coltivato
a prato, cereali, alberi da frutta o da olio o da legno, e che si voglia
ridurre per la coltivazione della vite.
Un secondo caso lo ammetteremo in un terreno già coltivato a
vigna, e che, estirpata questa, voglia essere di nuovo ripiantato
a viti.
Terzo ed ultimo caso quello d'un terreno a grandependenza sino
ad ora mai coltivato, o tenuto a boscaglie — terreno che si vuol
ridurre a vigneto.
Partendo dal primo caso ed ammettendo che il vigneto voglia es-
sere specializzato e cioè colla distanza tra i filari non maggiore di
tre metri, l'esperienza, la pratica più illuminata, ci dicono che il metodo,
350 . CAPITOLO IX
migliore di preparare il terreno è quello dello scasso generale o reale
come dicesi comunemente, e che vuol dire rimuovimento profondo
di tutto quanto il terreno che si destina alla coltura della vite. Mercè
lo scasso si supplisce alla concimazione per qualche anno, perchè si
recano alla portata delle radici, e si rendono assimilabili, molti ele-
menti che giacevano inerti negli strati profondi del suolo coltivabile:
la vite si giova in modo singolare di questi elementi, il suo le-
gno ingrossa prontamente, le gemme si fanno feconde a partire
dal terzo, e talvolta dal secondo anno; in conclusione, la pianta
immagazzina sin dai suoi primi anni molti elementi utili, e ciò
giova molto e ad una copiosa fruttificazione annuale ed alla longevità
della pianta stessa. Non v'ha provincia d'Italia nella quale, nella gran
maggioranza dei casi, lo scasso non si possa consigliare. Solo vi sarebbe
a fare qualche differenza in quanto alla profondità; ad esempio nel
Mezzodì esso vorrebbe esser profondo da 60 centimetri a un metro
per dare allo strato attivo del terreno quella porosità e quella fre-
schezza che sono indispensabili nei paesi caldi. Nel Nord invece, ove
di rado si hanno a lamentare la siccità e gli altri effetti del calore
soverchio, può bastare lo scasso a 50, 00 centimetri.
L'importanza grandissima dello scasso — la vera necessità in certi
casi — è già stata ovunque sancita dalla pratica viticola in Italia. Nel
trattato La Chiave dei Campi di G. A. Ottavi (1) si racconta come
collo scasso reale molti viticultori ottennero già nel terzo anno da 15
sino a 40 ettolitri di vino ad ettare. Un tale risultato fu sorpassato
al nostro podere sperimentale La Cardella in un vigneto a terreno
argillo-calcare piantato nel 1874 sopra scasso di 60 centimetri.
Questa vigna neh' annata fortunosa 1876 diede 44 ettolitri di vino.
La profondità utile per lo scasso varia non solo secondo il clima ma
anche secondo le proprietà del terreno. Nelle terre buone argillo-cal-
cari è sufficiente uno scasso a 60 centimetri e non sarebbe sempre
utile uno a 80 od a 100 centimetri. Molti in un terreno così profon-
damente scassato si crederebbero forse obbligati a piantarvi magliuoli
e barbatelle alla enorme profondità di 50, 60 q più centimetri, cosa
che come vedremo può divenir fatale alla vitalità della pianta. Se
poi il terreno fosse ghiaioso, selcioso ecc., sarà buona cosa spingere
lo scasso da 70 sino a 100 centimetri. Invero si comprende di leg-
gieri come più il terreno è magro ed arido, più lo si faccia fecondo
(1) V. ivi pag. 434.
[,AVOR[ PREPARATOMI PER L'IMPIANTO PEL VIGNETO 351
per la vigna a misura che si scende più al basso nel suolo inerte,
e se è di buona natura, anche nel sottosuolo.
Questa profondità non è necessaria nei suoli feraci. Nel compar-
timento dell' Hérault troviamo le vigne più produttive del mondo, ma
ivi non si parla guari di scassi molto profondi. Ivi gli scassi sono
quasi sempre operati col mezzo di semplici aratri. Nell'Economia
Rurale di G. A. Ottavi (1) è raccontato il fatto del Senatore
G. Bazile di Mompellieri il quale fece fare in una sua vigna lo scasso a
soli 35 cent, di profondità e ne ottenne risultati favolosi; cento un-
dici ettolitri di vino ad ettare nel sesto anno.
Tuttavia, se collo scasso profondo la vigna mette con maggior
forza, si fa più prosperosa, meglio resiste alle siccità estive ed ha,
almeno per qualche anno, meno bisogno d'ingrasso, può andare in-
contro, in casi speciali, ad inconvenienti non piccoli.
Prima di tutto mettiamo la questione economica. Uno scasso cosi
profondo sarebbe costosissimo, mentre lo scasso a media profondità
operato da un semplice aratro coll'aiuto di qualche bracciante che lo
segue per voltar meglio le zolle e nettare il solco, non richiede che
una piccola spesa.
Bisogna considerare poi che la vite piantata sopra scasso profondo
da 80 a 100 cent, e in terreno buono, mette con troppo rigoglio, e
male capiterebbe allora all' inesperto viticultore che non la sapesse
domare in tempo. Essa non darebbe che pochissima uva, ed una parte
di questa la perderebbe poi all'atto della fioritura in maggio.
Vero è che il viticultore istrutto e previdente sa prevenir ciò colla
piegatura dei tralci e con altre pratiche di cui si parlerà a suo tempo
diffusamente.
Altro studio interessante è quello del momento migliore per pra-
ticare lo scasso.
La stagione preferibile è l'estate, primo perchè la terra nuova o
vergine portata alla superfìcie, si ingentilisce sotto l'azione del po-
tente calor solare, secondo perchè le pioggie autunnali sono assai
bene trattenute, e per molto tempo, nel terreno scassato, locchè co-
stituisce un importante magazzino di umidità, massimamente pei paesi
meridionali.
Lo scasso fatto in autunno è pure buono ma è ben lungi dal dare
gli effetti dello scasso estivo. Un'esperimento comparativo fu fatto
(1) Ivi p. 30.
352 CAPITOLO IX
da noi al citato podere sperimentale tra una vigna in cui lo scasso
fu fatto nel novembre e dicembre, ed un'altro in cui fu fatto tre
mesi prima.
Nella vigna collo scasso estivo, piantata l'aprile susseguente, tro-
vammo nell'ottobre, e cioè dopo sei mesi di vegetazione, che buona
parte delle viti avevano getti di un metro di lunghezza, alcune di
due, e altre poche perfino di tre metri. Scoperta una radice trovammo
che aveva due metri e mezzo di lunghezza. Risultati assai meno
belli ne diede la vigna su scasso autunnale.
Prima di passare ai diversi modi di eseguire lo scasso, toccheremo
una questione alla quale abbiamo accennato di volo dicendo che lo
scasso era utile, necessario anzi nella gran maggioranza dei casi.
V ha adunque qualche terreno in cui quest' operazione è dan-
nosa?
Le nozioni che abbiamo fatto precedere sulla struttura e sulla na-
tura chimica dei terreni ci dicono come lo scasso è in taluni casi
impossibile, come sarebbe quello di un sottosuolo di nuda roccia a
pochissima distanza dallo strato attivo, e in taluni altri inopportuno.
Ad esempio se si trattasse di terre affatto ciottolose con poca terra
sfatta sopra, la miglior cosa da farsi pel viticultore sarebbe di limi-
tarsi a smuovere questa terra senza scendere a toccare le pietre.
In certi terreni lo scasso non è sufficiente ad apportare al ter-
reno tutti quei vantaggi che sono conseguenza diretta della porosità.
Sono questi i terreni pochissimo permeabili. In essi lo scasso dà buoni
risultati per qualche anno, poi la porosità si perde quasi del tutto.
Questi terreni hanno bisogno di essere anche drenati. Il più volte
citato Marès va assai più in là nell'attribuire alla fognatura del vi-
gneto grande importanza: egli ammette spesso nei terreni forti che il
drenaggio possa supplire lo scasso. Ma non si tratta che di casi spe-
ciali sui quali ecco come scrive TA:
« Nei terreni argillosi o a sottosuoli di marna tenace, alla super-
ficie dei quali si trova una grande quantità di pietre o di grossi ciot-
toli che sono d'ostacolo alla coltura, il modo migliore di sbarazzar-
sene è quello di aprire nel terreno delle fosse di drenaggio ampie e
profonde tanto da dar ricetto a tutte queste pietre. Così mentre si
fanno scomparire queste, si trasforma nel modo più vantaggioso la
natura del suolo. Terreni cattivi, freddi ed umidi possono diventare
buoni. In simili terreni gli scassi sono pericolosi, poiché portano alla
superfìcie del suolo delle argille o delle marne crude, le quali per
LAVORI PREPARATORII PER L'IMPIANTO DEL VIGNETO 353
sverginarsi all' azione dell' aria e del sole adoperano diversi
anni (1). »
Le idee dell'egregio scrittore francese possono nei casi da lui esposti
essere accettate. Invero se ci facciamo a considerare gli effetti che in
genere apportano i lavori profondi e quelli del drenaggio, noi li vediamo
in gran parte identici. Ambedue aumentando l'altezza dello strato col-
tivabile permettono alle radici di svilupparsi facilmente ed ampia-
mente, — introducendo molt'aria nel terreno vi arrecano un elemento
necessario alla respirazione delle radici, — introducendo molt'aria re-
golano eziandio la temperatura del terreno, rendendolo più fresco d'e-
state e più caldo durante i rigori del verno. Anche gli effetti chimici di
ossidazione e nitrifìcazione sono gli stessi, perchè col drenaggio come
colle arature profonde introducendo coll'aria, l'ossigeno, si arreca al
terreno un agente attivissimo per trasformare le sostanze inerti del
suolo in sostanze atte alla nutrizione.
Le idee del Marès hanno adunque un fondamento logico e nei casi
speciali da lui ammessi sono accettabili anche nella pratica. Ma in-
fine colla più parte dei nostri terreni italiani la pratica e l'osserva-
zione ci dicono che lo scasso è possibile ed utile. E lo stesso autore
francese conchiude d'altronde, anche a proposito dei terreni in cui
l'infertilità del sottosuolo dipende dalla sua impermeabilità, che questi
vorrebbero almeno essere drenati prima d'essere scassati.
Nelle sue escursioni nella Capitanata G. A. Ottavi ebbe ad osser-
vare un fatto che apparentemente viene a contraddire tutto ciò che
sinora dicemmo a favore degli scassi. Questo fatto si è che in Ca-
pitanata la vigna piantata sopra scasso reale non dà un prodotto
maggiore di quella piantata col palo di ferro. Questo sistema, prea-
damitico nel vero senso della parola, e adottato anche in qualche
provincia della Sicilia consiste in ciò: si fa un foro profondo 80 cen-
timetri con un palo di ferro, vi si immette subito il magliuolo spin-
gendolo fino in fondo, e si comprime attorno ad esso la terra, o me-
glio se si vuole, vi si mette un po' di vecchio terriccio. Infine si dà
una buona zappatura profonda circa 25 centimetri, tra l'uno e l'altro
filare.
Come si spiega adunque che una vigna piantata su scasso reale
non dà in Capitanata risultati migliori di quelle piantate col sistema del
palo? La ragione trovasi nei trattamenti successivi che si fanno subire
(1) Des vigties du Midi de la France, pag. 305.
0. Ottavi, Trattalo di Viticoltura
354
CAPITOLO IX
alla vite, trattamenti certo degni di essere modificati. Quelle vigne
piantate su scasso reale hanno molto, troppo vigore; e tuttavia le si
potano a due soli speroni con due gemme. Qui la pianta si fa ple-
torica, mette cioè dei getti molto vigorosi, ma appunto per questo il
succo non si elabora abbastanza bene e non vi feconda le gemme.
Un altro errore che si commette in Capitanata è quello di scacchiare
prima della fioritura le vigne vigorose fatte su scasso reale. Una
tale operazione fatta in tale momento è dannevolissima ai frutti
pendenti ed eziandio ai futuri.
Dati questi esempi, i quali ci dimostrano come bisogna andar molto
guardinghi prima di condannare la pratica dello scasso, veniamo ai
modi più semplici e più comuni di praticarlo.
Lo scasso si può fare a mano; e allora è un'opera piuttosto co-
stosa, o si può fare coi buoi a scalinata, scendendo gradatamente
anche ad un metro di profondità, e capovolgendo esattamente la terra,
e in questo caso la spesa è relativamente assai piccola.
Gli strumenti che servono a far lo scasso a mano sono principal-
mente la vanga, e nei paesi dove trovansi molte pietre, tufo duro
ecc., il zappone e il bidente uncinato. — Questi due ultimi arnesi
servono quasi come la vanga a capovolgere esattamente la terra che
si smuove: essi sono usati nel Genovesato, in Terra di Lavoro, nel
Salernitano, nel Brindisino, nell'Ascolitano, in Sicilia e altrove.
Lo scasso colla vanga si fa nel seguente modo:
M
X
z
e
I)
A
B
Fig. 69.
Sia M N il campo che si vuol scassare. Si comincia ad aprire una
fossa A H ad una delle estremità del campo. Questa fossa la si farà
larga per es. 50 centim. e profonda altrettanto. La detta terra si
potrebbe spargere qua e là per il campo. Volendo procedere rego-
larmente sarà bene però trasportarla colle carrette in P Q. Si apre
poi una seconda fossa C D, accanto alla A B, in modo che la prima
puntata della vanga riempia la parte inferiore di quest'ultima fossa,
LAVORI PREPARATORI! PER L'IMPIANTO DEL VIGNETO 355
mentre la parte superiore deve essere occupata dalla seconda pun-
tata, cioè dalla terra vergine. Si procede così fino alla fine del campo,
dove l'ultima fossa X Z si chiuderà colla terra di A B portata in P Q.
Con due fitte di vanga si scende alla media profondità di 50 cen-
timetri. Se il lavoro è fatto in maniera che la terra della seconda
puntata (terra vergine) sia posta sopra la terra della prima puntata,
il capovolgimento sarà completo e la spesa oscillerà tra le 300 e
500 lire per ettare, più o meno secondo il prezzo della mano d'opera,
che varia nei differenti paesi.
Lo zappone usato specialmente nel Brindisino ha una lama lunga
e larga. Il Prof. Meloni lo descrive nel suo lavoro: Brani dell'in-
ventario dell' agricoltura italiana (1) e dice che con esso si fanno
a Brindisi ottimi lavori, capovolgendo la terra quasi altrettanto bene
quanto colla vanga. Non solo con esso si fanno colà le scatene o
scassi profondi a 60, 70 centimetri, ma anche fosse per piantare
alberi e non pochi lavori di maggese.
Il bidente uncinato è fatto come il zappone, ma ha due denti
piatti, larghi tre dita traverse, lunghi circa 20 centim. e separati
tra loro da uno spazio di circa altre tre dita.
Il contadino apre anzitutto davanti a sé un solchetto, poi, come
fanno gli ortolani, scrosta alla profondità di pochi centimetri la co-
tica superficiale del suolo col suo bidente e fa cadere in fondo nel
detto solchetto, unitamente ad un po' di terra, al concio e alle fronde
delle leguminose coltivate per sovescio. Allora, e con replicati colpi,
smuove il terreno a quel modo scrostato, lo capovolge quasi e-
saltamente, trae alla superfìcie la terra vergine e infine la frantuma.
In questo modo egli apre davanti a sé un secondo solchetto profondo
da 25 a 35 centimetri per ricominciare come sopra il suo scasso, e
cosi di seguito sino all'estremo lembo superiore del campo.
Ed ora veniamo a descrivere in qual modo si pratichi lo scasso
a gradinata.
Si apre in fondo al tratto di terra che si vuole scassare un fos-
satello a scalinata, alla profondità voluta e di cui diamo il profilo
nella fìg. 70.
Ciò si fa coi bovi seguiti da uomini armati di badili, che versano
questa terra smossa al disotto, cioè in fondo al tratto suddetto o la
spargono nella parte di sopra ancora da scassare. Indi si apre col-
li) 11 Coltivatore voi. 23 p. 168.
356
CAPITOLO IX
l'aratro un solco in C, con un paio di buoi, e la terra cade in B:
un altro solco si apre pure in C e la terra occupa allora il posto di
B
C C
A
F.g. 70.
quella che era in C. Ciò fatto gli uomini coi badili versano il tutto
(la terra mossa dello strato arabile) in A, e qui il profilo si cambia
presso a poco in quest'altro (fig. 71).
C C D
Fig. 71.
In seguito si apre un altro solco in C sotto il primo e un quarto
si apre in C e la terra mossa (la terra vergine questa volta) gli
uomini la versano sull'arativa in A.
Quindi il profilo prende quest'altra figura (fig. 72).
E
1)
Fig. 72.
Lo scasso ora in A è ultimato, e lo è pure in C e C; solo qui
si dovrà farvi scendere (come sopra si fece in A) la terra di E e
di E' poi (sempre come sopra) 1' altra sottostante e così di seguito,
capovolgendo esattamente le fette, smosse colla forza dei bovi, e po-
nendo alla superficie coi badili la terra vergine.
11 gradino B nella prima figura e quello D nella terza, e succes-
sivamente negli altri corrispondenti a misura che lo scasso progre-
LAVORI PREPARATORI! PER L'IMPIANTO DEL VIGNETO
disce, sono necessarii perchè sopra di essi passa il bue di destra e
non dunque in fondo allo scassato, perchè allora il tiro riescirebbe
malagevole per essere un bue troppo alto e l' altro posto troppo
in basso.
Fu in una delle tante Escursioni in zig-zag che G. A. Ottavi fece
per l'Italia, che egli apprese lo scasso a gradinata e lo vide a pra-
ticare — sempre coi bovi — anche ad un metro di profondità. Nel-
l'opera Y Economia rurale è descritto il modo con cui fa questo
scasso appunto a un metro il Conte Saverio Bernetti di Fermo,
nella provincia d'Ascoli Piceno. Lo riportiamo trascrivendo letteral-
mente quanto si dice a pag. 219 della detta opera.
« Nella parte più bassa del tratto di terra che vuoisi scassare fa
aprire, passando e ripassando coll'aratro, una fossa M (fìg. 73) larga
Fiar. 73.
due metri, e la terra mossa, quella pur anche dei gradini A A, la
fa trar su coi badili e la versa dalla parte di sotto della fossa stessa,
e così in A' (1). Fatto ciò si fa passare l'aratro (tirato da due buoni
bovi) per aprire un solco al punto 1, per cui un bue passa qui sul
sodo, cioè nella linea notata colla cifra 4 e 1' altro passa sul primo
gradino superiore notato colla lettera A. La terra mossa del tratto
1 rotola giù quasi tutta nella fossa M, da dove gli uomini, che
sempre seguono 1' aratro, V accumulano col badile in 1'. Con altro
solco, ritornando indietro, si fa cadere nella fossa la fetta 2, e dagli
uomini si rovescia sulla prima, e cosi in 2'. Con altro solco ancora,
si smuove la striscia n.° 3 e questa coi badili si pone in 3'.
Infine allo stesso modo ancora, si fanno, sempre a gradinata, i
solchi 4, 5 e 6 e la terra di essi si versa nei siti corrispondenti,
(1) La figura non fu bene incisa. Essa suppone almeno che 1' aratro versi la
terra a sinistra e non a destra; come accade quasi sempre,
358 CAPITOLO IX
cioè in 4' 5' e 6'. E così procedendo si giunge infine a scassare
tutto il tratto, che a questo modo vuoisi smuovere, e dappertutto
la terra rimane perfettamente capovolta. Cosa essenziale questa per
lo sverginamento delle parti inerti di essa terra e la successiva sua
fecondazione.
Qui dunque il maggior lavoro si fa coi bovi (1); ma suppone che
la terra di sotto non sia tufo durissimo o peggio sasso. La durezza,
in casi opposti, non è insuperabile, e con un buon paio di buoi si
scende benissimo a oltre a 30 centimetri per volta, che le fette of-
frono poca resistenza e sdrucciolano facilmente nella fossa.
Ad ogni modo ecco le cifre relative al costo di questo scasso, e
che devo alla cortesia del signor conte Bernetti.
Con 18 uomini e un paio di buoi per ogni solco lungo 100 metri,
in una giornata di 8 ore (giornata dunque d' inverno), si scassano
500 metri superficiali a un metro di profondità.
Per ettare occorrono pertanto 20 giornate dei detti bovi e 360
di uomini. Se si valuta la giornata di questi a 80 centesimi, il costo,
per tale superficie, sarebbe di sole L. 288, e compreso il lavoro dei
bovi, circa L. 370, e così infine tre volte meno, approssimativamente,
degli scassi fatti a mano ».
Quanto costa lo scasso? Già abbiamo avvertito che quello prati-
cato a mano a un metro e anche a mezzo metro viene a costar
moltissimo. Per cinquanta centimetri fatto con due fitte di vanga ne
calcolammo il costo in lire 400 sino a 600 1' ettare — viene poi a
costare da L. 800 a 1000 quando lo si fa ad 1 metro e ciò ancora
nella supposizione che la giornata di lavoro si paghi solo da L. 1
a L. 1,20. Fatto nell'inverno e quindi col prezzo della giornata assai
minore, il costo dello scasso scema in proporzione. Togliamo questi
dati dal trattato La chiave dei campi; ivi lo scasso a gradinata
più sopra descritto, si calcola che costi non più di L. 290 Tettare non
compreso il lavoro dei bovi e, comprendendo anche questo, L. 370.
Vi sarebbero altri modi di far gli scassi, ad esempio quello con-
sigliato dal Marès pei suoli sani e profondi delle piane e delle valli,
di far scassinare il terreno per la vigna da un forte aratro seguito
da un ravagliatore.
In questo caso si tratterebbe di scassi alla profondità di 40 o 50
(1) lui solo paio, perchè tra molti si coi're rischio di vederne a sdrucciolare
qualcuno nella l'ossa sottoposta
LAVORI PREPARATORI 1 PER L'IMPIANTO DEL VIGNETO 359
centimetri al più. L'aratro in questo caso vorrebbe essere trascinato
da sei bovi almeno, il ravagliatore sarebbe quello Bonnet, secondo
il citato autore. Noi in Italia ci potremmo servire benissimo di quello
Certani che crediamo migliore.
Ma se volessimo occuparci della descrizione dei diversi sistemi di
scassinare il terreno usati nelle diverse provinole italiane e stra-
niere, ci dilungheremmo di troppo, e basta per ciò Taver accennato
ai principali.
Facciamoci ora a considerare brevemente il secondo dei casi da
noi ammessi in principio di questo capitolo, quello cioè in cui si tratti,
dopo aver estirpato una vigna, di ripiantarla nel medesimo terreno.
In questo caso bisognerà regolarsi secondo la natura del terreno
stesso, tenendo calcolo dell' ultima volta in cui fu scassato o lavo-
rato profondamente. Se trattasi di terreni affatto mancanti di uno
o più dei materiali utili, che si spossino facilmente e presto, bisognerà
letamarli e scassarli, estirpando ogni vecchia ceppaia e non ripian-
tando che dopo qualche anno. E nel frattempo si faranno gli oppor-
tuni ammendamenti, come V insabbiamento se 1' elemento che scar-
seggia è la silice, la marnatura se scarseggia 1' elemento calcare e
se i terreni sono troppo sabbiosi e sciolti. Si praticherà la vera
fognatura inglese o drenaggio se sono troppo argillosi o impermeabli.
Si potrà allora sperare che la nuova vigna avrà sorti più prospere
della precedente.
Quando il terreno invece sarà di buona natura, ma stanco, im-
poverito, basterà un buon divelto profondo con una concimazione nei
modi che diremo. Crediamo di poter dare con sicurezza questo con-
siglio quantunque diversi autori, specialmente francesi, insistano nel-
1' ammettere la necessità di un riposo per la vigna. Il est sage et
prudent — dice il Petit-Lafìtte — quand une terre a dejà porte
de la vigne et quand on veut en remettre de nouveau d'accorder
quelques temps à des cultures diffèrentes. (1) Pure il medesimo
autore ammette che dovunque lo strato attivo è profondo, e do-
vunque si può tirare alla superficie un buon sottosuolo, il ripiantar
vigna su vigna si possa fare. E cita il Mécloc in cui vide esempi
di ciò, alla sola condizione di far precedere al nuovo pianta-
mento uno scasso del terreno. Ma di ciò ci occuperemo di nuovo
(1) Op. cit., pag. 112.
360 CAPITOLO IX
quando parleremo dei modi migliori di ringiovanire un vigneto
vecchio.
E infine venendo al terzo caso da noi supposto, quello dei ripidi
pendìi, dovremmo ora studiare il modo di ridurre questi terreni a
banchine, terrazze, ed è quello che faremo diffusamente nel § 4.
Prima ci preme dire due parole sulla seconda e meno buona maniera
di preparare il terreno per la vite, quella cioè delle fosse. — Non ci
fermeremo a parlare d'un terzo sistema, invero pessimo e pur usato in
molte provincie dove la vite si marita ad alberi. Ivi — nel Veneto e
neh' Emilia specialmente — non si fa altro che aprire tante buche
della larghezza di 1 metro quadrato e profonde da 70 ad 80 cen-
timetri, ed ivi piantar Y albero vivo e attorno ad esso le talee. (I)
Con questo sistema le radici della vite si trovano come imprigio-
nate, né è loro possibile espandersi siccome è necessario per avere
viti robuste, feconde e longeve.
§ 2. Preparazione del terreno colle fosse. — Questo se-
condo metodo è usato da coloro che tengono tra i filari delle viti
distanze maggiori di tre, quattro e più metri, e nell'interfilarc colti-
vano poi cereali, baccelline, e, peggio, patate. È usato quindi anche in
quelle provincie dove la vite si appoggia a sostegno vivo, e dove
pure non si crede sufficiente di limitarsi a quelle semplici buche di
cui parlavamo testé, nelle quali si mette poi la vite come si pianterebbe
un fiore in un vaso. Queste fosse si sogliono aprire neh11 autunno
tra novembre e dicembre, e il piantamento si fa poi in primavera;
è molto meglio però aprire le fosse in primavera e piantare all'au-
tunno successivo. E ciò per dare agio alla terra vergine che si
estrae e si sparge alla superficie (si noti che abbiamo detto si
sparge e non si accumula) di ricevere durante tutta l'estate l'azione
riunita degli agenti atmosferici e quindi di sverginarsi. — In Toscana
molti viticoltori sono persuasi di ciò, secondo ci racconta il Fonseca (2),
e aprono le fosse in aprile per poi piantarle, o, come dicesi, riti-
rarle nel venturo novembre. I vignaiuoli toscani pare che siano ben
compresi dell'importanza che hanno i mesi estivi nello sverginamento
della terra inerte, perchè cercano di aumentare tale beneficio, di-
(1) V. / sostegni per le riti di E. Ottavi, pag. 27 e il giornale il Campagnolo
(Dr. G. Vecchi), anno 1883.
(2) La viticoltura nel Fiorentino, cap, lu.
LAVORI PREPARATORI! PER L'IMPIANTO DEL VIGNETO 361
sponendo il terreno cavato dalla fossa in due larghi argini lateral-
mente alla fossa stessa e così esponendo all'aria una più ampia su-
perficie di terreno.
Tanto ricaviamo dal citato Fonseca, il quale dice pure che nel
piantamento di vigneti promiscui in collina, le fosse hanno in media
una larghezza ed una profondità di metri 1,20, mentre in piano
la larghezza è di m. 1,50 e la profondità di m. 0,90.
Nel Veneto le fosse si aprono alla fine di settembre o in ottobre,
larghe un metro e mezzo e profonde 70 a 80 centimetri. Troviamo
dimensioni che poco si discostano da queste, nelle altre provincie ove
la vite si marita agli alberi vivi. Ivi nelle fosse si piantano gli al-
beretti (aceri, olmi) presi dal vivaio e tra Y uno e l'altro poi si
sdraiano le talee di vite. Ma neh1' impianto di veri vigneti specializ-
zati bastano fosse di dimensioni minori. Nei terreni buoni con sot-
tosuolo permeabile basta una profondità di 50 a 60 centimetri, stando
però sempre la larghezza ad un metro e mezzo, e non meno.
Come si deve procedere nell'apertura delle fosse?
Vi sono diversi buoni metodi da seguire. Scavato nel terreno un
primo tratto tanto ampio che vi possa star entro il vangatore,
questi continuando ad aprire la fossa, da una parte getta la terra
arativa, dall' altra la vergine, in modo, come abbiamo detto, che
questa sia piuttosto sparsa, perchè meglio possa profittare degli
agenti atmosferici. Ricordiamo qui di passaggio come nella mas-
sima parte dei terreni lo strato arabile si divide in strato attivo e
strato inerte da non confondersi col sottosuolo, il quale sta da sé
ed è di natura chimico-fisica diversa dal soprasuolo. In generale
lo strato inerte (che sta tra lo strato attivo e il sottosuolo) è meno
oscuro dello strato attivo ma è più scuro del sottosuolo. E così pure
possiamo dire che in generale lo strato arabile attivo ha uno spes-
sore di 10 a circa 30 centim. mentre lo strato inerte può essere
alto da 10 a 100 e più centimetri.
Torniamo alle fosse aperte e che così stanno tutta 1* estate, du^
rante la quale stagione sarà cosa ottima aiutare lo sverginamento
della terra vergine con zappature frequenti. Giunto V autunno, nel
riempir di nuovo la fossa, si porrà in fondo Y antico strato super-
ficiale, e si terrà invece alla superfìcie quello che prima era sotto*
Il Garelli nel suo Manuale di viticoltura e di vinificazione
propone un metodo che egli dice più economico di quello dello scavar
le fosse e lasciarle aperte. Anch' egli vuol rovesciare completamente
3(32 CAPITOLO IX
lo strato arabile, esponendo all'aria, al calore, all'elettrico, all' umido
quello che prima era strato inerte; ma egli la fossa la colmerebbe
subito, contemporaneamente alla pratica di questo rovesciamento.
È adunque un vero scasso che il Garelli vuol fare della striscia di
terreno destinata a ricevere il filare di viti; ma; secondo il nostro
avviso, questo sistema, che pure è buono, non giova tanto quanto
il nostro a procurare alla terra inerte un completo sverginamento*
Ecco come si pratica lo scasso parziale consigliato dal Garelli:
si scava in capo al filare tanta terra che basti perchè un uomo scen-
dendo nel tratto scavato possa maneggiare la vanga. « La terra
del primo tratto si porta all'altro capo del filare. Dappoi continuando
Tescavazione, il vangatore getta dinanzi a sé la terra superficiale
sul fondo della fossa già scavata, e la ricolma colla terra inferiore
del tratto in cui lavora; e così procede fino all'estremità del filare,
dove riempie l'ultimo tratto con la terra trasportata all'altro capo. »
Contemporaneamente alla preparazione del terreno, si sogliono
fare, specialmente nei terreni a sottosuolo impermeabile, lavori spe-
ciali per dare aria agli strati inferiori del terreno, e per facilitare
lo scolo delle acque. Questi lavori sono la fognatura con pietre, o
con veri tubi, o con fascine, pratica quest'ultima conosciuta da lungo
tempo nel Monferrato sotto il nome di ar rotto. Di tutto ciò parle-
remo al § 6, come pure parleremo al § 7 dei concimi che si so-
gliono mescolare al terreno neh1' atto del riempimento delle fossA.
Per ora l'ordine del nostro sommario ci conduce a parlare della li-
vellazione del terreno e della sua disposizione a banchine.
§ 3. Livellazione del terreno. — A rendere completo il no-
stro lavoro ci conviene considerare il caso in cui avendosi una por-
zione di terreno sano, asciutto, ma leggermente ondulato e si voglia
appianare per ridurlo a vigneto. Vi sono certe operazioni della geo-
metria pratica che sono facili ad effettuarsi coll'aiuto di pochi e semplici
strumenti come lo squadro, il livello, e che ogni agricoltore dovrebbe
conoscere per non dover ricorrere troppo spesso al perito. Trattan-
dosi dello spianamento d'una porzione di terreno basterà possedere
un livello ad acqua detto anche a tubi comunicanti, il cui uso è
semplicissimo. Ricorderemo che per riconoscere di quanto un punto
dei terreno si trova al disotto della linea orizzontale determinata
dal livello, si può servirsi come mira di una canna comune sulla
quale il porta mira farà scorrere colla mano un pezzo di carta
LAVORI PREPARATOMI PER L'IMPIANTO DEL VIGNETO 36*3
bianca rettangolare detta scopo. Ricorderemo pure che la visuale
orizzontale diretta dall'osservatore mediante il livello deve colpire il
lembo superiore dello scopo, detto linea di fede, e che in generale
quel numero che si legge sulla mira, e che indica di quanto un
punto del terreno è al disotto dell'orizzontale determinata col livello,
dicesi quota di livello.
Ciò premesso ecco come deve condursi l' agronomo che voglia
spianare una porzione di terreno.
Si abbia un piccolo appezzamento del quale si vogliono portare
tutti i punti al medesimo piano. Qui, servendosi della livellazione
raggiante, si fa stazione col livello in un punto che permetta di ve-
dere la massima parte degli altri e si manda il porta-mira nel punte»
all'altezza del quale si vogliono portare tutti gli altri, e se ne trova
la quota di livello.
Si tiene la linea di fede dello scopo fìssa a questo punto ed il
porta-mira recandosi nei diversi punti dove varia l'andamento della
superficie scaverà od innalzerà il terreno sino a che la visuale oriz-
zontale diretta dal livello alla mira colpisca la linea di fede.
In tal modo si potrà valutare di quanto il terreno vuol essere
innalzato o scavato, per mezzo di quantità che si ottengono facendo
la differenza di livello di ogni singolo punto con quello che si era
preso come punto di partenza.
Livellato così il terreno, si potrà , procedere agli accennati lavori
per l'impianto del vigneto come scasso, fognatura e via dicendo.
§ 4. Disposizione del terreno a terrazze o banchine. —
Nel nostro giornale TI Coltivatore è soventi ripetuto che nei colli del
basso Piemonte coltivati a vite trovasi, coll'arbusto di Bacco, la ric-
chi zza e in apparenza per un nonnulla. Questo nonnulla sono i
piantamene fatti, a distanza non minore di 3 metri tra le file, in
senso trasversale alla pendenza del suolo. Accade con simili pian-
tamene che aran lo poi la terra anch'essa trasversalmente, massime
se cogli aratri a volta orecchia, questa a poco a poco comincia a
rialzarsi nelle parti basse degli interfilari e cioè vicino al filare, e si
abbassa invece dall'altro lato che restava più sollevato. In tal modo co-
mincia a tratteggiarsi una specie di banchina colla sua scarpa, la quale
presenta il vantaggio di rendere il vigneto più accessibile a tutti,
uomini e bovi coi carri, e di rendere il terreno più sodo, e meno sog-
getto alle frane. — È questo a nostro avviso il nonnulla che dà l'a-
giatezza ai colli del basso Piemonte.
364
CAPITOLO IX
Chi poi si facesse a visitare le diverse regioni dell' Italia viticola trove-
rebbe che queste banchine, fatte appositamente e perfettamente oriz-
zontali o inclinate verso il poggio (cioè da m ad n come nella figura 74)
trovansi in diverse regioni, ove per la pendenza troppo ripida dei
colli e pel bisogno di frenare il corso delle acque, il terreno vitato
è tutto disposto a terrazze. Ne hanno esempi la Liguria, la Brianza, la
Pie:. 71.
Valle di S. Martino nella Bergamasca, il Lucchese, il Salernitano ecc.
Colle banchine l'acqua si arresta dove cade e non dà luogo a frane,
o, grazie all'inclinazione che abbiamo detto, si porta verso un sol-
chetto che si può praticare a' piedi d'ogni scarpa, e da questo sol-
chetto è poi portata in un canale più grosso che la raccoglie tutta
e la conduce fuori del vigneto.
Esponiamo il principio su cui si fonda questa riduzione del terreno
a terrazze; passeremo quindi all'applicazione pratica. Sia A B il terreno
inclinato che si vuol ridurre a terrazze. Si comincia a fare una
generale lavorazione o scasso in pieno, poi si divide l'intera super-
Pig. 75.
llcie del terreno in tanti piccoli appezzamenti, indicandoli colla zappa
o colla vanga. In ogni appezzamento, e coll'aiuto dei detti strumenti
si fanno i trasporti di terreno dalla metà superiore alla metà infe-
LAVORI PREPARATORI! PER IMPIANTO DEL VIGNETO 805
riore. Quindi, come vedesi nella figura, 75 si comincia a scavare la
terra dei triangoli a, a, a\ versandola nel sottostante terreno e for-
mando così i triangoli b, b, b.
In tal modo si ottengono i ripiani o banchine le quali, lo ripetiamo,
debbono avere una leggera pendenza verso il poggio, in modo che le
acque si raccolgano tutte precisamente al piede della scarpa della
banchina superiore, e non possano produrre guasti alle inferiori.
Anzi al piede d'ogni banchina e dove si raccoglie i' acqua, è bene
praticare addirittura un fossetto a lieve pendenza. In tal modo l'acqua
scorre e va a sboccare in un acquidoccio generale o fossato più
grande, acquidoccio che si fa tortuoso per allungare e rallentare
così il cammino dell'acqua.
Se si incontrano dei sassi nella formazione delle banchine, questi
si possono utilizzare facendone muriccioli che rinforzino la scarpa
delle banchine stesse.
Nei terreni molto ripidi, è naturale che l'altezza della scarpa voglia
essere più ampia della larghezza delle banchine stesse. Avendosi ad
esempio una inclinazione di 45 gradi, quell' inclinazione cioè che è
equidistante dalla linea orizzontale e dalla verticale, la scarpa dovrà
essere almeno di 3 metri per 2 della banchina. Con una inclinazione
invece assai minore, la scarpa non ha spesso più di 60 ad 80 cen-
timetri di altezza, essendo la larghezza del ripiano di due metri
e più.
G. A. Odavi che scrisse molte opere e articoli di viticoltura e
mise in pratica in diverse occasioni il piantamento delle viti in ban-
chine orizzontali, ce ne addita i precetti principali nell' opera La
Chiave dei Campi. È da questo libro che noi riassumiamo le se-
guenti norme.
Nel tracciare le banchine bisogna sempre seguire la perpendico-
lare alla pendenza del suolo; e ciò spesso a pregiudizio della lun-
ghezza d'alcune banchine, dovendone spesso, per averle tutte oriz-
zontali, farne qualcuna più corta.
Spesso, progredendo nel tracciamento e nella esecuzione pratica
delle banchine, si trova improvvisamente un cangiamento nelle pen-
denze del suolo, onde volendo conservare 1' orizzontalità in tutta
la lunghezza del ripiano (sia A B nella fìg. 76) è giuocoforza farlo
precedere da uno o più ripiani corti. Ecco come è spiegato questo,
caso nell'opera citata:
« Supposto infatti (è una supposizione, che questa figura male
366
CAPITOLO IX
« rende il concetto), che oltre la china principale del terreno da
« M in N, un'altra ne sorga da B in A, allora per dare alla ban-
« china ABI' orizzontalità in tutta la sua lunghezza si è costretti
« di farla precedere da due o più banchine o p q r s t, dando a
M
Fi£. 76
« queste una lunghezza tale che le distanze p x e r y ecc. (mi-
« nori di certo di u o , o q) siano tali da permettere, come dissi
« qui sopra, il passaggio dei buoi coi carri, ecc. »
Ed ecco infine ora un modo pratico per tracciare queste banchine.
Continuiamo a servirci della Chiave dei Campi.
Tutti sanno che cosa sono le paline, quelle asticciuole, cannette,
o rami ben diritti della lunghezza di metri 1 a 2,' aguzzate ad un
estremo e fesse nell'altro per inserirvi un pezzetto di carta che le
rende meglio visibili.
Queste paline, che servono comunemente nel tracciare gli allinea-
menti, si collocano a posto innanzi tutto sul terreno, in senso tra-
sversale alla pendenza delle terre, ponendole alla base della futura
Fig. 77.
scarpa delle banchine, le quali, si le lunghe che le corte, avranno tutte
la medesima larghezza,
LAVORI PREPARATORI! PER L'IMPIANTO DEL VIGNETO 367
Siano p p le paline. (Fig. 77).
Allora, non volendo far tutto a mano, si fa passare, cominciando
dalla parte più alta del campo, tre volte l'aratro volta orecchia,
versando la terra sempre a basso nel tratto A B. Quindi cogli
uomini armati di badili, si fanno togliere le ultime due fette smosse
dall'aratro facendole versare sulla prima, nonché sulla linea delle
paline p p p. In tal modo si ha un solco largo circa mezzo metro
alla profondità a cui è sceso l'aratro. In questo solco per approfon-
dirlo si fa passare, una volta o due, secondo la profondità che si
vuol raggiungere, un ripuntatore americano tirato da 4 buoi. (Fig. 78).
Fig. 78.
Dietro al solco profondo lasciato dal ripuntatore seguono operai ar-
mati di badili, i quali tirano su la terra vergine mossa dal potente
aratro e la versano sopra quella già smossa dal volta -orecchia e
messa a posto come dicemmo.
Fatto ciò si avrà (Fig. 79) un cumulo di terra m n verso la
scarpa e un fossetto A B largo 30 centim. e profondo da 40 a 50.
A
1 rl 1 f!
0 P
Fiar. 79.
In questo fossetto si fa scendere parte colla vanga e parte col volta-
orecchia tutto lo strato arabile del tratto 0 P che tocca la base della
scarpa della banchina di sopra q q q, e si fa smuovere poi la terra
368 CAPITOLO IX
vergine di sotto che servì ad appianare la banchina e a sotterrare
il detto tratto arabile. Infine si dà un colpo di badile alla scarpa
per lisciarla ed ultimarla, e la banchina a questo modo è fatta, colla
leggera pendenza in a monte che avevamo consigliato e applicando
a dovere la teoria della terra vergine (1).
Abbiamo detto che era cosa buona, per dare all'acqua piovana un
corso lento e tale da non produrre franamenti, di praticare presso
la base d'ogni argine un fossetto con lieve pendenza verso gli scoli
maestri praticati nel colle dall' alto in basso, in modo da condurre
poi l'acqua fuori del vigneto. In questa strada che deve fare l'acqua
essa può nondimeno trascinar via molta terra. Ad ovviare a questo
inconveniente è buona cosa aprire dei pescajuoli o piccole buche
nelle quali V acqua abbandoni le particelle terrose, ciò che si fa da
taluno con buon esito negli alti colli del Monferrato.
§ 5. Ammendamenti — Marnatura — Terra vergine —
Aggiunta di sali di ferro ai terreni bianchi. — Sulla esatta
definizione della parola ammendamento non si accordano gli autori
che scrissero di agronomia. — Il Cantoni vuole compresi tra gli
ammendamenti i lavori, il debbio, la fognatura, solo quei modi cioè
di preparare il terreno che nessun materiale sensibile aggiungono al
terreno. — G. A. Ottavi invece si attiene al significato che pare
espresso nella parola stessa, e chiama ammendamento tutto ciò che
può togliere alla terra una o più mende. E così egli vi comprende
pure le aggiunte di calce, marna, silice, torba e le concimazioni in
una parola. Siccome pare che quest'ultima maniera di vedere sia più
generalmente ammessa, ad essa ci atterremo, senza pretendere però
che sia rigorosamente scientifica. E comincieremo a parlare di quelle
aggiunte che possono correggere e modificare profondamente la na-
tura fisico- chimica del suolo: queste vertono specialmente sui mate-
riali immediati del suolo stesso.
La marnatura, ossia l'aggiunta di marna al terreno, si pratica per
rendere più consistenti le terre sabbiose, per rendere più porose
quelle argillose, e per dare più corpo e calore alle terre vegetali
fredde. Essa è possibile economicamente quando la marna trovasi
nel sottosuolo, o almeno sul pendio o sui fianchi di colle assai vi-
cino. Da noi si usa poco la marnatura nei vigneti, molto invece in
(I) V. La Chiave dei Campi, % 136.
LAVORI PREPARATORII PER L'IMPIANTO DEL VIGNETO 369
Francia. Nella Gironda, scrive il Petit Lafitte, si applica sovente
la marna alle vigne e con felicissimi successi. Vigne vecchie e spos-
sate, furono con quest' ammendamento ricondotte ad uno stato di
fiorente vegetazione, ed egli cita diversi fatti al proposito; come pure
parla della correzione di terre silicee e leggere coll'aggiunta di altre
più argillose, della correzione di terre forti e compatte coli' appli-
cazione di sabbia.
La marna è una terra vergine, ed è anche per questo che por-
tata alla superficie dagli strati più bassi del terreno dove trovavasi,
e opportunamente sverginata, fa prodigi nei suoli sprovvisti di
calcare (1). E la terra vergine applicata alle vigne come ammenda-
mento è una fra le migliori pratiche che onorano la viticoltura italiana.
L'alternanza della terra vergine al pedale delle viti, che da secoli si usa
nel Bresciano, il così detto colturone del Vogherese, e moltissimi
altri fatti raccolti da G. A. Ottavi nell' alta e bassa Italia ne sono
un esempio (2). Del modo di portare la terra vergine alla superficie,
all'atto dell'impianto del vigneto già abbiamo discorso; delle belle ap-
plicazioni di essa colle cure successive di coltura parleremo a suo
tempo.
Un ammendamento che si rende importantissimo in certi casi è
l'aggiunta al terreno della soluzione di sali di ferro.
In Francia hanno trovato che le viti americane sono più delle
Europee soggette al giallume, anzi ad una infermità spesso più
complicata, per la quale le foglie si deformano offrendo una dentel-
latura più profonda, e si produce nella vite una quantità stragrande
di piccoli rami secondarii, il cui ufficio è di far da parassiti ai tralci
fecondi. Questa malattia è chiamata dai francesi le cottis de la vigne
o anche la potesse en or lille.
Essa fu osservata più volte nella Charentes e il dott. Guyot ne
diede una esatta descrizione. Si manifesta specialmente nelle terre
bianche, cretacee, ed è ammesso che risulti da mancanza di ferro
nei principii minerali del suolo. Il Planchon, che ha segnalato testé
questa malattia nelle viti americane, dice che nel suo vivaio il Clinton
soccombette a questa specie di giallume nel primo anno del pianta-
mento, mentre il Taylor ne fu invaso solo al quarto anno, ma il
(1) V. Marcon, Le cidtivateur Chareniais.
(2) V. giornale il Coltivatore voi. XI, XII, XIII, XIV, XXII ecc.
0. Ottavi, Trattato di Viticoltura. 25
370 CAPITOLO IX
male si estese però anche all'innesto di vite indigena, da due anni
posto sul ceppo americano.
Cercò il Planchon di scoprire se una qualche crittogama non con-
tribuisse a produrre ed allargare il male; egli sospettava questo, a-
vendo notato che il piede della vite morta era coperto di una muffa
biancastra; ma tale produzione non si trovò che sulle radici già
morte, mentre, neppure nell'ultima fase della malattia, sulla pianta
viva non fu osservata.
Ed è così ch'egli ammette definitivamente che le cause del Cottis
si devono ricercare nel suolo; e queste cause, secondo il Planchon,
sono due: povertà in ferro, e mancanza di calore. È adunque una
malattia clorotica della pianta, malattia che, come è noto, si cura
dando al terreno il ferro che gli manca. La proporzione consigliata
da Guyot contro la clorosi è di 5 chilogr. di solfato di ferro in 100
litri d' acqua da adoperarsi poi alla dose di 2 a 5 litri per pianta:
venti a venticinque chilogrammi di solfato bastano però per un et-
tare a vigneto in condizioni normali di vegetazione, cioè non affetto
da clorosi.
Ed ecco perchè abbiamo messo il ferro tra gli elementi che tal-
volta concorrono ad ammendare il terreno.
§ 6. Arrotto, fognatura o drenaggio. — Varrotto o fogna
del Monferrato, detto contrafosso nello Stradellese, è un'operazione
che si fa o all'impianto del vigneto, o negli anni successivi, per dare
aria agli strati inferiori del terreno. È una specie di fognatura con
fascine. Nelle fosse che si aprono pel piantamento, nel modo che di-
cemmo, si sdrajano all'epoca di questo piantamento fascine di canna,
o fasci d'erba legati; vi si aggiunge, potendo, del letame misto a cal-
cinacci, cenere, rottami, ghiaia ecc. e si copre poi il tutto con terra.
L'arrotto è una pratica buona per l'aria che introduce nel terreno;
ma è evidente che essa non è affatto necessaria per chi prepara il
terreno collo scasso reale, ed è poi meno necessaria ancora per co-
loro che hanno la buona abitudine di piantare superficialmente. È una
vera necessità invece per i viticultori Casalesi, gli Astigiani e tutti
quegli altri che avendo terreni compatti piantano tuttavia la vite a
50, 60 e ben anche 70 centimetri di profondità.
In altre provincie d'Italia la fognatura si fa mettendo in fondo
alla fossa uno strato di ghiaia di circa o0 o 10 centimetri di spes-
sore, coprendo il tutto con terra e comprimendo.
LAVORI PREPARATORII PER L'IMPIANTO DEL VIGNETO 371
Altri fanno di meglio: stabiliscono in un fosso, un canaletto fatto
con pietre piane o con tegoli, e mettono su di esso un po' di ghiaia
e quindi la terra come sopra (fig. 80).
Fig. 80.
(Profondità del fosso lm,50: altezza delle pietre 0,50).
Meglio assai dell'arrotto, come quello che non ha bisogno d'esser
rinnovato ogni tre o quattro anni, e meglio anche della fognatura
fatta cogli antichissimi metodi italiani è il vero drenaggio coi tubi
poco diffuso sin'ora in Italia, molto in Inghilterra e in Francia. Nei
locali in cui il terreno è per natura compatto ed umidiccio in tutte
le stagioni, chi volesse impiantarvi una vigna dovrebbe pensare, come
prima opera, all' impianto del drenaggio, per non trovarsi poi nel
caso doloroso di avere buona annata solamente negli anni secchi.
La metà, se non di più, dei nostri viticoltori degli Apennini, dove
abbondano le terre forti argillo-calcari, potrebbe col drenaggio, se
non duplicare quasi ogni anno il prodotto della vigna, accrescerlo
almeno di molto, averlo di miglior qualità e pagare così largamente
la spesa. Inoltre si potrebbero lavorare e zappare assai meglio le
terre drenate, e far ciò più presto in tutti i momenti dell' anno. Ci
troviamo qui dunque di fronte ad un prodotto maggiore e migliore
e ad una diminuzione di spesa nei lavori del suolo vitato.
In Francia (nella Gironde, a Lagrange) il conte Buchatel fece dre-
nare ottanta ettari a vigna, vi spese lire 275 ad ettare e l'aumento
del prodotto fu tale che in un anno solo egli pagò la spesa.
Nello stesso dipartimento il marchese di Bryas fece drenare una
sua vigna di sei ettari, la quale dava il reddito medio appena di 60
ettolitri di vino. Or dopo che vi fu eseguito il drenaggio, il prodotto
ascese a 208 ettolitri.
Chaptal cita in una sua opera il caso di tre campicelli attigui
ed a vigneto, dove lo strato arabile era di natura eguale in tutti e
372
CAPITOLO IX
tre; per tutti e tre si seguiva lo stesso processo di coltura della
vite prima, e quello della vinificazione poi, e solo differiva in essi il
sottosuolo. Per la qual cosa dal campicello primo si ottenevano in
media L. 1200 di prodotto, dal secondo 800 e dal terzo sole 400.
Ivi c'era il sottosuolo impermeabile ed il drenaggio sarebbe tornato
utilissimo.
Vediamo ora alcuni sistemi spegnali di fognatura.
Nei vigneti le fosse da drenaggio si possono aprire anche tra un
filare ed un altro di viti, e basta che in fondo ad esse, per il lungo,
vi sia la pendenza di circa due o tre millimetri per metro. Ognuna
di queste fosse deve avere la media profondità d'un metro, dove dif-
ficilmente giungono le radiche delle viti. Con tale profondità la di-
Kte. 81.
stanza media tra una e l'altra fossa può essere di dieci metri. O-
gnuna infine deve por capo in un emissario comune, nel quale versa
le sue acque e questo a sua volta le conduce in un qualunque fosso
o roggia di scarico. Le fosse vogliono essere ben spazzate e livellate
(fig. 81 a e d) onde i tubi vi si adagino per bene.
Posti i tubi uno a capo dell'altro in fondo alle dette fosse, dopo
averne regolarizzata la pendenza, si cuoprono con terra, il che si fa
un po' per volta, poi la si comprime ben bene coi piedi e colle maz-
zeranghe; e ciò onde i tubi non abbiano poi a spostarsi menoma-
mente.
Queste sono le avvertenze principali che voglionsi avere nel fare
il drenaggio. I dettagli è d'uopo studiarli nei trattati speciali di fo-
gnatura.
LAVORI PREPARATOMI PER L'IMPIANTO DEL VIGNETO 373
Per chi abbia terreni umidi l'impianto del drenaggio non è cosa
da poco: si calcolano in media L. 100 ad ettare per l'acquisto dei tubi
e altre L. 100 per i lavori necessarii all'impianto. V'è però un altro
sistema, assai più economico, quello dei pozzi assorbenti. Ma essi non
si possono praticare che ad una condizione, che cioè al disotto dello
strato impermeabile si trovi, ad una profondità ancora accessibile,
uno strato permeabile di sabbia, d' alluvioni antiche, di roccie di-
sgregate ecc. Allora l'acqua dello strato superficiale condotta a que-
sti strati più profondi e permeabili per mezzo di uno o più appositi
pozzi assorbenti, troverà uno scolo (v. fig. 82).
Il pozzo assorbente si può praticare con profitto anche nelle co-
struzioni delle case di campagna per liberarle dalle acque.
0
Pie. 82.
Si comincia dal praticare una vasta apertura cogli ordinarli stru-
menti, la quale si fa per tutto lo strato superficiale, arrivando così
al banco impermeabile. Quest'apertura segnata con A nel figura 82
potrà avere un diametro di 3 a 5 metri all' orifizio, restringentesi
sempre più. Giunti allo strato impermeabile, colla trivella si pratica
un foro 0 che traversa il banco in tutta la sua altezza, mettendo così
in comunicazi'one lo strato superficiale con quello selcioso o ghiaioso;
basterà far tanti di questi fori a seconda dell'effetto che si vuol ot-
tenere.
Se lo strato impermeabile è molto alto, l'ostruzione dei fori pra-
ticati è facilissima, e allora bisogna pensare a tenerli aperti artifi-
cialmente. Si consiglia di collocare nel foro fatto dalla trivella un
tubo di legno di ontano, di olmo o di quercia. E per impedire l'in-
374 CAPITOLO IX
tasamento di questo tubo è bene coprirne Y apertura con fascetti
di spine, sopra i quali si dispone una grossa pietra D, sostenuta
da due altre laterali. Finalmente si riempirà tutta 1' escavazione di
pietre sino al livello del fondo delle fosse che devono portar l'acqua
al pozzo assorbente.
Un'ultima avvertenza per chi vuol risanare i suoi terreni con questo
metodo, è quella di praticare le fosse leggermente inclinate col
loro fondo verso il pozzo. Ma solo leggermente per impedire che
al momento delle grandi piogge queste trasportino al pozzo stesso
materiali troppo grossolani, i quali potrebbero otturarlo.
Un drenaggio eziandio economico applicab